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Autore: umavez    16/12/2014    7 recensioni
Alle amiche, quando ricordavano tutte insieme i tempi passati – che per loro arrivavano a malapena a tre anni addietro -, propinava come scusa che era piccola quando l’amore l’aveva colta, e l’aveva colta totalmente impreparata, e che a quindici anni ci si innamora un po’ di tutto e di tutti, e che, comunque, ogni singola ragazza di Konoha attraversava la fase “Sasuke”, e che quindi non aveva nessun motivo per vergognarsene.
(…)
Del resto Sasuke, nonostante i due anni trascorsi, continuava a significare tutto per lei. Ma quella volta si era premurata di nasconderlo bene a tutti. Anche a lui.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ino Yamanaka, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Giusto un pizzico

 

 

 

 

 

 

 

 

Ciò che l’aveva sempre frenata dal darsi alla pasticceria e che, leggendo le ricette che sua nonna le lasciava settimanalmente e che oramai avevano creato sulla sua scrivania un plico di fogli alto più o meno come tutti gli appunti di greco, latino ed italiano messi insieme, era il sale.

Il sale, il sapore, il tocco di classe, la punta di sapidità che cambia il gusto e crea il retrogusto.

In ogni ricetta, o almeno in quelle che sua nonna si divertiva a rifilarle per liberare spazio nella propria casa e creare caos nella sua, non mancava mai.

Dicevano spesso un pizzico.

Durante una lezione extra scolastica a cui si era costretta a partecipare per evitare la settimana dello shopping gi Ino, a Sakura era stato detto da un insegnate, presumibilmente ben informato e con un curriculum di tutto rispetto, che le signorine riscontravano una non sottovalutabile difficoltà nel quantificare rispetto ai signorini. Sakura non aveva dubitato nemmeno per un secondo che ciò che era stato detto da quell’uomo in quell’interminabile ora e mezza fosse stata la verità assoluta mandata da Dio in terra per gli uomini, per far sì che le donne si astenessero dal quantificare le cose.

Per spiegarsi meglio, il quantificare che intendeva Sakura si riscontrava in diverse attività. Una di queste, era sicuramente la guida. Quando suo padre, per scherzo, le aveva permesso di guidare la sua macchina nuova nel parcheggio, non le era sfuggita la difficoltà che aveva riscontrato nel quantificare, appunto, la distanza che c’era tra la fiancata della macchina e il paletto che se ne stava fiero ed immobile tra una striscia bianca ed una striscia blu dei posteggi. Invece suo padre, pochi minuti dopo, non aveva avuto nessun problema nel quantificare quanto gli sarebbe costata la riverniciatura di entrambi gli sportelli sul lato destro.

Quello era il suo tallone d’Achille. Se le avessero chiesto quanto era alto il palazzo di fronte a casa sua avrebbe probabilmente risposto cinquanta metri quando era a malapena cinque, e se le avessero detto “abbassa leggermente il pedale dell’acceleratore, Sakura-chan.”, si sarebbe ritrovata a novanta all’ora in meno di cinque secondi.

Questo suo handicap non indifferente si riversava su altre attività quotidiane, come la preparazione dei liofilizzati e cibi pronti che andavano cotti in acqua, dove, ogni volta che si cimentava in tale impresa a causa dell’assenza dei genitori, quei 250 ml divenivano un litro, o quando doveva calcolare a mente il peso di un oggetto per vedere se sarebbe riuscita a trasportarlo oppure no.

E infine, come ciliegina sulla torta, c’era la totale mancanza del senso d’orientamento, ma quella ormai era storia.  

Sakura non poteva negarlo, lei stessa ne era una prova vivente. Non sapeva quantificare le distanze, non sapeva quantificare i pesi, non sapeva quantificare le quantità. Per lei e per il suo dosatore, la parola pizzico era come uno schiaffo in faccia, come un insulto alla sua intelligenza, come se l’elettricità fosse venuta a mancare mentre stavano proiettando il film che attendevi arrivasse in tv dopo un anno dalla prima cinematografica.

Quanto era un pizzico? Cosa significava la parola pizzico? Aveva davvero un senso, eliminata la prima persona singolare, modo indicativo, tempo presente del verso pizzicare? Da quanto ne sapeva lei, il sale non poteva essere pizzicato, e lei non poteva pizzicare il sale.

