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Autore: Sofyflora98    16/12/2014    4 recensioni
La sua vista era annebbiata.
Non era certo del motivo. Poteva essere perché aveva perso gli occhiali. O forse per le lacrime che gli erano salite agli occhi quando i Cinematic Records dell’umano che dovevano mietere l’avevano aggredito.
Era più propenso alla prima ipotesi: uno shinigami non piange, tantomeno un uomo.
*****
GrellxWilliam, in onore del loro anniversario.
Avvertimento: alte probabilità che questa follia sia del tutto orrenda. E' la prima volta che scrivo su di loro, e anche le prima volta che scrivo una fanfiction a capitolo unico.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Grell Sutcliff, William T. Spears
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La sua vista era annebbiata.
Non era certo del motivo. Poteva essere perché aveva perso gli occhiali. O forse per le lacrime che gli erano salite agli occhi quando i Cinematic Records dell’umano che dovevano mietere l’avevano aggredito.
Era più propenso alla prima ipotesi: uno shinigami non piange, tantomeno un uomo.
Una chiazza cremisi dalla forma poco definita ora si era materializzata davanti a lui. La cosa a cui apparteneva si era protesa nella sua direzione e gli aveva sfiorato il viso. Il contatto con il freddo metallo delle stanghette dei suoi occhiali lo fece tornare lucido, liberandolo dai rimasugli dei ricordi di Thomas Wallis.
Già, naturalmente era il suo compagno d’esame. Quel tipo dai capelli scarlatti con un carattere violento e impulsivo. Quel tipo che faceva sempre di testa sua, non accettava quasi mai le opinioni altrui ed entrava in conflitto con la maggior parte delle persone che lo conoscevano.
Quel tipo che aveva degli occhi così grandi; una pelle così bianca…
Quel tipo che lo aveva appena salvato.
Grell Sutcliff.
 
 
 
 
Shinigami Dispatch Society, 15 Dicembre 1889
 
 
Un fiocco di neve aveva appena attraversato l’aria gelida e tagliente di quel mattino di fine autunno. Era caduto per metri e metri, fino a posarsi sui capelli di un giovane avvolto in un cappotto rosso. Quest’ultimo alzò il capo verso il cielo, espirando nuvolette di vapore condensato.
Le nuvole erano di un grigio perlaceo, quasi del tutto uniformi. La temperatura era di circa zero gradi celsius,  ovvero trentadue gradi fahrenheit, nel sistema imperiale britannico. Insomma, la temperatura di solidificazione dell’acqua. Quella che, in genere, permette alla pioggia di trasformarsi in neve.
Un secondo fiocco seguì il primo, e a questo molti altri, sempre più fitti, ma leggeri.
Una risata ilare riecheggiò davanti all’edifico prevalentemente in vetro che era sede di lavoro degli dei della morte. Il rosso affrettò il passo, continuando a ridere, ed entrò a tutta velocità all’interno, superando i colleghi che stavano già scorrazzando avanti e indietro con pile di documenti da compilare.
Si fermò solo quando fu davanti alla porta dell’ufficio con la targhetta che recitava “William T. Spears, sezione amministrativa”.
La aprì sbattendola rumorosamente, e si precipitò alla scrivania del suddetto shinigami.
- Will! – esclamò – Sta nevicando! Ha già cominciato a nevicare! –
L’uomo dai capelli neri non si prese nemmeno la briga di sollevare lo sguardo – Buon per te. Ora ti pregherei di iniziare subito il tuo lavoro. Sei già in ritardo di venti minuti, non costringermi a fare rapporto sulla tua condotta un’altra volta – rispose, atono.
Grell gonfiò le guance, irritato. Non si sarebbe certo dato per vinto così facilmente.
- Non sarebbe bellissimo se domani fosse tutto coperto di neve? Non sarebbe romantico, eh? – continuò, sporgendosi verso l’altro shinigami. William lo ignorò, abituato ormai alle sue sciocchezze.
