Giusto
un pizzico
Ciò
che l’aveva sempre frenata dal darsi alla
pasticceria e che, leggendo le ricette che sua nonna le lasciava
settimanalmente e che oramai avevano creato sulla sua scrivania un
plico di
fogli alto più o meno come tutti gli appunti di greco,
latino ed italiano messi
insieme, era il sale.
Il
sale, il sapore, il tocco di classe, la punta di
sapidità che cambia il gusto e crea il retrogusto.
In
ogni ricetta, o almeno in quelle che sua nonna si
divertiva a rifilarle per liberare spazio nella propria casa e creare
caos
nella sua, non mancava mai.
Dicevano
spesso un
pizzico.
Durante
una lezione extra scolastica a cui si era
costretta a partecipare per evitare la settimana dello shopping gi Ino,
a Sakura
era stato detto da un insegnate, presumibilmente ben informato e con un
curriculum di tutto rispetto, che le signorine
riscontravano una non sottovalutabile difficoltà nel quantificare rispetto ai signorini.
Sakura non aveva dubitato nemmeno per un secondo che ciò che
era stato detto da
quell’uomo in quell’interminabile ora e mezza fosse
stata la verità assoluta
mandata da Dio in terra per gli uomini, per far sì che le
donne si astenessero
dal quantificare le cose.
Per
spiegarsi meglio, il quantificare che intendeva
Sakura si riscontrava in diverse attività. Una di queste,
era sicuramente la
guida. Quando suo padre, per scherzo, le aveva permesso di guidare la
sua
macchina nuova nel parcheggio, non le era sfuggita la
difficoltà che aveva
riscontrato nel quantificare, appunto, la distanza che c’era
tra la fiancata
della macchina e il paletto che se ne stava fiero ed immobile tra una
striscia
bianca ed una striscia blu dei posteggi. Invece suo padre, pochi minuti
dopo,
non aveva avuto nessun problema nel quantificare quanto gli sarebbe
costata la
riverniciatura di entrambi gli sportelli sul lato destro.
Quello
era il suo tallone d’Achille. Se le avessero
chiesto quanto era alto il palazzo di fronte a casa sua avrebbe
probabilmente
risposto cinquanta metri quando era a malapena cinque, e se le avessero
detto
“abbassa leggermente il pedale dell’acceleratore,
Sakura-chan.”, si sarebbe
ritrovata a novanta all’ora in meno di cinque secondi.
Questo
suo handicap non indifferente si riversava su
altre attività quotidiane, come la preparazione dei
liofilizzati e cibi pronti
che andavano cotti in acqua, dove, ogni volta che si cimentava in tale
impresa
a causa dell’assenza dei genitori, quei 250 ml divenivano un
litro, o quando
doveva calcolare a mente il peso di un oggetto per vedere se sarebbe
riuscita a
trasportarlo oppure no.
E
infine, come ciliegina sulla torta, c’era la totale
mancanza del senso d’orientamento, ma quella ormai era storia.
Sakura
non poteva negarlo, lei stessa ne era una prova
vivente. Non sapeva quantificare le distanze, non sapeva quantificare i
pesi,
non sapeva quantificare le quantità. Per lei e per il suo
dosatore, la parola pizzico era
come uno schiaffo in faccia,
come un insulto alla sua intelligenza, come se
l’elettricità fosse venuta a
mancare mentre stavano proiettando il film che attendevi arrivasse in
tv dopo
un anno dalla prima cinematografica.
Quanto
era un pizzico? Cosa significava la parola
pizzico? Aveva davvero un senso, eliminata la prima persona singolare,
modo
indicativo, tempo presente del verso pizzicare? Da quanto ne sapeva
lei, il
sale non poteva essere pizzicato, e lei non poteva pizzicare il sale.
Sua
madre aveva provato a spiegarle in modo pratico la
differenza tra manciata e pizzico, ma per Sakura anche manciata suonava
come
una presa in giro, e quindi, dopo la prima torta salata uscita dal suo
forno, si
era limitata solo a mangiare, e a guardare attentamente sua madre
quando, di
tanto in tanto, la viziava con servizievoli ad amorevoli ghiottonerie.
Sakura
sospirò guardando Ino che, con una frusta in
mano, mescolava l’impasto con una sicurezza che sembrava non
appartenerle, e
che le aveva visto indosso solamente quando smaltava le unghie in
maniera
particolare.
Ino
era più o meno tutto ciò un uomo potesse
desiderare
dalla vita. Era alta, almeno una spanna sopra di lei – almeno
così si divertiva
a dire Ino, visto che anche spanna
era un’unità di misura particolarmente ostica -,
aveva capelli biondi e lunghi,
mai che sembrassero arruffati o rovinati sulle punte, come tutte le
comuni
mortali. Gli occhi azzurro cielo erano talmente magnetici che
riuscivano a
distogliere lo sguardo dei ragazzi dal suo fisico, e visti gli impegni
settimanali di Ino, che comprendevano pilates, aerobica, e Dio solo sa
cos’altro, il fisico di Ino era uno di quelli a cui tutti gli
uomini paragonano
quello della propria fidanzata, constatando alla fine che Ino era,
nella
maggior parte dei casi, decisamente più in forma.
A
guardarla, le avrebbe potuto dare venti, forse anche ventidue
anni, e camminarci affianco sembrava a fasi alterne o come una sciagura
o come
un privilegio. Sakura era l’amica di Ino Yamanaka, la figlia
dei fiorai che,
chissà come nel mondo, avevano fatto tanti di quei soldi con
i fiori che
passavano più tempo fuori città che a Konoha.
«
Muoviti Sakura-chan, vieni qui, è arrivato il momento
cruciale. » le disse poi, riponendo la frusta sul piano di
lavoro e strusciando
le mani l’una contro l’altra per mandar via i
residui di impasto rimasti
appiccicati alle dita.
