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Autore: Melian    15/12/2014    0 recensioni
«Mike, credo che – togliendo le superstizioni, le leggende e tutto il resto – i fatti ci dicano una sola cosa, un'unica verità.», esordì con voce bassa e tremolante di eccitazione.
«No, Allie, ti prego, non vorrai davvero dirmi che...», la implorò Michael.
Allison era sognante: «Mike, già vedo il titolo del nostro reportage in prima pagina: “Il Serial Killer Vampiro colpisce ancora”.»
[Quarta classificata e vincitrice del "Premio Atmosfera" al contest "Left Behind – storie di ruggine e abbandono” indetto da Tsunade e InoChan sul forum di EFP]
Genere: Azione, Generale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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LA CATTEDRALE DELLE ROSE SELVATICHE

 

CAPITOLO I: IL SIGNORE DI YORK


“Ma tu chi sei, che avanzando nel buio della notte, inciampi nei più segreti dei miei pensieri?”
(W. Shakespeare - Romeo e Giulietta)

 

Lungo la sponda del fiume Ouse, una ragazza camminava con passo regolare e una borsa scura a tracolla. Di tanto in tanto, con un gesto distratto della mano, si scostava ciocche di capelli castani che le ricadevano scompostamente davanti agli occhi per colpa del vento pungente.
Se qualcuno l’avesse osservata, avrebbe visto sul viso di Allison uno sguardo incerto e pensoso, una stanchezza spropositata per una ragazza del genere, la spossatezza di chi – forse – per troppe notti non chiude occhio e, magari, si risveglia persino più stanco.
Allison camminava senza una vera meta. L’unica cosa certa era che non aveva voglia di tornare a casa: viveva da sola da più di un anno, ormai, ma sua madre non perdeva occasione per andarla a trovare, rendendo ogni sua visita insopportabile. Così, ogni volta, Allison finiva per afferrare le chiavi di casa, piantare sua madre che blaterava in cucina senza dire una parola e uscire, sbattendo la porta e augurandosi di non trovarla al rientro.
Col pensiero ancora rivolto all’ultima discussione solo di qualche ora prima – sua madre era preoccupata perché la trovava sciupata e insisteva nel chiederle se mangiasse e dormisse abbastanza, se avesse qualche problema di salute e e chissà quali altre congetture tipiche del genitore apprensivo – Allison gettò un’occhiata alla superficie lievemente increspata del fiume nel punto in cui si univa al Foss.
Il frinire dei grilli appostati tra l’erba la sorprese e la ragazza sobbalzò. Era un verso continuo, insistente e, a tratti, inquietante, di colpo divenuto assordante come se un gigantesco insetto strofinasse le sottili zampe senza sosta.
L’aria era umida e satura dell'odore muschiato della pioggia appena cessata. Il sole tramontava oltre il velo delle nubi grigie, immergendosi nella tavolozza di colori aranciati con cui aveva dipinto il cielo che, invece, in quel momento digradava pigramente verso il blu intenso della sera.
Era sabato sera, ed Allison passeggiava completamente sola. Con le dita allargò lievemente il foulard di seta che le avvolgeva il collo e le sembrò di riuscire a respirare meglio.
Qualcosa la rendeva inquieta ormai da un paio di mesi, la fantasia le sussurrava di luoghi e volti sconosciuti che, ormai, la tormentavano anche da sveglia; la sua salute aveva subito un brusco strattone, anche se si affannava ad ignorare le preoccupazioni di sua madre e la stanchezza che la opprimeva sempre più, i mal di testa e l'anemia da cui era afflitta ultimamente.
Quando chiudeva gli occhi, però, Allison si era convinta che lo stesso sogno che la ossessionava da giorni si sarebbe ripresentato, chiedendole di viverlo ancora e ancora, lasciandole in pegno una profonda stanchezza e ricordi annebbiati.
Sognava sempre di trovarsi in una grande sala soffusa della luce di miriade di candele, mentre l'effluvio dei fiori saturava l'aria e le faceva girare la testa, inebriante.
Il salone era gremito di dame e cavalieri che danzavano, volti nebulosi che si muovevano come fantasmi su uno sfondo sfuocato.
Allison era circondata dai fasti di un tempo passato, dalle risate argentine, dal tintinnare dei lunghi calici colmi di vino e dalla musica di una graziosa orchestra.
Anche lei danzava e volteggiava tra le braccia di un cavaliere di cui non scorgeva i lineamenti dietro ad una intrigante maschera nera che gli copriva la metà superiore del viso.
Mentre l'orchestra suonava, tra la musica si faceva strada la voce di una donna, che Allison associava – con una sensibilità tutta moderna – a quella di una cantante lirica:

«Tra le rose selvatiche danza,
vestita di petali nivei.
Cercami,
e nella notte scorgerai i miei occhi.»