- Voglio dire – proseguì, imperterrito – Domani è il nostro anniversario. Se fosse tutto innevato, se fosse tutto bianco e candido… -
William strinse più forte la presa sulla sua penna. Non erano neanche le otto del mattino, e già non vedeva l’ora di finire. Ogni volta che si avvicinava il fatidico sedici dicembre, Grell Sutcliff si faceva ancora più disgustosamente irritante, assillante e femminile del solito, il che era tutto dire.
- Ho già capito dove vuoi arrivare, Sutcliff – disse gelido come il ghiaccio, sistemandosi gli occhiali – E mi ritrovo costretto a ricordarti che domani non è il nostro anniversario, ne mai lo sarà –
- Ma Will! – la sua voce acuta era a dir poco insopportabile – Come puoi dire una cosa del genere? È l’anniversario della nostra prima volta insieme! –
William scattò in piedi, e gli assestò un colpo di death schyte dritto in testa.
- No che non lo è – ribatté, tagliente – Non è altro che il giorno in cui abbiamo completato il nostro esame, come molti altri assieme a noi. Ora togliti dai piedi! –
Sentì un dolore improvviso ed inteso alla guancia.
Il suo sottoposto se ne andò senza dir nulla, se non lasciandogli il limpido messaggio di quel pugno in viso.
Massaggiandosi la zona colpita, Will constatò che era molto più forte di quanto ricordasse.
Sentiva davvero un male tremendo.
Non era certo del motivo. Poteva essere per quel colpo che aveva appena ricevuto. O forse perché realmente non c’era nulla di vero commemorare, il giorno dopo.
Era più propenso alla prima ipotesi: perché mai avrebbe dovuto esserci qualcosa da commemorare?
 
- Fai più attenzione ai tuoi occhiali –
La voce del compagno d’esame era morbida, sensuale. Non l’aveva mai visto sorridere in quella maniera. Era abituato ai suoi ghigni sadici e inquietanti, ai suoi sguardo maliziosi e provocanti. Al suo atteggiamento orgoglioso, alla sua indifferenza verso le altre matricole.
Non avrebbe mai creduto possibile un’espressione così languida nei suoi occhi.
Non in lui, il giovane che terrorizzava quasi ogni persona.
 
 
William aveva deciso di fare rapporto riguardo all’increscioso comportamento di Sutcliff. Non solo aveva alzato le mani su un suo superiore, ma era anche stato assente dal lavoro tutta la giornata. Più ci pensava e più era deciso a farlo punire come meritava. Tanto ci pensò, che alle sei del pomeriggio ancora non aveva fatto nulla se non svolgere le proprie mansioni nel suo ufficio, sgridare i colleghi incapaci e compilare documenti su documenti.
Gli avevano anche chiesto come si fisse procurato quel livido sulla guancia. Non gli importava che gli altri potessero prendere di mira quell’insopportabile rosso, dopo aver sentito di quell’incidente, né che dicessero che lui non era nemmeno in grado di difendersi da un uomo magro e minuto come Sutcliff.
Ciononostante disse che gli era stata sbattuta la porta in faccia, senza che lui potesse vedere chi era l’irresponsabile che non aveva controllato prima di aprirla così violentemente.
Stavano già cominciando le sue ore di straordinari, causati dall’incompetenza degli altri shinigami, che non facevano altro che perdere tempo, distrarsi e commettere errori.
Ronald Knox entrò fischiettando nel suo ufficio, consegnandoli l’ennesima serie di scartoffie.
- Bisogno di qualcos’altro, capo? – chiese allegramente il ragazzo. William annuì distrattamente.