Sakura
si alzò dalla sedia su cui stava leggendo un
fumetto sui ninja trovato per puro caso nel ricettario di Ino e si
avvicinò al
piano da cucina.
«
È inutile, non ce la farai. Mia madre ha provato in
tutti i modi. »
«
Taci. » le disse scherzosamente. Prese la confezione
del sale e la pose tra loro due, Sakura la guardò con occhi
determinati ma in
parte già arrendevoli.
«
E poi se non impari a cucinare, come farai ad essere
una mogliettina perfetta per il tuo Sas’ke-kun? »
Ino
le afferrò un polso prima che se ne uscisse dalla
porta offesa e infastidita, sporcandole il golf blu di farina.
Ridacchiò un po’
mentre tirandola per un braccio la fece riavvicinare.
«
Mamma mia, non si può più nemmeno scherzare.
» si
lagnò, spostando da davanti agli occhi un ciuffo di capelli
biondi sfuggito
all’elastico.
«
Allora, questo è il sale. » disse indicandole la
busta.
«
Lo so, Ino, non sono stupida. »
«
Perfetto, buono a sapersi. »
Sakura
alzò gli occhi al cielo e maledisse tutti. Ino
infilò la mano nella busta e ne uscì fuori con
quello che lei definiva...
«
Questo invece è un pizzico
di sale, fronte spaziosa. »
I
polpastrelli del pollice, dell’indice e del medio si
toccavano, e trattenevano quel tanto di sale che bastava. Lì
in mezzo, che
imbrattava in parte le dita di Ino, c’era il fantomatico pizzico.
«
È troppo poco. » affermò convinta, e a
sua volta
infilò la mano dentro la busta per far vedere ad Ino quale
fosse la sua idea di
pizzico. Ne uscì fuori come un braccio automatico esce fuori
da una discarica.
La mano era colma di sale, e almeno al metà di quello che
aveva afferrato si
stava divertendo a scivolare via tra le sue dita come la sabbia della
clessidra
fa nella rientranza del vetro. Ino gettò quel pizzico di
sale nell’impasto e si
affrettò a riparare al danno di Sakura, che aveva riempito
il piano da lavoro
di granellini bianchi.
«
Questo è un pugno di sale, altro che pizzico! »
rispose sistemando la busta sotto la sua mano. Le strinse il polso
costringendola a rilasciare le dita e a far ricadere il sale nel pacco.
«
Ah, a quanto pare pugno
è un’altra unità di misura a me
sconosciuta. » disse indispettita guardando con
orrore il palmo divenuto quasi bianco a causa di tutto il sale rimasto
appiccicato. Ino prese uno strofinaccio e glielo lanciò
contro, ritornando poi
a maneggiare l’impasto.
«
Questa invece, » continuò poco dopo, infilando la
mano libera nel sale, « è una manciata.
»
Sakura
guardò perplessa la quantità da sale sul palmo
di Ino. La imitò, riemergendo con una quantità
del tutto diversa da quella
dell’amica. Nonostante non fosse stata sua intenzione
sbagliare dosaggio,
Sakura fece finta di voler sapere in quale modo potesse essere
quantificato il
sale che aveva tirato su.
«
E questo invece? »
Ino
la guardò distrattamente.
«
Quello è sufficiente al massimo per una spolverata.
»
Sbuffò.
Chiuse il pacco di sale e lo rimise in
dispensa, abbandonando Ino al suo lavoro da cuoca e rituffandosi nelle
avventure dei suoi ninja leggendari dei fumetti. Quindi si sedette,
incrociò le
gambe, e riaprì il volume verso la metà, non
curandosi di aver saltato almeno
un paio di capitoli potenzialmente fondamentali per la comprensione
della
storia.
«
Potresti degnarti di aiutarmi almeno, fronte
spaziosa? »
«
Sssh, taci maialino, il mega rospo e la mega lumaca
stanno combattendo contro un serpente gigante! »
°°°
La
sua vita era costituita da pochi numeri di telefono.
Nonostante la sua rubrica fosse piena di nomi, alcuni accompagnati
addirittura da
un 1, o un 2, o un 3 per distinguere bene la persona a cui si
riferivano,
quelli che apparivano assiduamente sul display del suo telefono
cellulare si
limitavano, come avrebbe detto Ino, ad una – odiosissima
– manciata.
Prima
di tutto e tutti, c’era il numero che mai nella
vita avrebbe dimenticato, che delle volte le appariva nei sogni e la
perseguitava, che aveva, in svariate combinazioni, provato a giocare
nelle
schedine della lotteria e con le quali aveva vinto una somma che le
aveva
permesso di vivere dei suoi averi per ben due mesi e che mai, mai avrebbe smesso di braccarla: quello
di sua madre.
La
signora Haruno Mebuki, aveva l’insolita abitudine di
rivendicare la Patria Potestà come se le fosse possibile
darle la vita e la
morte a suo piacimento, e come se fosse stata un uomo potente ed
autorevole ai
tempi degli antichi romani. Sakura, oltretutto, era decisamente
convinta che la
patria potestà fosse stata superata da lungo tempo oramai
dalla Potestà
Genitoriale, ma l’evoluzione non aveva mai scalfito troppo
sua madre quando si
trattava di educare e proteggere i figli, e quindi non si faceva troppi
problemi a surclassare del tutto la figura, a quanto pare oramai
superata, del
pater familias.
Mebuki
Haruno aveva capelli di un rosso aranciato a dir
poco ridicoli, come quelli di Sakura. Un ciuffo di capelli ricadeva
davanti
alla fronte, formando quasi un triangolo, ed il resto veniva spazzolato
e
spazzolato centinaia di volte per farlo rimanere al suo posto. Burbera
e
severa, Mebuki spadroneggiava. Era contemporaneamente la femmina e il
maschio
alfa, e avrebbe potuto far coppia con se stessa per tutta la vita se
non avesse
trovato un uomo in grado di non
tenerle testa nemmeno nella più stupida questione e di cui
Mebuki, proprio per
la sua capacità di non
affrontarla
mai, riuscì ad amare fin dal principio.
