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Autore: AnneC    11/12/2014    3 recensioni
Si può abbandonare il proprio Paese e una volta all’estero cercare qualsiasi cosa che ti tenga aggrappato ad esso?
Si può ripartire da zero, iniziare una nuova vita, creare una nuova versione di te senza sentirsi spaesati e soli in una metropoli che ti attende oltre le finestre?
Riuscirai a ristabilire l’ordine o andrà tutto a rotoli?
Resterai o tornerai indietro?
In ogni battaglia serve qualcuno che ti copra le spalle nei momenti di difficoltà e che esulti con te della vittoria.
Ma puoi trovarlo in mezzo ad una folla sconosciuta?
C’e chi riesce nel suo intento e chi invece rimane sconfitto.
Cos’è successo a me? Stavo precipitando, ma qualcuno mi ha portata in salvo.
-
Questa storia è la versione revisionata di Walk away.
Genere: Romantico, Slice of life, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danny O'Donoghue, Glen Power, Mark Sheehan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1
*
When's the day you start again?


 
Quando si decide di mollare tutto e trasferirsi in un'altra città, non sei pienamente consapevole di ciò che troverai nella tua nuova vita. Abbandoni la tua casa e i ricordi legati ad essa, la tua famiglia, i tuoi amici e persino la persona che sei stata fino a quel momento. Molti dicono che hai la possibilità di essere diversa, diventare chi vuoi essere davvero, puoi creare una versione migliore di te stessa, ma chissà se sarà vero.
Fin quando un'hostess non ti riconsegna il biglietto aereo ed il tuo documento, vivi in una sorta di limbo tra la tua vita passata e quella futura. Ed è questa la situazione in cui mi trovo in questo momento.
Ho deciso di abbandonare l'Italia per andare alla ricerca di un futuro migliore, che non mi intrappoli in un lavoro sottopagato, che non mi soddisfi appieno, che mi permetta di essere autonoma economicamente e di non essere costretta a vivere con i miei fino ai trenta e passa anni. Certo, fra due giorni inizierò a lavorare in una caffetteria, ma spero che tra un mesetto abbia trovato qualcosa di meglio, o altrimenti resterò qui finché potrò permettermelo e poi ritornerò in Patria con la coda tra le gambe.
Ed eccomi qui, una ventiduenne in un aeroporto fuori Londra all'una di notte, ad aspettare che il nastro trasportatore mi restituisca il mio bagaglio sano e salvo. Nonostante sia già stata in questa che ora sarà la mia città, tutto ciò che mi circonda mi appare sotto un'altra luce, ma forse è dovuto solamente al fatto che siamo a gennaio e, a quanto pare, fuori sta per cominciare una bufera di neve. Ho scelto davvero un bel periodo per trasferirmi.
Anche se è notte fonda, l'aeroporto non è deserto: ci sono i viaggiatori del mio volo, giovani accampati in ogni dove che attendono i primi voli del mattino e un altro gruppo di viaggiatori provenienti da qualche città che non ho ben capito. Con al seguito il mio bagaglio integro, mi dirigo verso la fermata dei taxi, ma mi fermo poco prima della porta per infilarmi sciarpa, cappello e guanti e prepararmi all'idea che presto diventerò un pupazzo di neve. Non so se ho impiegato un'eternità per conciarmi come una befana, ma appena esco mi rendo conto che sono rimasti solo due taxi liberi. Cerco di correre, ma il trolley mi impedisce di accelerare quanto vorrei, e non solo rischio di cadere ogni due passi, ma arrivo letteralmente addosso a qualcuno. Mi scuso velocemente con la persona che ho urtato e,  mentre noto che uno dei due taxi si allontana, una donna impellicciata mi guarda storto dicendo qualcosa con un accento alquanto strano; la guardo dispiaciuta, qualunque cosa abbia detto e mi allontano con la speranza di accaparrarmi l'ultimo mezzo a disposizione. Riparte così la mia corsa folle e quando sono ad un metro di distanza dallo sportello, qualcuno mi precede e sale a bordo.
A questo punto, mi rassegno all'idea che passerò la mia prima notte londinese rannicchiata su una poltrona, aspettando che diventi giorno, ed allora faccio dietrofront con la testa china, come se mi stessi dirigendo al patibolo.
D'un tratto però lo sportello dell'auto si apre.
«Credo che debba prendere tu questo taxi».
«Dici a me?» chiedo voltandomi, ma d'altronde a chi potrebbe riferirsi se non c'è anima viva qui fuori.
«Sì, non è prudente passare la notte da sola in aeroporto» mi dice il ragazzo avvicinandosi.
«Ma l'hai preso per primo, io sono arrivata tardi» ammetto.
«Posso farmi venire a prendere da un amico» insiste. «Mi pare che tu non abbia alternative».
«Se è cosi, ti ringrazio davvero» gli dico, mentre il freddo pungente mi sta quasi congelando e lui fa cenno al tassista di mettere il mio bagaglio in auto.
«Grazie mille. Mi dispiace se rientrerai tardi a causa mia» aggiungo sincera mentre l'aria calda dell'abitacolo mi accarezza il viso.
«Non preoccuparti, ormai ci sono abituato» mi rassicura col sorriso sulle labbra.
Non so a cosa si riferisca, ma qualunque cosa sia mi ha fatto guadagnare un posto al calduccio. Quando l'autista si allontana dal marciapiede, lui è ancora lì che mi guarda sorridente e mi saluta con la mano ed io d'istinto ricambio.
Allora è proprio vero che in Inghilterra esistono ancora i gentiluomini. 
   
 
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