- Portami qui Sutcliff. Mi hanno affidato un pacco di lavoro arretrato che deve ancora eseguire. Non ci tengo a fare anche la sua parte –
Knox sgranò gli occhi, sconcertato – Ehm…, capo, avete bisogno di un’aspirina per il mal di testa? Forse siete un po’ troppo stressato… -
William aggrottò le sopracciglia – E per quale ragione dovrei essere stressato? –
- Beh… - il suo sottoposto sembrava a disagio, come se stesse cercando di fargli capire qualcosa senza che se la prendesse – Sutcliff è assente da stamattina. Se ne è andato di corsa senza dircene il motivo. Non posso portarvelo qui –
Ecco. Ecco perché era riuscito a ripensare agli avvenimenti della mattinata senza venire interrotto, a lavorare senza che qualcuno combinasse talmente tanti pasticci da costringere lui a raddoppiare gli sforzi. Quasi non ci aveva fatto caso, però, sul momento.
- Il mio orario, comunque, è terminato – annunciò Knox – Buon continuamento, capo –
Quando Ronald se ne fu andato, William sospirò profondamente, massaggiandosi le tempie.
In effetti, in quei giorni era veramente stressato: con l’arrivo dell’inverno erano aumentate le morti per assideramento, e di conseguenza il loro lavoro. Se poi ci si metteva pure quel rosso, saltando le giornate in quella maniera, allora…
Quella sera gli fu difficile concentrarsi.
Quando finalmente tornò pure lui nel suo appartamento, non aveva concluso quasi nulla. Tanto valeva non fare gli straordinari per niente. E il motivo? Sempre quell’idiota di Grell Sutcliff, naturalmente!
 
- Non volevo davvero picchiarlo, sai – mormorò Grell alla bambola voodoo che aveva cucito rendendola simile a Sebastian – Però lui a volte è davvero… - lasciò la frase in sospeso, e si girò sul fianco.
Aveva passato quasi tutta la giornata sdraiato sul letto, la mente vuota.
No che non lo è
Le parole di Will continuavano a riaffiorargli nella mente. Era sempre così, ogni anno. Non si aspettava certo che questa volta cambiasse qualcosa, però non credeva nemmeno che l’ennesimo rifiuto potesse fargli così fastidio.
Perché era fastidio, giusto? Che altro avrebbe potuto essere?
Dopo anni passati in quella maniera, ci aveva fatto l’abitudine.
Però, la maniera in cui l’aveva guardato, come se fosse un insetto da schiacciare, come se non desiderasse altro che vederlo sparire, in quel momento gliel’aveva fatto odiare. Se solo avesse potuto non gli avrebbe solo dato un pugno. L’avrebbe pestato a sangue, fino a fargli capire anche solo in minima parte quanto avesse dovuto patire nei quasi novant’anni da cui si conoscevano.
Patire? Che mai andava pensando! Cosa avrebbe mai potuto farlo patire, lui che era il più sanguinario e letale di tutti gli dei della morte? Non certo quel damerino tutto d’un pezzo talmente cieco da non rendersi conto della sua bellezza!
Gli bruciavano gli occhi. Aveva anche un nodo in gola, ed un macigno sul petto.
Mi ritrovo costretto a ricordarti che domani non è il nostro anniversario, ne mai lo sarà.
Il suo respiro si fece irregolare. Si strinse più forte al pupazzo, strappandone le cuciture con le unghie lunghe e laccate di rosso. Non doveva farlo! Non poteva abbassarsi a piangere per quel… quel…
Ora togliti dai piedi!
Emise un gemito strozzato, mentre le lacrime finalmente presero a sgorgare dai suoi occhi, colando in rivoletti lucenti lungo le sue guance pallide, insinuandosi tra le sue labbra lasciando il loro sapore salato, scendendo calde per il collo, fino ad inumidire il lenzuolo.
- N… non sto piangendo, Sebas-chan… - singhiozzò di nuovo, sempre rivolto alla bambola – Mi dev’essere entrata… della polvere in un occhio… -
 
William aveva passato la notte insonne, tra l’ansia per non aver terminato il suo lavoro e il nervosismo causatogli da quell’idiota di Sutcliff. Onestamente, come poteva pensare di restarsene a casa una giornata intera come e quando gli pareva, senza nemmeno avvertire? Sperò per lui che quel giorno si sarebbe fatto vedere e avesse dato una spiegazione plausibile.
