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Autore: Claire_F    12/12/2014    0 recensioni
Leonardo Da Vinci e Lucrezia Donati sembrano destinati ad essere separati.
Lui deve affrontare i suoi demoni, lei deve liberarsi del suo passato, come potranno mai incontrarsi di nuovo?
Una one shot che dimostra quanto sia breve in realtà la distanza tra due cuori.
Dalla fine della seconda stagione.
Potresti dirmi di tutto, ma non smetterò mai di amarti.
Non c’è ingegno che tenga davanti a te, perché io ti conosco intimamente, in una maniera che elude la mia ragione e la tua, perché ci corrispondiamo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leonardo da Vinci, Lucrezia Donati
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Non una sola volta Lucrezia Donati era stata fiera di sé.
Forse perché non era mai stata realmente se stessa.
Non si era mai sentita in armonia con il suo corpo, con i suoi propositi, con i suoi sogni sempre celati al prossimo, per necessità.
Essere sempre quello che volevano gli altri, essere infallibile, essere letale.
Il divario tra azioni e pensieri era talmente grande che a volte si sentiva impazzire. Pensava una cosa, ma ne faceva un’altra.
Era come vivere con qualcuno diverso da sé, eppure con la stessa persona.
Si sentiva sdoppiata, estranea a se stessa.
Non aveva sentimenti, non poteva, quando provava qualcosa era talmente insicura da pensare che le emozioni non fossero sue, ma di quell’altra. Della Lucrezia opportunista, malevola, creata dai mostri del suo passato, che viveva con lei, una spada fredda calata sul suo cuore.
E tutte le volte che doveva prendere una decisione, l’altra era lì, al bordo dello specchio in cui Lucrezia si guardava, senza vedere mai solo se stessa, era lì a passarle una mano sulla spalla, a ricordarle in un sussurro che non sarebbe mai stata realmente sola, che avrebbero deciso tutto insieme. Eppure Lucrezia sapeva, in fondo, davvero in fondo, dove l’altra non arrivava mai, che non sarebbe mai più stata in grado di decidere per il bene e che il male l’aveva macchiata e le pioveva addosso come inchiostro tutte le volte che uccideva qualcuno, tutte le volte che tradiva, rubava, mentiva, tutte le volte che era con Leonardo…
Lucrezia chiuse gli occhi di scatto e si accorse con orrore che non le pizzicavano, che non stava per piangere come una qualunque altra donna avrebbe fatto.
Ma lei era anche un’altra, lo specchio non la rifletteva mai soltanto come la vedevano gli altri, bellissima, ricca, nobile, l’amante di Lorenzo de’ Medici e ora traditrice.
Perché lei non era mai sola e, per quanto si sforzasse di avere volontà univoca, una voce le premeva contro l’orecchio, le ronzava attorno e solo alla fine Lucrezia si accorgeva che veniva proprio da dentro di lei.
L’altra era lì a sorridere, appollaiata sulle sue azioni, come guida della sua mano fragile.
Strinse gli occhi un istante, poi li riaprì e si guardò intorno. Il vento le sferzava i capelli sul viso, il cavallo sotto di lei nitriva e muoveva lo zoccolo anteriore, stufo per essere stato troppo tempo fermo. La battaglia tra Leonardo e il figlio del sultano avrebbe avuto luogo presto e lei non sarebbe stata lì a guardare. Non aveva più nulla da fare a Roma. Senza un piano, un filo da seguire, si sentiva quasi persa, ma capiva anche che era il momento di allontanarsi, almeno per un po’.
Non era mai riuscita a decidere da sola.
Prima la sua famiglia, suo padre, Riario, papa Sisto, poi l’altra lei, che la prevaricava sempre. Avrebbe voluto scegliere. E se avesse potuto, se avesse vissuto un’altra vita, se avesse potuto ricominciare daccapo, lei avrebbe scelto lui.
Buttò fuori il fiato e si asciugò con il palmo la lacrima che era finalmente riuscita a versare, poi tirò le redini e si voltò, andando incontro al suo nuovo, sconosciuto destino.

"Mia madre?" ripeté Leonardo a occhi sgranati. Boccheggiò confuso.
Confuso?
Qualcosa non tornava, perché non riusciva a pensare?
Pensa, pensa, pensa.