Sua madre aveva provato a spiegarle in modo pratico la differenza tra manciata e pizzico, ma per Sakura anche manciata suonava come una presa in giro, e quindi, dopo la prima torta salata uscita dal suo forno, si era limitata solo a mangiare, e a guardare attentamente sua madre quando, di tanto in tanto, la viziava con servizievoli ad amorevoli ghiottonerie.

Sakura sospirò guardando Ino che, con una frusta in mano, mescolava l’impasto con una sicurezza che sembrava non appartenerle, e che le aveva visto indosso solamente quando smaltava le unghie in maniera particolare.

Ino era più o meno tutto ciò un uomo potesse desiderare dalla vita. Era alta, almeno una spanna sopra di lei – almeno così si divertiva a dire Ino, visto che anche spanna era un’unità di misura particolarmente ostica -, aveva capelli biondi e lunghi, mai che sembrassero arruffati o rovinati sulle punte, come tutte le comuni mortali. Gli occhi azzurro cielo erano talmente magnetici che riuscivano a distogliere lo sguardo dei ragazzi dal suo fisico, e visti gli impegni settimanali di Ino, che comprendevano pilates, aerobica, e Dio solo sa cos’altro, il fisico di Ino era uno di quelli a cui tutti gli uomini paragonano quello della propria fidanzata, constatando alla fine che Ino era, nella maggior parte dei casi, decisamente più in forma.

A guardarla, le avrebbe potuto dare venti, forse anche ventidue anni, e camminarci affianco sembrava a fasi alterne o come una sciagura o come un privilegio. Sakura era l’amica di Ino Yamanaka, la figlia dei fiorai che, chissà come nel mondo, avevano fatto tanti di quei soldi con i fiori che passavano più tempo fuori città che a Konoha.

« Muoviti Sakura-chan, vieni qui, è arrivato il momento cruciale. » le disse poi, riponendo la frusta sul piano di lavoro e strusciando le mani l’una contro l’altra per mandar via i residui di impasto rimasti appiccicati alle dita.

Sakura si alzò dalla sedia su cui stava leggendo un fumetto sui ninja trovato per puro caso nel ricettario di Ino e si avvicinò al piano da cucina.

« È inutile, non ce la farai. Mia madre ha provato in tutti i modi. »

« Taci. » le disse scherzosamente. Prese la confezione del sale e la pose tra loro due, Sakura la guardò con occhi determinati ma in parte già arrendevoli.

« E poi se non impari a cucinare, come farai ad essere una mogliettina perfetta per il tuo Sas’ke-kun? »

Ino le afferrò un polso prima che se ne uscisse dalla porta offesa e infastidita, sporcandole il golf blu di farina. Ridacchiò un po’ mentre tirandola per un braccio la fece riavvicinare.

« Mamma mia, non si può più nemmeno scherzare. » si lagnò, spostando da davanti agli occhi un ciuffo di capelli biondi sfuggito all’elastico.

« Allora, questo è il sale. » disse indicandole la busta.

« Lo so, Ino, non sono stupida. »

« Perfetto, buono a sapersi. »

Sakura alzò gli occhi al cielo e maledisse tutti. Ino infilò la mano nella busta e ne uscì fuori con quello che lei definiva...

« Questo invece è un pizzico di sale, fronte spaziosa. »

I polpastrelli del pollice, dell’indice e del medio si toccavano, e trattenevano quel tanto di sale che bastava. Lì in mezzo, che imbrattava in parte le dita di Ino, c’era il fantomatico pizzico.

« È troppo poco. » affermò convinta, e a sua volta infilò la mano dentro la busta per far vedere ad Ino quale fosse la sua idea di pizzico. Ne uscì fuori come un braccio automatico esce fuori da una discarica. La mano era colma di sale, e almeno al metà di quello che aveva afferrato si stava divertendo a scivolare via tra le sue dita come la sabbia della clessidra fa nella rientranza del vetro. Ino gettò quel pizzico di sale nell’impasto e si affrettò a riparare al danno di Sakura, che aveva riempito il piano da lavoro di granellini bianchi.

« Questo è un pugno di sale, altro che pizzico! » rispose sistemando la busta sotto la sua mano. Le strinse il polso costringendola a rilasciare le dita e a far ricadere il sale nel pacco.