- Non sembrate in gran forma, capo! – fischiettò Ronald Knox, perennemente di buon umore – Scusate se m’intrometto, ma non è che per caso non avete chiuso occhio? Avete di quelle occhiaie… -
Oh, se non avesse chiuso il becco entrò dieci secondi, si sarebbe beccato un mese di straordinari non pagati, pensò il suo superiore. Come se non avesse problemi più importanti a cui pensare.
- Capo… -
- Che c’è? – chiese William, sperando che la finisse il più presto possibile.
- Senpai Sutcliff non c’è nemmeno oggi –
Serrò gli occhi. Naturalmente doveva aspettarsi che avesse qualche brutta notizia, ma chissà perché, la cosa lo irritò come non mai. Di nuovo assente? Appena lo avesse rivisto, gli avrebbe dato una lavata di capo esemplare!
- Non è che ieri avete avuto qualche discussione, o qualcosa del genere? – domandò a bruciapelo il più giovane.
- Cosa te lo fa pensare? –
- Beh… l’avevo visto correre via dal vostro ufficio, e quindi ho pensato che… ehi, non guardatemi così! Non sono stato solo io ad ipotizzare che… -
Lo sguardo omicida di William gli fece capire chiaramente due cose: primo, che non era affatto il caso di continuare con quel discorso; secondo, che ci aveva azzeccato in pieno. Realizzato tutto ciò, salutò brevemente e uscì più in fretta che poté dalla portata della sua falce.
Che diavolo andava a pensare, quel ragazzino? Non facevano che discutere o litigare per qualcosa la maggior parte del tempo, non era certo chissà quale novità. Però Sutcliff non aveva mai neanche tentato di colpirlo, mentre invece William lo aveva fatto molte volte.
Perché poi se la fosse presa così per una cosetta del genere, restava un mistero. Il giorno in cui sarebbe mai riuscito a capire come funzionasse la testolina contorta del suo collega, sarebbe stato il giorno in cui i demoni si sarebbe messi a fare opere di beneficenza. E comunque non era una buona scusa per mancare dall’ufficio per due giorni consecutivi. 
A proposito di ufficio, non ricordava che ci fosse mai stato un silenzio del genere. Sentiva un lieve brusio, ma non era paragonabile al rumore che c’era solitamente, del quale spesso si lamentava, e per cui rimproverava regolarmente gli altri shinigami. Eppure, non gli era sembrato che ci fossero molte persone assenti.
Ripensandoci, non era propriamente più silenzioso; piuttosto era diverso il loro modo di usare la voce. Ora stavano parlottando tra loro, con voce tranquilla. Semplice, normale e consono all’ambiente lavorativo.
La cosa lo infastidì. Era troppo consono, troppo tranquillo.
Di solito, i suoni che prevalevano erano… cos’erano?
Una risata squillante, una voce sempre concitata ed ilare, il rumore di scarpe col tacco.
All’improvviso la loro assenza gli parve sbagliata, innaturale.
Si alzò e socchiuse la porta dell’ufficio, sbirciando gli dei della morte agitati e laboriosi. Un mare di abiti neri e grigi, sotto ad una coltra di chiome perlopiù corvine o castane. Anonimi, vuoti, quasi del tutto uguali tra loro. Rigidi e seri, con voci insulse e che si scambiavano formule formali.
