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Autore: marmelade    14/12/2014    4 recensioni
«Ti volevo dire che quel sorriso che hai fatto due minuti fa è più bello del mare in inverno, e quelle lacrime che hai versato somigliano a quelle che verso io tutti i giorni da quando non ci sei.
Ti volevo dire che sta piovendo, che l’aria è fredda e intrisa di tristezza e smog, e io sono sotto casa tua.
Ti volevo dire che sono fradicio dalla testa ai piedi, che ho l’acqua nelle scarpe e penso che mi beccherò la febbre più tremenda della mia vita, ma non importa, perché in questo momento ti sto osservando e sto pensando che, cazzo, sei bellissima e che rimarrei altre tre ore qui sotto solo per te».
Tutte quelle parole che non ti ho detto
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ed Sheeran, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Ti vorrei dire
che mi sono innamorato di te,

ma ho paura che non mi crederai". 
[Antun Blazevic - Ti vorrei dire]
 
 *
«Ehi»
Sapeva che fosse lui da quando il telefono aveva preso a squillare. Sapeva che non avrebbe dovuto rispondere.
Eppure lo aveva fatto.
La sua voce calda e soffice le arrivò all’orecchio come un dolce sussurro. Le parve quasi di sentire che lui fosse lì, accanto a lei, mentre le baciava dolcemente il collo ed il suo respiro lento le arrivava all’orecchio.
Non rispose.
 Si limitò a respirare lentamente, facendogli credere di non aver mai alzato la cornetta, sperando che, prima o poi, avrebbe staccato la telefonata.
Ma non lo fece. Non l’avrebbe mai fatto.
«Ehi» ripeté, stavolta in un modo ancor più dolce del precedente.
Zoë sentì il cuore perdere un battito nell’udire quella voce ancora una volta.
 Non rispose, ancora una volta.
«Ti volevo dire che mi manchi».
Le sue parole furono un sussurro lento, quasi impercettibile, come fossero il primo raggio di sole alle sei del mattino, di quelli che non ti ustionano la pelle, che sono ancora un po’ freddi, ma dei quali senti un minimo di calore sulla pelle che ti piace, che ti fa stare bene.
Ed tossicchiò. Zoë inspirò.
«Ti volevo dire che mi manchi, tanto» ripeté e, questa volta, il tono della voce si alzò di un’ottava.
Furono parole nette e decise, non come il timido sussurrio in precedenza.
Zoë si morse il labbro inferiore, trattenendosi dal rispondergli.
Il cuore le batteva forte contro il petto, talmente tanto forte che, se fosse stato possibile, sarebbe stato in grado di uscire dalla gabbia toracica per rincorrere Ed, ovunque egli fosse, e scaraventarsi tra le sue braccia, sottomettendo qualsiasi tipo di orgoglio.
Non parlò. Per l’ennesima volta stette zitta.
Sentì Ed dall’altro capo del telefono sospirare forte. «Ti volevo dire che dovremmo smetterla di girarci intorno ogni volta, di non venirci mai incontro e respingerci come fossimo pieni di spine.
Sì, è vero, siamo incorreggibili: ci amiamo, ci odiamo, ci ammazziamo di insulti a cui non crediamo e finiamo per fare l’amore. Ci amiamo di nuovo, ma poi siamo punto e a capo e ci odiamo di nuovo. Cacciamo di nuovo gli artigli e le spine, graffiandoci fino a sanguinare, fino a farci male. Poi ci rendiamo conto che così ci facciamo solo male al cuore, quindi cerchiamo di riaggiustarlo, ma poi finisce sempre che uno dei due, involontariamente, caccia fuori quella spina, quell’artiglio, che ci fa male e ci fa sanguinare ancora.
Ti volevo dire che ci siamo fatti del male, che ce ne faremo ancora – nessuno dei due sa se volontariamente o involontariamente - , ma continueremo ad aiutarci leccando ognuno le ferite dell’altro, e andremo avanti».
Zoë si mordicchiò leggermente l’unghia – già abbastanza mangiucchiata – del pollice per trattenere le lacrime che non avrebbe voluto far uscire. Tirò su col naso, cercando di non farsi sentire e, ancora una volta, stette zitta. Non parlò.
Immaginò Ed torturarsi le mani, come faceva ogni volta che il nervosismo prendeva il sopravvento su di lui.
«Ti volevo dire» continuò «che non smetto di pensarti. Ogni volta, in ogni pensiero, in ogni movimento, in ogni sorriso, in ogni lacrima... mi vieni in mente tu. Sei un pensiero fisso, un qualcosa che non mi dà pace e non fa dormire la notte. In ogni sigaretta che fumo, in ogni birra che bevo, in ogni minima cosa ci sei tu. E lo so che non sono romantico, che sto facendo delle figure di merda enormi con questi paragoni assurdi che magari non capirai e vorresti solo prendermi a pugni, ma io sono fatto così. Riesco a fare delle figure di merda colossali anche quando vorrei dirti che sei la cosa più bella del mondo».
A quel punto, Zoë ridacchiò, immaginandolo mentre imprecava mentalmente contro se stesso per essere così pateticamente idiota. Un dolce e patetico idiota.
Una delle lacrime che avrebbe voluto trattenere scivolò involontariamente sul suo viso.
Zoë la raccolse con prontezza, come se non volesse far capire ad Ed che quell’assurda dichiarazione le stava facendo scaldare il cuore ed inumidire gli occhi.
Rimase in ascolto, con la bocca serrata, mentre un sospiro di Ed le accarezzò l’orecchio, anche se tramite un telefono.
«Ti volevo dire che mi manchi. Mi manca il tuo sorriso e mi mancano i tuoi occhi così simili ai miei, ma più belli di qualsiasi altra cosa. Ti volevo dire che, se fossi lì con te, probabilmente in questo momento ti farei una carezza solo per sentire la morbidezza della tua pelle sul palmo della mia mano, per sentire che sei davvero reale, che non sei un sogno frutto della mia immaginazione...»
Non riuscì a trattenere le lacrime. Le asciugò con il dorso della mano, coperta dal lungo maglione, e chiuse gli occhi.
Cazzo, quanto le mancava.
Ma non glielo disse. Rimase ancora in silenzio, senza lasciar trapelare una parola, tenendosi stretto quel segreto che le faceva male alle ossa, al corpo, all’anima, al cuore.
Dall’altro capo del telefono, sentì Ed trattenere un singhiozzo per poi ridacchiare.