« Ah, a quanto pare pugno è un’altra unità di misura a me sconosciuta. » disse indispettita guardando con orrore il palmo divenuto quasi bianco a causa di tutto il sale rimasto appiccicato. Ino prese uno strofinaccio e glielo lanciò contro, ritornando poi a maneggiare l’impasto.

« Questa invece, » continuò poco dopo, infilando la mano libera nel sale, « è una manciata. »

Sakura guardò perplessa la quantità da sale sul palmo di Ino. La imitò, riemergendo con una quantità del tutto diversa da quella dell’amica. Nonostante non fosse stata sua intenzione sbagliare dosaggio, Sakura fece finta di voler sapere in quale modo potesse essere quantificato il sale che aveva tirato su.

« E questo invece? »

Ino la guardò distrattamente.

« Quello è sufficiente al massimo per una spolverata. »

Sbuffò. Chiuse il pacco di sale e lo rimise in dispensa, abbandonando Ino al suo lavoro da cuoca e rituffandosi nelle avventure dei suoi ninja leggendari dei fumetti. Quindi si sedette, incrociò le gambe, e riaprì il volume verso la metà, non curandosi di aver saltato almeno un paio di capitoli potenzialmente fondamentali per la comprensione della storia.

« Potresti degnarti di aiutarmi almeno, fronte spaziosa? »

« Sssh, taci maialino, il mega rospo e la mega lumaca stanno combattendo contro un serpente gigante! »

 

 

 

°°°

 

 

 

 

La sua vita era costituita da pochi numeri di telefono. Nonostante la sua rubrica fosse piena di nomi, alcuni accompagnati addirittura da un 1, o un 2, o un 3 per distinguere bene la persona a cui si riferivano, quelli che apparivano assiduamente sul display del suo telefono cellulare si limitavano, come avrebbe detto Ino, ad una – odiosissima – manciata.

Prima di tutto e tutti, c’era il numero che mai nella vita avrebbe dimenticato, che delle volte le appariva nei sogni e la perseguitava, che aveva, in svariate combinazioni, provato a giocare nelle schedine della lotteria e con le quali aveva vinto una somma che le aveva permesso di vivere dei suoi averi per ben due mesi e che mai, mai avrebbe smesso di braccarla: quello di sua madre.

La signora Haruno Mebuki, aveva l’insolita abitudine di rivendicare la Patria Potestà come se le fosse possibile darle la vita e la morte a suo piacimento, e come se fosse stata un uomo potente ed autorevole ai tempi degli antichi romani. Sakura, oltretutto, era decisamente convinta che la patria potestà fosse stata superata da lungo tempo oramai dalla Potestà Genitoriale, ma l’evoluzione non aveva mai scalfito troppo sua madre quando si trattava di educare e proteggere i figli, e quindi non si faceva troppi problemi a surclassare del tutto la figura, a quanto pare oramai superata, del pater familias.

Mebuki Haruno aveva capelli di un rosso aranciato a dir poco ridicoli, come quelli di Sakura. Un ciuffo di capelli ricadeva davanti alla fronte, formando quasi un triangolo, ed il resto veniva spazzolato e spazzolato centinaia di volte per farlo rimanere al suo posto. Burbera e severa, Mebuki spadroneggiava. Era contemporaneamente la femmina e il maschio alfa, e avrebbe potuto far coppia con se stessa per tutta la vita se non avesse trovato un uomo in grado di non tenerle testa nemmeno nella più stupida questione e di cui Mebuki, proprio per la sua capacità di non affrontarla mai, riuscì ad amare fin dal principio.

Kizashi Haruno, il sopracitato pater familias. Per completare il cerchio, Kizashi era quello con i capelli più ridicoli di tutti, soprattutto a causa dei ciuffi dritti a forma vagamente di saetta, ma la sua natura mite e mansueta gli aveva permesso di non farne un problema come invece aveva fatto la stessa Sakura ai principi dell’adolescenza, dicendo che avrebbe potuto sopportare qualche chilo di più addosso, ma non i capelli colorati alla marshmallow.

Quello di suo padre era il numero che compariva di tanto in tanto, quello che non ti aspetti di vedere ma che, quando lo vedi, non ti sembra strano. Di solito la chiamata di suo padre rivelava però il vero macchinatore: Mebuki.