Si sorprese a desiderare di vedere lì in mezzo una figura saltellante e ridente, dai vestiti e capelli scarlatti, che spiccava come una fiamma in mezzo a tutti quegli uomini così noiosi e prevedibili. Incredibile! Aveva passato decenni a sperare di liberarsene una volta per tutte, ed ora che davvero non era lì, voleva che tornasse! Doveva trattarsi del cambio di temperatura, senza dubbio. Avrà avuto la febbre, o qualcosa del genere. Altrimenti, come mai avrebbe mai dovuto sentir freddo, o provare un dolore acuto alla gola nel momento in cui gli tornarono in mente gli occhi pieni di lacrime di Grell mentre correva via?
 
Aveva provato a prendere una boccata d’aria, a concentrarsi meglio sui documenti da compilare, a farsi una lista sulle tante cose che in quel giorno stavano filando lisce grazie all’assenza di Sutcliff, ma nessuna di queste cose lo fece sentir meglio.
Onestamente, che scocciatura! Grazie al cielo, chissà come, era riuscito a terminare le sue mansioni, e non era tenuto a fare straordinari. Non vedeva l’ora di tornarsene nel suo appartamento e dormire le sue sane otto ore, dopo essersi lavato come si deve.
Stava già pregustando l’acqua calda e la vista del perfetto ordine che regnava nella sua abitazione, quando si ritrovò in mano una cartella di fogli stampati a macchina, che aspettavano solo che qualcuno ci scrivesse sopra le informazione richieste. E quel qualcuno non era lui: si trattava di ciò che avrebbe dovuto fare sempre quell’incapace del suo collega, invece che starsene a casa per ben due giornate intere.
Sbuffò, irritato. A quel punto, era meglio che glieli portasse di persona, così che non si accumulassero. E se per caso al suo ritorno fossero stati ancora intonsi, o peggio sporcati con stampi di baci, gli avrebbe fatto passare la voglia di perder tempo.
Una volta terminato il suo orario, mise la cartella nella borsa nera perfettamente a norma con il regolamento, e se ne andò salutando gli altri impiegati della Shinigami Dispatch Society con la cortesia necessaria, ma con il giusto distacco.
Ora stava già meglio.
Niente più gente in uniforme, niente più date di scadenza, niente più stupide regol…
William sgranò gli occhi, meravigliandosi di se stesso. Ma che diavolo andava pensando? Le regole erano tutto! Un mondo senza regole non avrebbe potuto che andare in rovina, insomma! E a proposito di regole che cosa lo obbligava a portare a Sutcliff quella cartella? Avrebbe potuto semplicemente aspettare che si rifacesse vivo, e che si prendesse le sue responsabilità in proposito. Anzi, quella era un’idea molto migliore di quest’improvviso suo silenzio riguardo le sue mancanze.
Il mattino dopo sarebbe andato dritto di filato da un suo superiore a riferire le assenze non giustificate e non preavvisate, e anche l’aggressione ricevuta dal suo sottoposto. Chissà che una volta per tutte non imparasse la lezione.
Quando si ritrovò davanti alla soglia dell’appartamento di Grell Sutcliff, però, decise che ora che era lì avrebbe consegnato quei documenti senza aggiungere nulla di superfluo. Forse, in fondo, il suo malessere era causato davvero dallo stress, come aveva suggerito Knox il giorno prima. Se era così, con la chiusura di quella questione, quel terribile mal di testa gli sarebbe passato, e pure la fitta alla gola che lo assillava da ore.
E tra l’altro non avrebbe mai voluto rivedere di nuovo quell’espressione straziante sul visetto di Grell. Immaginava già cosa avrebbe detto se mai lui avesse fatto rapporto ai superiori riguardo alla sua condotta. Avrebbe iniziato di sicuro a piagnucolare, e sbattere le ciglia, cercando di intenerirlo. E lui ovviamente si sarebbe intenerito, ma l’avrebbe nascosto a qualsiasi costo, mostrando invece una maschera di ghiaccio.
Sei cattivo, Will! Sei crudele! Ti detesto!
L’immagine era così chiara che avrebbe potuto essere reale.
