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Autore: Melian    15/12/2014    2 recensioni
«Mike, credo che – togliendo le superstizioni, le leggende e tutto il resto – i fatti ci dicano una sola cosa, un'unica verità.», esordì con voce bassa e tremolante di eccitazione.
«No, Allie, ti prego, non vorrai davvero dirmi che...», la implorò Michael.
Allison era sognante: «Mike, già vedo il titolo del nostro reportage in prima pagina: “Il Serial Killer Vampiro colpisce ancora”.»
[Quarta classificata e vincitrice del "Premio Atmosfera" al contest "Left Behind – storie di ruggine e abbandono” indetto da Tsunade e InoChan sul forum di EFP]
Genere: Azione, Generale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO III: LA CATTEDRALE

 

Allison si appoggiò allo schienale della sedia e distolse lo sguardo dai fogli, passandosi una mano sugli occhi stanchi. Sorrise a Michael appena lui le allungò il bicchiere contente una cioccolata calda e uno snack dall'incarto tutto colorato.
«Grazie, Mike.», mormorò con un filo di voce.
«Va tutto bene, Allie? Mi sembri turbata.», chiede Michael, sedendosi sulla propria sedia. Si diede un paio di spinte con i piedi, facendo volteggiare giocosamente la poltroncina girevole.
Allison sorrise nel guardarlo e lo rassicurò: «Tutto okay, sul serio. Piuttosto, ho avuto un'idea per cercare di scovare qualche indizio interessante sulla faccenda del serial killer.»
«Presunto serial killer, Allie. Presunto
«Sì, sì, fa lo stesso!», ribatté la ragazza con una punta di impazienza nella voce e gli rifilò un cenno della mano. «Dicevo, l'idea era quella di andare sul campo. E intendo dire confondersi tra la gente, infiltrarsi, ecco!»
Mike la fissò con aria incredula e un po' dubbiosa. Fermò la sedia e si riaccostò alla scrivania con un movimento secco e uno stridere delle rotelle contro il pavimento.
«Vuoi travestirti da tossicodipendente o da barbona o da poveraccia?»
«Perché no? Magari anche fingermi straniera, dato che sono queste le categorie maggiormente prese di mira per questi omicidi. Se è vero che c'è un assassino a piede libero, magari è il metodo migliore per scovarlo.», spiegò Allison e aprì la confezione del suo snack come niente fosse, dandogli un morso.
Michael rimase in silenzio e la fissò gravemente. «Questa è l'idea più stupida che abbia mai sentito! Non ti permetterò di giocare alla piccola detective e, magari, farti uccidere. Allison, levati questa follia dalla testa!»
«Mike, non mi succederà niente. Voglio solo provare a sondare un po' il terreno e scoprire la verità.», si schermò Allison con una smorfia di disappunto e una maschera di testardaggine ben in mostra.
«Tu ti credi coraggiosa, ma sei solo una vera incosciente. Fare tutto questo per una promozione, ne vale la pena? Siamo andati anche oltre e Sisley non credo ci paghi gli straordinari o...»
«D'accordo, d'accordo! Hai vinto.», dichiarò Allison con un sospiro.
«Promettimi che non farai niente di stupido. Anzi, giuramelo! Dico sul serio.»
Allison non rispose.

