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Autore: Rallienbow_    10/12/2014    1 recensioni
{ Nona classificata a pari merito al contest "Left Behind- Storie di ruggine e abbandono" di Tsunade e Ino;Chan sul forum di Efp. }
Una promessa sbagliata in età giovanile può costarti tutto quello che hai di più caro: la donna che ami, la figlia che tanto hai desiderato, il lavoro che hai tanto faticato ad ottenere.
- In un passato remoto ti ho amato, ti ho amato più della mia stessa vita. Sarò buona. – si chinò su di lui e gli lasciò un bacio sulle labbra, dolce, intenso.
Genere: Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Aprì gli occhi.
Aveva un mal di testa tremendo.
Cercò di puntellarsi sui gomiti, ma scoprì di avere i polsi legati da una corda. Sbuffò, scuotendo la testa prima a destra e poi a sinistra, facendo oscillare i capelli castani davanti agli occhi, che chiuse e aprì una seconda volta. Le immagini erano leggermente sfuocate, ma riuscì a capire di essere in un posto un po’ diroccato. Mise a fuoco un coltellino che si trovava accanto a lui: probabilmente gliel’aveva lasciato lei... Per liberarsi una volta si fosse ripreso.
Lucy.
Ci avrebbe pensato in un secondo momento a lei. Adesso doveva rimettersi in sesto. Con qualche movimento contorto, riuscì a far scivolare il coltellino fra le mani e, una volta impugnato, tagliò la corda. Osservò le mani: erano, quasi incredibilmente, pulite. Avrebbe scommesso che fossero piene di qualche polvere invisibile... No, non sarebbe arrivata a quello. Si strofinò gli occhi, e allora mise a fuoco tutto ciò che lo circondava: sembrava essere all’interno di un palazzo andato in pezzi; un terremoto, forse? Dalla parete crollata era in grado di vedere il mare. O era l’oceano? Non ne aveva idea. Non aveva la più pallida idea di dove fosse.
Quella stronza.
Quello in cui si trovava era probabilmente un piccolo appartamento, e adesso era nel salotto; c’erano dei rimasugli di mobili, di credenze e mensole. C’era una bacinella accanto a lui, piena d’acqua, e si lavò il viso. Sì, ora vedeva decisamente meglio. Si mise ad osservare quei mobili rotti: risalivano, almeno, ad una trentina di anni fa. Lui lo sapeva, aveva avuto un negozio di antiquariato fino a qualche giorno prima. Sapeva valutare gli anni di un oggetto.
Su una mensola di quei mobili, era appoggiato un foglio. Ci si avvicinò, e quando lo prese in mano un lungo sbuffo uscì dalle labbra carnose e screpolate.

“ Ti ho somministrato un veleno, prima di rapirti, cosa che è accaduta circa tre ore fa. E se te lo stai chiedendo, ero accanto a te fino a qualche minuto prima che ti svegliassi. Quel veleno farà effetto nel giro di ventiquattro ore. Ne hai già perse due. Non ti darò molte informazioni, voglio divertirmi, e divertirti, ovviamente. Ti allego la cartina dell’isola su cui ti ho portato, con su segnati settanta importanti luoghi, o almeno quello che ne rimane- e fra le altre cose, ti farà piacere sapere che sei sull’isola di Hashima, in Giappone. Spero riuscirai a capire perché ti abbia trascinato qui. Per trovare l’antidoto, dovrai risolvere un indovinello.

In mezzo a due mondi, l’orologio non scandisce più il tempo
Che qui si è fermato e come i suoi ricordi è rimasto congelato
Nel nido i piccoli la mamma per tanto hanno aspettato
E le persone leggevano non per passatempo.