E come tutte le volte che finiva in quel modo, allora lui avrebbe pensato  che fosse adorabile, e che gli dispiaceva dover…
Trattenne il fiato. Dio, l’aveva fatto di nuovo! Aveva di nuovo iniziato a pensare delle idiozie del genere! Cielo, stava letteralmente sclerando.
- Non m’importa – disse a bassa voce – Non m’interessa nulla di lui –
E detto questo bussò alla porta, ovviamente verniciata di rosso. Nessuno rispose.
William bussò più forte, ma ancora niente.
- Grell Sutcliff, se sei in casa, sei pregato di rispondere – sbottò, conoscendo l’abitudine del sottoposto di fare il muso e fingere di non esserci. Dall’altra parte giunse un mugolio molto simile alle parole “Sì, ci sono”.
Girò il pomello senza tante cerimonie, desideroso di liberarsi del peso di quel lavoro arretrato, e di fare una ramanzina come si doveva al rosso, o perlomeno convincerlo a piantarla con quella sceneggiata.
Diede una rapida occhiata all’ambiente che lo circondava, ma non vedeva il collega da nessuna parte. Nessun rumore tradiva la sua locazione, ed essendo l’ambiente a sua volta prevalentemente scarlatto, non poteva fare affidamento neanche sui colori per individuarlo.
- Che cosa vuoi? – il mormorio giunse all’improvviso, cogliendo di sorpresa l’uomo. Guardò con più attenzione, e finalmente riuscì ad individuare l’interlocutore.
Era raggomitolato sulla stuoia bordeaux stesa sul pavimento, davanti ad un divano di un rosso appena meno scuro. Era avvolto in un lenzuolo nero che prima aveva scambiato per parte della tappezzeria, e faceva sbucare solo il viso da una piccola apertura tra i due lembi ripiegati tra loro.
William si aggiustò gli occhiali – Sono due giorni che trascuri i tuoi compiti – disse, imperturbabile – Domani voglio rivederti al lavoro. Niente storie, o farò rapporto. Ah, e ti ho portato i documenti di cui avresti dovuto occuparti tra ieri e oggi –
Grell sbuffò, e girò la testa – Non lo farò – disse semplicemente, tornando a nascondersi sotto al tessuto. William alzò gli occhi al cielo, esasperato.
- Ma si può sapere qual è il tuo problema, stavolta? – esclamò, facendo un passo verso di lui. Ancora una volta non ricevette alcuna risposta. Sospirò, massaggiandosi le tempie. Il mal di testa si faceva più acuto. Bruttissimo segno.
Poi un singulto lo riscosse. Il grumo in cui Grell si era appallottolato aveva iniziato a tremare. Oddio, non è possibile! pensò, non riuscendo a capacitarsi di come potesse essere così infantile.  Optò per lasciare che la smettesse, prima di continuare il suo discorso. Sempre che non si mettesse a…
Un singhiozzò sfuggì dalle labbra dell’altro shinigami. Ecco, ora era ancora peggio di prima. Come potesse un uomo della loro età e professione mettersi a piangere come una ragazzina continuava a restare un mistero.
- Sei uno stupido! – urlò Grell, la voce rotta dal pianto – È colpa tua se ora… sto così! –
Non sapeva nemmeno perché lo stava ad ascoltare. Poteva essere per poter poi confutare le sue affermazioni. O forse perché sapeva che almeno in parte aveva ragione. Era più propenso alla prima ipotesi: in nessun modo avrebbe mai potuto essere colpa sua.
Eppure…
Battito cardiaco accelerato. Sensazione di dolore alla gola. Lieve pizzicore ai bulbi oculari.
No, non era la prima volta che percepiva delle reazioni del genere sulla propria persona. Non era la prima volta nemmeno che volesse davvero mandare al diavolo tutti i suoi principi riguardo cosa è appropriato e cosa non lo è, su che relazioni tra colleghi sono concesse e quali no.
