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Autore: Martolinsss    15/12/2014    2 recensioni
Le foto attaccate alle pareti di lui e Zayn erano un museo di facce che Louis non poteva più toccare. Un pianoforte che aveva imparato a suonare quando era piccolo e che ora stonava non appena Louis posava un dito sui tasti stanchi, evocando tutti i modi sbagliati di amare una persona. Quello non era il modo in cui il mondo finisce, ma sembrava che lo fosse. Louis sentiva sul collo il respiro annaspante della terra che singhiozzava come se qualcuno le avesse appena spezzato il cuore. Dal punto più profondo dentro di lei, partiva una canzone stonata. E Louis pensava agli strumenti che non aveva mai imparato a suonare. Si chiedeva se suonavano come il nome di Zayn e, soprattutto, se avrebbero continuato a suonare come lui quando tra vent’anni Louis sentirà parlare di lui e si rigirerà il suo nome tra i denti, ricordandosi di come una volta era stato la sua parola preferita.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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HEAL

 

Louis chiuse la cerniera del borsone di Zayn e lo sollevò da terra. Un secondo di ripensamento e la riaprì, ci infilò dentro un altro paio di calzini, quelli felpati, la richiuse e uscì dall’appartamento, senza guardarsi alle spalle. Scese le scale gradino dopo gradino, lo sguardo fisso davanti a sé, la dita strette attorno al corrimano. Movimenti semplici, ripetitivi, Louis si muoveva come un robot.

Si concentrava nel mettere un piede in fronte all’altro, nel tenere il borsone in equilibrio sulla sua spalla. Perché se solo si fosse fermato un attimo a pensare, se solo si fosse concesso un po’ di tempo per comprendere ciò che stava succedendo, non sarebbe mai riuscito a risalire in macchina, girare le chiavi nel quadro e uscire dal vialetto in retromarcia.

La strada era deserta e buia davanti a lui, perché a quell’ora della notte tutti coloro a cui era ancora concesso di avere qualcuno da amare erano a casa con loro, al caldo, tenendoseli ben stretti al cuore. Louis invece strisciava sulla tangenziale, il piede fermamente premuto sull’acceleratore, perché per chi aveva qualcuno in ospedale non c’era tempo. Non ce n’era mai abbastanza.

Quando entrò nella stanza di Zayn al quinto piano, Louis lo trovò già addormentato. Chiuse piano la porta dietro di sé e si morse il labbro con forza, quasi per punirsi, perché se si fosse sbrigato, se non ci avesse messo così tanto a trovare dei pigiami puliti per Zayn, lui sarebbe stato ancora sveglio e Louis non l’avrebbe lasciato andare a dormire un’altra volta senza ricordargli che lo amava.

Avvicinando una sedia al letto, Louis rifletté che la gente dice sempre che fa più male di notte e che, apparentemente, soffocare le proprie grida nel cuscino alle tre del mattino è il modo giusto di tirare fuori il dolore che ti sta uccidendo dentro.

Ma Louis pensò che, altre volte, sono da poco passate le sette di sera, fuori è già buio e tu guardi la tua vita giacere rannicchiata su un letto, le sopracciglia appesantite da una smorfia di dolore che non gli dà tregua nemmeno nel sonno e tu ti senti così inutile che improvvisamente non sai che fartene delle tue mani. Vorresti fare, vorresti aiutare, ma esse se ne stanno lì, molli, inutili. Incapaci.

Ma, d'altronde, dove le metti le mani su una persona a cui fa male dappertutto?

Louis allungò un braccio per accarezzare il viso di Zayn, per ripassarne i contorni, per riappropriarsene un poco. La sua pelle era così soffice sotto i suoi polpastrelli, qualcuno doveva avergli fatto la barba quella mattina.


 
La prima volta che Louis aveva trovato dei residui di sangue nel lavandino del bagno, Zayn si era limitato a dire di essersi graffiato il mento col rasoio. Lo stesso per le macchie sulle federe del cuscino e le maniche dei maglioni. Louis non ci aveva dato troppo peso, perché Zayn era sempre stato sbadato al punto che, se non fosse stato così innamorato di lui, Louis lo avrebbe trovato ingombrante, invece che adorabilmente goffo.

A volte si chiudeva nello studio nel loro appartamento a dipingere e quando ne riusciva ore ed ore dopo, i suoi vestiti erano ricoperti di vernice. Rossa, gialla e nera, come le tele appoggiate alle pareti ad asciugare. Louis non se la prendeva per il disordine o per il carico extra di lavatrice che avrebbe dovuto fare il giorno successivo, perché dopo quelle ore di solitudine un sorriso stanco abitava le labbra di Zayn e quella in fondo era l’unica cosa che gli importava.
Così, era andato avanti a credergli, a fidarsi, a ignorare il problema proprio per la sua incapacità di riconoscerlo come tale.

Zayn era sempre stato magro e quando Louis voleva fargli un regalo, non aveva dubbi, la taglia giusta per lui era sempre la più piccola che il negozio in questione aveva da offrire. Le fan si divertivano a paragonare le sue gambe a due grissini e Louis, per quanto tempo passasse a ricoprirle di baci e carezze, non poteva negare che non vi ci assomigliassero davvero.

Zayn non aveva mai avuto un grande appetito, non si sarebbe mai svegliato alle 4 di mattino per divorarsi un panino, come Louis, ma non aveva mai smesso di mangiare. Quando Louis sparecchiava la tavola dopo cena, il piatto di Zayn era sempre vuoto come il suo, e se quella notte a letto il corpo di Zayn contro il suo appariva più sottile del solito, Louis non se ne preoccupava troppo, lo stringeva un po’ più stretto a sé e si metteva a dormire.
 