A poco a poco, però, sparivano le dame e i cavalieri, la musica s’interrompeva, svaniva il salone addobbato a festa, ed Allison si ritrovava in un giardino, il profumo delle rose selvatiche le giungeva alle narici e la soggiogava. Passeggiava a piedi nudi sull’erba coperta di rugiada come ubriaca di tanta bellezza; il suo lungo abito bianco frusciava. Un dolce vento le scompigliava i capelli, ed Allison avvertiva una pace indicibile ammantare quel luogo e penetrare in lei. Si fermava solo quando raggiungeva un'antica costruzione che si apriva su un portico fatto di archi a sesto acuto e le note dell'organo al suo interno faceva vibrare i vetri variopinti delle finestre; doveva essere una cattedrale, ma Allison non ne era sicura.
Da lontano, la stessa voce accorata continuava a cantare e la accompagnava come l'eco della risacca di un mare tempestoso:

«Cadono gli uomini, sfioriscono le rose,
la luna si eclissa.
Ma tu segui il mio sussurro
e nella notte chiama il mio nome.»

Non udiva rumore di altri passi, ma era consapevole che qualcuno la stesse seguendo: era suo il cavaliere e non era spaventata dalla sua presenza. Allora, mentre lei gli sorrideva e reclinava dolcemente il capo, le braccia forti dell'uomo l’avvolgevano: Allison avvertiva un freddo sovrannaturale calarle addosso e un brivido improvviso scuoterla, un misto di paura e dubbio. Le sembrava di abbracciare una statua e, per un attimo, provava una gran pena e desiderava con tutta se stessa poter scaldare quelle membra solide e gelide.
Poi le dita delicate del cavaliere le accarezzavano i capelli castani, scostandoli, e le sfioravano il collo. Le labbra dell'uomo premevano contro la sua gola in un bacio a lungo desiderato ed Allison sussultava, fremeva e si abbandonava. Ma i brividi di piacere si stemperavano in un acuto dolore, quando il cavaliere le affondava i denti nella carne. Ed Allison si sentiva persa e sprofondava in un mondo sconosciuto, dove la vita e la morte correvano insieme lungo lo stesso, sottile filo, e tutto si tingeva del rosso del suo sangue.
Piacere. Dolore. Ancora piacere. E, infine, stanchezza e oblio.
Allison si riscosse dai propri pensieri e si portò istintivamente una mano alla gola, massaggiandosela. Non aveva alcun segno sul collo, quindi il suo era solo un sogno, non aveva dubbi. Eppure il fatto che si sentisse svuotata delle sue energie, anziché riposata, al suo risveglio faceva suonare un atavico campanello d'allarme in lei che, però, non le offriva alcuna risposta logica. Semplicemente, per la ragazza, l'unica spiegazione per quelle notti agitate era il troppo stress.
Tuttavia non poteva permettersi una pausa dal lavoro: aveva bisogno del suo stipendio per tirare avanti e la sua occupazione le piaceva fin troppo per pensare a mollarla così, su due piedi.
Ormai si trovava alla periferia di York: ci era arrivata senza nemmeno accorgersene, camminando sovra pensiero, meccanicamente. Si infilò in un vicolo stretto e buio, reso viscido dalla pioggerella, che usava come scorciatoia per tornare a casa. Col passo sicuro di chi conosce la strada, procedette spedita. Si era davvero fatto tardi: il display del suo cellulare segnava, infatti, le 23:22.
Un cane cominciò ad abbaiare. Era Rudolph, il cane di cui spesso Allison si era occupata per racimolare qualche soldo durante le vacanze estive quando non poteva permettersi di passarle altrove. Il San Bernardo era diventato grande e grosso, ma con lei era rimasto un pacioccone.
«Ciao, cucciolone!», esclamò Allison avvicinandosi al recinto per accarezzarlo.
Rudolph, però, prese ad abbaiare ancora più forte e a ringhiare.
«Ehi, Rudy, che ti prende?»
Allison corrugò le sopracciglia ed allontanò la mano. Poi si accorse che il cane latrava al buio alle sue spalle. Si voltò velocemente, allarmata, e sentì il cuore accelerare in una risposta istintiva, primitiva, mentre scrutava attentamente la stradina poco illuminata.
Niente.
«D’accordo, Rudy, questa non è serata nemmeno per te, a quanto pare. Io vado; che è meglio. Ciao, cucciolone!»
Allison si avviò, guardando con più attenzione per terra per evitare le pozzanghere.
Ma Rudolph continuava ad abbaiare come se avesse fiutato qualcosa di pericoloso nell’aria. Quei latrati si amplificarono nella strada deserta come una eco bellicosa, mettendo in allarme Allison, che cominciò a camminare più velocemente e con il cuore che batteva forte.
La ragazza gettò un’altra occhiata alle sue spalle, poi tornò a guardare davanti a sé e sussultò.
Qualcuno, infatti, si era piantato davanti a lei e la fissava con un sorriso bieco sul viso. Si trattava di un uomo molto alto, con le spalle larghe e il torace ampio. Portava vestiti logori e lunghi capelli di un rosso slavato appiccicati alla fronte troppo spaziosa.
Allison fece istintivamente un passo indietro, ma l’uomo le si avvicinò ancora, rapidamente. In un battito di ciglia, furono talmente vicini che la ragazza poteva vedere gli occhi spiritati e la carnagione pallida dello sconosciuto, persino annusare l'odore acre – come di sangue – del suo fiato.
I loro corpi si sfiorarono ed Allison provò un senso di profonda angoscia e di disagio e il primo fremito di una martellante paura.
Cercò di domare l' impulso che le ordinava di fuggire e domandò: «Va tutto bene? Ha bisogno di qualcosa?»
Lo sconosciuto non rispose subito, ma la scrutò intensamente per un attimo che le sembrò infinito. Quando parlò, però, la sua voce non era altro che un roco e basso sussurro: «Ho sete.»
“Ma perché non sto mai zitta?”, si chiese Allison, sconcertata: quella che stava vivendo era una situazione surreale, degna dei peggior film horror.
Quel tizio doveva aver bevuto, si disse, e la stava inquietando non poco: spuntarle così alle spalle, starle così appiccicato e fissarla con quegli occhi da pazzo... non era per niente una bella situazione e lei non sapeva come cavarsi dall'impiccio, adesso. Cosa voleva quel barbone proprio da lei?
«Purtroppo non ho denaro da darle con me, mi spiace.»
Cercò di allontanarsi, ma l'uomo le bloccò di nuovo il passo. Sorpresa da quello scatto improvviso, Allison sollevò lo sguardo, stavolta spaventata a morte, e fissò l’uomo che ghignava, lasciando scoperti i denti ingialliti: non sembrava avere per niente buone intenzioni.
«Ho sete», ripeté l’uomo con voce roca. Rise, una risata quasi gorgogliante, inumana.