Kizashi
Haruno, il sopracitato pater familias. Per
completare il cerchio, Kizashi era quello con i capelli più
ridicoli di tutti,
soprattutto a causa dei ciuffi dritti a forma vagamente di saetta, ma
la sua
natura mite e mansueta gli aveva permesso di non farne un problema come
invece
aveva fatto la stessa Sakura ai principi dell’adolescenza,
dicendo che avrebbe
potuto sopportare qualche chilo di più addosso, ma non i
capelli colorati alla
marshmallow.
Quello
di suo padre era il numero che compariva di
tanto in tanto, quello che non ti aspetti di vedere ma che, quando lo
vedi, non
ti sembra strano. Di solito la chiamata di suo padre rivelava
però il vero
macchinatore: Mebuki.
Sua
madre era stressante, e quelle sporadiche volte in
cui se ne accorgeva, lasciava telefonare Kizashi per far finta di non
entrarci
nulla.
Sakura
era abituata a tutto quello, il 50% delle volte
in cui il suo telefono squillava, erano loro: i quattro
dell’Apocalisse – sua
madre valeva almeno per tre – dagli improbabili e pittoreschi
capelli.
Subito
dopo veniva Ino. Ino la chiamava più per
consumare quegli in realtà inconsumabili minuti gratis che
aveva a disposizione
con le sue promozioni telefoniche, e il più delle volte per
dire cose di
nessuna vitale importanza. Nonostante la futilità di tutto
quello, e nonostante
il fatto che dovesse mettere il suo cellulare in carica ogni volta dopo
una
chiacchierata con Ino, quello rimaneva il tempo speso meglio secondo
Sakura.
Ino
era l’ancora di salvezza fatta ragazza. Il modo in
cui faceva sembrare anche la più inutile delle storie quella
più importante
rendeva ogni problema nel mondo più semplice. Il
più delle volte la offendeva,
certo, ogni tanto le lanciava qualche frecciatina poco gradevole
inculcandole
in testa bizzarri dubbi sul suo fisico, sulla sua sanità
mentale, ma poi ci
metteva tutto l’impegno del mondo per smentirsi e ritirarla
su dalla fossa che
le aveva scavato con tanta cura.
Subito
dopo, con un distacco minimo, giungeva Naruto
Uzumaki. Naruto Uzumaki che non aveva mai nulla di particolare da dire,
ma che coglieva
sempre l’occasione giusta per raccontarlo. Naruto aveva la
bruttissima
abitudine di chiamare ad ore improponibili anche per una ragazza di
diciassette
anni che, presumibilmente, avrebbe dovuto vivere più di
notte che di giorno, e
unita all’altrettanto improponibile tono di voce che non
raggiungeva di poco il
limite dei decibel sopportabili dall’orecchio umano, rendeva
Naruto una
pericolosissima bomba ad orologeria.
Ecco.
Quella era la sua vita digitale, fatta di
chiacchiere completamente inutili, di toni di voce bassi –
almeno da parte sua
– per non svegliare i genitori nel bel mezzo della notte, di
raccomandazioni e
di chiamate rassicuranti.
Poi,
mentre era immersa nel fumetto ninja che
sorprendentemente era stato in grado di attirare tutta la sua
attenzione, il
suo telefono squillò, come ogni giorno, come era previsto
dalla normalità. Ino
le urlò dietro di andare a rispondere immediatamente e di
abbandonare il mega
rospo, la mega lumaca e il serpente gigante a loro stessi,
perché la sua
suoneria così apatica e prestabilita dalle impostazioni del
cellulare la
raccapricciava, e non avrebbe sopportato quel suono nemmeno un secondo
di più.
Sakura
si alzò dalla sedia posandoci sopra il fumetto,
non curandosi di tenere a mente la pagina a cui era arrivata, e corse
in camera
da letto, dove aveva lasciato la sua borsa appena giunta a casa
dell’amica.
Frugò a lungo, come tutte le donne sono solite fare.
Frugò talmente a lungo che
il telefono ad un certo punto smise di squillare.
“Ecco,” pensò Sakura mentre
tirava fuori dalla borsa cose che non ricordava nemmeno di avere,
“Adesso mia
madre penserà che non ho risposto perché mi stavo
facendo di crack”.
Sua
madre era solita preoccuparsi di problemi
inesistenti, e la maggior parte di questi riguardavano le droghe.
Tirò
fuori dalla borsa un numero spropositato di
assorbenti, con vari assortimenti di colori e di usi, con ali e senza
ali, da
notte o da giorno, fatti di lattiflex o non di lattiflex,
ritrovò la bolletta
del telefono che sua madre le aveva chiesto di andare a pagare almeno
un mese
prima, un pacchetto regalo che non sapeva nemmeno se fosse stato
destinato a
lei o che lei stessa aveva comprato per qualcun altro, e infine, in un
sacchetto di plastica, scorse un costume da bagno.
Un
costume da bagno fermo in quella borsa da Agosto.
Scosse
la testa, consapevole senza bisogno di nessuna
ramanzina che quello non era davvero il modo di tenere le proprie cose.
Poi il
telefono ricominciò a squillare. Sakura vide una piccola
luce comparire dal
fondo della borsa, così allungò bene il braccio e
lo tirò fuori.
«
Ino, Ino vieni qui per favore! »
«
Sto per mettere la torta in forno, non posso! »
«
È Sas’ke! »
Sakura
sentì l’inconfondibile rumore metallico di
quando una teglia viene scaraventata in forno senza troppa cura. Ino
accorse
con ancora le presine sulle mani e il grembiule sporco di pasta frolla
addosso.