Tutto cambiò una fredda mattina di inizio dicembre. Una di quelle mattine in cui fuori il sole splende, ma la brina è ancora attaccata ai bordi dei finestrini delle auto parcheggiate in strada, come fiocchi di neve. Quando quella mattina arrivò, Zayn si rifiutava di mangiare da una settimana, dando la colpa al solito virus di stagione e perdendo la pazienza con Louis ogni volta che quest’ultimo si sedeva accanto a lui sul divano con due ciotole di zuppa. Preferiva digiunare piuttosto che mangiare per poi vomitare tutto nemmeno una manciata di minuti dopo.

Quella mattina, Louis si svegliò con una gomitata di Zayn tra le costole, nel suo disperato tentativo di districarsi dall’abbraccio di Louis e precipitarsi in bagno. Un paio di jeans aggrovigliati sul pavimento gli ostacolò la corsa e quando finalmente Zayn riuscì ad aprire la porta del bagno, era ormai troppo tardi. Un singhiozzo gli scosse il corpo, da cima a piedi, e Zayn si piegò in avanti per il dolore, cadendo in mezzo alla stanza, le mani pressate sullo stomaco, come a voler fermare quello che stava invece inevitabilmente cercando di uscire.

Louis lo trovò così qualche secondo dopo, in ginocchio sulle piastrelle bianche, le membra tremanti e una pozza di rosso che si allargava sempre di più davanti a lui, imbrattando i ciuffi morbidi del tappato che Zayn aveva insistito per comprare mesi e mesi prima all’Ikea, perché Louis senti quanto è soffice, non possiamo non prenderlo.

Gli ci volle un po’ di tempo, un po’ di più di quello che è ritenuto accettabile, per riprendersi dallo shock e chiamare un’ambulanza. Gli ci volle un po’ per smettere di piangere quando Zayn, con un ultimo tremolio, si accasciò di lato, nessuna parola di conforto, nessuna parola a cercare di sminuire la gravità di ciò che aveva fatto. Ma soprattutto, gli ci volle un po’ per capire che quello non era solo sangue, che quello sul pavimento non era soltanto la linfa rossa che teneva il corpo di Zayn caldo.

No, lì in mezzo c’era anche il loro primo bacio e quella volta in cui Louis lo aveva fatto ridere così forte che Zayn non riusciva più a respirare. C’erano i sorrisi di sua madre sempre orgogliosa di lui e la festa del suo undicesimo compleanno quando aveva ricevuto ogni regalo che non aveva avuto il coraggio di chiedere. Un rivolo di sangue gli correva ancora lungo il mento ed era la prima volta che Zayn lo aveva preso per mano davanti agli altri e, da quel giorno, non si erano più dovuti nascondere.

Tutto quel rosso era Zayn e i suoi ricordi e i momenti che avevano passato insieme. E ora tutto quello si stava seccando, incastrandosi tre le fessure delle piastrelle, arrugginendosi e portando via la luce dagli occhi di Zayn e dalla vita che stavano costruendo insieme.
 
Quando la sera successiva i dottori, dopo infinite analisi e un colloquio privato con Zayn, gli dissero che era bulimico, Louis scaraventò per terra la sedia su cui era seduto, nella sua fretta di mettere quanto più spazio possibile tra se stesso e quelle persone incompetenti, che non avevano mai conosciuto Zayn, che non sapevano niente di lui e della loro relazione.
Era lui che viveva con Zayn tutti i giorni, di certo se ne sarebbe accorto se il suo ragazzo fosse stato bulimico. Si stavano sicuramente sbagliando, un camice bianco non dava loro l’autorizzazione di andarsene in giro a blaterare delle assurdità del genere.

Uscì dall’ospedale e fece il giro dell’isolato cinque volte di seguito, prima di crollare davanti ad una fermata dall’autobus e piangere. Louis si sedette sul marciapiede, appoggiò la testa sulle ginocchia e pianse come aveva voluto fare nell’ufficio del medico. Pianse come ne aveva bisogno. Pianse come quelli a cui non rimane più nulla.

Una sagoma rannicchiata nel buio. Un uomo solo, tornato bambino, con il suo dolore.

Dopo quella che gli parve un’eternità, Louis rialzò il capo e non gli riuscì di preoccuparsi del dolore al collo, per essere stato in quella posizione così a lungo. Il dolore fisico, oramai, era diventato quasi un sollievo in confronto a come si sentiva dentro. Si stropicciò gli occhi, un’ultima volta, sì rimise in piedi e si incamminò verso l’ospedale.

L’infermiera all’ingresso gli disse che Zayn aveva chiesto ininterrottamente di lui per ore, prima che gli venisse somministrato un calmante. Louis chinò il capo, le guance incendiate dalla vergogna e entrò in camera di Zayn, trovandolo addormentato. Supino, le braccia stese lungo i fianchi. Come una persona malata.

Louis si sfilò il cappotto e lo appese sul bordo della sedia, pronto a passare l’intera notte lì al suo fianco. Non ci era stato per tutti quei mesi, non poteva chiudere gli occhi un’altra volta. L’ennesima.
 
I giorni successivi passarono in un turbinio di attese in corridoio, esami e controlli. Zayn continuava a scivolare dentro e fuori dal sonno e Louis non si riuscì a scambiarci più di una manciata di parole. Parole di speranza, di conforto, per cercare di riassicurare - forse più se stesso che Zayn - che tutto sarebbe andato bene, che ne sarebbero usciti insieme.

