A story of everyday life
Epilogo
Alice chiuse la
porta e
vi si appoggiò, sfinita. Nonostante
l’università fosse iniziata da appena una
settimana le lezioni, per quanto interessanti, si erano già
fatte pesanti. Quel
giorno aveva finito tardi, era uscita dall’edificio alle
diciotto passate e si
sentiva stanchissima. Salì le scale per raggiungere la sua
stanza e gettarsi a
letto, in modo da poter riposare un po’ prima
dell’arrivo dei parenti.
Era il suo
compleanno e,
come d’abitudine, sua madre aveva organizzato una cena con
nonni e zii di cui
lei sarebbe dovuta essere la protagonista.
Quando
aprì la luce della
camera, il suo cuore perse un battito per lo spavento. Davanti a lei,
agghindate, eleganti e totalmente inaspettate, stavano Allie e Dafne.
«Tanti
auguri, Alice!»
esclamarono, sorridenti, baciandole le guance.
«Finalmente
non sono più
l’unica vecchia!» rise Allie, sedendosi sul letto.
«Che
ci fate qui?»
domandò, sorpresa di vederle. Sorpresa che sapessero che era
il suo compleanno.
Non ricordava di aver detto loro la data di recente, e non poteva
credere che
lo ricordassero dai tempi della scuola, soprattutto dato che non aveva
mai
festeggiato.
«Che
domanda! Siamo
venuti a prenderti per andare a far festa» rispose Dafne,
aprendo l’armadio e
cominciando ad analizzarne il contenuto.
«Questa
sera vengono i
miei parenti, non posso uscire» rifiutò, scuotendo
la testa. Non avrebbe
accettato in ogni caso, per quanto apprezzasse il fatto che si fossero
offerte.
Con ogni probabilità avrebbero voluto portarla in discoteca
o in un locale
sconosciuto, affollato e – per tutti gli altri –
divertente.
«Abbiamo
già sistemato
tutto con i tuoi genitori, non c’è
problema» la rassicurò Dafne, estraendo
l’abito che aveva comprato qualche settimana prima al negozio
dove lavorava
Edmond.
«Dove
mi volete portare?»
sospirò, sedendosi sulla scrivania, incapace di nascondere
il suo sguardo
sconfortato.
«Ti
piacerà» le assicurò
Allie, sorridendole in modo incoraggiante.
Alice chiuse gli
occhi ed
si lasciò andare a un profondo respiro.
Doveva calmarsi.
Doveva fidarsi.
Allie e Dafne
erano sue
amiche, le volevano bene – per quanto quell’idea
fosse assurda, ormai ci aveva
fatto l’abitudine e ci credeva – e non avrebbero
fatto nulla che potesse
ferirla.
Doveva credere
alla loro
promessa. Voleva credere alla loro
promessa.
Voleva ripagarle
dell’attenzione che le prestavano, della delicatezza con cui
la trattavano,
comprendendo la sua sfiducia e cercando di aiutarla. E se questo
significava
uscire a festeggiare, nonostante la stanchezza, nonostante
l’imbarazzo, avrebbe
dovuto farlo.
«Che
devo fare?» chiese,
alzandosi in piedi e spostando lo sguardo dall’una
all’altra.
*
Nel giro di
mezz’ora,
Alice era pronta. Le ragazze le avevano fatto mettere il vestito e
avevano
scovato, nascoste nell’ultima scatola in fondo
all’armadio, un paio di scarpe
eleganti con il tacco basso, le uniche adatte al suo abbigliamento.
Allie le
aveva raccolto i capelli in una treccia e aveva applicato un trucco
leggerissimo, invisibile all’occhio umano ma comunque in
grado di eliminare le
tracce di stanchezza dal suo volto.
Guardandosi allo
specchio, Alice si sentiva bella. Le era capitato raramente di provare
una tale
sensazione, forse solo un paio di volte nella vita. Non come Allie e
Dafne, ma
si sentiva carina, riusciva ad apprezzare il suo corpo e quelle forme
che le
erano sempre parse troppo abbondanti.
Stava scendendo
le scale
per raggiungere i suoi genitori e avvertirli della loro uscita, si
sosteneva al
corrimano, lievemente insicura con quelle scarpe che non aveva quasi
mai
indossato. Li chiamò ma non udì risposta,
così si avventurò per il corridoio e
guardò in cucina: nessuno. Percorse qualche altro passo,
trovandosi davanti
alla porta del salotto, insolitamente chiusa.