Se riesci a capire qual è il posto qua descritto, troverai un foglietto con un altro indovinello che ti indicherà la stanza esatta in cui è nascosto l’antidoto. Ti do ancora un suggerimento: i piccoli nel nido sono citati in un manga da me molto amato.
Buona fortuna.
Lucy.
ps: dentro i mobili troverai tutto quello che ti serve per sopravvivere il giorno che ti rimane: cibo, acqua, e uno zaino che puoi riempire mentre vai alla ricerca dell’antidoto. Usa con saggezza il coltello che ti ho lasciato.
ps 2: il veleno non ti darà segni particolari di malessere. Una volta terminate le ventiquattro ore esso inizierà a fare effetto, e morirai nel giro di quindici minuti. E sarà doloroso, credimi. ”


Aveva così tanta voglia di picchiarla. Non gli importava che fosse una ragazza, o che fosse bellissima, avrebbe desiderato picchiarla a sangue, spezzarle tutte le ossa che aveva in corpo, sentirla urlare pietà e solo ed esclusivamente allora l’avrebbe uccisa, misericordiosamente. Ma adesso doveva stare al suo sadico gioco e capire quale fosse il luogo dell’antidoto.
Prima di tutto, però, aveva una fame che non ci vedeva; dunque cominciò ad aprire sportelli a caso per trovare qualcosa da mettere sotto i denti, ed effettivamente trovò un piccolo bottino. Patatine, pasta fredda, french toast, e addirittura qualche verdura cruda, e poi tre bottiglie d’acqua.
- Grazie, stronza. –  le labbra si allungarono in un mezzo sorriso, forzato, ironico, ma anche un po’ malinconico. Lei lo conosceva fin troppo bene, avevano convissuto per sei anni. Come ci erano arrivati a quella situazione? Lei poi era scappata e non gli aveva spiegato perché. Lui aveva scavato, e aveva scoperto la verità di quella fuga. Era solo paura da parte sua, paura di far del male a tutti una volta fosse morta- perché le avevano trovato un cancro, e lei, drastica come il solito, aveva già pensato al peggio. Aveva continuato ad allontanarlo, e lui non ce l’aveva più fatta a starle dietro, era andato via, l’aveva lasciata da sola quando ne aveva più bisogno. Era stato un imbecille, lo sapeva, ma non l’aveva più sopportata, era diventata una lagna, una pazza, un giorno gli urlava contro e quello dopo piangeva sulla sua spalla come una piccola bestia ferita. Stavano entrambi per avere un crollo nervoso. Era impossibile andare avanti in quella situazione.
Così, semplicemente, se n’era andato.
Se n’era andato e si era fatto un'altra vita. Una vita, però, nella quale c’era sempre il terrore di una telefonata improvvisa, di un messaggio, di una lettera che gli dicesse: “È morta”. Ma quel messaggio non arrivò mai, perché Lucy non morì. Lui aveva sposato un’altra ragazza, aveva avuto una figlia. Aveva aperto il suo negozio di antiquariato. E poi una sera qualcuno aveva suonato il campanello, lui era andato ad aprire, e si era ritrovato Lucy. La piccola Ellie era trotterellata fino alla sua gamba chiamandolo papà, e il volto di Lucy era sbiancato. Era sbiancato una seconda volta quando Madeleyn era apparsa sull’uscio della porta, chiedendogli chi fosse.