«Ricordami come hai fatto a convincermi ad essere qui e adesso.»
Michael stava battendo i denti per il freddo e si strofinava le mani con foga, cercando di scaldarsi. Si alitò sui palmi, mentre camminava avanti e indietro e fissava Allison in cagnesco.
«Diamine, a quest'ora potevo essere al pub con gli amici.»
Allison rimase a fissarlo con un sorriso furbo sulle labbra e con un'espressione volitiva che rendeva superflue le considerazioni del suo amico.
«Semplicemente, sono piuttosto convincente.», ironizzò.
«Sì, certo, solo perché fai leva sul fatto che non ti avrei mollata da sola qua in mezzo.»
Si trovavano nella periferia della città, ai margini della York vitale e ridente, dalle case caratteristiche in pietra e con i prati verdi tagliati all'inglese. Nei sobborghi, la vita degli emarginati era simile a quella condotta in qualsiasi altra parte del mondo: barboni, drogati e spacciatori, stranieri senza fissa dimora e prostitute si alternavano su un palcoscenico ben poco invitante, fatto di cartoni e stracci sporchi, siringhe usate e bottiglie spaccate lasciate contro muri scrostati dall'urina e cassonetti dell'immondizia. dove i cani si litigavano degli avanzi.
Tuttavia, se proprio volevano cercare di capire di più degli omicidi di York, Allion e Michael non avevano avuto alternativa: dovevano infiltrarsi tra quella gente sfortunata e i delinquenti e pregare di riuscire ad ottenere qualche indizio o, almeno, qualche storia degna di essere pubblicata sul Daily York.
Quindi,si guardavano freneticamente in giro, cercando al contempo di evitare di attirare troppa attenzione su di loro da parte dei frequentatori abitudinari del quartiere che avevano scelto per iniziare le indagini.
«Sono le tre di notte e non è successo niente di che, a parte il principio di una rissa su chi avrebbe dovuto fregarsi il materasso lercio nell'angolo.», riassunse Michael ad un certo punto, in tono neutro.
Allison fece una smorfia di disappunto: doveva ammettere la sua sconfitta, non era accaduto nulla di realmente rilevante. Preda dello sconforto, si sedette sul marciapiede accanto al ragazzo e si tirò via il cappello di lana che le imprigionava i capelli raccolti in una coda di cavallo. Era davvero delusa.
«Dai, andrà meglio la prossima volta.», cercò di confortarla Mike, poggiandole una mano sulla spalla.
Rimasero a fissare la strada dove tre prostitute, in abiti succinti e trucco sgargiante, passeggiavano su tacchi vertiginosi. Passò un'auto nera, poi un solitario furgoncino dalla marmitta sputacchiante fumo nero, infine ci fu una relativa tranquillità.
«Ehi, tesoro, vuoi divertirti con noi, stasera?»
Allison rimase ad osservare di sottecchi una delle prostitute, quella dai capelli di un biondo slavato, attaccare bottone con un uomo che si era fermato sul marciapiedi, vestito con una giacca e un maglione a collo alto, pantaloni dal taglio classico e scarpe lucide e nere. Si trattava di un uomo distinto, dai cappelli di un bel biondo e gli occhi di un grigio insolito, una tonalità che, al riflesso di un lampione dall'altra parte della strada, sembrava quasi perlaceo. Ma, forse, era solo la sua immaginazione che le giocava brutti tiri.
«Dove hai messo l'auto, mh? Non vorrai andare in giro a piedi, vero?», chiese la seconda prostituta reggendo una sigaretta tra le dita dalle unghie lunghe e smaltate.
Allison rimase ad osservare la scena con una sorta di repulsione innata al pensiero che quelle donne fossero costrette a vendere il proprio corpo e che ci fossero uomini disposti a pagarle per intrattenersi con loro. Tuttavia, era attratta da quanto stava accadendo in maniera singolare, come se un sesto senso le sussurrasse all'orecchio. Diede una leggera gomitata a Michael al suo fianco e gli indicò con il mento il gruppetto poco distante.
L'uomo, dal canto suo, stava sorridendo alle tre donne e non rispose, ma cavò dalla tasca diverse banconote che fece sventagliare a mezz'aria. Senza badare a quanti soldi stesse spendendo, aveva appena riempito le mani delle sue tre interlocutrici.
«Oh, sei un tipo di poche parole ma che sa come trattare. Allora, tesoro, dove vuoi andare? Posso esaudire tutti i tuoi desideri, per questa somma.», mormorò suadente la bionda, risultando però solo troppo allusiva e volgare.«Tesoro, non voglio null'altro che un bacio.», rispose allora l'uomo con una voce bassa e morbida che suscitava sottili brividi. Aveva qualcosa di magnetico, tanto che le prostitute rimasero in silenzio ad osservarlo, affascinate.
Il cliente si accostò alla donna e le accarezzò il viso con la punta delle dita; carezze leggere e fugaci con cui disegnava il profilo di quel viso gonfiato dalla droga e dai maltrattamenti. Lui, però, sembrava non farci caso e, anzi, la sfiorava come un fiore raro nel mezzo del deserto.
Allison rimase ad guardare, trattenendo il fiato. Michael si sforzava, intanto, di capire il motivo dell'interesse della sua collega.
«Hai le mani fredde.», mormorò la prostituta, con la voce tremante e persa.
Stava davanti al suo cliente e lo osservava come preda di un incantesimo, meravigliata da quel contatto così delicato. Le sue due amiche, a giudicare dai loro sguardi, la stavano invidiano: erano davvero rari gli uomini che le trattavano così bene.
«Lo so, per questo ho bisogno di te e del tuo calore, della tua sfolgorante umanità, amore mio.», interloquì l'uomo, con una galanteria spropositata e i modi sensuali di chi corteggia la propria innamorata. «Così, lascia che ti baci.», le sussurrò ancora e si accostò maggiormente a lei, lasciando vagare la mano lungo la guancia e poi oltre, lungo la linea della mascella e il profilo del collo.
Si piegò su di lei, mentre con il braccio libero le cinse la vita. In un susseguirsi di gesti lenti e languidi, l'uomo la strinse a sé e la prostituta gemette di piacere, annebbiata da un turbine di sensazioni che non riusciva a descrivere o afferrare.
Le labbra dello splendido seduttore si posarono sul collo decorato da una catenella d'argento e la prostituta si sciolse del tutto, si abbandonò tra le braccia dello sconosciuto; si strinse improvvisamente a lui, muovendo le anche come a cercarne una vicinanza più intima e carnale.
«Ti prego, fallo!», ansimò confusamente.
Allison strinse con forza le dita contro il polso di Michael e sgranò gli occhi: quell'uomo stava affondando i denti nella gola della sua preda!
«Mike, è lui! La fotocamera, presto!»