L’aprì e, di nuovo, il suo cuore
perse un battito.
Una volta
spalancata la
porta, la luce si accese senza che lei allungasse la mano per premere
l’interruttore e un vociare improvviso le riempì
le orecchie. Davanti a lei,
anch’essi vestiti di tutto punto, stavano i suoi genitori,
suo fratello, Thomas
e Edmond.
Arrossì,
distogliendo lo
sguardo dal ragazzo. Era piacevolmente sorpresa da
quell’iniziativa: non aveva
mai ricevuto una festa a sorpresa, non aveva mai avuto nessuna persona
che
tenesse tanto a lei da organizzarla. C’erano pochi invitati,
solo quella
manciata di persone a cui voleva bene e che era felice di avere vicino
in quel
momento. Sorrise, chiedendosi con quale giustificazione Edmond fosse
stato
incluso alla lista dei presenti.
Amico?
I suoi genitori avrebbero davvero creduto che lei avesse un amico
maschio?
Eppure era proprio così.
Quel ragazzo
così strano
- sì, perché negli ultimi tempi tutto le sembrava
strano – che aveva voluto
conoscerla nonostante la sua timidezza, la sua riluttanza a un
ulteriore
rifiuto. Un rifiuto che non era mai arrivato, perché sebbene
lei si fosse
comportata come al suo solito, pur sforzandosi di apparire
più estroversa, lui
non se n’era andato. L’aveva trattenuta al bar per
quasi un’ora al loro primo
incontro, le aveva strappato il numero di telefono e le aveva scritto
in
continuazione, con un’insistenza nuova e sconosciuta per lei.
Non aveva capito
– anche in quel momento non ne era consapevole –
che quel desiderio di
sentirla, di conoscerla andava oltre la semplice amicizia. E tuttavia
lui non
aveva mai tentato un approccio troppo diretto, forse consapevole che
così facendo
l’avrebbe spaventata e allontanata da sé.
Le era rimasto
accanto,
almeno virtualmente, senza aspettarsi nulla in cambio, accogliendo le
sue scuse
quando gli diceva di essere impegnata e non poter uscire. Non
l’aveva forzata
ma aveva trovato comunque il modo di rivederla. Dietro lo schermo del
telefono,
Alice era riuscita ad aprirsi con più facilità,
così lui sapeva che università
frequentasse, che lezioni seguisse e che strani orari avesse.
Un pomeriggio,
mentre
stava uscendo in strada per tornare a casa dopo due ore di Arte Antica,
se
l’era ritrovato davanti. Si era scoperta meno intimorita del
solito, forse
perché sentiva di conoscerlo sebbene l’avesse
visto solo una volta. Lui l’aveva
accompagnata sino alla porta di casa, scherzando e ascoltandola mentre,
presa
da un’insolita loquacità, gli raccontava la sua
giornata.
Era felice di
rivederlo
anche quella sera, di avere un’altra possibilità
di stare con lui.
*
Guardandola
entrare nella
stanza, Thomas si sentì immensamente orgoglioso di lei. Il
suo amore per Allie
cresceva di giorno in giorno, così come il rispetto e
l’ammirazione per il suo
carattere altruista. Conosceva Alice da poco, ma aveva seguito il lento
processo che l’aveva portata ad aprirsi al mondo grazie ai
racconti di Allie. La
sua ragazza gli aveva descritto tutto, ogni incontro, ogni problema,
ogni
piccola conquista. Sebbene la vera protagonista di tutto ciò
fosse Alice, non
era a lei che stava pensando Thomas.
Lui pensava ad
Allie, a
colei che offriva il suo aiuto senza secondi fini, alla giovane donna
che
dimostrava di avere un cuore grande e buono. A colei che amava. Aveva
smesso di
fingere che la dichiarazione che gli era scappata qualche giorno prima
fosse
avventata, che non fosse completamente vera: l’amava, lo
sapeva, e il fatto che
lei non avesse ancora ricambiato quella confessione non cambiava nulla.
Le sorrise,
avvicinandosi
a lei.
«Ci
sei riuscita» disse,
circondandole la vita con un braccio.