La guardò mentre il telefono ancora squillava.
«
È Sas’ke? »
«
Sì. »
«
Beh, rispondi allora! »
«
Ma Sas’ke non mi chiama mai! »
«
Come non ti chiama mai? Siete amici da una vita! »
«
Ma ogni volta che mi chiama in realtà è Naruto
che ha
finito i soldi, io non posso- »
Ino
le rubò il telefono dalle mani prima che la
sopracitata apatica suoneria smettesse di suonare nella stanza per la
seconda
volta. Spinse il tasto verde e rispose.
«
Sì? » chiese, dandosi un’aria pomposa e
del tutto
inutile. Sakura la guardò sperando di sentire la voce di
Naruto. Eppure passati
tre o quattro secondi, ancora non era riuscita a sentire nulla della
conversazione. Forse perché all’altro capo del
telefono non c’era una persona
che urlava a squarciagola.
«
Oh, Sasuke, ciao! » disse Ino fingendosi talmente
sorpresa da far credere di aver risposto al telefono senza nemmeno
guardare il
nome sul dispaly. Ino la guardò in maniera accattivante e
allo stesso tempo
stranamente vittoriosa. Sakura si avvicinò di un passo,
pronta per origliare
oltre.
«
Sì, Sakura c’è, è in bagno.
Sta facendo- »
«
Pronto? » le strappò il telefono dalle mani prima
che
Ino potesse dire pipì o cacca, entrambe nella lista delle
parole preferite
dell’amica, e potesse metterla nell’imbarazzo
più totale. Aveva risposto
talmente di corsa per salvarsi la faccia che non era nemmeno preparata
per
sentire davvero la voce di Sasuke al telefono.
«
Sakura, » le disse a mo di saluto, forse
sorprendendosi della repentinità con cui aveva cambiato
interlocutrice.
«
Ciao, Sas’ke-kun. » fece
un segno ad Ino per invitarla ad
andarsene di nuovo di là in cucina, ad occuparsi della sua
gustosissima torta
appena infornata malamente invece di starsene lì sulla
soglia della porta di
camera a guardarla arrampicarsi sugli specchi ancor prima che la
discussione
avesse inizio.
«
Mi raggiungi? » le chiese tranquillamente Sasuke.
Sakura spalancò gli occhi a tal punto che Ino si
riavvicinò per cercare di
capirci qualcosa.
Si
mise a sedere sul letto spostando di fretta i
giacchetti e le borse posate sopra, mentre Ino le faceva gesti
equivocabilissimi
senza riuscire a farsi capire nemmeno lontanamente. Le era sembrato di
vedere
delle corna, un’aquila, e se i suoi occhi non la ingannavano,
quella che Ino
aveva cominciato a recitare era la filastrocca de
“L’arca di Noè”, con tanto di
coccodrilli e liocorni. Sakura storse la bocca lasciando vedere la
parte
sinistra dell’arcata superiore di denti.
«
Sakura? » riacciuffò il telefono quasi scivolatole
dalle mani e lo riattaccò all’orecchio.
«
Sì! Sì, ci sono! »
Passarono
altri imbarazzanti secondi di silenzio.
«
Allora? Mi raggiungi o no? »
Ino
le fece un altro strambo gesto con le mani che per
quanto ne conosceva di linguaggio dei segni, avrebbe potuto significare
anche
“buttati da un burrone”. Pensò un attimo
se fosse davvero saggio prendere in
considerazione i consigli maldestri – e anche mal consigliati
– di Ino o
lasciarsi prendere dal panico.
«
Sì, certo! Io stavo facendo...la doccia, e...ero un
po’ impicciata con asciugamani, accappatoio, capelli
bagnati...»
Ino
si schiaffò una mano in faccia e tornò delusa in
cucina, sparendo dal suo campo visivo. Sasuke le rispose con un
“Mh” che
sembrava la pura negazione
dell’invito che le aveva appena fatto. Sakura
mandò giù un groppo in gola
grande almeno quanto Giove e Saturno messi insieme con tanto di
satelliti e
lune.
«
Dove...dove ti raggiungo? »
«
Sto davanti al Caldo. »
«
Okay. » si rialzò dal letto iniziando
già a toccarsi
i capelli per sistemarseli.
«
A tra poco. »
«
Ciao. »
Sakura
prese un respiro profondo e poi si lasciò cadere
di nuovo a peso morto sul materasso.
°°°
“Tranquilla
Sakura-chan, non c’è da preoccuparsi. Tu e
Sas’ke-kun siete amici da una vita, vi sarete visti almeno un
milione di volte.
Che poi tu non avessi mai sentito la sua voce uscire dal tuo telefono
cellulare, beh, quella è un’altra storia. Credo
che sia perché voi tre avete un
rapporto disturbato e malato che si regge su fondamenta fatte di sabbia
di mare
e non di sabbia di fiume, e quindi sai, il sale poi corrode il ferro, e
il
cemento armato crolla, e poi beh, voi farete la fine di un edificio
costruito
male, sì. Non capisco come possiate ancora reggervi in piedi
a dirla tutta, ma
devi stare calma Sakura-chan: la chiamata di Sasuke non è la
fine del mondo.
Magari vuole vederti per decidere insieme il regalo di compleanno per
Naruto,
del resto è tra pochi giorni. Oh mio Dio Sakura, mica vorrai
uscire con i capelli
acconciati in quel modo! Neanche mia cugina di tre anni ne avrebbe il
coraggio.”