Sua madre era stressante, e quelle sporadiche volte in cui se ne accorgeva, lasciava telefonare Kizashi per far finta di non entrarci nulla.

Sakura era abituata a tutto quello, il 50% delle volte in cui il suo telefono squillava, erano loro: i quattro dell’Apocalisse – sua madre valeva almeno per tre – dagli improbabili e pittoreschi capelli.

Subito dopo veniva Ino. Ino la chiamava più per consumare quegli in realtà inconsumabili minuti gratis che aveva a disposizione con le sue promozioni telefoniche, e il più delle volte per dire cose di nessuna vitale importanza. Nonostante la futilità di tutto quello, e nonostante il fatto che dovesse mettere il suo cellulare in carica ogni volta dopo una chiacchierata con Ino, quello rimaneva il tempo speso meglio secondo Sakura.

Ino era l’ancora di salvezza fatta ragazza. Il modo in cui faceva sembrare anche la più inutile delle storie quella più importante rendeva ogni problema nel mondo più semplice. Il più delle volte la offendeva, certo, ogni tanto le lanciava qualche frecciatina poco gradevole inculcandole in testa bizzarri dubbi sul suo fisico, sulla sua sanità mentale, ma poi ci metteva tutto l’impegno del mondo per smentirsi e ritirarla su dalla fossa che le aveva scavato con tanta cura.

Subito dopo, con un distacco minimo, giungeva Naruto Uzumaki. Naruto Uzumaki che non aveva mai nulla di particolare da dire, ma che coglieva sempre l’occasione giusta per raccontarlo. Naruto aveva la bruttissima abitudine di chiamare ad ore improponibili anche per una ragazza di diciassette anni che, presumibilmente, avrebbe dovuto vivere più di notte che di giorno, e unita all’altrettanto improponibile tono di voce che non raggiungeva di poco il limite dei decibel sopportabili dall’orecchio umano, rendeva Naruto una pericolosissima bomba ad orologeria.

Ecco. Quella era la sua vita digitale, fatta di chiacchiere completamente inutili, di toni di voce bassi – almeno da parte sua – per non svegliare i genitori nel bel mezzo della notte, di raccomandazioni e di chiamate rassicuranti.

Poi, mentre era immersa nel fumetto ninja che sorprendentemente era stato in grado di attirare tutta la sua attenzione, il suo telefono squillò, come ogni giorno, come era previsto dalla normalità. Ino le urlò dietro di andare a rispondere immediatamente e di abbandonare il mega rospo, la mega lumaca e il serpente gigante a loro stessi, perché la sua suoneria così apatica e prestabilita dalle impostazioni del cellulare la raccapricciava, e non avrebbe sopportato quel suono nemmeno un secondo di più.

Sakura si alzò dalla sedia posandoci sopra il fumetto, non curandosi di tenere a mente la pagina a cui era arrivata, e corse in camera da letto, dove aveva lasciato la sua borsa appena giunta a casa dell’amica. Frugò a lungo, come tutte le donne sono solite fare. Frugò talmente a lungo che il telefono ad un certo punto smise di squillare. “Ecco,” pensò Sakura mentre tirava fuori dalla borsa cose che non ricordava nemmeno di avere, “Adesso mia madre penserà che non ho risposto perché mi stavo facendo di crack”.

Sua madre era solita preoccuparsi di problemi inesistenti, e la maggior parte di questi riguardavano le droghe.

Tirò fuori dalla borsa un numero spropositato di assorbenti, con vari assortimenti di colori e di usi, con ali e senza ali, da notte o da giorno, fatti di lattiflex o non di lattiflex, ritrovò la bolletta del telefono che sua madre le aveva chiesto di andare a pagare almeno un mese prima, un pacchetto regalo che non sapeva nemmeno se fosse stato destinato a lei o che lei stessa aveva comprato per qualcun altro, e infine, in un sacchetto di plastica, scorse un costume da bagno.

Un costume da bagno fermo in quella borsa da Agosto.

Scosse la testa, consapevole senza bisogno di nessuna ramanzina che quello non era davvero il modo di tenere le proprie cose. Poi il telefono ricominciò a squillare. Sakura vide una piccola luce comparire dal fondo della borsa, così allungò bene il braccio e lo tirò fuori.