Caleb socchiuse gli occhi, abbandonandosi al piacere sublime del sangue che gli riempiva la bocca e si incollava dolcemente al palato, prima di scivolare nella sua gola e diffondersi in ogni cellula del proprio corpo preternaturale. Il sangue, benedetto sangue! Com'era buono, con quel retrogusto salace e ferroso, e tutta la potenza con cui gli scorreva tra le labbra!
La sfortunata creatura che stringeva nell'arco delle proprie braccia era una delle tante a cui si accostava, esattamente come faceva Andrew. Ma lui, a dispetto del signore di York, sarebbe stato molto più attento a non lasciare tracce della propria presenza. Avrebbe, infatti, bevuto il necessario per sopravvivere, senza uccidere la donna che gli tremava contro il petto.
Com'era bella, nella sua miseria e nei suoi pianti, tra i lividi e gli stupefacenti. Com'era viva, così tenacemente legata alla sua esistenza sui marciapiedi, nella sua gabbia di disperazione e dipendenza. Era bella e sorprendente in quanto viva, il suo cuore gli parlava con eloquenza e il sangue gli sussurrava mille parole.
Cercò di ritrovare la propria coscienza in quel mare scarlatto in cui la sua Sete si quietava e si perdeva, ed emerse lentamente, staccando le labbra dal collo della vittima e intrufolando la lingua nei larghi fori creati dai suoi denti: fermò l'emorragia, guarì la ferita a regola d'arte.
Un flash.
Poi un altro flash.
Caleb sollevò lo sguardo e individuò Allison e Michael e la piccola macchina fotografia digitale che lo aveva immortalato. Comprese immediatamente il pericolo in cui si trovava e il valore delle foto che gli stavano scattando.
“No!”, pensò con un moto di rabbia ferina. Lasciò andare la prostituta come se non contasse più nulla e le altre tre gli urlarono contro, chinandosi a sostenere la loro amica.
Ma Caleb aveva un pensiero fisso e, appena vide che i due ragazzi stavano per darsi alla fuga, si gettò al loro inseguimento, un inseguimento breve, perché con uno scatto velocissimo tagliò loro la strada.
«Ehi, amico, ragioniamo un momento...», Michael sollevò appena le mani e la sua voce si colorò di un accenno di panico. Non ebbe il tempo di dire null'altro che Caleb lo colpì con una potente manata e lo fece sbattere contro un cassonetto con un gran fracasso.
«Mike, no! Oh mio Dio!», esclamò Allison tremando per la paura.
Si avvicinò a lunghi passi alla fotocamera e osservò la ragazza; la propria ricettività gli consentì di cogliere qualche frammento dei suoi pensieri.
“Serial killer.”, fu la prima cosa che individuò, nella matassa confusa di Allison. “Vampiro.”, lesse ancora. “Lo sapranno tutti, sarà sul giornale e in tutti i notiziari!”
«Tu?», mormorò con un modo di sorpresa: l'aveva riconosciuta dai ricordi di Andrew.
Con una smorfia ferina, Caleb schiacciò sotto la suola della scarpa la macchina fotografica, mandandola in mille pezzi. Poi, con impeto, si chinò e afferrò Allison di peso.
«Stai ficcando troppo il naso in faccende che non ti riguardano e che farebbero meglio a rimanere sepolte.»
«Lasciami andare!», urlò la ragazza e si dimenò, cercò di spintonarlo con tutte le sue forze, ma fu inutile: Caleb la strinse più forte, fin quasi ad averla faccia a faccia.
«Temo proprio che tu sia divenuta un problema, ragazza mia. Non credo proprio sia possibile lasciarti andare. Andrew deve farti un discorsetto»
Allison rimase impietrita a fissare il Vampiro. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte come volesse dire qualcosa, ma fu sicura di non essere riuscita ad articolare parola. Tutto il suo coraggio si dileguò nell'istante in cui gli occhi di Caleb furono nei suoi e sentì il gelo della sua pelle contro la propria, l'abbraccio granito in cui la teneva prigioniera.
Era in trappola, Michael era rimasto svenuto dopo quella botta tremenda e lei non poteva fare nulla per aiutarlo, né per aiutare se stessa.