In quante altre situazioni si era trovato in quella difficile posizione, in cui non sapeva se fare come riteneva fosse più opportuno, o agire seguendo i suoi impulsi? Tante da non poterle contare. E la causa era sempre e solo una: Grell Sutcliff. Lui era in grado di stravolgere ogni cosa o persona che gli si avvicinasse più del dovuto.
Però era la prima volta che pensò di poter davvero cedere a tutto ciò. Sentiva un’inequivocabile attrazione verso quella creatura che incarnava tutto ciò che poteva definirsi opposto a William.
Andò appresso la figurina accoccolata in quella posizione infantile, afferrò un lembo del lenzuolo e lo tirò via con forza, costringendolo a mostrare il viso. S’inginocchiò di fronte a lui, e gli afferrò i polsi, perché non si coprisse di nuovo.
- Qual è il problema? – ripeté, stavolta più dolcemente.
- Perché – Grell tirò su col naso – Ieri hai detto che… oggi non sarebbe stato il nostro… - s’interruppe, singhiozzando di nuovo.
- Beh, è vero – confermò William. L’altro gemette più forte. – Non è mai successo nulla, lo ribadisco, Sutcliff. Non capisco perché tu debba fare tutta questa confusione per qualcosa che non è mai successo –
- Perché… hai detto anche che… -
Che mai lo sarà completò mentalmente il suo superiore.
Sospirò, chinando il capo. In certi momenti non sapeva chiarire se Grell Sutcliff fosse difficile o facile da capire. Era così “grellesco”, ecco. Trovare una definizione differente era impossibile.
Lui era l’unica persona che fosse mai riuscita a smuoverlo in quel modo.
Un gridolino strozzato interruppe il filo dei suoi pensieri.
Era talmente assorto che non si era nemmeno reso conto di star praticamente fermando la circolazione ai polsi dello shinigami dai capelli rossi. Allentò la presa, ricevendo in risposta un sospiro di sollievo.
- Grell – ebbe subito la sua attenzione: non l’aveva mai chiamato per nome da quando si conoscevano. – Promettimi che non lo dirai a nessuno al di fuori di qui –
Il rosso lo fisso sconcertato – Che cosa? – la sua voce aveva ancora un che del pianto di poco prima. Qualche lacrimuccia residua luccicava sulla sua pelle, catturando la luce come piccoli diamanti. Aveva ancora gli occhi arrossati, e le labbra appena dischiuse.
William fece scivolare le mani dai suoi polsi alle sue spalle, tirandolo verso di se. E appoggiando, delicato come un soffio di vento, la bocca su quella morbida e ben disegnata dell’altro.
Sentì Grell trattenere il fiato, tremare sotto la sua stretta, addirittura tentare di allontanarsi, anche se con poca convinzione. Alla fine lo lasciò andare, e il rosso si ritrasse, guardandolo come se fosse impazzito.
- Perché? – disse, incredulo, dopo aver aperto la bocca più volte, senza saper cosa dire.
Il corvino, per la prima volta da che ricordasse, sorrise. Sinceramente. Addirittura teneramente.
- Perché sì –
Prese quel viso dalla pelle candida tra le mani, e baciò di nuovo le labbra dello shinigami. Pian piano, l’altro iniziò a rispondere al bacio; dapprima timidamente, poi con più intensità, gettando le braccia al collo del più alto e aggrappandosi a lui con forza. William lo strinse in vita, facendo aderire i loro corpi.
Grell si staccò per riprendere fiato. – Da quanto tempo? – ansimò, appoggiando il viso sulla spalla dell’uomo.
- Tanto. Almeno credo. Ma me ne sono accorto da poco – e si avventò di nuovo su si lui.
Sollevò Grell per i fianchi, facendolo sedere a cavalcioni sulle proprie ginocchia, e fece scorrere una mano tra i suoi capelli carmini. Da quanto tempo, gli chiedeva? Probabilmente da sempre. Solo che non se ne era mai reso conto, o forse aveva evitato anche solo di porsi il problema, rifiutandolo a prescindere.