«A
fare cosa?»
«Ad
aiutarla. Guardala»
la incitò, indicando Alice con un cenno del capo. La ragazza
stava ridendo con
Edmond e Dafne, sembrava spensierata e il rossore che l’aveva
assalita
inizialmente era scomparso. I suoi genitori la stavano osservando
seduti sul
divano, felici come non mai perché finalmente la loro
bambina aveva superato i
problemi che l’avevano tormentata a lungo.
Thomas sposto
velocemente
lo sguardo lungo la stanza, notando l’assenza di una persona.
«Ciao.»
Riconobbe
all’istante la
voce alle sue spalle, sebbene non l’avesse sentita che per
pochi minuti qualche
settimana prima. Allie lo sentì irrigidirsi al suo fianco e
gli strinse la mano
nel tentativo di calmarlo, poi si voltò per guardare
Nicholas.
Lo
salutò, cercando di
non apparire scortese ma anche senza mostrare falso entusiasmo. Era
inevitabile
incontrarlo in quell’occasione, lo sapeva e aveva avvertito
Thomas prima di
partire. Aveva sperato che Nicholas avesse il buonsenso di ignorarli o
perlomeno di comportarsi in modo appropriato, data la loro storia
passata.
«Volete
da bere?»
domandò, porgendo loro due calici.
«Questa
è… coca cola?»
Allie afferrò il bicchiere e lo studio per un attimo,
incredula.
«I
miei genitori sono
astemi, non teniamo alcolici in casa» spiegò,
sbuffando, prima di spostare lo
sguardo su Thomas con insistenza perché accettasse la sua
offerta. «Non è
avvelenato» scherzò.
«Me lo
auguro» commentò
lui, prendendo un primo sorso. Non aggiunse nient’altro,
rimase zitto a fissare
la parete in fondo alla stanza fingendo di non vedere il ragazzo. Per
quanto
desiderasse sforzarsi di essere più gentile, provare a non
pensare al loro
precedente incontro, non ci riusciva. Al suo fianco, Allie cercava il
suo
sguardo per incitarlo a sciogliersi, senza risultati.
Nicholas, stanco
della
tensione che li circondava, sbottò: «Okay, questo
silenzio non mi piace. Voglio
solo scusarmi per come mi sono comportato, non ero completamente in me
quel
giorno e non voglio davvero mettervi i bastoni tra le ruote. Mi sembra
che ora
tutto vada bene tra di voi, no?»
Allie
annuì con
gratitudine alla sua domanda. Aveva apprezzato la sua decisione di
scusarsi di
nuovo, questa volta davanti a Thomas.
«Allora
siamo a posto?»
chiese lui, porgendo la mano a Thomas. Com’era successo pochi
minuti prima
quando gli era stato offerto il bicchiere, Thomas non rispose subito.
Fissò la
mano che, tesa a mezz’aria, aspettava di essere stretta nella
sua. Non sollevò
nemmeno gli occhi per incontrare quelli di Nicholas, aveva capito dal
tono
della sua voce che era sincero. Lentamente allungò il
braccio, chiudendo in una
morsa ferrea la mano che aveva davanti, per trasmettere tutta la sua
determinazione nel costringerlo a rispettare la promessa che aveva
appena
fatto. Sentì che anche la sua stretta si rafforzava in un
istintivo tentativo
di opporsi a lui.
«Bene»
disse Nicholas,
sciogliendo la presa dopo qualche istante. «Ora vado a
mettere un po’ di
musica, altrimenti ci addormentiamo.»
*
Alice dominava
la stanza,
in piedi da sola a fianco al tavolo, mentre tutti gli altri erano
seduti sul
divano o su una sedia a guardarla. Stava scartando i regali, curiosa e
anche un
po' imbarazzata dall' essere al centro dell’attenzione. Il
primo pacco,
compatto e rettangolare, non lasciava molto spazio a dubbi: doveva
essere un
libro. Quando ne vide la copertina, però, rimase comunque
stupefatta. Il volume
conteneva tutta la storia della vita sulla Terra, era stato redatto dai
migliori esperti del campo e lei aveva desiderato acquistarlo per mesi.