 

***

 

Sono il vuoto, sono tutto ciò che esiste, sono in ogni foglia del bosco, in ogni goccia di rugiada, in ogni particella di cenere che l'acqua trascina via, sono nulla e tutto il resto in questa vita e in altre vite, immortale.”

(Isabelle Allende)

 

 

Andrew attraversò un sentiero invaso dall’erba ormai dimenticato da tutti. Filari di rose bianche e rosse crescevano e si aggrovigliavano.
La luna era solo uno spicchio timido dietro le basse e dense nubi grigie che veleggiavano sospinte dal vento pungente dell'autunno. Si poteva prevedere e annusare la pioggia.
La cattedrale aveva una facciata che si apriva in due ampie arcata e si innalzava grazie alla torre del campanile con le sue finestre bifore e il piccolo tetto piramidale; lateralmente si snodavano i due bracci della navata su cui si aprivano altissimi archi gotici su due livelli, tuttavia il tetto non c'era.
Sulle vecchie mura di pietre, l'edera e il muschio si erano avvinghiate con tenacia e colorato tutto di una moltitudine di tonalità di verde e marrone.
Tutta la natura si era riversata all'interno della chiesa e, lenta ed inesorabile, l'aveva reclamata per sé: laddove c'erano le panche, si allungava l'erba; laddove c'era l'abside con l'altare, adesso c'era un intrico di viticci e foglie.
Si udiva, sommesso, la voce del ruscello che correva nella falda sotterranea e che, adesso, era pienamente visibile sotto al ponticello proprio accanto all'edificio.
Andrew vi camminava come un fantasma strappato a tempi remoti, silenzioso e lento.
Quante volte era tornato in quella cattedrale? Quanti secoli prima era stata abbandonata e lui ne era l'unico visitatore?
Vecchie statue e vecchi affreschi lo osservavano con occhi dolenti e meravigliati oltre il velo fitto della polvere, ammantati del loro sacro segreto. Forse lo giudicavano, eppure Andrew non lo sapeva e no non se ne curava.
Si fermò davanti all'abside e, alle sue spalle, osservò le canne dell'antico organo: simili a fusti d'albero cavi e mangiati dalla ruggine e dalle intemperie, alcune di esse si accoccolavano l'una sull'altra, quasi dormienti. Il Vampiro si sorprese a pensare che, un tempo, quello strumento aveva riempito il greve silenzio della cattedrale e accompagnato il salmodiare dei monaci.
Lui era stato sepolto proprio lì: in una nicchia, infatti, c'era il sarcofago con il coperchio scolpito nelle sembianze di un cavaliere con una spada stretta tra le mani. L'incisione sul marmo recava il suo nome. Almeno, questo era ciò che il mondo sapeva di lui: morto in battaglia, da cavaliere e principe di York.
La sua famiglia doveva aver sofferto per la sua assenza, quando ogni ricerca divenne vana e lui sembrò come svanito, risucchiato dalle terra della Gran Bretagna.
Andrew passò la mano contro il coperchio del sarcofago e fece scivolare via il terriccio che vi si era depositato e una vecchia ragnatela.
Non a tutti è data l'occasione di assistere al proprio funerale, dopotutto. A quel tempo, nascosto e ammantato dal buio, aveva udito le orazioni e le ultime parole di suo padre, osservato sua madre asciugarsi gli occhi arrossati con un fazzoletto e la giovane ammantata di un velo nero con le mani compitamente serrate in grembo. All'epoca, aveva provato una morsa improvvisa allo stomaco: la sua promessa sposa era divenuta vedova anzitempo. Andrew aveva provato l'imperante impulso di correre da lei e svelarsi nella sua nuova natura, ma la sua Creatrice lo aveva fermato con un gesto improvviso, serrandogli le candide dita contro la spalla.
«Adesso, per loro e il mondo, tu non esisti più. E così deve rimanere. Lo capisci, vero?»
Andrew aveva ascoltato quel sussurro stringendo i denti e serrando gli occhi. Sì, lo capiva: non avrebbe potuto svelarsi a nessuno, mai più. La solitudine non gli era pesata mai tanto come in quell'istante.