« Ino, Ino vieni qui per favore! »

« Sto per mettere la torta in forno, non posso! »

« È Sas’ke! »

Sakura sentì l’inconfondibile rumore metallico di quando una teglia viene scaraventata in forno senza troppa cura. Ino accorse con ancora le presine sulle mani e il grembiule sporco di pasta frolla addosso. La guardò mentre il telefono ancora squillava.

« È Sas’ke? »

« Sì. »

« Beh, rispondi allora! »

« Ma Sas’ke non mi chiama mai! »

« Come non ti chiama mai? Siete amici da una vita! »

« Ma ogni volta che mi chiama in realtà è Naruto che ha finito i soldi, io non posso- »

Ino le rubò il telefono dalle mani prima che la sopracitata apatica suoneria smettesse di suonare nella stanza per la seconda volta. Spinse il tasto verde e rispose.

« Sì? » chiese, dandosi un’aria pomposa e del tutto inutile. Sakura la guardò sperando di sentire la voce di Naruto. Eppure passati tre o quattro secondi, ancora non era riuscita a sentire nulla della conversazione. Forse perché all’altro capo del telefono non c’era una persona che urlava a squarciagola.

« Oh, Sasuke, ciao! » disse Ino fingendosi talmente sorpresa da far credere di aver risposto al telefono senza nemmeno guardare il nome sul dispaly. Ino la guardò in maniera accattivante e allo stesso tempo stranamente vittoriosa. Sakura si avvicinò di un passo, pronta per origliare oltre.

« Sì, Sakura c’è, è in bagno. Sta facendo- »

« Pronto? » le strappò il telefono dalle mani prima che Ino potesse dire pipì o cacca, entrambe nella lista delle parole preferite dell’amica, e potesse metterla nell’imbarazzo più totale. Aveva risposto talmente di corsa per salvarsi la faccia che non era nemmeno preparata per sentire davvero la voce di Sasuke al telefono.

« Sakura, » le disse a mo di saluto, forse sorprendendosi della repentinità con cui aveva cambiato interlocutrice.

« Ciao, Sas’ke-kun. »  fece un segno ad Ino per invitarla ad andarsene di nuovo di là in cucina, ad occuparsi della sua gustosissima torta appena infornata malamente invece di starsene lì sulla soglia della porta di camera a guardarla arrampicarsi sugli specchi ancor prima che la discussione avesse inizio.

« Mi raggiungi? » le chiese tranquillamente Sasuke. Sakura spalancò gli occhi a tal punto che Ino si riavvicinò per cercare di capirci qualcosa.

Si mise a sedere sul letto spostando di fretta i giacchetti e le borse posate sopra, mentre Ino le faceva gesti equivocabilissimi senza riuscire a farsi capire nemmeno lontanamente. Le era sembrato di vedere delle corna, un’aquila, e se i suoi occhi non la ingannavano, quella che Ino aveva cominciato a recitare era la filastrocca de “L’arca di Noè”, con tanto di coccodrilli e liocorni. Sakura storse la bocca lasciando vedere la parte sinistra dell’arcata superiore di denti.

« Sakura? » riacciuffò il telefono quasi scivolatole dalle mani e lo riattaccò all’orecchio.

« Sì! Sì, ci sono! »

Passarono altri imbarazzanti secondi di silenzio.

« Allora? Mi raggiungi o no? »

Ino le fece un altro strambo gesto con le mani che per quanto ne conosceva di linguaggio dei segni, avrebbe potuto significare anche “buttati da un burrone”. Pensò un attimo se fosse davvero saggio prendere in considerazione i consigli maldestri – e anche mal consigliati – di Ino o lasciarsi prendere dal panico.

« Sì, certo! Io stavo facendo...la doccia, e...ero un po’ impicciata con asciugamani, accappatoio, capelli bagnati...»

Ino si schiaffò una mano in faccia e tornò delusa in cucina, sparendo dal suo campo visivo. Sasuke le rispose con un “Mh” che sembrava la pura negazione dell’invito che le aveva appena fatto. Sakura mandò giù un groppo in gola grande almeno quanto Giove e Saturno messi insieme con tanto di satelliti e lune.