La prima conversazione che potesse essere definita tale arrivò due settimane dopo il ricovero. Le condizioni di Zayn stavano significativamente migliorando e i dottori avevano iniziato a cercare di riabituarlo a ingerire cibi solidi, dopo giorni e giorni di sole flebo.

Louis sbirciò dalle tendine della stanza, e quando vide che era sveglio, entrò e si sedette accanto a lui. Zayn lo aveva visto, lo aveva sentito, ma continuava a tenere lo sguardo fuori dalla finestra, rifiutandosi di incrociare gli occhi di Louis.

Neanche cinque minuti passarono e Louis perse la calma. Sapeva che avrebbe dovuto essere paziente, sapeva che Zayn ce l’aveva probabilmente più con se stesso che con Louis, ma non poteva sopportare di vederlo stare lì così, in completo silenzio, quasi scocciato, come se tutto quello non fosse nemmeno affar suo. Come se trovasse l’intera situazione semplicemente noiosa e sgradevole, qualcosa in cui si era trovato incastrato. Nessun rimorso, nessun senso di colpa, nessun tentativo di mettere a posto le cose. Nemmeno con Louis.
 
-Zayn- esordì finalmente Louis –lo so che non è semplice e che non hai nessuna voglia di parlarne, ma io ho bisogno di sapere perché lo hai fatto.-
Zayn rimase in silenzio, un lieve sbuffo l’unico segno che aveva udito la richiesta di Louis.

-Ho bisogno che tu mi dica perché non ti sei confidato con me, perché non me lo hai detto.. Se tu l’avessi fatto avrei potuto, non lo so Zayn, io avrei potuto..-

-Cosa, Louis? Avresti potuto cosa? Forzarmi a mangiare almeno un piatto di pasta al giorno? Controllare che non vomitassi quando mi chiudevo in bagno per farmi la doccia dopo cena?-

La voce di Zayn era aspra, come se non parlasse da settimane e la sua gola non fosse più abituata al passaggio scorticante dell’aria.

-Lo avrei fatto per il tuo bene! Cazzo, Zayn guardati! Non pesi neanche sessanta chili, perché continui a voler perdere peso? Dove volevi arrivare?-

Queste e mille altre domande Louis gli pose, ormai sull’orlo delle lacrime. Non sapeva esattamente che cosa si era aspettato. Forse un Zayn in preda ai sensi di colpa che gli domandava perdono per averlo tenuto all’oscuro di tutto. Ma le cose non stavano così. Perché Zayn non mostrava rimorso per ciò che aveva fatto e, tantomeno, nessuna comprensione verso il dolore e il senso di inutilità che affliggevano Louis.

-Durante l’ultimo mese, non chiudevo neanche più la porta, lo sai?-

-Che cosa?- chiese Louis, non sicuro di ciò che intendesse.

-Non mi chiudevo più in bagno a chiave. Speravo che tu entrassi e mi trovassi lì che vomitavo quello che mi avevi cucinato, così che mi avresti scoperto una volta per tutte e obbligato a smettere.-

-Ma allora perché non me lo hai detto? Perché sei andato avanti a tenermelo nascosto?-

-Perché volevo che te ne accorgessi tu!- Zayn urlò e Louis guardò nervosamente la porta, spaventato che un’infermiera potesse irrompere nella stanza da un momento all’altro.

-Stai dicendo che è colpa mia quindi, non è vero?- chiese, senza alzare il capo per cercare nelle profondità degli occhi di Zayn, perché sapeva già cosa ci avrebbe trovato.

-Sto dicendo che da molto tempo tu mi vedi per quello che tu vorresti che io fossi, e non per quello che sono davvero.-

-E lasciarti morire di fame è l’unico modo che ti è venuto in mente per farmelo notare?-

-Non ha funzionato, in ogni caso..-

-Piantala, Zayn!- ora era il turno di Louis di alzare la voce –Mi sono sentito e continuo a sentirmi maledettamente in colpa dal primo giorno che ti hanno portato qui in ambulanza. Sono stato io a trovarti in bagno in una pozza di sangue, non pensi che sia stato abbastanza? Non pensi che io abbia già avuto la mia punizione per non essermene reso conto? Non ho bisogno di te che te ne stai sdraiato lì a puntarmi il dito addosso, come se non fosse neanche più affar tuo!-

-Nessuno ti sta chiedendo di restare.-

-Che cosa?-

-Nessuno ti sta chiedendo di rimanere qui. Hai fatto il tuo dovere di portarmi qui. Sono vivo, mi riprenderò. Puoi anche andartene ora.

-Davvero, Zayn? Quattro anni insieme e ora pensi che io me ne voglia andare?- Louis chiese sbigottito.

-Lo vedi?- Zayn rise amaramente - è sempre una questione di quello che tu vuoi, non è vero? Tu che vuoi o non vuoi restare. Hai mai pensato che forse sia io a non volerti più qui?-

Il mondo di Louis si fermò. Come se qualcuno avesse rovesciato l’asse e improvvisamente il pavimento galleggiasse sopra la sua testa e tutta l’aria fosse stata risucchiata via.

-Non mi vuoi qui?- chiese, la sua voce poco più di un sussurro.