Aveva
sempre desistito per via del prezzo esorbitante e non aveva mai
immaginato che
la sua famiglia potesse farle un dono simile. Posò il libro
sul tavolo e si
avvicinò ai suoi genitori per ringraziarli. Dopo averle
baciato la guancia sua
madre la trattenne in un abbraccio e quando la lasciò, Alice
vide che aveva gli
occhi umidi. Le sorrise e passò a suo fratello, che aveva
contribuito al
regalo.
L'altro
pacchetto
assomigliava a un cubo e Alice non aveva idea di cosa potesse
contenere. Lo
scartò con delicatezza - le avevano insegnato a non sprecare
nulla, nemmeno la
carta da regalo - per trovarsi davanti a una scatola illustrata che
presentava
in evidenza l'immagine del suo contenuto. Meravigliata
guardò Allie, che
immaginò esserne l'ideatrice.
«Oh
mio dio, non
dovevate, davvero. Chissà quanto vi sarà costato!
E ora non mi serve, ci
vorranno anni prima che cominci a lavorare...» Non era mai
stata brava ad
esprimersi in queste occasioni: mentre parlava si rese conto che
sembrava quasi
infastidita dal regalo, come se non lo fosse piaciuto, così
si zittì e rimase a
guardare l’amica senza aggiungere altro.
«Lo
so, ma così quando lo
userai, tra qualche anno, penserai di nuovo a questo momento»
commentò Allie.
Sorridendo,
soddisfatta
di quella spiegazione, Alice ringraziò le due amiche con un
bacio sulla
guancia, esitando poi quando fu il turno di Thomas. Non aveva una
grande
confidenza con lui, non si sentiva completamente a suo agio nel
compiere un
gesto per lei così intimo, ma era decisa a non permettere
alle sue paure di
rovinarle la serata e così, facendosi forza e scacciando i
pensieri, lo accolse
allo stesso modo.
Le sue guance
s’imporporarono quando si trovò davanti Edmond, in
attesa di ricevere il
medesimo trattamento. Lo sentiva molto più vicino di Thomas,
non era
l’estraneità ad imbarazzarla quanto piuttosto il
fatto che tra loro sembrava
esserci sempre un po’ di tensione, l’aria sembrava
farsi frizzante quando lo
guardava.
«Grazie»
mormorò, posando
le labbra sulla sua pelle e avvertendo la sensazione pungente
dell’accenno di
barba che aveva sulle guance.
«Non
hai ancora visto il
mio regalo» le rivelò, posandole una mano sulla
base della schiena per
trattenerla.
«Cosa?»
domandò, confusa,
sollevando lo sguardo per incontrare il suo. Solo in quel momento si
rese conto
che la musica era sovrastata dal chiacchiericcio creato dalle ragazze,
probabilmente d’accordo con Edmond per far sì che
il loro spostamento non fosse
molto evidente.
Sorridendo,
infatti, lui
la trascinò fuori dalla stanza e si fermò nel
corridoio. Dalla tasca dei
pantaloni estrasse un piccolo cofanetto di velluto rosso e glielo
porse,
aspettando una sua reazione.
«Cos’è?»
chiese
scioccamente Alice, sorpresa.
«Aprilo»
la incitò,
posandolo sulla sua mano. La ragazza si rese conto che stava tremando e
si
affrettò a far scattare la chiusura, in modo che quel
fremito non si notasse.
Sul rivestimento
scuro
spiccava un ciondolo d’un azzurro intenso contornato da
finimenti argentei, la
forma arzigogolata non si poteva rinchiudere in una definizione
classica ma il
risultato era splendido.
«È
magnifico» sospirò,
puntando gli occhi in quelli di Edmond. «È per
me?»
Lui rise,
scuotendo la
testa a quella domanda inutile.
«Perché?»
Perché questo regalo?
Perché hai voluto
darmelo in privato? Perché sembri tenere così
tanto a me?
Lui la
fissò per qualche
istante prima di rispondere, valutando le parole migliori e la
quantità di
verità che lei avrebbe potuto sostenere.
«Perché
sei mia amica e
ti voglio bene, mi sembrava un bel modo di dimostrartelo.» Perché con questa tua innocenza mi
sconvolgi e non poterti dire tutta
la verità mi tormenta.
Alice
annuì e abbozzò un
sorriso, posando il cofanetto sul mobile vicino a loro prima di
mettersi la
collana.