Questo
era ciò con cui Ino l’aveva, a detta sua,
incoraggiata prima di scaraventarla fuori di casa nel freddo inusuale
di
Ottobre, con un appuntamento insolito a cui andare e senza nemmeno
un’idea di
cosa lo avesse potuto scatenare. Si rese conto di aver camminato troppo
velocemente quando si ritrovò a pochi metri dal
CaldoCaffè ancor prima di
essere sicura di volerci davvero andare.
Intravide
la chioma scura di Sasuke mentre
chiacchierava con una familiare chioma bionda. Naruto era di fronte a
lui, con
le mani in tasca e una tuta arancione di dubbio gusto, che saltellava a
destra
e a sinistra, e quando Sasuke si innervosiva e lo costringeva a stare
fermo con
una manata sulla spalla, si limitava a muovere solo i piedi a passo di
danza. La
sua presenza escludeva del tutto la possibilità di discutere
del regalo di
compleanno di Naruto, perché il diretto interessato, tra le
centinaia di
difetti che gli appartenevano, mostrava una totale
incapacità di astenersi dal
diventare oppressivo. Ogni volta che gli si faceva un regalo, od ogni
qualvolta
che sospettava che qualcuno stesse anche solamente discutendo del
regalo da
fargli, Naruto giungeva veloce come la luce ad origliare la
conversazione, e si
arrogava il diritto di fare domande specifiche sull’oggetto
in questione, come
“Chi andrà a comprarlo?”,
“Avete già un’idea?”,
“Vi serve un consiglio?”, “È
una nuova tecnologia?”.
Quando
c’era Sasuke di mezzo, la storia finiva con un
pugno nello stomaco.
Sakura
si guardò bene attorno notando solo in quel
momento la presenza della terza persona. Karin.
Ancora
lei, ancora con i capelli rossi, ancora con le
labbra grandi, ancora troppo giovane. Sakura ebbe voglia di cominciare
a
battere i piedi per terra come una bambina davanti al diniego dei
genitori di
comprarle l’ultima barbie uscita, con i vestiti
all’ultimo grido e la pochette
luccicante abbinata alle scarpe.
L’ennesimo
tentativo di Karin. Era stata chiamata in
soccorso per non fra cadere la farsa del finto fidanzamento.
Pensò di
affibbiarle, così come aveva fatto con Akamaru, un epiteto.
Magari il Demonio
era troppo malvagio e sconsiderato, ma Instancabile non le sarebbe
stato per
niente male. Karin l’Instancabile era il nome con cui
avrebbero dovuto
chiamarla i suoi genitori, altro che Karin Uzumaki.
Quando
vide che anche lei aveva una coda di cavallo –
cioè l’acconciatura che Ino aveva tanto criticato
ma che, del resto, lei stessa
portava il novanta per cento del tempo – si
affrettò a togliersi l’elastico.
Non seppe nemmeno per quale motivo lo fece, visto che i suoi capelli
erano
ridotti così male che legarli sarebbe stata
l’unica soluzione per far credere
al mondo intero che avessero un senso, ma avere la stessa acconciatura
di Karin
e risultare estremamente più brutta di lei
l’avrebbe sconfortata più del
normale.
Nel
momento in cui arrotolò l’elastico intorno al
polso, Naruto urlò il suo nome a squarciagola da quelli che
non erano nemmeno
quindici metri.
Alzò
lo sguardo appena in tempo per rendersi conto che
sei occhi la stavano fissando, e che non avrebbe avuto tempo per
sistemarsi i
capelli in alcun modo. Accennò un sorriso troppo imbarazzato
per essere l’amica
di infanzia di due delle persone presenti all’incontro, e si
avvicinò a passo
di lumaca lanciando occhiate qua e là alle vetrine dei
negozi che precedevano
il Caldo.
«
Ce l’hai fatta, Sakura-chan! Stiamo morendo di
freddo! »
«
Ma se ci ho messo cinque minuti! » rispose,
dimenticandosi per un attimo che Karin stava acutamente indagando con
lo
sguardo tutti i suoi movimenti e atteggiamenti. Probabilmente non avere
il
coraggio di guardare Sasuke in faccia non la stava aiutando molto.
« Entriamo?
»
disse Sasuke mentre Naruto, contemporaneamente, come se avessero oramai
un
cerimoniale tutto loro, apriva la porta del locale facendo segno a
tutti di
accomodarsi, neanche fosse stato il padrone di casa. Sasuke, la
sospinse in
avanti con una mano, poggiandogliela sulla schiena, verso la curva
lombare.
Sakura
maledì il freddo e quel dannato piumino che le
aveva impedito di sentire alcunché.
Il
suo spirito di osservazione non era di certo dei più
acuti, e nemmeno la scienza della deduzione, checché ne
dicesse Sherlock
Holmes, era un’arte in cui si dilettava con successo. Aveva a
malapena notato,
dopo cinque lunghi minuti in cui lo aveva sorseggiato, che il vino che
Sasuke
aveva portato a tavola era rosso. Nonostante questo Sakura sapeva che
Genma,
con quei suoi occhietti piccoli e incassati nei bulbi oculari, oscurati
ancora
più dalla bandana che si ostinava a portare troppo bassa
sulla fronte, stesse
cercando di dirle qualcosa. Incrociò il suo sguardo svariate
volte, e quando
lui si avvicinò loro con un altro vassoio –
già il terzo – Sakura, nonostante
l’odore del prosciutto appena tagliato e del pane tostato che
aveva già
dirottato i suoi pensieri verso più amabili orizzonti, non
poté fare a meno di
notare il leggero movimento della testa che Genma fece indicandole le
scale che
portavano alla saletta interna. Sakura gli rispose con uno sguardo
vagamente
interrogativo, imitando poi lo stesso gesto fatto con la testa da
Genma. Lui
assottigliò gli occhi in un tentativo, pensò
Sakura, di estrema comunicazione
telepatica, dando però l’idea di averla presa di
mira per un omicidio spietato
più che per una semplice conversazione privata lontana da
occhi indiscreti.