Sulla terrazza di una palazzina della periferia, una figura elegante e slanciata contemplava la scena: gli occhi scuri – davvero troppo scuri per essere meramente umani – assorbivano il bagliore argentino dello spicchio di luna che ornava il cielo come una collana sulla gola di una bella donna.
In una notte come quella, quell'uomo era rinato.

***

 

“Vincere la paura della morte equivale a vincere ogni altro terrore: tutti i terrori hanno significato solo in rapporto a questo problema primario".
(Ernest Junger)

 

Il silenzio regnava sovrano sulle colline avvolte dalla bruma da cui la luna si levava invitta e spandeva i suoi raggi, simili alle pallide dita dei fantasmi.
Un vento secco sollevava nugoli di polvere che ricoprivano i corpi stesi al suolo e rendevano i volti di quegli uomini, già sporchi di sangue raggrumato e congelati dalla morte, maschere ancor più grottesche.
Il campo di battaglia si estendeva quasi a perdita occhio: una macabra selva di lance spezzate e conficcate nel terreno, spade sporgenti dai corpi di guerrieri mutilati, scudi infranti e corvi famelici che saltavano da un cadavere all’altro, beccando gli occhi lattiginosi e i nasi tumefatti.
Lo scontro era finito e non aveva visto né vinti né vincitori. Entrambi gli stendardi, quello su cui spiccava la Rosa Rossa e quello su cui campeggiava la Rosa Bianca, erano coperti di sangue, strappati e calpestati.
L’orrenda vista dei corpi straziati torturava i pochi sopravvissuti che gemevano sommessamente per le loro turpi ferite. Qualcuno sarebbe venuto a raccogliere quei morti e a prestare soccorso ai feriti?
Sembrava che il tempo scorresse lentamente, troppo lentamente e che, invece, il sangue di quegli uomini fluisse fuori dai loro corpi spezzati velocemente, troppo velocemente.
La verde piana era divenuta il palco su cui la Morte, esile ed alta, vestita di nero ed elegante, si muoveva come una prima attrice.
Lui aveva appena ripreso conoscenza e tutto gli appariva confuso. Dovette sbattere le palpebre pur di mettere a fuoco quanto lo circondava, mentre il ronzio molesto del suo sangue nelle orecchie era un suono totalizzante e paralizzante.
Il dolore lo trascinò violentemente alla realtà in un attimo: aveva una freccia conficcata nel petto e si rese conto che sarebbe morto di lì a poco e fu invaso da una calma improvvisa e gelida, la calma di chi, in realtà, era preparato a quell'epilogo e non ne aveva alcuna paura. Il destino di un cavaliere è cadere combattendo, con la sua spada in pugno, per l'onore e la gloria e lo sguardo della propria dama.
L'uomo gemette e, freneticamente, tastò l'asta della freccia: la impugnò con l’intenzione di strapparla via, col respiro ansimante di un animale ferito. Si fermò pochi attimi prima di compiere quel gesto che gli sarebbe stato fatale, mentre lottava tra la consapevolezza lucida di non dover svellere la punta affilata e il sottile e istintivo panico di avere un corpo estraneo infilzato nella carne.
Il giovane respirò a fatica e cercò di liberarsi di quanto gli restava dell'armatura, ma non ne ebbe la forza: sentiva il sangue scorrere via e, con esso, la vita.
«Non sarei dovuto morire così miserabilmente. Dov'è la mia spada?» sussurrò nel buio e tossì, sputando sangue e tastando il terreno accanto a lui, cercando l'elsa intarsiata della propria lama.
Nell’udire quell’invocazione, la morte apparve: incarnata in una donna dai lineamenti senza età, non era bella nell’accezione comune del termine, poiché la sua bellezza non era spiegabile, eppure era orridamente affascinante. C'era qualcosa, nei suoi modi, di assolutamente straordinario: un languore di chi si veste di incanti e stregonerie e poi le sparge attorno a sé come reti ammalianti. Il suo volto magnetico sembrava quello di una splendida statua di marmo levigato, mentre gli occhi, di un intensissimo verde, ricordavano nel colore le corazze degli scarabei sacri egizi.
Le lunghe, impalpabili dita di quella donna sfiorarono il viso del cavaliere e un vago sorriso le increspò le le labbra esangui.
«Finalmente ti ho trovato.», gli sussurrò all'orecchio la donna con una dolcezza senza pari, come se il diavolo tentatore volesse rapirgli l'anima nell'ultimo afflato di vita che gli restava. Gli accarezzò teneramente i capelli sporchi di sangue, sudore e terra, senza paura di lordarsi la mano candida.
«Sei la Morte, non è vero? Allora prendimi, come hai preso tutti i guerrieri prima di me, ma non tentarmi, che Dio mi scampi almeno dal fuoco dell'Inferno. Voglio morire come un uomo degno delle insigne che porto», rispose il cavaliere, bloccando la mano d'ella con la propria tremante. Delirava, i tremiti di una febbre mortale gli facevano battere i denti: la Morte era china su di lui, che ne poteva contemplare il pietoso sguardo; possedeva una dolcezza tale da indurre al pianto sfrenato e liberatorio; gli appariva come una creatura pura e fragile come il vetro, come la luna che occhieggiava i cadaveri. E lei si aggirava su quella miseria umana con la grazia delle Dee greche ed egizie, pure e intoccabili, una novella Iside che ritrova il suo sposo e lo riporta alla vita.
«Dio? Lui non può ascoltarti, né salvarti, mio giovane cavaliere. Ma io posso e voglio. Tu non hai paura di abbandonare la vita, vero? Quale coraggio! A lungo ho seguito i tuoi passi e adesso ti ho scelto, per grazia della forza con cui affronti questo momento supremo: sarai mio.»
Lui non ebbe la forza di risponderle, la guardava con gli occhi velati e il respiro pesante, mentre si premeva le dita contro la ferita e sentiva il sangue inzuppargli la giubba e scivolargli, vischioso, lungo le dita. Non capiva, non comprendeva. Quela donna in mezzo a tanta desolazione non poteva essere che la Morte.
«No, mio cavaliere, non sono la Morte. Potrei, però, essere a Morte in Vita, per te. Sarai il mio capolavoro: dalla miseria umana, dalla sofferenza, dal fuoco del tuo coraggio, rinascerai come un eletto.»