«Bellissima.»
Alice non
riuscì a capire
se quel complimento fosse diretto a lei o alla collana.
«Vuoi
ballare?» La
domanda lo sorprese, portandola ad incollare di nuovo gli occhi sui
suoi.
«Qui?»
«La
musica c’è» rispose
Edmond, alzando le spalle e porgendole una mano. Sì, la
musica c’era. Ma
ballare con lui, così, da soli?
Sembrava
un’azione troppo
intima per due amici, un momento troppo imbarazzante per lei che non
aveva mai
affrontato una situazione simile.
«Non
dovremmo andare di
là, almeno?» Provò a raggiungere un
compromesso, ma l’ennesimo cenno di
indifferenza le fece capire che lui non era d’accordo.
Prese un respiro
e
strinse la mano che lui non aveva allontanato da lei, posando
l’altra sulla sua
spalla.
Edmond sorrise,
lo vide e
lo sentì quando lui posò la testa a lato della
sua e la curva delle sue labbra
le marchiò la fronte, risvegliando in lei un calore nuovo,
non solo d’imbarazzo
ma anche di eccitazione.
Si muovevano
appena,
spostando il peso ora su un piede ora sull’altro, e per la
prima volta Alice
sentì tutto l’impiccio di un silenzio dettato
dalla timidezza che ancora
cercava di vincere in lei.
«Respira»
le sussurrò,
stringendole la stoffa dell’abito all’altezza della
vita. Non si era nemmeno
resa conto di essere tanto tesa, ora che lui aveva parlato poteva
sentire i
muscoli rigidi che faticava a rilassare.
«Vuoi
tornare di là?»
chiese Edmond, notando che sembrava incapace di tranquillizzarsi.
«No»
rifiutò Alice con
decisione, scuotendo il capo. «Restiamo qui.»
Era decisa a
combattere
contro quell’ingiustificata timidezza, a lottare e vincere
nonostante la
battaglia fosse lunga e ardua.
Doveva farlo per se stessa, per poter avvicinarsi alla felicità.
*
Dafne si chiuse
la porta
della camera alle spalle e sospirò, sfinita. Era stata la
prima ad andarsene e
un po’ le dispiaceva, ma non poteva più sopportare
Nicholas. In mancanza di
altre persone con cui passare il tempo – i suoi genitori si
erano ritirati
presto, Allie e Thomas erano sempre appiccicati e anche Edmond non
aveva mai
lasciato Alice – si era avvicinato a lei e aveva cominciato a
parlarle. Poi
aveva continuato a parlarle, per tutta la sera. Poco importa che a lei
non
interessasse nulla dei suoi discorsi sullo sport e sulle corse
automobilistiche, aveva continuato a informarla sulla sua vita
finché non le
era venuto il mal di testa. Così aveva salutato Alice e se
n’era andata,
sapendo che la voce che voleva sentire era un’altra. Una
più dolce, più
familiare, più amata.
Scalciò
le scarpe e si
sedette sul letto, trascinando con sé il portatile. Lo
accese e controllò
subito se il pallino che le interessava si era illuminato di verde. No.
Sbuffò,
sporgendosi per prendere il telefono dalla borsa. Aveva bisogno di
sentirlo.
Stava per
avviare la
chiamata quando un cambiamento sullo sfondo del computer
catturò la sua
attenzione. Ora era verde. Si affrettò a cliccare sul nome
di Michael e due
finestre scure andarono subito a riempire lo schermo.
«Dafne?»
Il suono arrivò prima dell’immagine, portandola a
sorridere. Un sorriso che si
paralizzò non appena lui comparve sul suo computer. Era in
una stanza poco
illuminata, probabilmente la sua camera da letto, con
addosso… beh, Dafne non
vedeva cosa indossasse, ma certo una maglia non era tra questi
indumenti.
L’aveva già visto in costume, l’aveva
visto addirittura nudo – a dire il vero
poteva contare sulle dita di una mano le volte in cui l’aveva
visto vestito di
tutto punto, dato che si erano conosciuti al mare – ma tutto
ciò risaliva a
tanto, troppo tempo prima.
«Michael»
lo salutò, sollevando lo sguardo dal suo petto nudo e dalle
sue braccia forti
per incontrare quello di lui, consapevole che lui l’aveva
vista.