Aspettò il millesimo di secondo che di solito gli occorreva perché il guizzo della ragione gli si presentasse, gelido eppur brillante, il lume del suo pensiero addestrato che lo consolava, lo salvava e, il più delle volte, gli faceva fare la scelta giusta.
Dovette invece, per la prima volta nella sua vita, confrontarsi con il nulla, perché il lampo non arrivò, perché mai come in quel momento sentì che qualcosa gli stava sfuggendo e che quel qualcosa, si rese conto troppo tardi, era la sua anima, che fuggiva via dal corpo. Il suo ingegno era ormai scollegato da lui e quella volta lo avrebbe lasciato da solo, con i cannoni puntati sul fantasma di sua madre.
Scattò agile in avanti,
scansando Zoroastro che lo guardava stupito, non sapendo come muoversi
 "Fermate le micce! Spegnetele!" si ritrovò a gridare con una voce non sua, non del suo intelletto, almeno.
Ma, prima che potesse richiamare a sé la ragione, prima che riuscisse a vedere se quell’ordine così per nulla ponderato era stato eseguito, una palla di fuoco caracollò davanti ai suoi occhi, calda come l’inferno. Non si spostò, non aveva i riflessi pronti.
La sfera emanò vapori e detriti incandescenti, distrusse il muro fortificato alle loro spalle e i calcinacci e le polveri si riversarono sui cannoni, sui soldati ululanti e su lui stesso, mentre cadeva inesorabilmente. Leonardo disegnò nella sua mente il volto di sua madre, come uno dei suoi schizzi fatti di getto, questa volta non lo avrebbe dimenticato, nemmeno dopo la morte.
Perché era quella che sentiva, mentre franava dalla torretta fortificata ormai a pezzi.
Lunghe mani fredde gli afferrarono la nuca e tutta la luce, anche il lume del suo ingegno che era tornato alla fine di tutto per fargli capire che stava morendo, si spense.

Non aveva paura di morire, c’era andato vicino talmente tante volte alla morte, che quasi pensava di salutarla come una buona amica, quando, giunto il momento, si fossero davvero incontrati faccia a faccia, e non solo sfiorati le dita a vicenda.
No, non aveva paura.
Certo, non sapeva cosa avrebbe trovato dopo, ma l’avrebbe accettato, compreso, analizzato, come faceva sempre.
Una volta un uomo gli aveva detto che quando la morte ti soffia sul collo allora sei sua proprietà inalienabile. E, mentre cadeva lontano dalla luce e dal frastuono, mentre le sue certezze, i viaggi, le scoperte, i disegni e i suoi piani crollavano con lui, sentì quasi con certezza matematica che il sussurro della morte lo aveva raggiunto e gli ronzava nella testa soave, accogliente. L’avrebbe ascoltato, perché in fondo per lui tutto era stato una sfida da quando era nato.
E perché avrebbe dovuto rinunciare alla sfida più grande di tutte?
Nonostante ciò, se c’era una cosa che Leonardo Da Vinci aveva capito in tutta la sua rocambolesca esistenza, era che ovunque c’è buio, da qualche parte, c’è sempre uno spiraglio luminoso.
Sentiva ancora freddo alla nuca e sentiva ancora quei sussurri.
Perciò aprì gli occhi, che si accorse aver avuto chiusi per tutto il tempo.
Era su una lastra di marmo e questo spiegava il freddo.
Si guardò attorno. Una luce fioca, innaturale, proveniva da una bassa apertura sulla sua sinistra e lui riuscì a identificare i contorni di una stanza.
Aggrottò la fronte. Era morto, non poteva essere in una stanza, e poi perché aveva ancora una fronte?
Leonardo.
Ancora quella voce. Si tirò su a sedere e mugugnò di dolore, tastandosi un fianco. Quando guardò la mano, vide che non c’era sangue e nessuna ferita. Dov’era finito?
Non avrebbe potuto riconoscere nulla in quella stanza disadorna.
Leonardo.
E poi la vide. Alzò gli occhi davanti a sé e una figura avvolta nella semioscurità cominciò ad avanzare. Si alzò di scatto per difendersi ma si accorse di non avere una spada. La donna si fermò a pochi metri da lui, lo sguardo azzurro avvolto dal dolore.
"Lucrezia…" sussurrò stupefatto. L’aveva vista andare via, via dove probabilmente non l’avrebbe mai più rivista, lui stesso l’aveva liberata.