«Ti volevo dire... - continuò, la voce rotta da quello che poteva essere un pianto – che so che hai alzato la cornetta. So che sei lì, dall’altra parte del ricevitore ferma ed immobile, ed hai provato a trattenere inutilmente le lacrime e che trattieni i sospiri per non farti sentire, facendomi credere di star parlando con le mura di casa tua come un emerito coglione.
 Ti volevo dire che quel sorriso che hai fatto due minuti fa è più bello del mare in inverno, e quelle lacrime che hai versato somigliano a quelle che verso io tutti i giorni da quando non ci sei.
Ti volevo dire che sta piovendo, che l’aria è fredda e intrisa di tristezza e smog, e io sono sotto casa tua.
Ti volevo dire che sono fradicio dalla testa ai piedi, che ho l’acqua nelle scarpe e penso che mi beccherò la febbre più tremenda della mia vita, ma non importa, perché in questo momento ti sto osservando e sto pensando che, cazzo, sei bellissima e che rimarrei altre tre ore qui sotto solo per te».
Dopo quelle parole, Zoë scostò leggermente la tenda bianca dalla finestra con gli occhi ancora pieni di lacrime.
Ed era vero.
L’aria era intrisa di tristezza e smog, la pioggia non ne voleva sapere di smettere e Ed era sotto casa sua. Fradicio dalla testa ai piedi, la testa alzata, lo sguardo puntato su di lei ed un meraviglioso sorriso sulle labbra. Zoë poteva vedere da lì che le sue converse rosse erano zuppe d’acqua e pensò che quel sorriso avrebbe potuto far comparire il sole da un momento all’altro.
Ed alzò la mano, facendo un cenno di saluto, ma lei rimase immobile.
Non parlò, ma ascoltò ancora una volta i suoi lenti sospiri.
Lo vide mettersi la mano nella tasca dei jeans – ormai fradici – e poi mordersi il labbro inferiore.
«Ti volevo dire» continuò indisturbato, come se la pioggia fosse ormai una sua vecchia amica «che ne è valsa la pena aspettarti tre ore sotto la pioggia. Ti volevo dire che ringrazio il cielo, Dio, il destino che quel giorno ci abbiano fatti incontrare. Ti volevo dire che quel tuo sguardo mi ha fatto innamorare dal primo istante, e mi fa innamorare tutt’ora. Ti volevo dire che non potrei sopportare il fatto di non vederti più e che, in un’altra vita, vorrei incontrare sempre e solo te, milioni di volte.
Ti volevo dire che non potrei sopportare il fatto di baciare altre labbra, di incontrare altri sguardi, di ascoltare altri respiri e di perdermi in occhi che non siano i tuoi.
Ti volevo dire che oggi mi sono fatto dieci chilometri a piedi solo per vederti, anche solo cinque minuti, consapevole del rischio di non trovarti in casa.
Ti volevo dire che mi dispiace per tutte le volte che ti ho fatto arrabbiare, anche solo un minimo, e per tutte le altre volte che ti farò arrabbiare in futuro.
Ti volevo dire che mi dispiace se sono un emerito coglione che ti ha fatto versare troppe lacrime.
Ti volevo dire che per me non importa cosa indossi, quanto pesi, quanto sei alta, quanti brufoli hai e se hai la cellulite. Per me, tu sei tu, e non c’è niente di meglio al mondo.
Ti volevo dire che mi piaci per come sei, per la tua tenacia, per quell’insicurezza che ogni tanto ti prende e per quella testardaggine che hai.
Ti volevo dire che, per me, sarai sempre bellissima».
Zoë non riuscì a trattenere più le lacrime.
Lasciò che dalle sue labbra sfuggisse un sonoro singhiozzo che Ed sentì prima che lei potesse coprirsi le labbra. Lui le sorrise ancora.
«Ti volevo dire tutte quelle parole che non ti ho mai detto perché sono troppo poco romantico, troppo pigro, troppo codardo e fin troppo coglione.
Ti volevo dire che, nonostante tutto, ti aspetterei anche se avessi la neve che mi arriva nelle mutande solo per vedere il tuo sorriso.
Ti vorrei dire tante altre cose, ma smetto di dirtele perché sfocerei nel ridicolo e perché sto per finire il credito nel cellulare, quindi sintetizzo, e ti volevo dire che sono pazzamente innamorato di te».
Zoë posò il ricevitore del telefono ed attaccò quella che era stata una delle telefonate più lunghe della sua vita. Poggiò i palmi delle dita sulla finestra appannata e coperta di goccioline di pioggia, poi guardò in basso.
Il cielo era grigio, stava ancora piovendo e Ed era ancora lì.
Gli buttò un ultimo sguardo assicurandosi che non se ne fosse andato prima di arrotolarsi una lunga sciarpa di lana beige al collo e correre verso la porta.
La voglia di buttargli le braccia al collo era talmente forte che non si controllò nemmeno allo specchio.
Ma non le importava.
Il ragazzo che amava era sotto casa sua, sotto la pioggia, e le aveva appena confessato di essere innamorato di lei.
Con gli occhi ancora velati dalle lacrime, Zoë si chiuse la porta alle spalle prima di correre velocemente giù per le scale, senza minimamente curarsi di fare rumore.
Una volta arrivata al portoncino prese un lungo respiro e, quando lo aprì, lui non si era mosso di un millimetro.
Sotto la pioggia fitta, Ed aveva lo sguardo puntato sulle sue converse di tela zuppe d’acqua e le grandi mani nascoste nelle tasche dei jeans.
Zoë sorrise e il suo cuore perse un battito.
Gli si scaraventò addosso prima che lui potesse accorgersi che lei fosse lì, buttandogli le braccia al collo.
Ed l’alzò di poco da terra, mentre la pioggia fitta si posava sui vestiti, sui capelli e su ogni parte del corpo di entrambi.
Zoë si perse nel suo buon profumo, incastrando il viso nell’incavo del suo collo morbido. Si alzò di poco sulle punte per raggiungere il suo orecchio per sussurrargli parole che non credeva avrebbe mai pronunciato.
«Ti volevo dire che ti amo».
Ed scostò il viso per guardarla intensamente e perdersi nel colore dei suoi occhi così simili ai suoi, ma più belli di qualsiasi altro azzurro. La vide sorridere mentre le goccioline di pioggia bagnavano anche il suo viso dalla carnagione chiara. Sorrise anche lui per poi avvicinare ancora di più il suo viso a quello di Zoë, ma lei fu più veloce e lo baciò senza alcun tipo di esitazione.
Nessuno dei due accusò la pioggia che continuava a bagnarli. In quel momento, non esisteva nessun’altro.
Forse avrebbero voluto dirsi tante altre cose, ma quel bacio valse più di qualsiasi tipo di parola. 