-Hai smesso di vedermi molto tempo fa, non vedo che differenza faccia ora.-

-Bene, allora.-

Stronzate, nulla stava andando bene. Louis si alzò e si infilò la giacca, sforzandosi di mantenere il suo equilibrio. Di non muoversi troppo velocemente, di non darla vinta alle vertigini. Ogni passo verso la porta era accompagnato da una tacita preghiera, da una muta supplica per Zayn di dire qualcosa, qualsiasi cosa.

Perché uscire da quella porta così, senza dire nient’altro, sarebbe stato come porre la parola fine al loro tormentato romanzo. Se Louis in quel momento se ne fosse andando, lasciando Zayn solo in un letto d’ospedale, non ci sarebbe stato verso di tornare indietro. Ma Zayn non batté ciglio e Louis, il cuore spaccato a metà ma l’orgoglio che già cominciava ad arrugginirsi, non ebbe altra scelta se non quella di fare come gli era stato chiesto.

Dodici passi più in là ed era già piegato in due, il petto scosso dai singhiozzi e l’odore di disinfettante del pavimento che gli perforava le narici. Ma Zayn non lo voleva più lì e il fatto che Louis non avesse nessun altro posto dove andare non era un motivo sufficientemente valido per rimanere.
 
Tre giorni dopo Zayn fu dismesso dall’ospedale. Quattro giorni dopo e Liam bussò alla porta di Louis, una valigia vuota tra le mani e parole di conforto che Louis non voleva sentire. Lo lasciò entrare in casa sua e frugare tra la loro roba. Gli ci volle più di un’ora per localizzare degli indumenti che era sicuro fossero completamente di Zayn e non di Louis che Zayn aveva preso a indossare per abitudine. Louis lo lasciò fare, una tazza di tè bollente tra le mani che non aveva nessuna intenzione di bere.

Quella stessa sera, Niall passò a casa sua. Bussò per quella che sembrò un’eternità, finché gli fu chiaro che Louis non avrebbe aperto e se ne andò via. Louis si lasciò scivolare lungo la porta, dietro la quale era stato per tutto il tempo durante il quale Niall aveva bussato. Rimase lì per ore, o forse solo per pochi minuti, prima di alzarsi e rovesciare nel lavandino il vino che aveva tenuto nascosto nel suo armadio per due mesi. Il vino che credeva avrebbero bevuto il giorno in cui Zayn avrebbe acconsentito a sposarlo.

Mezza bottiglia di vodka dopo, Louis era rannicchiato sul tappeto della cucina e la sua dannata testa semplicemente non la voleva smettere di girare.
 
Pensava a Zayn. Pensava a come era stato sicuro di lui, sempre. Non aveva mai dubitato che fosse la persona giusta per lui. Tutto il resto della sua vita poteva essere incerto, ma lui aveva Zayn, e gli bastava. Sapeva che non avrebbe mai voluto nessun altro che lui. Lui quando era spaventato e lui quando era arrabbiato e lui alle due del mattino quando era ubriaco e non c’era una singola parte del suo corpo che non fosse ricoperta di sudore.

Louis voleva che Zayn fosse di fronte a lui, in quel momento, per potergli così spiegare di che tipo di amore stava parlando. Perché sicuramente Zayn non se ne stava rendendo conto. Altrimenti, non gli avrebbe chiesto di andarsene. Zayn non capiva. Era tutto lì il problema. E se solo fosse stato lì, in quel momento, Louis glielo avrebbe spiegato.

Louis gli avrebbe spiegato che avrebbe potuto essere ovunque, in ogni momento, e avrebbe sempre continuato a scegliere Zayn. A diciotto, a quaranta e a ottant’anni, quando litigavano e quando poi facevano pace. Louis avrebbe tirato su l’asfalto delle strade a mani nude con il suo amore per lui, per sceglierlo ancora una volta.

Gli avrebbe detto che aveva sempre creduto di essere la persona più strana al mondo. Poi però era arrivato lui e aveva scoperto che Zayn si sentiva strano e particolare nello stesso modo in cui ci si sentiva lui. Avevano fatto della loro peculiarità un dono, giurandosi di proteggerla e ricavandone una casa dove stringersi la sera quando fuori diventa buio.

Ora, invece, Louis non lo riconosceva più e non poteva fare a meno di pensare che quindi era quello il modo in cui finivano le cose. Non con un colpo secco, non con uno sparo, ma con un sussurro. Un piagnucolio patetico perso nel tappeto di una cucina alle tre del mattino e che mai vedrà la luce del sole.

Eventualmente, Zayn dovette tornare nel loro appartamento. Li c’erano le sue cose, tutti i suoi pennelli, tutti i suoi colori. Cose che non avrebbe mai abbandonato per nessuno al mondo. Forse loro erano sempre stati il suo grande amore, Louis non era stato che una distrazione lungo la strada.

Louis riuscì ad aprirgli la porta e a farsi da parte cosicché che Zayn potesse entrare. Riuscì a starsene in cucina mentre Zayn derubava la loro stanza e si portava via piccoli pezzi di Louis che nessuno sarebbe mai stato in grado di ridargli indietro. Riuscì a non dire nulla quando lo vide passare davanti, senza un secondo sguardo, alla fotografia scattata durante il loro terzo anniversario che Louis aveva sistemato sul cuscino, per guardarla prima di addormentarsi.