Lei annuì piano e gli si avvicinò cauta. Era avvolta in un telo avorio, lungo, lunghissimo, non riusciva a vederne la fine, portava i capelli ramati sciolti sulle spalle, la bocca carnosa era aperta, gli occhi tristi, le guance rosee bagnate di lacrime.
Leonardo l’amava, e non di un amore razionale, non come qualcosa che potesse spiegare. Quando la guardava tutte le difese costruite dalla sua mente crollavano e lui l’amava come non aveva amato nient’altro nella sua vita. Il suo viso era lo spettacolo più grande, lei la meraviglia che niente avrebbe mai potuto spiegare. Senza misure, senza protezione, nonostante i torti, il doppiogioco, anche il tradimento, il suo cuore era di Lucrezia Donati e niente al mondo avrebbe cambiato quella certezza tutt’altro che scientifica.
L’aveva amata la prima volta che l’aveva vista ed era curioso che fosse proprio lei ad aprire il suo cammino verso la morte.
Lucrezia gli sfiorò il petto con le dita fredde e delicate e il suo cuore sobbalzò.
Ma lui non aveva un cuore, lui era morto.
"Leonardo, sei vivo"
lui sospirò e le strinse la mano nella sua
"No, Lucrezia, io sto morendo e questo è un altro inganno della mia mente, che mi punisce, per non averti amato abbastanza in vita"
lei parve inorridire alle sue parole e provò a ritrarsi, ma lui non glielo permise
"Mi dispiace" proferì Lucrezia con un filo di voce "Mi dispiace perché abbiamo ancora poco tempo, ne abbiamo sempre avuto poco. Tra non molto ti riavrai e ti troverai di nuovo sul campo di battaglia, a decidere della tua vita e di quella degli altri"
Leonardo aggrottò di nuovo la fronte
"Non sono morto?"
lei scosse la testa
"Allora dove siamo?"
"Nell’unico posto dove ci è concesso stare uniti. Né in questa vita, né nell’altra, né nella veglia, né nel sonno, ma in una via di mezzo, in una fessura dove non sono io e non sei tu, dove esistiamo solo insieme" lui le guardò il petto candido, quasi traslucido, le loro membra unite brillanti e seppe che, in qualche modo contorto, lei aveva ragione e che non erano morti, non erano vivi ed erano insieme, rialzò gli occhi nei suoi, mentre lei schiudeva ancora quelle sue labbra piene per parlare
"Se potessimo essere qualcos’altro, Leonardo, se avessimo intrapreso strade diverse da quelle che percorriamo ora, forse potremmo essere una cosa sola, forse in un’altra vita, una vita non nostra…"
"Ci rimane solo ora"
lei annuì, gli si avvicinò ancora e posò il capo sul suo petto
"Non sono mai stata in grado di scegliere cosa fosse meglio per me, Leonardo, e ho scelto sempre quello che gli altri pensavano fosse la cosa giusta. E la nostra linea è già tracciata, noi siamo spacciati così"
"Stai dicendo delle assurdità" cominciò lui accarezzandole i capelli "Noi non siamo finiti, dobbiamo solo trovare il tempo per iniziare. Io ti troverò Lucrezia e poi…"
"E poi?" lei si allontanò il giusto perché potesse guardarlo "E poi non avresti mai fiducia in me, in quella che sono, o mi giustizierebbero per tradimento, o forse tu partiresti di nuovo, per inseguire i tuoi demoni e per vincere l’ignoto con la tua astuzia sconfinata! Siamo meccanismi che non si incastrano, l’inspiegabile incidente di un percorso che non abbiamo disegnato noi"
"Siamo noi che scegliamo il nostro destino, Lucrezia, non gli altri"
lei sbuffò  "Io non scelgo il mio. Sono un abominio, una creatura plasmata da mani malvage, un carattere sdoppiato, uno specchio rotto, una sinfonia muta"
"Potresti dirmi di tutto, ma non smetterò mai di amarti" Lucrezia sembrò scottata da quelle parole e altre lacrime le corsero sul viso arrossato, Leonardo alzò la mano e le spazzò via