Saaalve! 
E' la seconda oneshot che pubblico nel fandom di Ed, nonostante lo segua da un bel po' :)
Anyway, questa oneshot è stata scritta in poche ore in un pomeriggio triste, quindi chiedo perdono perché so che fa schifo!
E' solo che mi è balenata in testa all'improvviso, durante la mattinata, mentre studiavo (sì, io invece di studiare penso a cosa scrivere, bene così!) e, nuuulla... ho voluto provare a trascriverla su carta!
Lo so che fa schifo, ribadisco, però ci tenevo a scriverla.
E' la prima cosa che scrivo dopo mesi e mesi di blocco che, ormai, è un bel po' che me lo porto dietro.
Inoltre, volevo scriverla per dedicarla a tutte quelle persone che, in alcuni momenti, avrebbero voluto dire tanto e invece non hanno detto nulla, tenendosi tutto dentro. E so di non essere l'unica!
Quindi, oltre a dedicarla a chi si trova in questo perenne silenzio, la dedico anche un po' a me, che molte volte non ho il coraggio di parlare e tante volte avrei voluto anche solo sussurrare un "ti volevo dire..."
Scappo via, perché so di aver parlato troppo!
Grazie mille a chi si è fermato a leggere questa oneshot e questo sclero di una povera pazza! 
Un bacio enorme, 
Mary :)

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@___puuff)

Byeeee :D
 
  
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