Ma Louis non riuscì a non crollare quando Zayn lo raggiunse in cucina venti minuti dopo, un borsone gettato sulla spalla, altre due buste tra le mani, e gli chiese distrattamente come stava. Come se gli importasse. Come se avesse potuto cambiare qualcosa. Louis lo guardò con occhi enormi, spalancati, come si guarda il sole, consapevole che la tua audacia verrà presto punita. E in quel momento Louis sperò che quattro anni passati insieme avessero insegnato a Zayn a leggere i suoi occhi, perché se solo avesse parlato, se solo avesse mosso un muscolo, l’intera vita di Louis si sarebbe ridotta, ancora una volta, in macerie in una questione di secondi.

Mi hai lasciato paralizzato, il suo volto gridava. Nessuna cura, nessun centro di riabilitazione per me. Louis si sentiva come se quello che erano stati gli stesse sgorgando fuori dal cuore, nello stesso modo in cui la luce fuoriesce da una luna spezzata a metà. Ma la sua luce era così tenue, così debole che non sarebbe stata sufficiente a guidare nessuno nel buio, a riportarli a casa.

E non c’era niente che Louis potesse fare. Faceva male, certo, ma quello era vivere, quindi Louis viveva. Continuava a vivere, nient’altro, consolato dalla certezza che un giorno il fantasma di Zayn si sarebbe affacciato alla sua porta e gli avrebbe detto che aveva ricevuto le sue lettere, tutte. Anche quelle che non gli aveva mai spedito.
 
Le foto attaccate alle pareti di lui e Zayn erano un museo di facce che Louis non poteva più toccare. Un pianoforte che aveva imparato a suonare quando era piccolo e che ora stonava non appena Louis posava un dito sui tasti stanchi, evocando tutti i modi sbagliati di amare una persona. Quello non era il modo in cui il mondo finisce, ma sembrava che lo fosse.

Louis sentiva sul collo il respiro annaspante della terra che singhiozzava come se qualcuno le avesse appena spezzato il cuore. Dal punto più profondo dentro di lei, partiva una canzone stonata.

E Louis pensava agli strumenti che non aveva mai imparato a suonare. Si chiedeva se suonavano come il nome di Zayn e, soprattutto, se avrebbero continuato a suonare come lui quando tra vent’anni Louis sentirà parlare di lui e si rigirerà il suo nome tra i denti, ricordandosi di come una volta era stato la sua parola preferita.

 
♦♦♦
 

Trasferirsi a casa di Liam e Sophia non era stata la grande idea che Zayn aveva immaginato. Certo, vivere con Niall sarebbe stato peggio, perché avrebbe seminato snack per tutto l’appartamento, sperando in questo modo di invogliarlo a mangiare, ma Liam non era da meno. Più cauto, più disinvolto, ma non meno determinato. Zayn doveva riprendere a mangiare normalmente, questo era il patto.

E lui lo voleva davvero, era quello il motivo principale per cui aveva chiesto di potersi trasferire a casa sua dopo la rottura con Louis. Sapeva che, se fosse andato a vivere da solo, sarebbe stata una questione di giorni prima che ci sarebbe ricaduto. Le prime settimane non andarono così male. Liam sapeva che doveva andarci piano, che era una questione di tempo, di piccoli passi che potevano durare soltanto se ripetuti giorno dopo giorno.
Zayn fece del suo meglio, sminuzzando tutto ciò che gli veniva messo nel piatto, consapevole che non era nemmeno un quarto di quello che gli altri stavano mangiando, e masticandolo lentamente, non pensando a quante calorie fossero e a quanto poco spazio ci fosse nel suo corpo per accomodarle.
 
Zayn non aveva mai dubitato dei sentimenti di Louis per lui. Sapeva che Louis non lo avrebbe mai tradito, che lo amava. Ma non era nello stesso modo in cui lui amava Louis.

Zayn amava Louis nel modo in cui si amano le cose che credevi non sarebbero state mai tue. E anche quando lo diventano, continui a non rendertene conto, a non sapertene fare una ragione. In qualche modo, ti convinci che il loro amore tu neanche te lo meriti e che, quindi, se loro decidessero di darlo a qualcun altro, qualcuno che non sei tu, non sarebbe un torto nei tuoi confronti, ma semplicemente il modo in cui le cose avevano sempre dovuto andare.

Louis era di solito una persona molto affettuosa, non si tratteneva mai. Gli piaceva essere al centro dell’attenzione, fare sapere alla gente che lui c’era, dire come si sentiva e fare sentire gli altri importanti. Ma talvolta, come tutti, anche Louis era stanco. A volte, anche Louis aveva bisogno dei suoi spazi, di stare solo, di non sentirsi come se tutto dipendesse da lui.

E Zayn lo capiva, perché spesso anche lui si sentiva in quel modo, ma non riusciva a scacciare quella vocina nella sua testa che gli diceva che era colpa sua. Che Louis none era felice perché Zayn non si sapeva prendere cura di lui. Altrimenti, che motivo avrebbe avuto Louis di andare a cercare Harry? Perché rispondeva ai suoi messaggi, perché non declinava le sue chiamate, anche quando aveva detto a Zayn che quella sera voleva non voleva uscire, che non voleva parlare con nessuno?

Ovviamente Zayn non ebbe mai il coraggio di affrontare l’argomento e più Zayn non diceva niente, più Louis continuava e la voce nella testa di Zayn cresceva di intensità, confermando ogni dubbio, ogni preoccupazione a cui non aveva mai osato dare voce.
Il non parlare, però, causava in Zayn una maggiore attenzione e fu lì che egli incominciò a notare di quanto tempo Louis e Harry passassero insieme, di quanto si toccassero ogni volta che erano l’uno in presenza dell’altro. Magari Louis era seduto accanto a Zayn sul divano, ma i suoi occhi sfrecciavano sempre a cercare Harry, non importava in quale angolo della stanza lui si trovasse.

