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Autore: Adeia Di Elferas    13/12/2014    0 recensioni
[L\\\\\\\'onore e il rispetto]
(Ispirato all'Onore e il Rispetto parte III) La Tripolina ha scoperto che i figli dei padrini della cupola hanno ucciso sua figlia Venere - figlia che lei ha sempre tenuto lontana dal brutto ambiente che lei doveva frequentare - dopo aver abusato di lei, inscenando poi un suicidio. Una volta chiaro il fatto che i colpevoli non sarebbero stati puniti dalla legge, la Tripolina decide che sarà lei con i suoi figli a fare giustizia.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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~~ 'A Venere mia m'ammazzarono quelli. A Venere mia. Alla bambina mia...' stava pensando la Tripolina, andando avanti e indietro, furiosa.
 'Venere mia. La mia Venere. La mia.' si diceva, mentre si stringeva le mani l'una nell'altra con tanta forza da farsi male. Ma quel dolore lei non lo sentiva, perchè aveva qualcosa di diverso che le scavava il petto, giù fino al cuore e ancora più in basso, fin nelle viscere.
 Venere era stata il suo calore, la sua unica salvezza, la sua unica gioia nella vita. E loro gliel'avevano ammazzata come un cane. L'avevano sporcata, l'avevano fatta soffrire, le avevano fatto quello che nessuno le avrebbe mai dovuto fare.
 E poi? E poi l'avevano ammazzata, sì, l'avevano uccisa come s'uccide una brutta bestia. L'avevano fatta ritrovare impiccata e quei cani della polizia avevano detto che Venere si era suicidata...
 Venere...
 Venere che in quel granaio penzolava fredda da quella corda... Bella, Venere, bella anche così, così fredda e così immobile... Per colpa loro. Loro avevano tolto a Venere la vita, la giovinezza. Non potevano cavarsela così.
 Lei sapeva chi erano, lo sapeva. I figli dei padrini, ecco chi erano. I figli degli intoccabili, che si credevano intoccabili loro stessi. Si credevano immortali...
 “Pazza. Ecco cosa divento. Pazza. La testa mi faranno perdere, quelli...” disse a voce bassa la Tripolina, camminando ancora come una furia.
 Improvvisamente, un'idea la fulminò e smise di misurare la stanza a passi nervosi e veloci. Restò con gli occhi aperti e la bocca spalancata, folgorata da quella rivelazione.
 “Ettore!” chiamò subito, con tutta la sua voce.
 Il suo figlio maggiore arrivò immediatamente e la guardò in attesa. Aveva ancora il volto stravolto, come tutti, per la storia di Venere.
 “Ettore, ho deciso cosa fare. Chiama i tuoi fratelli.” disse la Tripolina, con tono calmo ed un'espressione quasi pacifica. Sapere come muoversi l'aveva calmata, almeno in apparenza. Sentiva dentro di sé un fuoco sacro che non sarebbe estinto fino a che non avesse portato a termine il suo compito. Lo doveva fare, per Venere.
 Quando tutti i suoi figli furono davanti a lei, la Tripolina li passò in rassegna e disse: “A Venere hanno ammazzato quelli. E si credono intoccabili. Si credono che loro non possono morire tanto quanto a Venere nostra. E i loro padri, con tutto il loro parlare, nemmeno loro pensano che c'hanno dei figli mortali. Bene, ce lo dimostriamo noi che si sbagliano.”
 “Cosa dobbiamo fare?” chiese a quel punto Paride, incrociando le braccia sul petto.
 La Tripolina sorrise: “Ad uno ad uno, la testa gli tagliamo. Via. Uno dopo l'altro. E le teste, poi, ce le diamo ai loro padri, così vedono che anche i loro figli possono morire.”
 Ettore sospirò: “Non sarà facile.” “Sarà più facile di quello che pensiamo, figlio mio.” lo rassicurò la Tripolina: “Sappiamo chi sono, sappiamo come sono e conosciamo le loro famiglie. Per tutte le volte che mi sono dovuta abbassare davanti ai pantaloni calati dei loro padri, loro dovranno abbassare la testa una sola volta davanti a noi, non mi sembra una richiesta eccessiva.”
 Paride sembrava avere ancora del riserbo, ma la Tripolina non voleva darci peso. Sapeva che era il più delicato dei figli che le restavano, ma non poteva proteggerlo da questo. Anche lui doveva partecipare. Era una vendetta della famiglia De Nicola, ognuno doveva fare la sua parte.
 “Da chi cominciamo?” chiese Ettore, che invece era già pronto ad agire per vendicare la sorella.
 La Tripolina sollevò le spalle. Stava quasi per dire che uno valeva l'altro, quando poi ci ripensò le tornò in mente il viso d'angelo di quel gran farabutto che aveva osato mentirle davanti agli occhi, di quel ragazzino che si credeva un uomo, di quell'incapace che aveva osato alzare le mani per primo contro la sua Venere. Lo vedeva ancora, mentre stava nella vasca da bagno e la scherniva, sapendo quello che aveva fatto, sapendo che Venere non sarebbe mai tornata...
 “Lo so, da chi cominciamo.” disse la Tripolina, a voce così bassa che quasi non la si sentiva. Alzò gli occhi verso Ettore e ripeté, con un sorriso distorto sul volto: “Lo so, da chi cominciamo.”
 “Da chi?” chiese Paride, sempre più agitato. Ettore gli lanciò un'occhiata quasi divertita, come sempre quando pensava che il fratello non avesse il coraggio di fare certe cose: “Sei impaziente, Paride?” Il ragazzo non rispose, e così Ettore lo lasciò stare, incalzando a sua volta la madre: “Allora? Da chi cominciamo?” La Tripolina continuava a sorridere, il volto sempre più distorto ed acceso da una luce folle: “Fortunato Di Venanzio. Lui sarà il primo.”
 Poi abbassò gli occhi, mentre il sorriso svaniva e mormorò, quasi più a se stessa che non hai figli: “E l'ultimo, al figlio di Mancuso sarà. Ma ce lo facciamo scegliere da lui, quello che preferisce. Ce lo facciamo scegliere da lui. Gli facciamo dire 'quello no'. Voglio vederlo, mentre sceglie. Pure io volevo dirlo: 'Venere no'. Vediamo a lui. Lo faccio scegliere e poi gli faccio un bello scherzo. Glielo faccio questo scherzo a Mancuso...”
 Mentre ancora barbottava tra sé, la Tripolina uscì dalla stanza, lasciando i suoi figli ad organizzare le loro prossime mosse.
 I ragazzi iniziarono a parlare tra loro, con serietà, mentre dalla stanza accanto si sentiva ancora la voce della loro madre farfugliare: “...ma il primo sarai tu, Fortunato Di Venanzio...”
 
   
 
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