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Autore: indiceindaco    15/12/2014    3 recensioni
15 dicembre 1969.
Una data che non si può dimenticare.
Genere: Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopoguerra
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Le nuvole di fumo si addensano distratte, miti, attorno ad una lampadina sterile, che ronza di una luce nuda.
Si sente, in lontananza, il rumore del tram, che stride sulle rotaie.
Di fronte a lui una macchina da scrivere.
Sciami di parole si ricorrono distratte nella sua mente, caotici, lasciando i tasti sterili, una pagina nuda.
 
Non trova le parole, quella sera.
E dove non ci sono parole, non può esserci una storia da raccontare.
E dove non c’è una storia da raccontare, lui cessa di esistere.
Lui, il cui nome spicca, di tanto in tanto, tra le quattro pagine  di un quotidiano dal titolo altisonante, quella sera intervista se stesso.
Chi è Stato?
Chi rivendicherà la Strage?
 
Non trova risposte, quella sera.
Vorrebbe uscir di casa e prender a calci la strada, il bordo del marciapiede, le scarpe lucide dei secondini di guardia in Questura, le facce unte nascoste in quegli uffici, il questore, Calabresi. Il mondo.
Vorrebbe calpestare il mondo.
 
Ma sta fermo lì, in quella stanzetta spoglia, appoggiato alla sua macchina da scrivere.
Dimentica la sigaretta nel posacenere, che adesso disperde un odore dolciastro ed acre insieme. La sconfitta.
Un giornalista, gli hanno insegnato, non deve esser preda delle passioni.
Analizzare il mondo con obiettività, fotografare la realtà.
Così si tira su a sedere, le spalle strette, la schiena dritta, e batte sui tasti consumati della macchina da scrivere.
 
In alto, a destra, come sempre, la data:
 
15 Dicembre 1969.
Suicidio alla Questura di Milano.
 
A mezzanotte e tre minuti, in via Fatebenefratelli, presso la sede della Questura di Milano, viene rinvenuto il cadavere di…
 
Si scosta per un attimo dalla macchina da scrivere, incurva le spalle, stringe tra le dita il foglio appena macchiato dalle sue parole, così sbagliate, così vuote, così imbellettate e finte. Rilegge, lo adagia sul tavolo.
D’un tratto, come folgorato, gli torna in mente la scena di quel corpo che cadeva, sotto ai suoi occhi. Raggiunge, con uno spasmo, la stilografica che porta nella tasca della giacca, quella che sta sul cuore.
E con una rabbia cieca, impossibile da sopprimere, ferisce il foglio con l’inchiostro scuro.
La parola "suicidio" è indistinguibile adesso.
Al suo posto, si può leggere chiaramente: Omicidio.
 
Il giorno dopo, il suo nome non sarebbe apparso, tra le pagine dell’Unità.
 



“Quella sera a Milano era caldo,
Ma che caldo, che caldo faceva,
Brigadiere, apra un po’ la finestra,
Una spinta e Pinelli va giù.
[…]
Stai attento, indiziato Pinelli,
Questa stanza è già piena di fumo,
Se insisti apriam la finestra,
Quattro piani son duri da far.”
 
 
 
 
 
Note:

Ricorre oggi, la data dell'omicidio di Giuseppe Pinelli, 41 anni, anarchico, ferroviere. 
Io ho sentito il bisogno di ricordarlo così. 
Spero di non aver urtato la sensibilità di nessuno, in caso contrario, me ne dispiaccio e mi scuso, ma non si rinuncia agli ideali. 
Questo è quanto. 

Per maggiori informazioni:
http://www.uonna.it/caduta.htm,
La canzone, in corsivo e incolonnata a destra, è questa: https://www.youtube.com/watch?v=4uTIXCy2uTM&spfreload=10
  
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