E come biasimare Louis, Harry era sempre stato così bello. Non c’erano altre parole per descriverlo. Certo, era anche una persona straordinaria, uno degli animi più nobili e generosi che Zayn avesse mai conosciuto, ma non era tutto. Era così alto e massiccio, tonico.
Le sue spalle erano così ampie, allargando il tessuto delle camice che aveva preso ad indossare sempre più spesso. Zayn vedeva il modo con cui Louis guardava i muscoli delle sue braccia flettersi o l’espressione di sicurezza e riparo che appariva sul suo volto ogni volta che i due si abbracciavano per salutarsi.

Quando Louis avrebbe potuto avere tutto quello, e in un certo senso già lo aveva, perché mai avrebbe voluto qualcuno come Zayn? Zayn con le sue braccia flaccide, il ventre molle e le cosce immense. Sapeva che Louis non lo avrebbe mai tradito con il suo migliore amico, almeno non senza dirgli apertamente la verità, ma questo non significava che Zayn non se ne preoccupasse.

La macchina della sua autodistruzione era stata avviata e non c‘era modo di arrestarla.

Iniziò con piccole cose, bere un cappuccino senza zucchero al mattino invece della solita tazza colma di cereali. Un insalata a pranzo invece dei panini pieni zeppi di burro e formaggio. Niente più spuntini al pomeriggio, niente più birra dopo sera. I primi chili se ne andarono velocemente e più ne perdeva, più Zayn era incoraggiato a continuare.

Poi però, l’ago della bilancia si fermò, indicando sempre lo stesso peso, anzi talvolta perfino qualche etto in più. Fu lì che Zayn iniziò a non mangiare più del tutto. Ovviamente gli altri iniziarono a capire che qualcosa non andasse. Aveva sempre i brividi di freddo e dovevano interrompere continuamente le prove perché Zayn non aveva più respiro e non riusciva a salire le scalette sul palco abbastanza velocemente.

Così, si vide costretto a riprendere a mangiare. Ma riprendere i chilogrammi persi no, quella non era un’opzione.

La prima volta che Zayn vomitò, non lo fece nemmeno apposta. Aveva avuto una giornata tremenda, nessuno dei vestiti che aveva provato per il photoshoot del nuovo album gli andava bene. Era sempre tutto stretto,evidenziando il grasso sui fianchi e sulle cosce. Louis aveva speso tutta la sera cucinando il suo piatto preferito, sperando di tirargli su il morale, e quando Zayn entrò in cucina e ne sentì l’odore, l’idea di ingerire tutto quel cibo, di mettere tutte quelle calorie nel suo corpo, gli fece venire la nausea.
Correre in bagno e rovesciare la mezza mela che aveva avuto per pranzo, era stata l’unica alternativa.

Ovviamente, successe ancora. E ancora e ancora. Col tempo, imparò a farlo quando Louis era meno allerta. Quando era sicuro che non avrebbe potuto sospettare niente. E Louis mai lo fece, troppo impegnato a vivere al pieno le sue giornate da persona felice e soddisfatta del proprio corpo, per rendersi conto che, a un passo da lui, Zayn stava distruggendo il suo.

L’ultimo mese fu il più terribile. Zayn divenne più incauto, più audace. E infine, spericolato. Lasciava la porta aperta quando andava in bagno a vomitare la cena. A volte, si rifiutava di mangiare interamente. Tutto nella speranza che Louis si insospettisse, che capisse che qualcosa non andava, che iniziasse a prestargli più attenzione e a rassicurarlo che lo voleva ancora come il primo giorno.

Ma non successe mai, perché c’era sempre qualche messaggio da rispondere. Quelli di Harry come quelli di tutti gli altri. Un’intervista da fare, un regalo da comprare. Non c’era mai tempo per Zayn.

Poi la sera dello svenimento in bagno, poi il ricovero in ospedale e poi il giorno in cui Louis se ne andò, per l’ennesima volta, lasciandolo lì nel suo letto di insicurezze. La coperta lunga e spessa sul suo corpo, ma non abbastanza pesante da inghiottirlo e farlo sparire.

La cosa peggiore era quanto poco ci era voluto per convincerlo ad andarsene. Quanto poco Zayn aveva dovuto insistere per convincerlo che quello non fosse più il suo posto. Louis se ne era semplicemente andato. Senza discutere, senza opporsi. Senza combattere.
 
Possibile che si fosse sbagliato, tutto quel tempo? Che Louis non fosse il sole come Zayn aveva sempre creduto? Come l’erba durante la siccità, Zayn aveva voluto il suo amore così tanto che si era rifiutato di accorgersi che Louis non era la pioggia di cui aveva così tanto disperatamente bisogno. Lui era la ragione, la causa per la sua sete, per la totale mancanza d’aria nei suoi polmoni.

Louis non aveva saputo come aiutarlo, come stargli vicino. Forse perché non aveva mai imparato il significato di amare qualcuno più di tutto il resto.

Zayn non voleva essere solo le fondamenta del castello di Louis, le camera da letto con le lenzuola di seta e le tende di velluto. No, lui voleva essere ogni torre del castello, ogni singolo pinnacolo, così che anche da lontano, all’orizzonte, Louis non avrebbe potuto vedere nient’altro che lui.
Ma non aveva funzionato, perché il castello aveva perso il suo fascino e lui ci tornava malvolentieri, alla sera.
 