Lui le aveva fatto una promessa, prima di andare via. Le aveva promesso che qualsiasi cosa sarebbe successa, per quanto tempo sarebbe passato, se fosse rimasta viva, i suoi sentimenti per lei sarebbero rimasti immutati e l’avrebbe presa di nuovo con sé. Aveva diciassette anni, era giovane, ed era stato imprudente a fare una promessa del genere. Troppo imprudente. In quelle condizioni non avrebbe mai potuto riprenderla con sé- e in effetti, nemmeno lo desiderava così tanto. Stava bene con Madeleyn, non voleva un’altra donna al suo fianco. Erano passati dieci anni da quando l’aveva lasciata, non sapeva cosa fosse successo. Solo dopo scoprì che era stata ricoverata in un ospedale psichiatrico per instabilità mentale accompagnata da scatti d’ira e violenza.
- Non finisce qui. -
Lucy era andata via con uno sguardo pieno d’odio, così talmente carico che gli aveva fatto accapponare la pelle. Si era richiuso la porta dietro le spalle e aveva fatto finta che nulla fosse accaduto; aveva messo a letto Eleanor ed era andato a coricarsi accanto alla sua Madeleyn.
I mesi trascorsero, e Lucy sembrava essere sparita dalla sua vita una seconda volta. Non sapeva quanto si stesse sbagliando. 
Rilesse più volte l’indovinello, anche ad alta voce, per dargli un senso. L’orologio in mezzo ai due mondi. Ovviamente doveva essere una metafora, a meno che non esistesse una qualche torre che dividesse a metà due universi. Un orologio poteva forse essere all’interno di una stazione? No, sull’isola non c’erano treni, la ferrovia non era mai stata costruita. Dove si trovavano i grandi orologi in Giappone?
“Pensa, pensa, pensa! Avanti!”
E poi tutto fu chiaro. Tutte le volte che Lucy l’aveva costretto a sorbirsi quei dannati anime, ogni qualvolta ci fosse una scuola si vedevano due edifici e una torre con un orologio che li divideva. E i due mondi? Beh... Forse negli anni Trenta c’era ancora la divisione per sesso, e i due edifici rappresentavano il mondo maschile e quello femminile. Oppure... Ma certo! Erano le materie! In una parte si svolgevano le materie scientifiche e nell’altra quelle letterarie! Due mondi totalmente diversi ma, in qualche modo strano e complesso, complementari. Poteva essere quello? Doveva, per forza. Prese frettolosamente la cartina e cerchiò con un pennarello rosso l’edificio della scuola. Si trovava all’estremo nord dell’isola. Forse sarebbe riuscito a raggiungerlo in un paio di giorni, meteo permettendo. Sperava non piovesse. La pioggia avrebbe peggiorato tutto quanto: magari avrebbe anche fatto franare qualche costruzione instabile. Ma erano comunque troppi: lì diceva che il veleno si sarebbe attivato entro ventiquattr’ore. Doveva escogitare un piano: forse, se avesse preso le strade principali, quelle non bloccate dalle macerie, e se avesse corso per tutto il tempo, avrebbe potuto farcela. In fondo era stato campione della maratona alle superiori, qualcosa doveva essergli per forza rimasto.
Il secondo verso faceva riferimento al tempo fermo e ricordi congelati. No, per questo non aveva idee. Cosa poteva essere successo alla scuola?
Il terzo verso, invece, riguardava dei piccoli in un nido. Uccelli? Magari qualche mamma premurosa aveva costruito un nido in cima all’orologio. Ma cosa c’entravano quelli, adesso? Niente aveva senso. In più avrebbe trovato il nome degli uccelli in un manga amato da Lucy... Inutile dire che non gliene veniva in mente nemmeno uno.
