Storie originali > Favola
Ricorda la storia  |      
Autore: Nahash    15/12/2014    2 recensioni
Scott, si disse che, doveva fare qualcosa, provvedere verso un cambiamento, perché, in fondo, lui aveva le ali, ma solo non le sapeva sfruttare: nessuno glielo aveva insegnato.
Così, preso qualche ramoscello con il becco, lo portò fino al suo giaciglio, e tenendolo ben stretto, cominciò a tracciare, tutti quelli che potevano essere i piani d'adottare.
Progettò persino una fionda, affinché, potesse liberarsi in aria, una volta in volo ─ o almeno così sperava.
Una volta sistemato tutto ─ per il primo progetto ─ prese altri arbusti elastici, delle foglie d'erba e qualche altro elemento fornito dal bosco. Si costruì la sua fionda e così, facendo leva sulle sue zampette, mentre con il corpicino posava contro le foglie, si incamminò all'indietro, lasciando che l'attrezzo lo lanciasse lontano.
[...]
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Note: Salve a tutti! Ho voluto scrivere questa storia per caso, per quella che si definisce pura ispirazione! Oggi, mentre guardavo un film, sono apparse le parole: Scott e free, così mi è venuto il titolo, senza neanche accorgermene l'ho pronunciato ad alta voce.
Dal titolo poi è nato tutto il resto!
Spero che la storia vi piaccia e che il piccolo Scott vi ispiri un po' di tenerezza!!!
 