Caleb lasciò cadere Allison di peso per terra, ma ebbe l'accortezza di depositarla su un mucchio di foglie rosse, gialle e marroni che, sotto il peso della ragazza, scrocchiarono rumorosamente.
Allison rimase immobile per terra, il respiro ansante e gli occhi sgranati e le pupille completamente dilatate: l'adrenalina che correva nel suo corpo la faceva tremare e battere ferocemente il cuore.
Ai sensi di Caleb, quello spettacolo non passò inosservato e, anzi, il Vampiro la fissò con un guizzo predatorio e un fugace umettarsi delle labbra.
«Alzati.», le disse con voce bassa e arrochita.
«Dove siamo?», domandò invece Allison, fissandolo con un improvviso impeto di coraggio, mentre lentamente si risollevava sulle ginocchia e indietreggiava gattonando.
«In uno dei nostri rifugi. Devi ringraziare Andrew, se sei ancora viva.», ribatté Caleb e, allora, la sollevò di peso afferrandola per un braccio.
«Andrew? Io non so di chi tu stia parlando. Cosa hai fatto a Michael? E... e chi sei? Cosa sei?»
Caleb la lasciò andare e si passò una mano tra i capelli con l'atteggiamento scanzonato di un seduttore, ma il suo sguardo possedeva una scintilla ferina che alla ragazza non passò inosservata.
«Il tuo amico avrà solo un bel mal di testa e male alle tasche, visto che dovrà ricomprarsi la sua fotocamera. Per quanto riguarda chi sono, è semplice: Caleb, signore di Norwich. Il cosa... beh, tesoro, sembravi molto convinta della risposta, in città.»
«Sei il serial killer.»
Caleb le fece un gesto rapido, interrompendola. Scosse il capo.
«Serial killer? Ragazza mia, non mi permetterei mai di rivaleggiare con la peggiore feccia umana che chiamate “assassini seriali”. Già, gli esseri umani possono essere molto più mostruosi dei veri mostri o, almeno, di quelli che vi affannate a vedere come tali.»
Allison non rispose subito, rimase ad osservarlo come farebbe un cervo con il lupo.
«Ma tutti quei morti trovati senza sangue...»
«Cosa vuoi che ti dica? “I Vampiri esistono e siamo in mezzo a voi”? Mi sembra una frase un po' scontata e banale da rifilare ad una giornalista, non ti pare?», le chiese Caleb in tono retorico e poi le passò un mano sui vestiti, spolverandoli dalle foglie rimaste impigliate. «Vai da Andrew. Io non ho altro da dirti.»
«Dov'è?», mormorò Allison in tono ansioso e seguì il dito di Caleb che gli indicava uno scheletro di pietra che sfidava il tempo.

