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Autore: Mezzo_E_Mezzo    10/12/2014    1 recensioni
Gilgamesh mi osserva con occhio critico, sbocconcellando la sua inquietudine e innaffiandola con la salsa di sarcasmo offerta dalla casa.
«Non c’è niente che mangerei senza sarcasmo.»
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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[Non saprei valutare esattamente il grado di Nonsense di questa piccola storia. Devo ammettere infatti che ha in sé una coerenza ben precisa, e che lascia poco alla variopinta essenza del genere puro e semplice. Non me la sono sentita, tuttavia, di non includervela lo stesso, perché non ritenevo che andasse da nessun altra parte. Spero di non far storcere il naso ai cultori del genere, quindi vi porgo innanzitutto le mie scuse.
Inchino con svolazzi,
M_E_M]




È stupido

Impazzirò quando scoprirò il click del loop automatico nella tua risata. E capirò che non era autentica.



«I signori desiderano?»
Il cameriere si avvicina al nostro tavolo, dopo all’incirca cinque minuti da che ci siamo seduti. Lo guardo con attenzione: è un tipo alto, dai capelli a spazzola, ossigenati, un paio di corte orecchie da coniglio, anche quelle ossigenate, e due vivaci e limpidi occhi a mandorla, di un fucsia chiaro. Magrolino, indossa una divisa leggermente troppo abbondante per lui, e si è arrotolato più volte le maniche fino ai gomiti. Tenendo il taccuino nella mano sottile, bianca, appena appena pelosetta, attende gentilmente le nostre ordinazioni.
Il mio abituale compagno per il pranzo scorre con lo sguardo il lungo menù, pensieroso.
«Vorrei dell’astrazione e dell’inquietudine, appena tiepida, speziata con zafferano e un sogno acquoso.» Afferma, dopo averci riflettuto un po’.
Il cameriere annota compitamente, mentre anch’io guardo il menù, che altro non è che una lunga lista di ingredienti da combinare. Ma so già che cosa prenderò.
Cerco di assumere un’espressione assolutamente ordinaria. «Per me risa anomale, senza sale, strapazzate.»
Il cameriere non fa una piega, scrive tutto e si allontana.
Gilgamesh mi allunga una lunga occhiata inquisitoria, ma non commenta. Attacca invece il nostro quotidiano discorso sulle illusioni e la mente, su cui abbiamo sempre qualcosa da dire, e chiacchieriamo con fare tranquillo, illuminati dalla luce obliqua che cade dalla finestra.
Intorno a noi, e come noi clienti fissi del ristorante onirico, demoni, gatti, esseri umani (la minoranza) e altre creature che non conosco, stanno tutti seduti ai propri tavoli, diffondendo un piacevole brusio che si stende nel locale come un profumo rilassante.
Dopo un po’, il cameriere torna, portandoci i piatti che abbiamo ordinato nascosti sotto due larghe cloche d’argento, che pone rispettivamente davanti a Gilgamesh e me.
Inconsciamente, nello scoprire il mio piatto, sento la schiena irrigidirsi, le mani sudate e fredde, il cuore elettrico e in tensione come una torpedine acquattata in un abisso buio.
Guardo dentro, poi guardo lui, improvvisamente spenta.
Il poverino s’inclina tutto da una parte, accartocciando le orecchie dall’imbarazzo.
«Signorina... va tutto bene? Mi scusi, sa com’è il tavolo... il mio primo giorno... ho per caso sbagliato la sua ordinazione?» Improvvisamente gli occhi a mandorla si riempiono di minuscoli gomitoli di filo colorato, che immagino essere la sua versione delle lacrime.
Rovisto frettolosamente nella mia borsetta e ne tiro fuori un mezzo sorriso sincero, che indosso subito con un gesto rapido di applicazione di rossetto, e poi gli rispondo, addolcita dall’espressione facciale: «Oh no, assolutamente, è tutto a posto. La ringrazio molto.»
Lui mi guarda, in tralice, sospirando di sollievo, anche se non del tutto convinto. Poi, richiamato dalla cucina, annuisce e si allontana da noi.
Gilgamesh mi osserva con occhio critico, sbocconcellando la sua inquietudine e innaffiandola con la salsa di sarcasmo offerta dalla casa.
«Non c’è niente che mangerei senza sarcasmo.»
«Di che stavamo parlando?»
«Di...»
Lui parla, e io lo ascolto prendendo cucchiaini della mia pietanza. A poco a poco, le mie spalle vengono scosse da fremiti di risa, mi escono singulti strozzati dalla gola, che soffoco con uno sforzo abitudinario. Ho la faccia distorta dal disgusto per l’assenza di sale, tanto che mi casca dalle labbra pure il mezzo sorriso sincero.
E continuo a guardarlo, annuendo, rispondendo seppur con difficoltà, balbettando tra le risa, cercando di attutire le mie reazioni con nonchalance.
Gilgamesh finisce anche il suo rapporto sui miei sogni del dormiveglia, e non inizia nessun altra conversazione, si appoggia allo schienale della sedia e mi guarda finire il mio pranzo. Singhiozzando la mia risata, mi volto verso la finestra, sopraffatta dall’imbarazzo.