«
Se vuoi dirle qualcosa puoi dirglielo, sai. »
proruppe Karin divertita, gettando un’occhiata verso Sasuke
per scorgere una
qualsiasi traccia di fastidio per lo strano comportamento di Genma nei
confronti della sua ragazza,
« Sas’ke
non sembra un tipo geloso. »
Genma
fece tornare gli occhi alle loro dimensioni
normali rilassando le palpebre e fece finta di niente. Posò
il vassoio sul loro
tavolo e dopo, senza muovere un passo, rimase immobile al suo fianco.
Sakura,
la mano già tesa verso il vassoio per prendere uno dei
crostini, si dovette
fermare quando sentì Genma l’Intruso –
tanto valeva cominciare a dare epiteti a
tutti – tossire nel modo più innaturale che avesse
mai sentito.
Chiuse
gli occhi e fece un respiro profondo.
«
Vado un attimo in bagno. »
«
Ti assicuro che quello sguardo era più da thriller
psicologico che da qualsiasi altra cosa. » gli disse a bassa
voce appena
arrivarono nella sala interna, le luci soffuse e stranamente nessuno a
degustare whisky e cioccolata ai tavolini.
Genma piegò la testa di lato e assunse la faccia che Sakura
era solita vedere
sul volto di sua madre quando, in uno slancio di self-confidence,
osava contraddirla su qualcosa di troppo al di là
delle sue ancora immature capacità mentali –
almeno a detta di sua madre.
«
Ho bisogno che lavori qui venerdì prossimo. »
disse
Genma senza giri di parole. Sakura scandagliò mentalmente i
suoi impegni per il
venerdì seguente trovando solamente la parola
“scuola” ad occuparle la mente. Per
una volta le dispiacque non avere nessun impegno pomeridiano a tenerla
lontana
dagli abusi di Genma.
«
Ci sono venti persone che darebbero via un rene per
lavorare in questo posto. »
«
Esatto, e una di queste sei tu, vero? »
«
No! » rispose, rendendosi conto solo al gesto di
Genma di fare silenzio di aver alzato un po’ troppo la voce.
« No, niente rene.
»
«
Almeno un ovulo sì, però. »
Sakura
distorse le labbra in maniera quasi disgustata
non tanto per il concetto della donazione degli ovuli su cui,
oltretutto, non
aveva mai riflettuto abbastanza per avere un’opinione al
riguardo, ma per il
fatto che per Genma una ragazzina di diciassette anni potesse voler
donare uno
dei suoi giovani ovuli per lavorare nel suo bar. Di venerdì
sera, oltretutto,
quando le cene aziendali – quelle terribilmente informali a
base di vino da
almeno 60 euro a bottiglia – fioccavano come se fosse
Dicembre.
«
Che tipo di programmi guardi a casa, Genma? » chiese,
circospetta. « Sembri il classico tipo che non riesce a
comprendere la società
moderna-»
«
Allora, lavori? Sas’ke e Naruto hanno da fare. »
Sakura
sbuffò e cominciò a prendere sul serio
l’idea.
«
Il giorno dopo è il compleanno di Naruto. »
biascicò,
incerta.
«
Già. »
«
Già. »
«
Già, infatti. Si può sapere cosa sta succedendo?
»
Sakura
si sorprese a tal punto che ebbe, come primo
istinto, quello di nascondersi dietro a Genma ed usarlo come scudo
umano contro
qualsiasi cosa fosse che li aveva interrotti così
bruscamente.
«
Oh, Sas’ke. » balbettò quando ebbe
l’opportunità di
guardare in volto colui che aveva messo fine alla loro conversazione
segreta.
«
Allora, abbiamo un accordo? » le chiese Genma
avviandosi giù per le scale. Ebbe giusto il tempo di
urlargli dietro “Sì!”
prima di tornare allo sguardo interrogativo di Sasuke Uchiha, finto
ragazzo, ma
seriamente perplesso.
«
Niente di che. Solo un favore. » si limitò a dire
senza che Sasuke dovesse chiederle niente, lo sguardo stampato sulla
sua faccia
già abbastanza interrogativo di per sé.
«
Un favore? »
«
Sì. »
Nonostante
tutto vide lo sguardo di Sasuke rimanere
uguale.
«
Sai, Genma è una persona un po’ disturbata,
pensava
che io volessi donare un ovulo, e forse anche un re-»
«
Ti ha chiesto di donare un ovulo? A lui?
»
E
pensare che un tempo aveva creduto di essere stata
adatta e propensa alla comunicazione, Sakura, alle conversazioni chiare
e
cristalline, senza segreti, invischi, messe in scena, e tantomeno
donazioni di
ovuli atte a pratiche mediche quali l’eterologa. Beh, la
situazione sembrava un
po’ contraddirla. E a dirla tutta, non sapeva nemmeno come
mai Genma avesse
sentito il bisogno di tenere tutta quella faccenda privata, visto che
niente di
poi così scandaloso era stato richiesto. Nonostante la
perplessità verso i
requisiti secondo cui Genma decideva quando una faccenda dovesse
rimanere
privata o meno, Sakura si decise a fare lo stesso.
«
No, no niente ovuli! Solo...un favore da nulla,
davvero. Una stupidaggine. Credo che Genma guardi...programmi strani,
in
televisione. »
Quando
Sakura capì di aver solamente creato ancora più
confusione, batté le mani allegramente e scese le scale.