« Dove...dove ti raggiungo? »

« Sto davanti al Caldo. »

« Okay. » si rialzò dal letto iniziando già a toccarsi i capelli per sistemarseli.

« A tra poco. »

« Ciao. »

Sakura prese un respiro profondo e poi si lasciò cadere di nuovo a peso morto sul materasso.

 

 

°°°

 

 

“Tranquilla Sakura-chan, non c’è da preoccuparsi. Tu e Sas’ke-kun siete amici da una vita, vi sarete visti almeno un milione di volte. Che poi tu non avessi mai sentito la sua voce uscire dal tuo telefono cellulare, beh, quella è un’altra storia. Credo che sia perché voi tre avete un rapporto disturbato e malato che si regge su fondamenta fatte di sabbia di mare e non di sabbia di fiume, e quindi sai, il sale poi corrode il ferro, e il cemento armato crolla, e poi beh, voi farete la fine di un edificio costruito male, sì. Non capisco come possiate ancora reggervi in piedi a dirla tutta, ma devi stare calma Sakura-chan: la chiamata di Sasuke non è la fine del mondo. Magari vuole vederti per decidere insieme il regalo di compleanno per Naruto, del resto è tra pochi giorni. Oh mio Dio Sakura, mica vorrai uscire con i capelli acconciati in quel modo! Neanche mia cugina di tre anni ne avrebbe il coraggio.”

Questo era ciò con cui Ino l’aveva, a detta sua, incoraggiata prima di scaraventarla fuori di casa nel freddo inusuale di Ottobre, con un appuntamento insolito a cui andare e senza nemmeno un’idea di cosa lo avesse potuto scatenare. Si rese conto di aver camminato troppo velocemente quando si ritrovò a pochi metri dal CaldoCaffè ancor prima di essere sicura di volerci davvero andare.

Intravide la chioma scura di Sasuke mentre chiacchierava con una familiare chioma bionda. Naruto era di fronte a lui, con le mani in tasca e una tuta arancione di dubbio gusto, che saltellava a destra e a sinistra, e quando Sasuke si innervosiva e lo costringeva a stare fermo con una manata sulla spalla, si limitava a muovere solo i piedi a passo di danza. La sua presenza escludeva del tutto la possibilità di discutere del regalo di compleanno di Naruto, perché il diretto interessato, tra le centinaia di difetti che gli appartenevano, mostrava una totale incapacità di astenersi dal diventare oppressivo. Ogni volta che gli si faceva un regalo, od ogni qualvolta che sospettava che qualcuno stesse anche solamente discutendo del regalo da fargli, Naruto giungeva veloce come la luce ad origliare la conversazione, e si arrogava il diritto di fare domande specifiche sull’oggetto in questione, come “Chi andrà a comprarlo?”, “Avete già un’idea?”, “Vi serve un consiglio?”, “È una nuova tecnologia?”.

Quando c’era Sasuke di mezzo, la storia finiva con un pugno nello stomaco.

Sakura si guardò bene attorno notando solo in quel momento la presenza della terza persona. Karin.

Ancora lei, ancora con i capelli rossi, ancora con le labbra grandi, ancora troppo giovane. Sakura ebbe voglia di cominciare a battere i piedi per terra come una bambina davanti al diniego dei genitori di comprarle l’ultima barbie uscita, con i vestiti all’ultimo grido e la pochette luccicante abbinata alle scarpe.

L’ennesimo tentativo di Karin. Era stata chiamata in soccorso per non fra cadere la farsa del finto fidanzamento. Pensò di affibbiarle, così come aveva fatto con Akamaru, un epiteto. Magari il Demonio era troppo malvagio e sconsiderato, ma Instancabile non le sarebbe stato per niente male. Karin l’Instancabile era il nome con cui avrebbero dovuto chiamarla i suoi genitori, altro che Karin Uzumaki.  

Quando vide che anche lei aveva una coda di cavallo – cioè l’acconciatura che Ino aveva tanto criticato ma che, del resto, lei stessa portava il novanta per cento del tempo – si affrettò a togliersi l’elastico. Non seppe nemmeno per quale motivo lo fece, visto che i suoi capelli erano ridotti così male che legarli sarebbe stata l’unica soluzione per far credere al mondo intero che avessero un senso, ma avere la stessa acconciatura di Karin e risultare estremamente più brutta di lei l’avrebbe sconfortata più del normale.