Così, Zayn si rifugiò a casa di Liam e indossò i suoi vestiti per oltre un mese, prima di convincersi che in quel modo non poteva più andare avanti e tornare a casa di Louis per riprendersi il resto delle sue cose. Mentre arruffava tutto ciò che trovava di suo nell’armadio e lo ficcava dentro un borsone, Zayn non poteva fare a meno di sperare che Louis da un momento all’altro avrebbe spalancato la porta, toltogli ciò che aveva dalle mani e pregato di restare.

Ma Louis non lo fece, se ne stette in cucina per tutto il tempo che Zayn impiegò a mettere insieme due valigie. E quando Zayn prese coraggio e gli domandò come stava, Louis lo guardò con due occhi enormi, rassegnati, e in essi Zayn trovò tutte le risposte che le sue labbra non avevano il cuore di pronunciare.


 
Si incontrarono ancora poco più di una settimana dopo, perché non si possono districare completamente due vite che sono state intrecciate per così tanto tempo. Avevano sempre gli stessi amici, frequentavano gli stessi locali, andavano a fare shopping negli stessi negozi.

Si incontrarono ancora nella corsia dei cereali del Sainsbury, quando erano poco passate le sei di sera. Louis aveva finito il latte e Zayn aveva promesso a Liam di comprare del sedano per le lasagne che aveva in programma di fare. Non che avesse nessuna voglia di mangiarle, ma non aveva davvero altra scelta.

Louis fu quello che vide l’altro per primo ed era sul punto di mollare tutti i suoi acquisti sullo scaffale più vicino e andarsene, quando Zayn sollevò il capo e gli venne incontro.

Fu una conversazione banale, superficiale e imbarazzante, come solo lo possono essere le conversazioni con qualcuno che una volta era stato la tua vita. Si sforzarono entrambi di sorridere, di fingersi forti e contenti per come l’altro stesse affrontando le cose. Un minuto dopo si salutarono, entrambi giurando a se stessi che non avrebbero mai più fatto la spesa in quel supermercato.

Louis fece in tempo a raggiungere la corsia dei surgelati, prima che il peso di quello che era appena successo prese il sopravvento e dovette fermarsi e chiudere gli occhi, per tentare di dare un senso a ciò che non solo il cuore, ma la sua testa e tutto il resto del suo corpo gli stava urlando.
 
Immagino me stesso andare verso le casse, aspettare il mio turno, pagare questi articoli, tornare a casa e mettermi ai fornelli. Mi immagino fare la stessa cosa domani, dopodomani, e il giorno dopo ancora. Tra vent’anni, mi chiederò che stai facendo e che cosa starò facendo io senza di te, cosa entrambi staremo facendo senza l’altro, in questa nuova forma di senza di noi, un senza finale, che è per sempre. Il senza che vuol dire che non ci saranno scuse, perdono o tentativi di tornare insieme. Entrambi ci dovremo svegliare ogni giorno, mangiare, lavarci e andare al lavoro senza la presenza dell’altro accanto a noi, questa persona con cui finora abbiamo condiviso la vita, facendola a metà e regalandogliene una. Cosa ne sarà di me, cosa ne sarà della versione migliore di me che avevo creato per te, che tu custodivi, il me che abitava in te, che vi si rifugiava. Evaporerà? Sparirà? Cadrà da un grattacielo? E se sarà così perché non ci è stato concesso un funerale per loro, per quelle versioni di noi che non saremo più, semplicemente perché non abbiamo più quella persona per cui volere essere migliori, quella persona che credeva che noi lo potessimo essere davvero. Io amavo il me stesso che ero per te. Lo amavo e ora è morto, e io voglio un momento nero per quell’uomo. Dammi un momento nero per quell’uomo che non saprò più essere.
 
Ma Louis le casse non le raggiunse mai, perché trenta secondi dopo delle braccia lo stavano tirando su da dove si era rannicchiato sul pavimento. Delle braccia lo stavano tenendo stretto tra di loro, accertandosi che sentisse ogni parola che gli stava venendo sussurrata.
 
-Ho paura che sarai sempre tu. Ho paura che abbiamo rovinato tutto e che ogni persona con cui starò insieme sarà sempre uno strano fantasma di quello che ho avuto con te. Ho paura che tra vent’anni sarò nella cucina della mia nuova casa a tagliare le verdure per la cena, mio marito seduto al tavolo dietro di me, blaterando di un articolo che ha letto sull’Economist di quella settimana, i bambini al piano di sopra - costruendo un castello coi lego o finendo un puzzle – le mie mani strette attorno al coltello che sto usando. E mi verrà in mente che le tue orecchie erano sempre un po’ troppo grandi per il resto della tua testa, che le mordicchiavo tutto il tempo e che tu fingevi che ti desse fastidio. Che ascoltavi la musica con gli occhi chiusi, che non mettevi mai lo zucchero nel tè, che mi stringevi come se fossi qualcosa di importante. Che pensavo che io e te saremmo stati per sempre.-
 
-E lo siamo, Zayn, lo siamo!- Louis esclamò, le guance già umide, liberandosi dalla stretta delle sue braccia solo per poterlo guardare negli occhi, prendergli il viso tra le mani e coprirgli le labbra con le sue. Labbra che non toccava da mesi. Labbra che aveva pensato non avrebbe sfiorato mai più.
 
Quella sera, in un angolo di Londra, nel tepore delle lenzuola, Zayn e Louis si chiesero perdono.
 