«Ti
sei vestita così carina per me?»
domandò, osservando l’abito che indossava.
Dafne
sorrise, scuotendo la testa. «Sono stata alla festa di
compleanno di un’amica»
spiegò. «Tu, invece, ti sei svestito
così per me?»
«Per
chi altri?» rise lui, mentre il suo sguardo si faceva
più intenso. «Non credi
di avere troppa stoffa addosso, in confronto a me?»
«Cosa
vuoi che faccia, uno spogliarello in diretta?»
ribatté sprezzante, infilando le
gambe sotto il lenzuolo e appoggiandosi alla testiera del letto.
«Non
sarebbe una cattiva idea» acconsentì Michael,
accompagnato dal cigolio della
sedia che protestava ai suoi tentativi di mettersi comodo.
«Ehi!»
protestò, incapace di nascondere l’enorme sorriso
che continuava a formarsi
sulle sue labbra.
«Sei
stata tu a proporlo, non prendertela con me!» le
ricordò al suo richiamo
stizzito. «Non ci sarebbe nulla di male» aggiunse
poi, con un’alzata di spalle.
«Non
mi toglierò i vestiti davanti allo schermo di un
computer» ribadì, decisa,
incrociando le braccia al petto.
«Te
li leverei io, se potessi.»
«Lo
so» sospirò, conscia che stava dicendo la
verità. Nei pochi giorni che avevano
trascorso insieme l’attrazione era stata innegabile, tanto
che nonostante i
tentativi di opporglisi aveva ceduto. Solo perché si
trovavano in due paesi
diversi, non significava che si fosse attenuata. Anzi, ora la sentiva
ancora
più intensamente poiché sapeva cosa si stava
perdendo.
«L’ho
fatto in passato» continuò lui, percorrendo con lo
sguardo il profilo del suo
corpo, per quanto gli fosse possibile.
«Sì»
annuì, ricordando quella notte, l’ultima notte.
«Ma non mi hai tolto i vestiti,
al massimo la biancheria» lo corresse.
«È
stato comunque piacevole.»
«Sì»
sospirò di nuovo, prima di allungarsi verso il comodino e
prendere un elastico
con cui legarsi i capelli. Cominciava a sentire caldo, le immagini dei
suoi baci
appassionati e del suo sapore erano vivide nella sua mente.
«Vorrei
rivivere quel momento.»
«Oh,
Michael!» gemette, frustrata, fissando il suo volto.
«Smettila di parlare così,
non mi fa bene, non ci fa
bene.»
«Dafne?»
la chiamò, sorpreso da quel repentino cambio
d’umore.
«Non
so esattamente come passi il tuo tempo libero, ma l’ultima
volta che l’ho fatto
è stata con te e sono passati più di due mesi. Mi
manca, tu mi manchi e ricordare
quanto stavamo bene insieme e quanto è
stato bello non mi aiuta» continuò, agitando le
mani e dimenticando di tenere
un tono basso dato che i suoi genitori dormivano nella stanza accanto.
«Oh.»
Michael esitò prima di porle la domanda, temendo di essere
troppo invadente o
che lei si offendesse. «Non ti sei…aiutata, da
sola?»
«No!»
«Non
è mica una brutta cosa» la rassicurò in
fretta, interpretando quella risposta
come un rifiuto stizzito.
«Non
è quello… Non sarebbe lo stesso. Non farei che
sentire la differenza
dall’ultima volta e probabilmente starei ancora
peggio» spiegò Dafne, sbuffando
e alzando gli occhi al cielo.
«Quindi
hai intenzione di fare voto di astinenza finché non ti
innamorerai di
qualcuno?» Si rese conto che le sue parole potevano essere
fraintese: sembravano
implicare che tra loro fosse stato amore, cosa che non avevano mai
chiarito
davvero dato che erano sempre stati intenti a minimizzare il loro
rapporto per
convincersi che non si trattasse di un legame profondo. «O
perlomeno finché non
ti piacerà abbastanza qualcuno da farci
l’amore?»
«Non
lo so» rispose Dafne, scuotendo la testa, prima di
accigliarsi e interrogarlo.
«Perché stiamo parlando di questo?»