La Morte in Vita gli sorrise in modo enigmatico e gli sollevò il capo, reggendolo per la nuca. Gli baciò le guance livide con le sue labbra seriche, cesellate come il marmo delle statue antiche.
La misteriosa donna seguì con la bocca il contorno della mandibola e poi scese sulla sua gola, sgranando un rosario di baci freddi che, però, cantavano di un desiderio fremente.
Poi furono delle zanne affilate a prendere possesso della gola del guerriero e ad affondare nella carne proprio dove l'arteria spiccava in rilievo.
Lui urlò un grido soffocato e gorgogliante e il sangue sprizzò e sporcò la bocca perfetta della donna – del Vampiro – di scarlatto e la fece mugolare di piacere insano.
Un dolore intenso percorreva ogni fibra del suo corpo e lui non riusciva a comprendere cosa stesse davvero accadendo. Il suo cuore batteva furiosamente e le sue pulsazioni gli riecheggiavano nelle tempie, assordandolo. Lentamente, però, la sofferenza cedette il posto ad una stordente sensazione di leggerezza e di piacere: il mondo freddo e grigio attorno a lui si animò di colpo e ogni suono e colore divennero più intesi. Poteva sentire il suo stesso sangue fluire da sé alla donna che se ne cibava, poteva avvertirlo come un fiume di vita che scorreva senza sosta da un corpo all'altro...
Il dolore così intenso e il piacere così potente divennero una cosa sola, martellante, ossessionante.
Il suo corpo reagì con uno spasmo involontario. Senza rendersene conto, serrò gli occhi e si abbandonò a quella che sembrava la fine più dolce e ad un pensiero quasi infantile: la Dama Nera – se davvero si trattava di lei – aveva posato le sue labbra pallide su di lui e stava bevendo la sua anima: un onore riservato a pochi.
La Vampira, quell'essere così squisito e grazioso che si era trasformato in una gatta soffiante e famelica senza ritegno, trangugiò il suo pasto bollente. Si morse il polso e glielo premette contro la bocca: il Sangue Tenebroso prese a scorrere e lei lo indusse a leccarlo e poi a berlo, con foga.
Il cerchio si chiuse, la grande alchimia del Sangue Oscuro si consumò in quello scambio e fu il suggello perfetto per l'opera appena compiuta.
La donna si scostò e osservò il proprio Sangue che operava lento ed inesorabile il prodigio dell'Abbraccio sul suo prescelto: ridisegnava ogni cellula e fibra di quel corpo umano, demoliva ciò che non sarebbe più stato utile e trasformava il resto.
Il dolore di quel momento fu la cosa che il guerriero non si sarebbe mai dimenticato: ascendeva a vette inimmaginabili di letizia e poi ricadde rovinosamente giù, sempre più giù, nel baratro di un abisso oscuro. Il Sangue Oscuro gli si annidò in ogni anfratto del corpo e vorticò, scivolò lungo ogni più minuscolo capillare come lava.
Infine, così com’era venuta, quella tremenda sofferenza cessò, e anche il palpitare del muscolo cardiaco si spense. La luce nei suoi occhi svanì, e la realtà perse consistenza. Il nulla lo circondò e l’oblio, per un tremendo attimo, cancellò ogni suo pensiero e rapì il suo ultimo respiro. Era morto.
Poi il cavaliere si rialzò, ed era tornato forte come prima, forse anche di più, eppure diverso. Si sentì come svuotato, e poi nuovamente riempito come un'otre.
Il Sangue Oscuro gli bagnava ancora le labbra e, quando lo leccò, assaporò fragranze che prima non aveva notato: el Sangue era antico e potente e lo aveva trasformato, c'era una sfumatura dolce e ferrosa insieme, un connubio ammaliante.
Saggiò la sua forza stringendo il pugno a più riprese; si accorse di poter vedere perfettamente nel buio e di distinguere i suoni e i colori come mai avrebbe immaginato nelle sue più torbide fantasie. Tutto aveva una nuova consistenza, tutto sembra più... vibrante, complesso, vivo.
Scorgeva sfumature e ombre mai colte in passato. Vedeva, insomma, la realtà con una profondità diversa.
Afferrò l’asta della freccia che si ergeva sul suo petto e la svelse senza fatica, gettandola via. La ferita si rimarginò all’istante, la carne preternaturale tornò intatta.
Era morto all'umanità, tutto ciò che restava di quelle spoglie umane era una chiazza viscida di quello che il suo corpo aveva appena espulso.
Era rinato. Era come lei, come la donna che lo osservava come una madre indulgente e che gli parlò in tono sommesso:
«In questa notte, tu sei morto e tornato alla vita. La Vita in Morte scorre dentro di te, assieme al mio Sangue Oscuro. La tua anima è incatenata al tuo corpo e perdurerai finché lo farà questa terra. Ora sei pieno della Grande Tenebra e assaporerai la vita come non l'hai mai vissuta. Vivrai eternamente, ma molti moriranno per mano tua. Il tuo unico sole sarà questa grande luna piena che ci abbraccia, figlio mio, da adesso e per sempre.»
Il cavaliere si voltò con uno scatto e guardò la Vampira sotto una luce diversa: la sua Creatrice, sua Madre nel Sangue.
«Cosa sono diventato? Perché io?»
La sua Creatrice gli si accostò e gli baciò le labbra e lui avvertì i suoi morbidi capelli serici contro la guancia e il profumo inequivocabile del suo Sangue tentatore.
«Ci sarà tempo per le spiegazioni. Adesso, però, ci attende la tua prima caccia.»
La Vampira si allontanò a passi lenti, quasi come se nulla potesse toccarla, né le bruttezze mortali e il lezzo dei cadaveri potevano scalfirne la bellezza.
Il guerriero restò immobile ad osservarla solo qualche istante, poi sentì l’urgenza del suo nuovo appetito, scoprì il ringhio della Bestia nascosta nel fondo del suo animo. Allora s’affrettò a seguirla e, in quel tragitto trionfale, capì che lei avrebbe dominato la sua esistenza per sempre.
Dietro di sé lasciò la pina in cui si erano affrontati gli eserciti delle Due Rose, muovendosi con un’agilità e una velocità che non avrebbe mai pensato di possedere.