Allison si sentiva quasi in soggezione dinanzi allo spettacolo che stava ammirando. Procedeva in silenzio, quasi non volesse disturbare gli alberi secolari che costituivano il tetto del bosco nel quale si trovava, lungo un antico sentiero coperto da foglie morte, un tappeto variopinto di rosso, marrone e arancio.
Quando raggiunse la vetusta cattedrale, ne contemplò la facciata preda di sentimenti contrastanti: voleva scappare, trovare qualcuno a cui chiedere un telefono e un passaggio per tornare rapidamente in città e sapere come stesse Michael, ma voleva anche entrare e, facendo appello a tutto il suo coraggio, scoprire la verità.
Andrew era lì dentro? L'uomo che l'aveva aiutata e con cui aveva riso e scherzato una domenica pomeriggio era coinvolto in quei casi di strani omicidi? Andrew era un Vampiro? La sua parte più razionale rifiutava categoricamente quell'idea; eppure adesso che poteva toccare con mano le risposte alle sue supposizioni, il suo istinto la spingeva a crederci.
Allison camminava come immersa in un sogno, lasciando dietro di sé orme ben visibili sul pavimento impolverato; il rumore dei suoi passi riecheggiò nella chiesa sconsacrata e si dilatò.
Ad Allison sembrò di trovarsi in un giardino: ovunque crescevano rose selvatiche, rosse e bianche; non ne aveva mai viste tante e tutte insieme in un luogo simile. F
All’ombra del colonnato, una figura di marmo sbiadita e coronata d’edera che la attrasse: Allison sfiorò la mano di una statua della Vergine dagli occhi vacui e dai piedi intrappolati dalle spine dei cespugli di fiori.
Si guardò attentamente in giro, sforzando la sua vista alla luce rada dello spicchio di luna che penetrava obliqua dall'alto.
«Caleb non avrebbe dovuto portarti qui, ma posso comprendere perché lo abbia fatto.»
Allison si irrigidì e si voltò di scatto, il cuore in gola. Frugò il buio con occhiate febbrili, fino a quando scorse Andrew comodamente sdraiato su una vecchissima panca di marmo.
«Mi hai ingannata.», rispose lei con una nota di risentimento nella voce.
Andrew non replicò. Tuttavia, nella frazione di tempo in cui Allison battè le ciglia, le fu addosso e le strinse i polsi, avvicinando il viso a quello di lei fin quasi a sfiorarla.
«La menzogna è soggettiva, quanto la verità. I sogni, Allison, sono bugiardi e fugaci quanto la realtà, che – a sua volta – altro non è che il modo soggettivissimo con cui avvertiamo e interpretiamo ciò che ci circonda. Quindi, è assai relativo che tu possa sentirti o meno ingannata.», mormorò Andrew in tono ozioso. La trattenne in una presa salda, ma gentile.
«Quindi, l'uomo che mi aveva aggredita non era un malvivente, ma...»
«Un intruso nel mio territorio, esatto. Vedi, Allison, il mondo dei Vampiri si regge su fili sottili, dove spesso il più antico, o magari il più furbo, pretende che le leggi della città su cui detiene il proprio potere e la propria signoria siano rispettate.»
«Potevi lasciare che mi uccidesse, proprio come tutti quei morti arrivati sul tavolo del coroner.»
Andrew sorrise appena e allungò le mani, fino ad intrecciare le dita con quelle di Allison, in una danza di gesti lenti e languidi che conduceva con maestria e noncuranza, mentre continuava a spiegarle sottovoce e pazientemente.
«Non hai ascoltato. York è la mia città e nessun Bevitore di Sangue può cacciarvi senza il mio permesso, sopratutto lasciando tracce in maniera grossolana e sfacciata: non amiamo essere sorpresi mentre ci nutriamo, come non amiamo che gli esseri umani si facciano strane idee su di noi. Meglio che parlino di leggende, folklore, libri e film, che ad Halloween si travestano con mantelli neri e canini finti o che ci interpretino su palcoscenici o nei giochi di ruolo. Quei morti su cui hai voluto indagare non sono altro che le vittime della millenaria legge della natura, dove la preda soccombe al predatore.»
Allison avvertì un brivido scuoterla fin nelle viscere a quelle dichiarazioni tanto crude quanto brutalmente sincere. La morsa allo stomaco venne alimentata dallo sguardo di Andrew che le scivolava addosso e le scavava dentro come una lama rovente.
«Non volete pubblicità, ho capito. Quindi non devo pubblicare il mio articolo, né devo andare in giro a cercare Vampiri nascosti tra le strade. Ora puoi lasciarmi andare, direi: anche se lo facessi, nessuno mi crederebbe. Sai, è proprio come dici tu: nel nuovo millennio, non c'è posto per le antiche paure e i vecchi mostri, li esorcizziamo imitandoli, scrivendo e leggendo di loro, scherzandoci su. Nessuno crederebbe ad una sola parola del mio articolo.»
«Hai in te uno strano miscuglio di decisione e fragilità, paura e coraggio.», si limitò a commentare Andrew, ma non la lasciò andare.
«Sono semplicemente umana.», si difese Allison immediatamente.
«No, c'è qualcos'altro in te, Allison. Qualcosa che non conosci, che appartiene al tuo inconscio, alla parte più profonda di te, dove il tuo cervello non riesce ad arrivare quando sei sveglia e lucida. Questione di sistema limbico, credo.», le assicurò Andrew e le fece sollevare e allargare lievemente le braccia, come volesse cullarla e sorrise quando avvertì il turbamento di lei, lo sfarfallare nervoso delle ciglia, il socchiudersi delle labbra imbronciate, l'oscillare del suo corpo nell'attimo del dubbio.
«Come sei freddo! Gelido e asettico come un essere vuoto. Non avrei mai pensato che fossi così, in realtà.» Allison era delusa e contrariata e, adesso, c'era della sfida nei suoi occhi; tentò di divincolarsi dalla sua presa.
Andrew non la lasciò andare, se non dopo diversi tentativi da parte della donna, in un movimento lento e calcolato. Rimase al suo posto anche quando lei indietreggiò e andò a sbattere contro una nicchia e un vecchio sarcofago.
Allora, come se nulla fosse successo, le disse: «Ciò che io provo è molto diverso da quello che avverte un essere umano. I miei anni mi consentono di avere uno sguardo più oggettivo sul mondo e sugli esseri che lo abitano, persino sulla storia. Io osservo e mi immergo nella vita, Allison, e ne percepisco la bellezza e la sensualità forse anche più complessamente e profondamente degli stessi mortali. Si dice che si comprende il valore di ciò che si possiede, solo dopo averlo perduto, in fondo. »
Allison si ammutolì e abbassò lo sguardo sul coperchio di marmo di quella tomba avvolta dalle rose: doveva esserci sepolta una donna, dato che il coperchio era scolpito in sembianze femminili e recava un cartiglio su un fianco:

 

“Qui riposa, nella grazia di Dio, Lady Eliwen di York.
Posta, per suo desiderio, accanto al sepolcro del suo promesso sposo dai nobili genitori e dai suoi fratelli.
Fu amata in vita, e la morte non ne cancellerà il ricordo.”