L’ultimo verso era per le persone che leggevano “non per passatempo”. Beh, in una scuola molti studenti leggevano non per diletto, ma perché erano costretti a farlo. Era forse un suggerimento riportato verso la biblioteca della scuola stessa? Ci avrebbe pensato una volta arrivato lì. Al momento la sua priorità era fare i bagagli e cominciare ad incamminarsi verso la scuola. Raccolse in fretta in uno zainetto del cibo e, soprattutto, dell’acqua, lo mise in spalle e scese in strada.
Una volta visto il posto, rabbrividì.
Aveva una paura tremenda, quel luogo era decisamente spettrale. Ci mancavano solo stanze e oggetti fluttuanti e sarebbe potuto essere una copia perfetta di Abyss di Pandora Hearts. Gli si storcevano le budella solo al pensarci, quel manga lo aveva sempre terrorizzato, non aveva mai capito cosa Lucy ci trovasse di bello. Raccolse tutto il coraggio che gli era rimasto e cominciò a correre verso nord, orientandosi a malapena, e sperando di aver preso la direzione corretta.
                                                                                                                                                                ***
Erano passate circa sei ore da quando si era messo in viaggio, ma gli sembrava di non avanzare per nulla. Il paesaggio diroccato rimaneva sempre identico, non cambiava, non capiva se stesse girando in tondo o meno. Cercava di prendere dei riferimenti, ma con tutte quelle macerie era praticamente impossibile; solo una persona del posto, qualcuno che fosse cresciuto lì, sarebbe stato in grado di orientarsi propriamente. Prese un altro sorso d’acqua, scavalcando l’ennesima pila di pareti distrutte e crollate a terra, e quello che vide gli riempì il cuore di... Beh, di tutte le sensazioni belle: felicità, speranza, freschezza, tranquillità. Di fronte a lui c’era l’oceano, blu, leggermente mosso, con le onde che s’infrangevano contro gli scogli industrializzati di quell’isola maledetta.
Nessuno aveva il permesso di andarci, probabilmente. Lui non aveva incontrato anima viva da quando aveva cominciato a spostarsi. Decise di fermarsi a mangiare qualcosa; quel luogo lo metteva davvero di buon umore. E gli ricordò l’ultima volta che stette in compagnia di sua figlia e sua moglie. Gli mancavano tantissimo entrambe, avrebbe voluto riabbracciarle. Eppure, in qualche maniera, era sicuro che Lucy non gliel’avrebbe permesso, non gli avrebbe dato pace uccidendolo in fretta. Sul biglietto c’era scritto che il veleno lo avrebbe fatto morire in modo doloroso, ma non era sicuro che Lucy volesse aspettare. Ritirò fuori la cartina, per darci un’occhiata: dunque, se era arrivato all’oceano, doveva essere per forza la costa nord, e su questo non c’erano dubbi. Aveva camminato sempre dritto, o almeno ci aveva provato. Si girò verso sinistra, cercando di identificare alcuni degli edifici: da quelle parti dovevano trovarsi sia il complesso della scuola che quello dell’ospedale. Doveva esserci per forza un qualche riferimento, anche se in mezzo a tutto quel disastro...
Proseguì ancora per mezzo chilometro, quando si imbatté in un complesso di edifici molto più grande rispetto a quelli che aveva visto fino a quel momento. Si prese un momento per osservarli: in effetti, aveva tutta l’aria di una scuola; a confermare la sua teoria, attaccato al muretto d’ingresso (o almeno a quello che ne rimaneva) c’era un foglietto.