Nel momento in cui arrotolò l’elastico intorno al polso, Naruto urlò il suo nome a squarciagola da quelli che non erano nemmeno quindici metri.

Alzò lo sguardo appena in tempo per rendersi conto che sei occhi la stavano fissando, e che non avrebbe avuto tempo per sistemarsi i capelli in alcun modo. Accennò un sorriso troppo imbarazzato per essere l’amica di infanzia di due delle persone presenti all’incontro, e si avvicinò a passo di lumaca lanciando occhiate qua e là alle vetrine dei negozi che precedevano il Caldo.

« Ce l’hai fatta, Sakura-chan! Stiamo morendo di freddo! »

« Ma se ci ho messo cinque minuti! » rispose, dimenticandosi per un attimo che Karin stava acutamente indagando con lo sguardo tutti i suoi movimenti e atteggiamenti. Probabilmente non avere il coraggio di guardare Sasuke in faccia non la stava aiutando molto.

 « Entriamo? » disse Sasuke mentre Naruto, contemporaneamente, come se avessero oramai un cerimoniale tutto loro, apriva la porta del locale facendo segno a tutti di accomodarsi, neanche fosse stato il padrone di casa. Sasuke, la sospinse in avanti con una mano, poggiandogliela sulla schiena, verso la curva lombare.

Sakura maledì il freddo e quel dannato piumino che le aveva impedito di sentire alcunché.

 

 

 

Il suo spirito di osservazione non era di certo dei più acuti, e nemmeno la scienza della deduzione, checché ne dicesse Sherlock Holmes, era un’arte in cui si dilettava con successo. Aveva a malapena notato, dopo cinque lunghi minuti in cui lo aveva sorseggiato, che il vino che Sasuke aveva portato a tavola era rosso. Nonostante questo Sakura sapeva che Genma, con quei suoi occhietti piccoli e incassati nei bulbi oculari, oscurati ancora più dalla bandana che si ostinava a portare troppo bassa sulla fronte, stesse cercando di dirle qualcosa. Incrociò il suo sguardo svariate volte, e quando lui si avvicinò loro con un altro vassoio – già il terzo – Sakura, nonostante l’odore del prosciutto appena tagliato e del pane tostato che aveva già dirottato i suoi pensieri verso più amabili orizzonti, non poté fare a meno di notare il leggero movimento della testa che Genma fece indicandole le scale che portavano alla saletta interna. Sakura gli rispose con uno sguardo vagamente interrogativo, imitando poi lo stesso gesto fatto con la testa da Genma. Lui assottigliò gli occhi in un tentativo, pensò Sakura, di estrema comunicazione telepatica, dando però l’idea di averla presa di mira per un omicidio spietato più che per una semplice conversazione privata lontana da occhi indiscreti.

« Se vuoi dirle qualcosa puoi dirglielo, sai. » proruppe Karin divertita, gettando un’occhiata verso Sasuke per scorgere una qualsiasi traccia di fastidio per lo strano comportamento di Genma nei confronti della sua ragazza, « Sas’ke non sembra un tipo geloso. »

Genma fece tornare gli occhi alle loro dimensioni normali rilassando le palpebre e fece finta di niente. Posò il vassoio sul loro tavolo e dopo, senza muovere un passo, rimase immobile al suo fianco. Sakura, la mano già tesa verso il vassoio per prendere uno dei crostini, si dovette fermare quando sentì Genma l’Intruso – tanto valeva cominciare a dare epiteti a tutti – tossire nel modo più innaturale che avesse mai sentito.

Chiuse gli occhi e fece un respiro profondo.

« Vado un attimo in bagno. »

 

 

« Ti assicuro che quello sguardo era più da thriller psicologico che da qualsiasi altra cosa. » gli disse a bassa voce appena arrivarono nella sala interna, le luci soffuse e stranamente nessuno a degustare whisky e cioccolata ai tavolini.
Genma piegò la testa di lato e assunse la faccia che Sakura era solita vedere sul volto di sua madre quando, in uno slancio di self-confidence, osava contraddirla su qualcosa di troppo al di là delle sue ancora immature capacità mentali – almeno a detta di sua madre.