 

«Eliwen di York.», ripeté e si voltò: dall'altra parte c'era una seconda nicchia e la tomba di un cavaliere.
«É mio. Per meglio dire, è il sepolcro che avrebbe dovuto accogliere le mie spoglie durante la Guerra delle Due Rose. Una cosa che non accadde mai.», rivelò Andrew.
Lentamente, si avvicinò alla tomba di Eliwen e sfiorò il volto di pietra con un'improvvisa dolcezza.
«Era la tua promessa sposa. Com'è morta?», Allison abbassò di colpo la voce e la sorpresa e la tristezza si fecero rapidamente strada in lei.
«Ero un Lancaster e lei una York. Prima dello scoppio della guerra tra le nostre due casate, la nostra unione venne vista come il modo di sanare le antiche rivalità e intrecciare gli interessi delle nostre famiglie. Ma noi ci amavamo davvero. Un po' come Romeo e Giulietta avrebbero fatto più tardi a Verona.», raccontò Andrew, voltandosi rapidamente verso la giornalista. «Morì l'inverno in cui venni dichiarato disperso, per una polmonite. Dopo che lei venne sepolta qui, capì che non avevo più legami che mi trattenessero alla mia vecchia vita mortale e divenni ciò che dovevo: un autentico figlio delle tenebre, un autentico Bevitore di Sangue.»
«Vorrei raccontare la tua storia...», azzardò Allison, mentre si stringeva in un abbraccio solitario, tremando di freddo: il vento spirava e fischiava tra le rovine della cattedrale come il lamento di una prefica.
«Ci hanno già pensato in “Intervista col Vampiro”, Allison. Intendo dire che, ormai, sarebbe poco originale.», considerò Andrew e le mostrò un sorriso arguto.
«Allora spiegami come mai sono qui e mi stai raccontando tutto questo. Se vuoi solo assicurarti che io non pubblichi articoli sugli omicidi di York, non vedo il motivo di confinarmi qui. A meno che...», la donna non finì la frase e abbassò lo sguardo. «Vuoi uccidermi?»
«Se avessi voluto, avrei potuto farlo una notte qualsiasi, quando eri nel tuo letto e sognavi.», le fece notare Andrew con una risata improvvisa e un deciso scrollare del capo. «La verità è che tu mi hai chiamato, lo hai fatto notte dopo notte con inusuale insistenza e con tutta la potenza della vita. E mi sono accostato al calice della tua giovinezza e del tuo sangue come un fedele si avvicina al sacramento della comunione. In quei momenti, io ho scoperto la tua immensa e sfolgorante forza psichica: io ora voglio comprenderla. Voglio capire chi sei.»
La giornalista vacillò e dovette posarsi alla vecchia tomba, mentre – istintivamente – portava la mano al collo. «Allora è vero, tutto questo tempo sono stata male perché tu...», non ebbe cuore di finire la frase, ma strinse di più le dita contro la gola.
«Tu lo volevi.», appuntò Andrew dopo diversi attimi di silenzio. «E io cercavo qualcuno che mi accogliesse come hai fatto, poiché è raro e riempie le nostre esistenze come mai ci si potrebbe aspettare. Somiglia un po' come sapere che, quando si è lontani, a casa qualcuno ci sta aspettando.»
Il Vampiro si avvicinò lentamente alla ragazza e posò la mano sulla sua guancia in una carezza lieve e sentita. Chinò il capo e, per un secondo, le sfiorò il naso con il proprio, prima di deviare verso il suo orecchio, deponendovi un sussurro: «Sei stata la mia casa, Allison.»
Allison si rilassò, ammorbidì la postura contratta e si lasciò sfuggire un sospiro sollevato, mentre sfiorava il dorso della mano di Andrew sul suo viso.
L'uomo si accostò maggiormente a lei e le avvolse il braccio attorno ai fianchi, la mano che scivolava lungo la linea della spina dorsale fino alle scapole: la accompagnò nel suo inclinarsi, mentre le labbra le sfioravano il lobo dell'orecchio, lo zigomo e, infine, il collo.
Andrew fremette, travolto dall'impellente desiderio per quella creatura viva e calda , per la pelle che si increspava per mille brividi sotto le sue labbra socchiuse. Distingueva il tragitto di ogni arteria e vena: ai suoi occhi apparivano come vie intricate e luminose, dove il sangue fluiva simile a lava incandescente.