"Sei arrivato fin qui. Sei stato bravo, e veloce, lo ammetto.
Sono passate otto ore dalla somministrazione del veleno. Tic toc, tic toc. Quanto ti manca? Sedici ore e morirai nel peggiore dei modi. O riuscirai a trovare l’antidoto?
Sono una donna di parola, quindi eccoti il secondo indovinello.


Dentro il tempo dovrai scivolare
E il libro giusto aprire
La fialetta dovrai trovare
Prima che il tempo ti faccia perire.


È un indovinello abbastanza chiaro, non è vero? Voglio facilitarti le cose, sono una brava persona dopotutto! E dire che ti sarebbe bastato così poco per evitare tutto questo, ma... Sei cocciuto, e non mi hai voluta ascoltare. Vedi, io sono stata costretta ad uccidere quella bambina e tua moglie, non avevo altra scelta. Tu mi avevi fatto una promessa. E avresti dovuto rispettarla. È solo colpa tua se sono morte.
Buona fortuna.
Lucy."


Sospirò, accartocciando il foglietto e infilandolo in tasca, insieme all’altro.
Come cazzo si faceva a scivolare dentro il tempo, maledizione?!
Decisamente frustrato, si sedette per terra, scompigliandosi i capelli castani con una mano. In un momento di rabbia, prese una manciata di pietre e le scagliò davanti a sé, senza guardare dove le stesse lanciando; quando però sentì il suono di un uccello alzò il viso: era un corvo, completamente nero, ed era di fronte a lui. Il volatile lo guardò con apparente ostilità, poi si levò in volo. Lo seguì con lo sguardo, e lo vide appoggiarsi sulla cima dell’orologio rotto, accomodandosi nel nido.
“ Aspetta un po’…” 
La porta d’ingresso della scuola che si trovava di fronte a lui era completamente sepolta dalle macerie, ergo avrebbe dovuto per forza trovare un altro modo per entrare nell’edificio. Un’idea gli ronzava in testa, ma non era sicuro. Diede un’occhiata più da vicino a quella torre con l’orologio: sì, c’erano abbastanza appigli. Non aveva altre scelte. Doveva arrampicarsi. Aveva sempre avuto il terrore dell’arrampicata, fino a quando aveva dovuto provare a salvare Ellie. In quel momento la paura gli era (quasi) del tutto sparita.

-Papà! -
- Non ti preoccupare piccola, sto arrivando! Resisti ancora un po’! -
Lucy l’aveva legata a testa in giù al ramo di un albero, e sotto di lei ardeva un fuoco. Il suo compito era salvare la sua bambina prima che la corda si spezzasse. E ci era riuscito, era arrivato a lei e l’aveva presa in braccio, l’aveva portata via. Poteva vedere negli occhi di Ellie il terrore di cadere giù.
- Sono qui, piccola, papà è qui, va tutto bene. -

- No, non hai ancora vinto. -
All’improvviso lui era caduto all’interno di una trappola, mentre Ellie era rimasta in superficie. Aveva cominciato ad urlarle di scappare, di correre via, ma lui le aveva insegnato che non si doveva lasciare nessuno indietro, ed Ellie non aveva intenzione di disubbidire al papà.
Però Lucy non giocava lealmente, lei giocava sporco. Mentre lui cercava di tornare su, Lucy aveva gettato Ellie nel fuoco. Lui aveva fatto appena in tempo ad uscire dalla trappola per vedere tutta la scena. Lucy lo aveva afferrato per i capelli e lo aveva obbligato a guardare sua figlia morire bruciata viva fra le fiamme.


Allontanò quei ricordi come se fossero mosche davanti agli occhi e iniziò ad arrampicarsi, senza temere niente; né di farsi di male, o di cadere, né dell’altezza spaventosa che lo separava dal terreno.
Una volta arrivato in cima alla torre, vide il nido di corvi. Quelli cinguettavano allegramente, come se nulla fosse. Beh, cosa potevano saperne loro di quello che stava accadendo? Della vita che stava perdendo? La sentiva scivolare via come la sabbia di una clessidra. Osservò attentamente i corvi: possibile che fossero lì solo per un caso? No, decisamente no. Srotolò il fogliettino con il primo indovinello. Un manga che Lucy amava, corvi... Raven. Il chain di Gilbert Nightray. Era questo l’indizio. La storia di Gil era abbastanza complessa. Se l’avesse capito prima, forse gli sarebbe bastato seguire il primo corvo che avesse incontrato. Beh, ora era lì e doveva riflettere sul da farsi. Stava ancora fissando i corvi quando lo vide: sotto il nido, nella pietra, era intagliato un quadrato. Che fosse una botola? C’era solo un modo per scoprirlo. Era arrabbiato con Lucy, era vero, ma questo non gli dava il diritto di far del male ai piccoli corvi gracchianti. Con delicatezza cercò di spostare l’intero nido, ma mamma corvo lo beccò sulla mano. Prontamente, lui la tirò via, ma comunque si prese un bel pizzicotto. Forse era l’ennesima prova di Lucy. Decise quindi che, a costo di avere le mani sanguinanti, avrebbe scoperto cosa ci fosse sotto quel quadrato. Più spostava il nido, più mamma corvo lo beccava; il dolore era lancinante, e non passava secondo in cui non gemesse, ma alla fine riuscì a spostarlo.
Vittoria!
Con un ultimo, immane sforzo, riuscì a tirare via anche quel pezzo di cemento e ci si infilò dentro.
Poi, il buio.
Stava inesorabilmente scivolando verso chissà cosa, chissà dove; sembrava uno di quegli scivoli chiusi dei parchi acquatici, con la differenza che sotto il culo non aveva dell’acqua, non stava seduto su un gommone, e che non sarebbe sboccato in una grande piscina.
- Ahi. –
Quando atterrò, la superficie non era affatto morbida; fortuna che aveva messo le mani avanti nella posizione giusta, evitando di rompersi tutti i denti o i polsi. Accese la torcia per vederci meglio.
- Ma che diavolo... –
Si trovava in una biblioteca, come aveva supposto all’inizio (anche se non aveva mai pensato che potesse esistere uno scivolo del genere). Era una biblioteca gigantesca, con giganteschi scaffali, e al centro della sala si ergeva un decoratissimo leggio, e su di esso c’era appoggiato, ovviamente, un libro. L’indovinello diceva “E il libro giusto aprire”. Che fosse quello? Ma quando gli si avvicinò, riconobbe immediatamente la copertina, e calde lacrime gli rigarono le guance.