"Se è vero ciò che hai detto, se è vero che questo è il nostro momento, eppure fuori da ogni tempo, fuori da ogni luogo, se questo è spazio di verità allora l’assoluta verità è che ti amo Lucrezia Donati e che il mio cuore non smette di battere ora, con questa morte apparente, perché esso non è più in mio possesso, è stato tuo dal momento in cui hai posato gli occhi su di me, il momento in cui ti ho disegnata a Firenze, tu fai vivere o morire il mio cuore, che non è mio, ma è tuo ed è un tutt’uno col tuo…" le portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e tentò di sorridere di quell’attimo di fortuna, o forse di sfortuna insieme "Non c’è ingegno che tenga davanti a te, perché io ti conosco intimamente, in una maniera che elude la mia ragione e la tua, perché ci corrispondiamo, perché ti sento quando sei lontana, perché so chi sei e sei l’essere più splendente che io abbia mai conosciuto" guardò un’altra lacrima sul suo viso che si insinuava tra le sue labbra socchiuse e tremanti, ma non aveva ancora finito di spiegare, forse non l’avrebbe mai fatto del tutto "Sei come un cucciolo che scava per emergere dal fango della strada, che cerca mesto qualcuno che si prenda cura di lui, che non lo tratti come il randagio senza amore che sembra. Sei tutto quello che, anche se avessi anni e anni di studio davanti a me, non riuscirei mai a spiegare e di certo non riuscirò mai a capire perché ti amo così tanto nonostante il tuo guscio così difficile da rompere, così ruvido al tatto…" finalmente la guardò negli occhi, quegli occhi azzurri che lo fissavano con terrore e amore e fuoco e paura, quegli occhi che per la prima volta, mostravano la vera lei, senza sotterfugi, senza bugie, senza la falsità in cui era cresciuta.
"Per questo consciamente non rinuncerò mai a te, che tu sia in Italia o in Spagna, a Roma o a Firenze, nel Nuovo Mondo o nel vecchio, qui e ora in questo spazio, o come i veri noi, io ti cercherò sempre, perché vivrò davvero solo vicino al mio cuore, a te"
Lucrezia lo guardò ancora per un attimo, poi si sporse ancora verso di lui e incontrò con le labbra tremanti le sue.
Fu un bacio dolce, lento, al di là del tempo, che catturò insieme i loro respiri bisognosi. Leonardo le fece scivolare una mano sulla schiena per tenerla vicina, lei gli strinse le dita sulla nuca, aderì al suo corpo e parve non volerlo lasciar andare mai. Le salì un gemito in gola mentre Leonardo le esplorava la bocca, mentre la spingeva sempre più indietro con un sibilo di piacere. Sentiva il sapore delle sue lacrime e il sapore di lei, unico, solo suo.
Si staccò da Lucrezia a fatica, poi calò di nuovo su di lei, le baciò la fronte, le tempie, le guance, il mento. Lucrezia raggiunse il suo orecchio
"Ti amo anch’io e conserverò il tuo cuore dove nessuno potrà mai trovarlo, nemmeno io stessa" sussurrò dolce e sincera
stava sorridendole quando senti uno schiocco e un rumore molesto sopra di sé, come di qualcuno che lo chiamava da lontano, che quasi urlava il suo nome.
Lei gli strinse la mano, gli baciò il petto, come a suggellare la cicatrice segno che il cuore gli era stato asportato e si staccò da lui
"E’ ora. Sta’ attento, Leonardo, dovrai usare tutto il tuo ingegno per superare quello che stai per incontrare" si voltò per andarsene nei meandri bui di quel luogo atipico, mentre la voce sopra di lui continuava a gridare, sempre più forte
"Mi aspetterai, Lucrezia?" chiese prima di andare, lei lo guardò e sorrise, una fossetta nella guancia piena
"Sempre" rispose, poi la luce tornò ad accecarlo.

Lucrezia si riscosse improvvisamente con un singulto e si mise a sedere.
Si era appisolata sotto un melo, dopo aver cavalcato per molto tempo ed essersi fermata per far riposare il cavallo.
Si ridistese e guardò il cielo sopra di lei, le nuvole chiare si rincorrevano attorno al sole, proiettando ombre grandi e piccole sul terreno, sulla grande distesa d’erba che la circondava.
Sorrise.
Sì, avrebbe scelto sempre lui, lo avrebbe aspettato per tutto il tempo del mondo, in fondo, sapeva che era lui il suo unico destino, il suo vero riflesso.



 
   
 
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