***

Dopo qualche secondo di perfetta immobilità, il Vampiro si riscosse, camminando lungo il cornicione del palazzo con la destrezza di un felino. I suoi sensi, molto più sviluppati rispetto a quelli di un qualsiasi essere umano, gli garantivano un equilibrio perfetto ed un’ottima visuale anche con poca luce. I capelli castani gli incorniciavano il volto dai lineamenti leggermente squadrati e che dimostrava poco meno di trent'anni.
Andrew Gabriel Lancaster, secoli addietro, era sceso in guerra contro la casata degli York, e tutti lo avevano creduto morto, benché il suo corpo non fosse mai stato ritrovato. Nessuno aveva mai sospettato che un Principe dei Lancaster, in realtà, fosse stato trasformato in un Vampiro e avesse preso ad errare lungo in largo per la Bretagna assieme alla sua Creatrice.
Era uno dei più antichi e potenti Bevitori di Sangue di tutta l'Inghilterra e il territorio della città di York era casa sua. Era stato l’Immortale artefice del proprio destino: da quando era stato Abbracciato, erano svaniti tutti i suoi timori e le sue incertezze. Lui era sempre stato libero. Sopratutto, conoscere la verità sui Bevitori di Sangue e il loro approccio alle vicende umane da sua Madre era stato il primo passo per comprendere le dinamiche del mondo mortale.
La Guerra delle Due Rose era stata manovrata dai Vampiri che si contendevano il domino sulla Gran Bretagna, divisi esattamente in due fazioni come gli York e i Lancaster. Gli umani dele due casate venivano usati come mere pedine, senza che potessero sospettare alcunché.
Andrew si riscosse dai propri pensieri e spiccò un agile balzo, raggiunse il tetto di un palazzo più basso e, alla luce elettrica di un lampione, scorse due figure: le riconobbe entrambe. Il sangue non gli mentiva.
“Boris, quell'inutile succhia sangue di strada!”, pensò con un moto di ferocia.
Decise di mettere fine alla sua caccia notturna: la città di York era sua, non tollerava Revenant nel proprio dominio senza la sua autorizzazione e, ancor di più, detestava l'idea dei disordini che avrebbero potuto provocare aggirandosi in maniera così sconsiderata. Non aveva intenzione di dare il via ad una nuova caccia alle streghe, non nel ventesimo secolo. Amava la sua pace, l'anonimato con cui passava tra le strade confondendosi con gli umani e le cacce selvagge senza spettatori a disturbarlo. E, sopratutto, Boris stava mettendo le mani su una sua proprietà e questo poteva tollerarlo anche meno.

Boris torreggiava minacciosamente su quella che aveva eletto a propria preda.
Sogghignava, pregustando il momento in cui avrebbe affondato i denti nel collo della ragazza, squarciandolo. Troppo preso a trastullarsi nei propri pensieri famelici, Boris non si accorse che qualcuno lo sorvegliava.
Un guizzo, il rapido movimento di una figura vestita di nero, e il braccio di Boris, proteso ad agguantare l'umana, fu bloccato, mentre Allison venne spinta contro il muro.
Frastornata e scossa, la ragazza rimase immobile nel punto in cui era caduta. Ci vedeva doppio e le orecchie le ronzavano. Sbatteva le palpebre per tentare di vedere cosa stesse succedendo, ma tutto quello che riusciva a distinguere erano solo due macchie scure e delle voci. Voleva tirarsi su, ma le palpebre erano divenute improvvisamente troppo pesanti e la testa le girava.
Andrew non si curò minimamente della ragazza, ma strinse il polso di Boris con una forza indescrivibile e sentì distintamente lo scricchiolio sinistro dell'osso che minacciava di spezzarsi.
«Ti avevo detto di andartene. Non mi sembra un concetto tanto complicato da capire.», gli sibilò in tono calmissimo, asciutto, persino troppo per non trasmettere un soverchiante senso di pericolo.
Boris cercò di divincolarsi dalla sua stretta senza riuscirci. Il suo Sangue non era potente quanto quello del signore di York.