-Ouch! -
- Fa’ più attenzione! -
- Scusa, non ti avevo vista... “Scrivimi ancora”, eh? È un buon libro, alla fine! -
- Un ragazzo che legge romanzi rosa? Davvero? Sei gay, non c’è altro motivo. -
- Invece sono etero, e al momento single. -
- Non ci credo nemmeno un po’!-
- Beh, allora facciamo così: accetta il mio invito a pranzo e io ti ridò il libro. Così tu avrai indietro questo e la prova che non sono gay, e io ottengo un pranzo con una bellissima ragazza. -
- Dopodomani, a mezzogiorno, al ristorante thailandese che c’è dietro l’università. -
- Perfetto, direi. -
- Il mio nome è Madeleyn. E tu sei...? -
- Lo scoprirai fra due giorni! -
Si era nascosto dietro uno scaffale della biblioteca ed era rimasto a fissarla mentre si infilava in uno dei corridoi principali dell’università; non sarebbe mai riuscito a dimenticare quel vestitino bianco con le rose rosse, quei capelli così scuri, quasi neri, che ondeggiavano insieme ad i suoi fianchi, ad ogni passo. Era troppo bella per non essere notata. Erano passati cinque mesi da quando aveva lasciato Lucy in quel letto d’ospedale, e si era iscritto a dei corsi universitari per una laurea breve in conservazione dei beni culturali. E così aveva incontrato la sua futura moglie. 