Ci siamo trovati nel mezzo di un temporale, che è il modo in cui ogni storia d’amore comincia e, il più delle volte, finisce. Pronuncio il tuo nome come se fosse la mia lingua madre. A volte la mia rabbia nei tuoi confronti prende il sopravvento, ha la meglio su di me e comincia a sbattere le porte di casa e a urlarti dietro. Poi tu mi vieni vicino, mi parli con la tua voce soffice, la mia preferita. Mi baci la spalla e io mi ritraggo. Odio quando ti metti le calze per andare a letto. A volte mi annoi e altre ho disperato bisogno di toccarti. Ti fermo a metà scale quando stai scendendo in cucina, allaccio le mie gambe intorno alla tua vita e ti chiedo di stringermi, tu lo fai e ondeggiamo piano sul posto, finché siamo felici un’altra volta. Finché non ridiamo ancora. Dovrebbe essere sempre così. Basta guardarsi in cagnesco, basta stare in silenzio. Voglio che tu sorrida con tutti i tuoi denti. Tutti i tuoi storti, bellissimi denti. Continua sempre a sorridere, a parte quando proprio ti manca l’energia di farlo. In quel caso, puoi mettere il broncio e io ti preparerò un po’ di uova strapazzate con un toast. So che è quello che ti fa sempre stare meglio. So che tua madre lo prepara meglio di me, ma che a te non importa. A volte esci con i tuoi amici e non mi inviti. Ti scusi per come mi comporto ai party. Allora io ti dico, portami a casa e accarezzami il viso per ore, va tutto bene. So che sbatto le porte, che a volte ci annoiamo. Continuerò a bruciare con quanto ti voglio in ogni caso.
Continueremo a fare le stesse pessime battute e continueremo a riderne insieme. Certo, ti amo. La prima volta che te lo dissi, tu trattenni il respiro, come se stessi sentendo un’orchestra suonare. A volte diventa difficile farlo ma, altre, diventa più semplice. Poi la tua bocca è sul mio collo ancora e la mia pelle si scioglie sotto la tua lingua. Sta piovendo? Siamo noi a fare la scelta. Noi stiamo iniziando il temporale. Noi.
 
Quella stessa sera, in un altro quartiere di Londra, in un’altra felicità, Liam e Sophia mangiavano una pizza sul tappeto in fronte alla tv, perché Zayn non tornò mai a casa loro con il sedano per le lasagne. E, sinceramente, a Liam non sarebbe potuto importare di meno se ci avesse provato.

Strinse a sé il corpo della sua ragazza e pensò che l’amore aveva davvero un modo strano di farlo, ma che alla fine, rimetteva sempre a posto le cose. Sempre.

Ed aveva ragione, anche se spesso non è nel modo in cui nessuno di noi si sarebbe aspettato. Quella sera, la vita stava tenendo loro un agguato, nascosta nelle fondamenta di una casa in fiamme.
 
Una settimana. Una settimana fu tutto quello che venne loro concesso.
 
Zayn era andato avanti a uccidere il suo corpo per mesi, sperando di essere visto, di essere tirato indietro e salvato. Non curandosi di come il suo dolore, la sua paura di perdere Louis, lo avrebbero infine portato alla sua distruzione fisica. La sua autodistruzione.

Le sue guance avevano anche potuto ricominciare a riempirsi, la sua pelle a lentamente riacquistare la lucentezza di un tempo, ma ciò che c’era sotto non poteva guarire così. Il cuore non poteva accontentarsi delle suppliche di Louis.
Le sue richieste di perdono non erano abbastanza per convincerlo a continuare a pompare il sangue nelle vene. Il cuore di Zayn era stanco e la felicità con cui stava ora straboccando non era un rimedio sufficientemente forte contro il sonno in cui era inevitabilmente scivolato.
 


Quando le prime luci dell’ottavo mattino li sorpresero a letto, Louis non avrebbe mai immaginato che da quel momento in poi avrebbe dovuto continuare a vivere per entrambi.
 
Tre infermieri arrivarono, chiamati da chissà chi, non aveva importanza, nulla più l’aveva. Entrarono in camera e trovarono i due uomini immobili, come in un dipinto.
 
Louis stava inginocchiato davanti al corpo di Zayn. Le mani posate, tutte e due, sul suo petto, come se stesse tenendo fermo un animaletto ferito. Forse gli stava dicendo qualcosa, ma gli infermieri non potevano sentire, erano cose soltanto per lui.
 
Quello strano istinto poi di prendergli le mani e ricomporle, le dita ordinate, i palmi rigirati in modo che fossero di nuovo le sue mani belle, eleganti. Mani che così tanti microfoni avevano stretto, e pennelli, e libri, e pagine di giornali.
 
Quello strano bisogno di correggere le piccole imperfezioni, quando ormai è tardi per fermare l’enormità di un destino ingiusto.
 
Ma forse era solo un automatismo, una cosa tra loro due, una tenerezza inevitabile. Louis, che di tenerezza non ne era mai stata capace.
 
Louis lo stava ancora fissando, ma Zayn non era più Zayn. Quando gli infermieri osarono fare un passo avanti e guardarlo, il suo bel volto non era che una maschera grottesca del dolore che se lo era portato via.
 
Così ecco quello che Louis stava cercando di fare tenendogli le mani sul petto in quel modo. Louis voleva fermare il suo corpo, prima che se ne andasse via del tutto.
 
La sua vita, quella se n’era già andata, troppo veloce per la lentezza dei loro passi e l’indecisione dei loro cuori.


   
 
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