«Avevo fame», si limitò a giustificarsi Boris con un ringhio basso. Aveva la stessa aria inferocita di un cane a cui avevano appena strappato l'osso.
Andrew squadrò l’Upier e gli rivolse un sorriso di scherno. «Sei solo un misero animale senza cervello. Cacci nelle mie strade, senza alcuna autorizzazione e dove potrebbe vederti chiunque. Hai sprecato fin troppe possibilità di toglierti dai piedi.»
«Sei solo un pallone gonfiato che gioca a fare il principino. Questa città non ti appartiene più: verranno altri come me e se la prenderanno.», ribatté Boris e cercò di caricarlo con tutta la propria forza sovrannaturale.
Nel momento in cui l’Upier si abbatté su di lui, Andrew fece un unico balzo e assestò un calcio preciso e potente al collo del suo avversario: gli spiccò la testa dal resto del corpo.
Il cadavere di Boris ricadde all’indietro, tremando in preda ad orribili spasmi in una pozza di Sangue Oscuro. La testa rotolò ai piedi di Andrew: la schiacciò sotto la suola dello stivale con un tremendo suono di ossa e carni spappolate, fino a renderla una massa informe sull'asfalto. Pochi secondi dopo, il corpo del russo iniziò a divenire cenere e si disgregò completamente.
Andrew calpestò i resti del Vampiro – un mucchietto di cenere – senza tanti complimenti.
«Che inutile spreco di Sangue che eri, Upier.», mormorò, infilandosi le mani nelle tasche dell'impermeabile nero.
Si voltò e dedicò la sua attenzione alla ragazza svenuta per terra, soppesandola a lungo. Le si avvicinò, si accovacciò accanto a lei e la guardò con una punta di interesse maggiore. Non era affamato, ma l'odore del suo sangue familiare solleticò il suo istinto predatorio ed un sottile languore carnale: erano sensazioni che ad Andrew piacevano e gli evitavano il torpore che alle volte prendeva gli Antichi della sua razza, spingendolo ad amare ancora quel mondo mortale.
Finalmente, Allison si riprese e si ritrovò a fissare due occhi scurissimi. Occhi di tenebra.
Batté le palpebre e si fece sfuggire un basso lamento, mentre si massaggiava la testa e strisciava la schiena contro il muro, rimettendosi dritta.
Andrew non fece una piega e le tese la mano, con naturalezza. «Tirati su, ragazza!»
Allison, intontita, fissò la mano tesa, diffidente. «Che è successo? Chi sei? E dov’è finito quell’uomo?»
Il Vampiro le sorrise, vagamente irridente. «Troppe domande in una volta sola, non trovi?»
Dopo una breve pausa, la afferrò e la rimise in piedi senza troppi complimenti.
«Era soltanto un ubriacone, probabilmente voleva rapinarti. Ma è scappato appena sono arrivato.», mentì con noncuranza. «Ma dovresti fare più attenzione, ragazza, se non vuoi incontrare il lupo cattivo.»
«La prossima volta che mi troverò a recitare la parte della fanciulla in pericolo, saprò chi chiamare, allora.», rispose Allison con lo stesso tono ironico. Si fece di colpo seria, mentre stringeva ancora la mano del ragazzo. «Grazie per avermi aiutata.»
«Nah, lascia stare! Stasera mi sentivo... buono.», commentò Andrew con un accenno di sorriso bieco Il contatto prolungato con la mano della ragazza gli piaceva, amava il tepore che emanava. Eppure, quando sentì il fremito della Sete, fu il primo a rompere quel contatto e ad allontanarsi di un paio di passi. «Beh, ci vediamo.»
«Aspetta! Permettimi di sdebitarmi con te: ti offro un caffè. Charlie's, all'angolo, a quest'ora è ancora aperto e sforna le brioche calde.», propose Allison, stavolta con un accenno di maggior premura.
Andrew diniegò con un cenno : «Sarà per la prossima volta.»
Con passo agile, le mani ficcate nelle tasche dei calzoni, si allontanò tra le volute di condensa di un sistema di climatizzatore attaccato al muro del palazzo.
“Che tipo!”, pensò Allison, mentre si incamminava a propria volta, stringendosi nella giacca, attentissima a dove metteva i piedi, stavolta.
A casa, si mosse nel familiare buio e raggiunse la camera da letto. Era così stanca e scossa che lasciò tutti i vestiti in disordine per terra.