«Perché
mi trovi terribilmente affascinante» scherzò
Michael, mentre pensava ad un
altro argomento di conversazione, perché quel discorso stava
diventando troppo
peccaminoso anche per lui. Dafne, tuttavia, non sembrava intenzionata a
lasciar
perdere.
«Credi
che riuscirò ad innamorarmi di qualcuno?» chiese,
la voce più flebile e
l’espressione più seria.
«Sì,
ne sono sicuro» rispose lui. Ne era davvero convinto: erano
giovani, non
potevano davvero pensare di essere destinati a vivere per sempre con
l’idea di
aver perso la loro occasione. Tra i sette miliardi di persone che
popolavano il
mondo doveva esserci qualcun altro in grado di farli sentire a casa,
amati come
non mai.
«E
quanto credi ci vorrà?»
«Non
lo so» disse, stringendosi nelle spalle. «Non
importa. Non c’è nessuna fretta,
quando arriverà il momento giusto qualcuno
prenderà possesso del tuo cuore e i
giorni che abbiamo passato insieme ti sembreranno insignificanti in
confronto
alla felicità che proverai. Ma io ci sono, sempre. Siamo
amici, no?»
«Amici
speciali» lo corresse lei, con la voce rotta e gli occhi
umidi ma il sorriso
sulle labbra.
Sì,
lui ci sarebbe sempre stato. Come amico o come qualcosa di
più. Non avrebbe mai
potuto farlo uscire dalla sua vita, nemmeno volendo. Michael era parte
di lei.
*
La
festa era andata bene, Alice si era divertita e Allie era stata davvero
soddisfatta del risultato: aveva vinto. La sua amica era riuscita ad
aprirsi al
mondo, a mettere tutta se stessa nella lotta alla timidezza e aveva
già
raggiunto un livello di espansività notevole rispetto a
com’era qualche
settimana prima. Ora stava tornando a casa, con Thomas seduto al suo
fianco sul
sedile del passeggero. Non era stato facile convincerlo a lasciarla
guidare,
l’istinto di prendersi carico di quel compito era troppo
forte in lui, così
come in tutti i ragazzi che aveva conosciuto. La macchina
però era sua ed era
riuscita ad averla vinta.
«Sei
sicura che posso dormire da te?» le
domandò, incerto. Allie gli aveva detto che i suoi genitori
sarebbero stati in
casa quella sera ma gli aveva anche assicurato che poteva comunque
fermarsi da
lei. Lui non era totalmente sicuro di trovarsi a suo agio in quella
situazione.
«Sì,
nessun problema.»
«Con i
tuoi in casa? Non mi pare una buona idea»
insisté, perché a meno che non avesse
insonorizzato la camera da letto non
sarebbe stato così confortevole come sembrava pensare.
«Perché?
Tanto non faremo mica sesso» replicò con
un’alzata di spalle, portandolo ad assumere
un’espressione ancora più stupita.
«Sono
felice che tu mi abbia consultato prima di
prendere questa decisione» rispose, ironico, sprofondando nel
sedile.
Allie
sbuffò prima di voltarsi verso di lui e
dargli la spiegazione che stava aspettando con uno sguardo rassegnato.
«Ho il
ciclo.»
La notizia lo
colpì all’improvviso e lo fece
sentire un’idiota. Avrebbe dovuto capirlo o almeno valutare
l’idea, dopotutto
stava studiando medicina e il fatto che regolarmente lei
l’avrebbe mandato in
bianco non doveva sorprenderlo. Stava per scusarsi, ma la sua risata lo
fermò.
«Se
anche entrassero per spiarci, saremmo
sobriamente vestiti e non potranno dire nulla.»
«Sobriamente?»
ripeté, notando la scelta delle
parole. «Hai un pigiamone della nonna
nell’armadio?»
Allie rise,
fermando l’auto davanti al garage e
aspettando che il portone automatico finisse di aprirsi.
«Può essere.»
Nonostante le
rassicurazioni della ragazza, Thomas
non si sentì completamente a suo agio mentre si spogliava e
si infilava sotto
le coperte del letto nella stanza degli ospiti, aspettandola mentre lei
si
stava struccando in bagno. Non gli era mai capitato di dormire a casa
di una
ragazza mentre i suoi genitori erano presenti. Si rese conto che il suo
ragionamento
tendeva all’ipocrisia, dato che lei non si era fatta problemi
a passare una
notte da lui quando ancora la loro relazione non era nota e le
conseguenze, se
fossero stati scoperti, sarebbero state decisamente peggiori.