Image and video hosting by TinyPic

 
C'era una volta un piccolo colibrì che non sapeva volare. Lui, era triste solo perché i suoi amici sapevano tutti svolazzare.
Non era amato e Scott ne risentiva molto; spesso veniva deriso perché lui non sapeva volteggiare.
Il piccolo colibrì non aveva nulla da invidiare agli altri, ma al contrario, aveva solo quella piccola pecca a differenziarlo.
Scott, si disse che, doveva fare qualcosa, provvedere verso un cambiamento, perché, in fondo, lui aveva le ali, ma solo non le sapeva sfruttare: nessuno glielo aveva insegnato.
Così, preso qualche ramoscello con il becco, lo portò fino al suo giaciglio, e tenendolo ben stretto, cominciò a tracciare, tutti quelli che potevano essere i piani d'adottare.
Progettò persino una fionda, affinché, potesse liberarsi in aria, una volta in volo ─ o almeno così sperava.
Una volta sistemato tutto ─ per il primo progetto ─ prese altri arbusti elastici, delle foglie d'erba e qualche altro elemento fornito dal bosco. Si costruì la sua fionda e così, facendo leva sulle sue zampette, mentre con il corpicino posava contro le foglie, si incamminò all'indietro, lasciando che l'attrezzo lo lanciasse lontano.
Scott si ritrovò in volo, scaraventato a una velocità fortissima, speranzoso sul risultato. Non riusciva a crederci, pensava proprio che fosse riuscito a volare: allora, spiegò le ali e si godé tutta l'arietta, che fresca lo sferzava, beandosi di quel volo improvvisato. Quando si ritrovò a precipitare, i suoi occhietti erano spauriti e la paura aveva cominciato a dominarlo. Cosa poteva fare ora? Il terreno sembrava sempre più vicino e per la paura prese a sbattere le ali, ma nulla, di volare proprio non né voleva sapere.
Cadde giù, e ruzzolando, ruzzolando si ruppe un'aletta.
Cinguettò molto per il dolore, tanto d'attirare l'attenzione degli scoiattoli del bosco che lo aiutarono a medicarsi.
Gli avevano fasciato l'aletta con ramoscelli e fogliami, dandogli poi un fiore da cui poté succhiare il nettare per mettersi subito in sesto.
Scott, i giorni seguenti, si andò a rifugiare, sotto un alberello dalle grandi fronde, che gli fece da tetto spiovente.
Passavano tanti colibrì davanti a lui e molti lo ignoravano, altri invece lo deridevano. Scott non capiva perché facessero così, in fondo erano tutti diversi, perché il colore del loro piumaggio differiva di uccellino in uccellino; eppure, lui veniva scansato perché non sapeva volare.
Scott era davvero triste, i suoi occhietti si bagnarono di lacrime, ma il cielo, in suo soccorso, fece scendere la pioggia, così che lui non si ritrovasse a piangere da solo.
Ringraziò la pioggia con il suo particolare cinguettio, ma si sentiva che il suo ciarlare era un misto tra riconoscenza e dolore; allora, il cielo, pensò di far risplendere un bell'arcobaleno, così che Scott potesse essere di nuovo felice.
Scott alzò il suo musetto, rivolgendo il beccuccio all'arcobaleno, restandone ammaliato.
«Come sarebbe bello volare lassù e abbracciare i colori» Pensò Scott, ma quel pensiero lo rese subito triste, perché si ricordò che non sapeva volare e che la sua aluccia era ancora rotta.
Rimase a guardare l'arcobaleno fino a quando non svanì via nel cielo ─ la notte buia, lo mangiò, ma Scott non se ne rammaricò, perché presto si mise a dormire.
Così giorno dopo giorno, rimase lì sotto, finché mamma scoiattolo non andò da lui e lo liberò dalla medicazione, a quel punto Scott mosse l'aletta per testare la guarigione, ed effettivamente stava bene.
«Mamma scoiattolo, ma cosa me ne faccio d'un ala se non posso usarla?» Chiese lui triste, perché davvero gli sembrava una beffa quella di averla e non poter usarla ─ in fondo non desiderava nulla di diverso dagli altri, voleva provare l'ebbrezza del volo come i suoi amici.
«È inutile se non mi libera in volo.» Proseguì ancora, ma quella frase sembrò rattristare mamma scoiattolo.
«Non è vero Scott, che quest'ala è inutile. Vale, come vale quella degli altri uccellini, ma sta a te, trovare il modo di farla funzionare, secondo il tuo criterio di volare e non in base a quello degli altri.»
Scott non capì subito le parole di mamma scoiattolo, ma ciò di cui era sicuro, era che voleva imparare a svolazzare.
Per giorni cercò di escogitare un modo, di trovare il suo tipo di andatura, ma non c'era verso, il suo corpo non ne voleva sapere di volare.
Al piccolo Scott non restava che zampettare, mentre tutti gli sfrecciavano intorno punzecchiandolo e canzonandolo.
«Basta!» cinguettò, ma agli altri non sembrava importare.
Camminando, camminando Scott raggiunse una vallata e rivide l'arcobaleno bellissimo di giorni prima.
«Come sarebbe bello poterlo accarezzare...»
Sembrava quasi arresosi al suo nostalgico sogno, ma non voleva darsi per vinto e in quel mentre gli tornarono alla mente le parole di mamma scoiattolo.
«Forse, forse dovrei solo provare.»
Scott, però, aveva paura, perché dopo esserci rotto l'ala era ancora più restio a liberarsi nell'aria.
Così cercò d'innalzarsi da terra, di provare almeno a sobbalzare, ma niente, ancora, di volare neanche l'ombra.
Tornò alla sua cuccetta triste e amareggiato e lì, come sempre si addormentò.
Al mattino la storia si ripeteva tristemente: i suoi simili lo canzonavano, lo pungolavano e mamma scoiattolo lo guardava preoccupata, perché non riusciva più a vederlo così amareggiato.
A Scott non restava che la vallata, così tornò nuovamente lì lasciandosi meravigliare. Seguì l'arcobaleno, salendo su questo sul ciglio del precipizio. Scott era così contento che non gli sembrò vero, non pensò neanche che sotto di sé aveva il vuoto e che le sue ali stavano battendo. Quando se ne accorse, il panico lo sorprese e Scott si sentì tirare giù dal vuoto.
Stava precipitando giù, era velocissimo a cadere, e lui, poverino, cominciò a cinguettare, spaventato e scosso.
«Scott, pensa, pensa. Stavi volando! Come fai a cadere ora?» Si domandò perplesso Il colibrì, mentre cadeva contro il tempo, pensava a come potersi salvare, allora rimuginò sull'arcobaleno e a come mischiarsi bene con i suoi colori; improvvisamente, quel pensiero lo fece volteggiare. Così, arrancando, arrancando, riuscì a ripercorrere la strada colorata.
Tutto allegro tornò al boschetto ─ ma zampettando però, perché voleva stupire tutti quanti ─  e si scapicollò da mamma scoiattolo.
«Mamma, mamma so volare!» Esclamò lui tutto felice.
«Davvero? Sono felicissima per te, Scott.» Si dimenò sulle sue zampette, felice per l'uccellino.
I suoi amici, si fecero avanti e come al solito cercarono di demolirlo: «Non ci crediamo che sai volare, dimostracelo!» Gli dissero, circondandolo, mettendolo alla prova.
Scott gonfiò il petto e sbattendo le alucce riuscì a sferzare l'aria e a tirare su il suo corpicino, allorché, i suoi amici, rimasero a becco aperto ed esclamarono: «Grande Scott, sei il migliore, fantastico Scott!»
A quel punto Scott, non li degnò di parola, perché sempre lo avevano beffeggiato, e in fondo, lui non era cambiato, solo che adesso sapeva volare, ma lui, con loro, era sempre stato Scott.
 
La mamma scoiattolo, un giorno curiosa, gli chiese: «Scott, ma come hai imparato a volare?»
«Non ho imparato, mamma scoiattolo, ho trovato il mio modo.» Disse intento a continuare il suo racconto.
«Un giorno, mi ero trovato a camminare su un meraviglioso arcobaleno, quando mi sono reso conto, che sotto di me c'era il vuoto, a quel punto, la paura mi sorprese, e io, giù, stavo cadendo.»
Mamma scoiattolo si portò una zampina al petto e preoccupata esclamò: «Mio piccolo amico, allora come hai fatto?»
«In quel momento, mamma scoiattolo, sapevo che o imparavo a volare o non avrei visto più l'arcobaleno, quindi, quando per un attimo ho chiuso gli occhi, mi sono ascoltato e mi sono detto che io volevo a tutti i costi camminare sull'arcobaleno, confondermi tra i suoi colori,  e che per questo motivo, non potevo darmi per vinto!»
Mamma scoiattolo sorrise, era felice per il piccolo Scott e per la lezione che aveva imparato.
Ora Scott era un colibrì coraggioso, che non aveva paura di volare, che la sua tenacia, lo aveva ascoltato. Ora Scott era un colibrì libero, libero di accarezzare l'arcobaleno con le sue splendide ali.

 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Favola / Vai alla pagina dell'autore: Nahash