***


«Ho sentito dire che hai eliminato l’Upier, Andrew.»
Con passo lento, un uomo biondo e dai lineamenti senza età – poteva avere cinquant’anni come venti – attraversò il Ponte di Lendale e si avvicinò ad Andrew, tra le mani mescolava delle carte francesi, l'abilità dei bari tra le dita. Gli pose una mano sulla spalla con una evidente confidenza e un che di cameratesco.
Andrew voltò di poco la testa, giusto per riuscire a guardare il profilo del suo amico.
«Vedo che le notizie corrono, Caleb. Ma anche tu hai mantenuto il vizietto del gioco d'azzardo, mh?», rispose con malcelata ironia e una punta di cinismo, prima di chiosare: «Lo sai che odio i forestieri.»
Sotto di loro, il fiume Ouse scorreva veloce e la sua voce riempiva il silenzio della notte. I lampioni erano ancora accesi e illuminavano i battelli ormeggiati sulla sponda destra del fiume che beccheggiavano pigramente.
«Quindi odi anche me, vecchio mio?», domandò Caleb con tono serissimo e apparentemente offeso. Subito dopo fece spallucce: «Vorrà dire che resterò a Norwich e non verrò più a trovarti.»
Andrew sapeva bene che Caleb scherzava: poteva ingannare chiunque, tranne lui che lo conosceva da secoli. Per Caleb aprì la sua mente e lasciò che la corrente dei suoi pensieri fosse agilmente leggibile all'altro Vampiro che, dal canto suo, rimase assorto, catturato da quell'improvviso profluvio di immagini, voci e sensazioni.
«E così, Andrew ha fatto una buona azione!», lo canzonò Caleb quando smise di leggergli la mente.
«Simpatico.», commentò Andrew con un pizzico di alterigia. «Comunque, non è tutto. Io quella donna la conoscevo da ben prima di incrociarla faccia a faccia stasera. Due mesi fa, mentre ero a caccia, ho avvertito una chiamata: era così forte che non potevo ignorarla. Era il richiamo del sangue, dolce, dolcissimo sangue. Così, spinto dalla Sete, mi sono ritrovato davanti ad un vecchio palazzo ad arrampicarmi su per la scala anti-incendio. Spiai in ogni finestra, mi feci spettatore delle vite di quegli appartamenti: un'anziana che dormiva con la sua nipotina e il gatto acciambellato ai piedi del letto; un uomo che russava mentre la moglie tentava di prendere sonno; un paio di ragazzi che giocavano ai videogiochi e bevevano birra... poi lei.
Era sola in quella casa immersa nella penombra e nel silenzio. Mi divertì ad esplorare l'appartamento e tutto parlava di lei: la spazzola lasciata sul comodino, la sveglia puntata ad una certa ora, il tramezzino lasciato in un piatto sul lavello della cucina...
Intanto la mia sete cresceva, l'avevo spinta fino allo spasmo e, quindi, sedetti accanto a lei, sul bordo del letto. Mi bastò sfiorarla per vedere nello specchio dei suoi sogni e leggere i suoi pensieri: passeggiava in un giardino che, per me, era familiare. In quel sogno che io avevo turbato con la mia presenza, si offrì a me spontaneamente. Il suo corpo si arrese sotto il tocco delle mie dita e, nei suoi sogni, mi chiamò. La morsi senza che lei si opponesse, né che si svegliasse, tenendola stretta contro di me come se fosse stata la mia ancora di salvezza. Bevvi e bevvi, mentre quel corpo fremeva contro il mio e sentivo il deliquio impossessarsi di me, il piacere sconvolgermi nel profondo e il gemito della Bestia sazia che mi sfuggiva dalle labbra sporche. Le regalai in cambio la delizia dei sensi e un sogno meraviglioso.