«Ti
sei trasferita qui?» domandò, quando lei
entrò
nella stanza.
«No,
sono troppo pigra per spostare tutti i miei
vestiti qua» rispose Allie, stendendosi accanto a lui.
«La uso solo quando ci
sei tu» rivelò, sistemandosi su un lato per
poterlo vedere in viso.
«Solo
per me?»
«Solo
per te» annuì, sporgendosi per posargli un
bacio sulle labbra.
C’era
una nuova dolcezza in quel contatto, una
nuova meravigliosa sensazione di gioia nell’abbraccio che
stavano condividendo.
La prima volta che avevano dormito insieme si erano limitati a un sonno
casto e
silenzioso in camera di Thomas, nascosti al mondo che li circondava e
frementi
per la nuova piega che stava prendendo la loro relazione. La seconda
volta era
stata in quello stesso letto, dopo aver consumato per la prima volta il
loro
amore. Ora era diverso.
Non potendo
intraprendere attività particolarmente
erotiche, erano costretti a lasciarsi cullare dalla serenità
e dal calore
emanato dai loro corpi, dovevano perdersi nel tenero piacere dettato
dalla loro
vicinanza.
Fu una scoperta
nuova e splendida, sentirsi parte
di un mondo nuovo in cui non c’era bisogno di parole o di
azioni, ma solo del
suono ritmico del loro respiro e dell’unione delle loro anime.
In questa
quiete, la mente di Allie aveva lavorato
a fondo.
«Tom»
lo chiamò, scostandosi appena per vederlo in
faccia. «Quando abbiamo fatto l’amore per la prima
volta mi hai detto che ti
eri innamorato di me e io non ti ho risposto…»
«Non
fa nulla, non preoccuparti» la interruppe,
accarezzandole i capelli.
«No,
ascoltami» insisté lei, prendendogli la mano e
stringendola al petto. «Era presto per me, ero ancora
annebbiata dal sesso e
non me la sono sentita di ricambiare, perché sapevo che non
sarei stata
completamente sincera e sicura di me» spiegò e
prese un respiro profondo prima
di continuare.
«Ora
però ho avuto il tempo per rifletterci, sono
calma e le mie parole sono assolutamente vere: ti amo» disse,
stringendo più
forte la sua mano e fissandolo negli occhi.
Thomas rimase
immobile ad osservarla, s’immerse
nelle sue iridi sincere e sentì il cuore scoppiare di gioia.
La baciò,
lasciando la sua mano per circondarle il viso, avvicinandosi al suo
corpo il
più possibile. In quel bacio condensò tutto
l’amore che provava per lei, quella
moltitudine di sentimenti che non aveva mai provato con tale
intensità nella
sua vita. Baciò la sua anima, il suo cuore grande e il
sorriso eterno che
l’avevano fatto innamorare.
«Ti
amo anch’io» sussurrò, staccandosi solo
per un
attimo dalle sue labbra per permettere al suo sguardo di incrociare
quello di
lei e accompagnare quelle parole nel suo spirito.
Ti
amo.
Anche
quest’avventura è
finita, un altro capitolo della mia vita concluso.
È stato bellissimo
condividere questo lavoro con voi, meraviglioso vedere che
l’avete apprezzato e
mi avete aiutato, con la vostra forza, a non abbandonarlo.
Il tempo per la scrittura,
ora che ho iniziato l’università, si è
drasticamente ridotto, non scrivo da
settimane, ma non abbandonerò mai davvero
quest’attività che mi lascia sempre
con una sensazione di gioia e soddisfazione.
Grazie per essere arrivati
fino a qui, spero che questa storia vi rimanga nel cuore, almeno in
piccola
parte, e che vi abbia lasciato qualcosa.
Il desiderio
di lottare per la vostra felicità - come
ha fatto Alice.
La forza di
rischiare
per la vostra felicità - come hanno fatto
Thomas e Allie.
La speranza
costante
che, prima o poi, sarete davvero felici – la stessa che
Michael e Dafne tengono
stretta.
La
volontà di rendere
felice le persone
a voi care – come conta di fare Edmond.