Aveva
qualcosa di immensamente strano, nel modo in cui
annusava l’ambiente, nella maniera in cui, prima di
avvicinarsi ulteriormente
all’angolo della strada, aveva guardato prima a destra e poi
a sinistra,
nonostante quella fosse una zona pedonale, e anche nel modo in cui,
prendendo
ancora più precauzioni del normale, quel gatto si immise sul
corso. Era
arancione, abbastanza in carne per essere un randagio, e forse
l’essere più
demoniaco che Sakura avesse mai visto dopo Akamaru nei suoi giorni
migliori, e
nonostante l’aria tenebrosa che sembrava circondarlo, Sakura
non riusciva a
distogliere gli occhi dal suo pelo arruffato. Per un attimo
pensò che fosse
tutta colpa di Genma e dei suoi piccoli occhi da roditore il fatto che
cominciasse
a vedere cose che non esistevano davvero, come l’animo
maligno di quel gatto
che, probabilmente, era più che normale. O forse era
solamente la fase dei
saluti che la stava mettendo terribilmente a disagio tanto da
costringerla ad
intraprendere sentieri ancora inesplorati ed oscuri della sua
immaginazione.
Quando
si convinse a chiamare “micio, micio, micio” e a
fare il solito verso che, a detta di tutto il resto del mondo
– che ammontava a
quasi otto miliardi di persone – attirava
l’attenzione di tutti i felini
domestici, Sakura vide i suoi occhi gialli sgranarsi e il suo sguardo
fissarsi
nel suo, e il gatto arricciò il pelo.
Tutti
i passanti poterono sentire il miagolio lungo,
ininterrotto, e più simile al suono di un gatto che viene
brutalmente picchiato
in un angolo che uscì da un animale che Sakura pensava
essere incapace di un
suono tanto sgradevole.
Si
voltò di scatto cercando di far finta di niente
mentre il grido di battaglia del gatto continuava a imperversare senza
freni, e
cercò di allacciarsi maldestramente alla conversazione che
stava nel frattempo
andando avanti tra Karin, Sasuke e Naruto.
Lo
shock per essere stata aggredita verbalmente da un
gatto le fruttò comunque un inaspettato avvicinamento da
parte di Sasuke che,
probabilmente più divertito dal suo silenzio imbarazzato che
preoccupato, se la
portò di fianco e posò un braccio sulle sua
spalle.
Sakura
si ripromise di spolverare un qualche piumino
meno imbottito di quello che aveva indosso quella sera.
«
Ciao allora. E grazie dell’aperitivo. » disse Karin
avviandosi a piccoli passi verso la piazza dove aveva parcheggiato la
macchina.
Sakura fece un cenno di saluto con la testa e un sorriso che
sparì appena la
ragazza scomparve dalla sua vista per essere sostituito da un sospiro
profondo.
Sasuke,
come aveva previsto, si allontanò.
«
Grazie mille per avermi chiamata, voi due. E io che
pensavo che fosse affetto disinteressato
il vostro. »
Ma
Sakura notò che nessuno dei due ragazzi che le
stavano di fronte le stava prestando ascolto. I loro occhi erano da
qualche
parte dietro le sue spalle, e quando sentì il gatto
riprendere il suo miagolio
infernale capì che erano troppo divertiti
dall’accaduto per concentrarsi su
altro. Li vide ridacchiare sotto i baffi e scambiarsi occhiate
inequivocabili.
«
Fortuna che da piccola dicevi di voler fare la
veterinaria, Sakura-chan, certo, come no. »
«
Quello non è un gatto qualsiasi! » si
giustificò
arrossendo fino al midollo « È un
gatto...diabolico! »
«
Certo, come Akamaru il Demonio, Sakura. »
Aprì
la bocca solo per richiuderla poco dopo, le labbra
poggiate l’una sull’altra fino a farle divenire
quasi bianche e gli occhi forse
vagamente simili a quelli di Genma durante un tentativo di
comunicazione
telepatica. Guardò Sasuke con sgomento mentre lui replicava
lo stesso sguardo
di quando l’aveva beccata a lanciare cartacce per terra nel
bagno del locale.
«
Lo avete sentito? »
«
Si dà il caso che tu abbia urlato a voce molto
alta. »
Abbassò
lo sguardo, frustrata, per poi essere
disturbata da altre risatine mal nascoste.
«
Beh, vorrei vedere voi! » proruppe, attirando
l’attenzione – sempre indesiderata – di
troppi passanti. In quel momento anche
il gatto si zittì, forse preso in contropiede da un urlo
più acuto del suo.
«
Io...io ho un certo feeling con gli
animali! » disse, agitando un dito per aria, presa
dall’entusiasmo della sua contro-arringa.
«
Certo Sakura-chan, a quanto pare con tutti gli
animali tranne che con i feelini.
»
Sakura
si sorprese al più di un accenno di sorriso che
apparve sul volto di Sasuke alla battuta più che deprimente
di Naruto, e ancora
più indispettita dallo sguardo inequivocabile di
complicità che si mandarono,
Sakura fece per andarsene. Il gatto – soprannominato nella
sua mente Gatto
mefistofelico, meglio conosciuto come Satana e semplicemente come
Diavolo per
gli amici affezionati – ricominciò il suo urlo
pieno di struggente sofferenza
appena la vide muoversi.
«
E non provate a richiamarmi quando vi servirò per
tenere Karin alla larga! » si permise di dire rigirandosi di
scatto, come se la
cosa le fosse venuta in mente all’improvviso. Per qualche
secondo cercò di
spostare lo sguardo dall’uno a l’altro, ma
inevitabilmente finì per fermarsi su
Sasuke. Per la prima volta si sentì quasi arrabbiata con
lui.
«
Non ci riprovare. »
Non
era stato possibile mantenere l’arrabbiatura. Forse
perché Naruto l’aveva scongiurata di perdonarlo
prostrandosi in ginocchio di
fronte a lei, a braccia larghe, fingendo lancinanti fitte di dolore al
petto
ogniqualvolta che provava ad aggirarlo per avviarsi verso casa, e
forse, - ma
proprio forse –
perché Sasuke aveva
dato una spiegazione più che plausibile per averla chiamata
in circostanze
tanto sospette.