Così, ogni volta che la sete si fa sentire, lei mi chiama, ed io la raggiungo. Come se lei sapesse che ho bisogno di nutrirmi, mi attira con un potente richiamo psichico che si manifestava mentre dorme. Da allora ho iniziato ad orchestrare per lei sogni ovattati e , in cambio, ho preso il suo sangue. La sua singolare capacità, però, mi sorprende, non credevo vi fossero umani con doni simili o, almeno, non che non ne fossero consci. Questa cosa mi manda ai pazzi, sai? Questa donna, senza saperlo, mi chiama e si dona a me, la sua vita è nelle mie mani e, per giunta, lei non se ne rende conto. Stasera, quando l'Upier l'ha attaccata, ho sentito un violento spasmo: è roba mia, il suo sangue mi appartiene, non mi andava l'idea di dividerla con un qualche miserabile rifiuto dell'eternità.»
Caleb rifletté per un momento, ma sembrava anche piuttosto convinto di quanto rispose: «La storia è interessante. Ma avermela raccontata non ha risolto i tuoi dubbi e ne ha fatti venire a me, a quanto pare. Mi sembra chiaro un unico punto, però: la mortale ti interessa, il che è senza dubbio singolare. Dopo così tanti anni, il fatto che gli esseri umani ti suscitino ancora curiosità e domande è positivo, significa che non sei ancora divenuto arido. Il mondo riesce ancora ad avere il suo fascino su di te e puoi scongiurare il pericolo che ti sia venuto a noia.»
«Non mi è mai sfiorata l'idea di sprofondare nel torpore dei Vampiri, a dire il vero.», replicò Andrew. Il suo volto non aveva espressioni, liscio come i lineamenti di una statua dimenticata su quel ponte per caso, ma si accese di una scintilla di vitalità quando aggiunse: «Il sangue esercita un fascino troppo potente su di me, perché vi rinunci per una dormitina.»
«Hai bisogno di risposte, amico», interloquì allora Caleb. «Se la ragazza è dotata di qualche potere paranormale, potrebbe essere un buon soggetto di studio...», insinuò con un accenno di puro cinismo.
«Ho bisogno di tornare alla cattedrale. Non ci viene nessuno da anni, è perfetta: ti offro un rifugio per il giorno.», gli rispose al contrario Andrew, asciutto.
D’un tratto, infatti, gli occhi dei due Vampiri si volsero al cielo. Il loro sangue vampiresco li aveva messi in allarme: presto sarebbe sorto il sole.


 

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Note della autrice:

Questa storia è stata scritta per:

→ il contest: “Left Behind – storie di ruggine e abbandono” indetto da Tsunade e InoChan sul forum di EFP.
I pacchetti usati sono:
- Sussurro (Oggetto: Lettera rovinata; Persona: Ragazzo)
- luogo: http://en.textsave.org/FErb

Qui il luogo viene introdotto per ben due volte, la prima è l'accenno nel sogno di Allison, la seconda è proprio alla fine del capitolo, quando Andrew ci invita Caleb.
Gli altri elementi del pacchetto “sussurro” verranno utilizzati in seguito.

→ il contest: “The anatomy of a soul”, indetto da Rondini, sempre sul forum di EFP.
Il pacchetto usato è “Vena porta (la vena porta è il principale elemento costitutivo del sistema portale epatico, una circolazione propria del fegato. L’ho collegata all’espressione avere fegato)”:
- prompt: coraggio.
- genere: Generale.

Spendo due parole sul prompt “coraggio”. Qui, nel primo capitolo, è presente sopratutto associato ad Andrew ed è la motivazione per cui viene scelto e trasformato in un Vampiro, quindi ha una certa rilevanza sul personaggio.
Ho deciso di utilizzare il prompt anche come “assenza di coraggio”, ovvero nella circostanza dove Allison prova paura.


Notizie sparse:
Upier è il nome di un tipo di Vampiro originario della Polonia e della Russia.
I fiumi Ouse e Fosse, e il Ponte di Lendle sono elementi reali della città di York.
Ho scelto come sfondo della storia di Andrew la “Guerra delle Due Rose”, perché l'idea mi attirava, visto che non mi è mai capitato di scrivere nulla su quel periodo.

 

   
 
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