Andrew la morse: lasciò che le zanne aguzze assediassero la carne fragile della gola di Allison e si aprissero la strada fino al sangue, un torrente cremisi che gli sporcò la bocca e gli corse lungo la lingua e il palato.
Allison si aggrappò a lui, disperatamente, sopraffatta dal dolore e poi dalla subitanea scossa di estremo appagamento. Sentì il proprio sangue fluire dal suo corpo a quello di Andrew come un fiume che si getta in mare e la sensazione di star nutrendo la morte con la propria vita le fece tremare le gambe.
Tutto, attorno a lei, divenne dapprima sfocato e poi tremendamente nitido: sentiva il battito sordo e tenace del proprio cuore, il sommesso deglutire del Vampiro, il tocco delle sue labbra morbide che cingevano d'assedio la ferita e la succhiavano, la sua stretta poderosa e il suo stesso respiro trasformarsi in gemiti che rimbalzavano, osceni, tra le pareti della cattedrale.
“Mostrami il tuo segreto. Mostrami il tuo potere. Corri con me tra la vita e la morte!”
Allison fu sicura che la voce di Andrew le rimbombasse nella mente, che echeggiasse e ingigantisse in ogni fibra del proprio corpo. Annegò in quel mare di sensazioni inspiegabili che avevano appagato i suoi sogni, scoprì il proprio corpo come non lo aveva mai avvertito prima e seppe che esso poteva vibrare sotto il tocco esperto di chi ne conosceva le corde più intime.
Si lasciò andare, smise di pensare e si sentì fluttuare sopra il suo stesso io, sopra Andrew, fin quasi a toccare il soffitto della vecchia chiesa. Volava, ascendeva, fluiva attraverso le correnti stesse della realtà e le percepiva ora vive e intense, poteva toccare la trama segreta che permeava l'esistenza di ogni cosa e si celava dietro le ombre.
Poteva guardare se stessa dall'alto tra le braccia del Bevitore di Sangue e sperimentare la più sfrenata carnalità e la più alta spiritualità allo stesso tempo. Era in entrambi i mondi, ma la sua proiezione astrale si affacciava alla finestra dell'invisibile.
Andrew aveva ragione: doveva davvero possedere un enorme potere psichico che si mostrava solo quando si abbandonava completamente. Ora era libera, libera!
Allison planò leggera come una farfalla e decise che era ora di tornare a vestirsi di carne e sangue, di ritrovare i confini delle proprie membra, mentre Andrew si premuniva di fermare l'emorragia e guarire la ferita, sostenendola premurosamente.
«Dimmi cos'hai visto.», la invitò il Vampiro, con voce addolcita dal sangue appena bevuto.
Mentre sgusciava di nuovo nel proprio corpo, Allison la scorse: davanti all'altare, illuminata dai raggi della luna che penetravano dalle finestre alle sue spalle, c'era una giovane donna dai lunghi capelli coronati di rose purpuree e candide.
Impalpabile come l'aria, sembrava composta da pulviscolo lunare che danzava alla tenue luce d'argento, ora visibile, ora no. Il fantasma le sorrise e le sussurrò il suo nome: «Eliwen.»

 

 

 

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Note dell'autrice:

non c'è molto da dire, se non che – con questo terzo capitolo – sono arrivata alla fine della mia “piccola avventura”. Ho cercato di creare una storia che avesse degli spunti interessanti e con un finale, in qualche modo, “aperto”. Mi piaceva lasciare un tocco di mistero e anche l'idea che Allison potesse vedere gli spiriti, dato che i suoi poteri psichici sono l'anello che la connette ad Andrew e per cui il Vampiro si interessa tanto a lei.
Ho cercato di rendere degnamente la cattedrale come scenario di quest'atto finale e ho cercato di dosare il coraggio e la paura di Allison in maniera equilibrata.
Che dire? Il riferimento a "Intervista col Vampiro" della Rice è, come per gli altri riferimenti, voluto e da intendersi a mo' di omaggio.
Sono un po' dubbiosa sulla resa della storia (e probabilmente ci sono diversi errori che, anche a rileggere mille volte, non avrò notato, matematico), ma ho cercato di finirla in tempo per la scadenza del primo contest e, quindi, credo che non avrei potuto far di meglio, considerando i malanni invernali che mi porto dietro.

Grazie per la lettura,

Melian

   
 
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