«Ragazza.» Mi chiama, finalmente.
«Dim-mi.» Balbetto io.
«Sai che la discrezione è un pregio di cui mi vanto, ed essendo frutto della tua immaginazione, ho un certo accesso a quello che sei, ma...»
Lentamente, il suo silenzio mi costringe a voltarmi.
«Da quando ho memoria, veniamo sempre a mangiare in questo posto, che è raro quanto esclusivo. Qui puoi ordinare qualsiasi cosa. Puoi influenzare la tua vita. La tua anima.»
Annuisco, mentre un crampo indotto dalle risa mi stringe la pancia talmente forte da farmi lacrimare un occhio.
«Tu vieni solo a questo tavolo, che ha la caratteristica di cambiare cameriere ogni volta.»
So già dove vuole arrivare, e lo guardo con espressione supplichevole, ma lui continua, spietato.
«... E ogni maledetta volta, tu ordini la stessa cosa.»
Abbasso lo sguardo al mio piatto, ormai vuoto. Il cucchiaino nella mia mano sembra pesante come un macigno. Sospiro, aspettando l’esplosione.
«Quella roba è disgustosa e tossica. Non ho bisogno di essere parte di te per vedere come ti riduce. Ti torce le budella, ti sfianca, e se non ci stai attenta può farti impazzire. Oltretutto, tu la ordini strapazzata, il che aggrava i sintomi, e sciapa, che la rende ancora più immangiabile.»
Deglutisco. Lui mi fulmina con lo sguardo. È furioso. «Potresti avere felicità, successo, o qualsiasi altra cosa desideri. Perché diavolo vuoi proprio quello schifo?»
Apro la bocca e prendo fiato. La chiudo, lo guardo tesa, sbuffo.
«Non mentirmi.» Ordina.
Rabbrividisco, mentre uno sciame di cavallette di carta si avvicina al nostro tavolo e ci si posa sopra, mangiandosi tutta la salsa di sarcasmo.
Quando le cavallette saltano via, assaltando un cameriere di passaggio con un vassoio di sentimenti dozzinali, sono costretta a rispondere.
«... È complicato.»
«Lo immaginavo.»
«... È stupido.»
«Evidentemente.»
«... È emotivo.»
«Se fosse razionale, non saremmo qui.»
Lo fisso, indispettita dal fatto che abbia sempre la risposta pronta. Sospiro.
«È... una prova, va bene? È un gioco di parole.»
Gilgamesh solleva un sopracciglio, con una smorfia. «Un gioco
Annuisco, sentendomi sempre più sconclusionata.
«Risa anomale. Senza sale. Strapazzate. Se togli ‘s’, ‘a’, ‘l’ e ‘e’ da ‘risa anomale’... e poi le strapazzi... cioè, anagrammi il resto...» Guardo ostinatamente fuori dalla finestra adesso, per evitare di vedere la sua espressione esasperata, «se lo fai, ecco, tu... tu hai...»
«... armonia.» Finisce lui per me, con tono perplesso e pensoso.
Annuisco di nuovo.
«Ma perché diavolo non chiedi direttamente l’armonia? Non sarebbe più semplice? E che cosa c’entra il fatto che lo ordini sempre a un cameriere diverso?»
Stringo le labbra, seccata. «Oh, ma non capisci?! L’armonia che cerco non può essermi servita così, su due piedi. Nemmeno in questo posto.» Ora lo guardo dritto in faccia. «Deve essere conquistata
Sosteniamo l’uno lo sguardo dell’altra, un paio di semplici occhi umani marroni e un altro di aguzzi e foschi occhi bianchi di ombra allucinatoria.
«E poi,» continuo, prima che possa interrompermi, «cerco anche qualcos’altro. Cerco qualcuno, che sia capace di comprendere il mio tranello, che possa capirmi, insomma. Un simile. A questo tavolo posso tentare ogni giorno con uno diverso.»
Gilgamesh sbatte una mano sul tavolo, impaziente. «Tu sei davvero matta! Quello a cui li sottoponi non è un indovinello sensato! È troppo impicciato, e poi in un posto così, in cui ordinano davvero di tutto, perché uno dovrebbe sospettare che stai chiedendo qualcos’altro da ciò che dici?! Senza contare che potresti trovare un altro anagramma, maledetta umana! Non puoi far sì che il piatto sbagliato sia quantomeno non velenoso
Sorrido stancamente.
«Ma è proprio questo il punto, amico mio. Se non fosse così difficile, per me stessa e per chi sto cercando, non ne varrebbe affatto la pena.»
«E se non esistesse? Se non lo trovassi mai, il tuo simile e la tua armonia?... Passerai il resto della tua vita a ingurgitare risa anomale, senza sale, strapazzate?!»
«... Sì.» Gli rispondo placida, posando finalmente il cucchiaino, e cominciando piano a riprendermi, quel tanto da schiarirmi le idee, dopo un ultimo spasmo muscolare.
L’allucinazione richiude di scatto la bocca, con uno schiocco di disapprovazione.
Mi alzo lentamente in piedi, appena malferma sulle gambe, ma nel complesso non troppo acciaccata. Prendo la matita dalla borsetta. Lui ha la testa bassa, e non parla.
«Andiamo, Gilgamesh, non mettere il muso. Sta per suonarmi la sveglia, dobbiamo andare.»
Non dà segno di volermi assecondare, così mi avvio da sola.
Senza voltarmi indietro, cammino piano verso l’uscita, stringendo forte nel pugno la matita per tornare a casa.


  
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