- Come ti senti, caro? Oh, trovare il libro giusto in mezzo a tutti questi scaffali sarà una faticaccia, non credi? -
Si girò di scatto: eccola lì. Bella come il sole, velenosa come un serpente.
Lucy.
- Io comincerei a cercare, se fossi in te. -
Decise di ignorarla: prima si sarebbe curato, sarebbe tornato in forze e fuori dal pericolo di morire, e poi avrebbe affrontato Lucy, e avrebbe messo fine a quella pazza storia. Si voltò una seconda volta verso quel libro, il libro che gli aveva permesso di incontrare il suo vero amore; ma quando toccò la copertina, una fitta al cuore tremenda lo fece gemere di dolore.
- Oh! Ma come sono sbadata! Mi sono scordata di dirtelo... Nel primo foglio ho sbagliato a scrivere! Il veleno fa effetto in dieci ore, caro, non in ventiquattro, e – guardò l’orologio da polso – sono proprio passate circa dieci ore! Beh, adesso non mi resta altro che guardarti morire. -
Cadde per terra, ai piedi della poltrona su cui Lucy era seduta. Il suo corpo non rispondeva più ai suoi comandi, era totalmente paralizzato.
- Sai, dato che devi morire, ho preparato per te un filmino! Che pensiero carino, vero? – un piccolo proiettore era situato accanto a lei, a cui prima lui non aveva fatto caso, adesso proiettava sul muro bianco delle immagini. No, non erano semplicemente immagini, erano i video di Ellie e Madeleyn che morivano. Non poteva credere che l’avesse fatto davvero. Stava vivendo tutto daccapo: era impossibilitato a muoversi, non potevi salvare Ellie dalle fiamme, e non poteva salvare Maddie da Lucy. Lucy era stata davvero cattiva con lei. L’aveva tenuta legata in una cella, con cibo e acqua abbastanza vicini da essere visti ma lontani per essere presi. L’aveva picchiata con una mazza da baseball, rompendole le costole, aveva riscaldato barre di ferro e gliele aveva poi strisciate sulla pelle, le aveva tagliato tutti i capelli, le aveva fatto vedere sua figlia morire, aveva fatto in modo che uno sciame di api la pungesse regolarmente, l’aveva sottoposta all’elettroshock. Maddie era morta supplicando pietà, mentre lui era chiuso in una stanza, potendo ascoltare e guardarla morire attraverso uno vetro. Gli erano arrivate tutte le sue urla, l’aveva vista piangere e chiedeva sempre a Lucy di fermarsi, ma quelle richieste sembravano far scaturire in lei una malvagia voglia di continuare quelle torture. Alla fine era morta dopo una settimana, dopo una sessione di elettroshock. Allora poi lo aveva liberato, dicendo che sarebbe tornata a finire l’opera.
Adesso vedeva tutto di nuovo, come se non avesse visto quelle scene nei suoi incubi. Riviveva quel dolore all’infinito, e ogni volta colpiva una nuova parte del corpo. I suoi respiri si facevano sempre più profondi, stava cercando di trattenersi dal piangere, ma alla fine non ci riuscì; il suo cuore stava esplodendo per tutto ciò che stava provando. Lucy pose lo sguardo su di lui: vide il dolore nel suo sguardo.
- In un passato remoto ti ho amato, ti ho amato più della mia stessa vita. Sarò buona. – si chinò su di lui e gli lasciò un bacio sulle labbra, dolce, intenso. Poi tirò fuori dalla giacca un coltello e lo infilò senza pietà nel suo petto. Sgranò gli occhi per la sorpresa, per lo strazio. Quando lei tirò fuori la lama, prese ancora un respiro. Sapeva che sarebbe stato l’ultimo. – Addio, Adrièn Cain Corner. – Lucy gettò il coltello accanto al corpo di Adrièn e lo lasciò lì a morire, da solo, lasciato indietro, e nessuno mai lo ritrovò.


Nota dell'autrice:
Ed eccoci qua con un altra storia, miaow. 
Dalle persone che, in anteprima mondiale(?), hanno letto questa os, mi hanno un po' criticato il mio 'non essere stata elegante come il solito'. Okay, posso spiegare. 
Con questa os ho voluto fare un piccolo esperimento che avevo in mente da un po': provare a costruire un testo sul protagonista. Cioè, non nel senso che gli eventi girassero solo intorno a lui, ma proprio che il testo scritto assomigliasse a lui. E quindi: quando si risveglia, e ha la mente confusa, la narrazione procede lentamente; quando invece è preda delle sue emozioni, la narrazione si velocizza. Inoltre, Rièn non è mai stato un ragazzo 'puro e innocente', il suo modo di fare e il suo vocabolario sono coloriti. Ho voluto che si vedesse di meno la scrittrice, qui, e di più il pg. Non so se ci sono esattamente riuscita. 
Spero comunque che vi sia piaciuta! 
Alla prossima, 
rallienbow~
  
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