Però, alla fine, l’aveva avuta vinta Grell. L’aveva sempre vinta Grell, ripensandoci. In una qualche maniera, le cose erano sempre state a suo favore: era William quello che aveva forzato se stesso a non lasciarsi trascinare, era William quello che la prendeva male quando il collega subiva richiami o punizioni per i guai che causava, era William quello che, alla fine, gli aveva ceduto.
E non gli dispiaceva.
In quel momento, con Grell sulle ginocchia che faceva scivolare la lingua tra le sue labbra, lontano mille miglia dalle opinioni altrui, poteva di buon grado ammettere che gli andava bene anche essere secondo a qualcuno, tenuto sotto scacco da qualcuno. A patto che quel qualcuno fosse la persona che ora stava baciando. Nessun altro.
- Ti amo, Will – sussurrò al suo orecchio la voce del suo… amante? Beh, a quel punto sì, lo era.
Infilò le mani sotto alla camicia del rosso, che fremette, e iniziò a sospirare più forte.
- Credo che dall’anno prossimo potrai dire legittimamente che sarà il nostro anniversario – mormorò, guardando in quei grandi occhi verdi, dalle iridi dalla forma così simile a quella delle sue, ma immensamente più languidi e pieni di luce.
Lo sospinse all’indietro, facendolo sdraiare a terra, sul drappo nero nel quale non molto prima quella bellissima creatura si stava nascondendo. Si prese il tempo di ammirare il suo bel volto dai lineamenti quasi femminili, prima di continuare l’esplorazione della sua schiena.
Iniziò a sbottonargli la camicia, liberandosi a sua volta di giacca e gilet.
Una volta scoperta la pelle di porcellana di Grell, iniziò a posargli una scia di baci, che partivano dalla mandibola fino ad arrivare al petto, sentendo in risposta diversi gemiti leggeri.
Si fermò. – Vuoi che continui, o è meglio se mi fermo qui? – gli chiese, sfiorandogli la guancia.
- Sei troppo stupido – sbuffò Grell – Ho aspettato per novant’anni. Non ho intenzione di aspettare ancora per molto –
Ricevuto il consenso, Will continuò il suo operato.
 
Non aveva mai provato nulla di simile in vita sua.
Più baci si scambiavano, e più sentiva di volerne ancora. Era come se dall’altro dipendesse la sua vita. Lo voleva, più di ogni altra cosa. Lo stringeva, gli accarezzava viso e capelli, e poi il suo intero corpo.
E ad un certo punto, finalmente, fu dentro di lui. No, sarebbe stato più appropriato dire che ad un certo punto, finalmente, furono uno.
Sporadici frammenti di ricordi, degli altri colleghi che parlavano delle loro avventure con delle ragazze, gli tornarono alla mente in maniera frammentaria. Dalla maniera in cui ne parlavano, capì che non sapevano assolutamente niente. Non sapevano cosa significava rendersi conto che solo in quel momento, dopo un’eternità, si sentiva completo, sereno. Non sapevano cosa voleva dire essere improvvisamente disposti a consegnare la propria intera esistenza nelle mani di qualcun altro.
Ma lui lo sapeva. E sapeva anche che l’unica cosa che importava, ora, era Grell, ancorato a lui come se avesse paura che potesse sparire, che gemeva sempre più forte, e non appena aveva un minimo di respiro, gli sussurrava quelle due brevi parole all’orecchio; brevi ma così importanti.
E poi, le sussurrò anche lui.
Non era certo del motivo per cui le disse proprio in quel momento. Poteva essere perché lo amava. O forse perché lo amava da impazzire. Era più propenso alla seconda: non avrebbe potuto essere stato un semplice “amare”, come qualunque umano avrebbe potuto, a far cedere le sue difese in quel modo.
Anzi, no: stavolta ne era certo.
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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