La
spiegazione era stata, prevedibilmente, che Naruto
stava per chiamarla nel momento in cui Karin, in città per
commissioni, si era
ritrovata faccia a faccia con i due. Tutto quello era durato dalle tre
di
pomeriggio fino alle sei, quando avevano deciso di chiamarla sul serio,
ormai
sull’orlo di un esaurimento nervoso.
«
Certo Sakura-chan, io non vorrei dire nulla, ma...»
Sakura
smise di frugare nella borsa per cercare le
chiavi del portone di casa sua e si concentrò sul volto di
Naruto. Non fu
difficile decifrare la sua espressione quando si rese conto che era
uguale a
quella che qualcun altro le rifilava con troppa frequenza.
Sì, sempre sua
madre, e no, non la stessa faccia che Genma le aveva mostrato non
troppo tempo
prima.
Sua
madre la faceva quando voleva rimproverarla del suo
disordine e, prendendo in maniera esitante – esageratamente
esitante, avrebbe
detto Sakura – un capo di vestiario abbandonato per terra tra
il pollice e
l’indice per poi farlo ricadere subito dopo avergli dato
un’annusata da
segugio, le diceva “Sakura, questa
stanza
è un porcile!”
Di
tanto in tanto gliela rifilava anche Ino, quando
voleva essere crudele e non limitarsi a qualche frecciatina allusiva.
Era
successo con il suo ultimo taglio di capelli. Sakura aveva tirato le
labbra
l’una contro l’altra e aveva sollevato le
sopracciglia così tanto da farle
scomparire dietro alla sua allora frangetta – che era la
capigliatura messa in
discussione.
« Sakura-chan, » aveva detto Ino, « certo
che tu non ci capisci proprio niente
di capelli. »
Sakura
si toccò i ciuffi più corti che le ricadevano
intorno al volto ricordando malinconicamente la sua frangetta,
aspettando che
Naruto concludesse la sua frase con la faccia di sua madre/Ino stampata
in
volto.
«
...potresti metterci anche un pizzico
in più di impegno quando fai finta di essere la ragazza di
Sas’ke! »
Sakura
lasciò ricadere le chiavi appena trovate nella
borsa e batté le palpebre, perplessa, e poi improvvisamente
su tutte le furie.
«
Un pizzico? » chiese, ripensando alla torta di Ino,
al suo non saper prendere le misure, alla sua mancanza di nozioni base
come
millimetri, centimetri e metri, « Un pizzico?
»
«
Beh, sì, Sakura-chan, giusto un pizzico. »
Sakura
guardò Naruto sconvolta per un rimprovero del
tutto inadeguato e senza senso, e poi, voltandosi verso Sasuke che,
invece di
comportarsi da diretto interessato, aveva incrociato le braccio al
petto e
aveva cominciato a guardarsi i piedi, perse il controllo.
«
Non mi sembra che Sas’ke stesse proprio ballando la
hula, in quanto ad entusiasmo ed impegno! »
«
Ma Sakura-chan, » le disse prontamente Naruto
andandole dietro e mettendole le mani sulle spalle, « lui
è Sas’ke! È il
ghiaccio fatto persona! Sai che dentro al suo petto non
c’è un cuore che batte
ma un computer controllato da una navicella madre che sta progettando
di
ucciderci tutti! »
Sasuke
a quel punto tornò ad essere partecipe della
loro conversazione solamente con uno sconsolato
“Oddio” ed un’alzata al cielo.
«
Sei tu che devi metterci spirito!
»
Fu
il turno di Sakura di sussurrare un “Oddio” e
mandare gli occhi al cielo.
«
Beh, fate come vi pare, ma siete a malapena
guardabili, figuriamoci credibili. » disse Naruto impettito,
avviandosi verso
la fine del vicolo per imboccare nuovamente la strada principale.
Sakura scosse
la testa, sconsolata, e Sasuke la imitò, condividendo uno
sguardo divertito.
«
Non chiedetemi di inventarmi un’altra scusa tra tre
mesi, qaundo Karin ritornerà all’attacco!
» sentirono dire a Naruto con la voce
ormai quasi inudibile.
«
Nessuno te l’ha mai chiesto! » gli urlarono dietro
entrambi, stranamente in sincronia.
Dopodiché
Sasuke si avvicinò di un passo e con una mano
le scompigliò i capelli, prima di avviarsi anche lui verso
il corso principale.
Quando
si guardò nello specchio, dopo essere entrata in
casa, le sembrò che nessuna acconciatura le fosse mai stata
meglio che quella
che Sasuke aveva accidentalmente creato con le sue dita.
Mamma
mia, era una vita che non aggiornavo questa
storia. Il capitolo era mezzo scritto da un sacco di tempo, ma avevo
perso
completamente interesse considerando che la storia non è poi
così seguita, ma
adesso, rileggendone i capitoli, - nonostante io sia consapevole
dell’immensa
stupidità e banalità della trama – mi
è venuta voglia di continuarla, almeno
per me, per distrarmi e togliermi qualche sfizio creando scene che
normalmente
non scriverei se dovessi seguire il mio stile usuale.
Comunque,
non mi aspetto gran che da questo capitolo, l’ho
riletto molto di fretta e forse avrei potuto migliorarlo in qualche
punto, ma,
come già detto, scrivo questa storia per puro divertimento e
non ho alcuna
intenzione di farne un’opera d’arte –
cosa di cui non sarei lo stesso capace
anche se dovessi impegnarmici per anni e anni.
Ecco
qua, sperando che coloro che seguivano un tempo “Verdi
idee senza colore dormono furiosamente” non se la siano
dimenticata del tutto.
Naturalmente
le vostre opinioni e consigli sono sempre
ben accetti.
Un
bacio
umavez