« Ho bisogno che lavori qui venerdì prossimo. » disse Genma senza giri di parole. Sakura scandagliò mentalmente i suoi impegni per il venerdì seguente trovando solamente la parola “scuola” ad occuparle la mente. Per una volta le dispiacque non avere nessun impegno pomeridiano a tenerla lontana dagli abusi di Genma.

« Ci sono venti persone che darebbero via un rene per lavorare in questo posto. »

« Esatto, e una di queste sei tu, vero? »

« No! » rispose, rendendosi conto solo al gesto di Genma di fare silenzio di aver alzato un po’ troppo la voce. « No, niente rene. »

« Almeno un ovulo sì, però. »

Sakura distorse le labbra in maniera quasi disgustata non tanto per il concetto della donazione degli ovuli su cui, oltretutto, non aveva mai riflettuto abbastanza per avere un’opinione al riguardo, ma per il fatto che per Genma una ragazzina di diciassette anni potesse voler donare uno dei suoi giovani ovuli per lavorare nel suo bar. Di venerdì sera, oltretutto, quando le cene aziendali – quelle terribilmente informali a base di vino da almeno 60 euro a bottiglia – fioccavano come se fosse Dicembre.

« Che tipo di programmi guardi a casa, Genma? » chiese, circospetta. « Sembri il classico tipo che non riesce a comprendere la società moderna-»

« Allora, lavori? Sas’ke e Naruto hanno da fare. »

Sakura sbuffò e cominciò a prendere sul serio l’idea.

« Il giorno dopo è il compleanno di Naruto. » biascicò, incerta.

« Già. »

« Già. »

« Già, infatti. Si può sapere cosa sta succedendo? »

Sakura si sorprese a tal punto che ebbe, come primo istinto, quello di nascondersi dietro a Genma ed usarlo come scudo umano contro qualsiasi cosa fosse che li aveva interrotti così bruscamente.

« Oh, Sas’ke. » balbettò quando ebbe l’opportunità di guardare in volto colui che aveva messo fine alla loro conversazione segreta.

« Allora, abbiamo un accordo? » le chiese Genma avviandosi giù per le scale. Ebbe giusto il tempo di urlargli dietro “Sì!” prima di tornare allo sguardo interrogativo di Sasuke Uchiha, finto ragazzo, ma seriamente perplesso.

« Niente di che. Solo un favore. » si limitò a dire senza che Sasuke dovesse chiederle niente, lo sguardo stampato sulla sua faccia già abbastanza interrogativo di per sé.

« Un favore? »

« Sì. »

Nonostante tutto vide lo sguardo di Sasuke rimanere uguale.

« Sai, Genma è una persona un po’ disturbata, pensava che io volessi donare un ovulo, e forse anche un re-»

« Ti ha chiesto di donare un ovulo? A lui? »

E pensare che un tempo aveva creduto di essere stata adatta e propensa alla comunicazione, Sakura, alle conversazioni chiare e cristalline, senza segreti, invischi, messe in scena, e tantomeno donazioni di ovuli atte a pratiche mediche quali l’eterologa. Beh, la situazione sembrava un po’ contraddirla. E a dirla tutta, non sapeva nemmeno come mai Genma avesse sentito il bisogno di tenere tutta quella faccenda privata, visto che niente di poi così scandaloso era stato richiesto. Nonostante la perplessità verso i requisiti secondo cui Genma decideva quando una faccenda dovesse rimanere privata o meno, Sakura si decise a fare lo stesso.

« No, no niente ovuli! Solo...un favore da nulla, davvero. Una stupidaggine. Credo che Genma guardi...programmi strani, in televisione. »

Quando Sakura capì di aver solamente creato ancora più confusione, batté le mani allegramente e scese le scale.

 

 

 

Aveva qualcosa di immensamente strano, nel modo in cui annusava l’ambiente, nella maniera in cui, prima di avvicinarsi ulteriormente all’angolo della strada, aveva guardato prima a destra e poi a sinistra, nonostante quella fosse una zona pedonale, e anche nel modo in cui, prendendo ancora più precauzioni del normale, quel gatto si immise sul corso. Era arancione, abbastanza in carne per essere un randagio, e forse l’essere più demoniaco che Sakura avesse mai visto dopo Akamaru nei suoi giorni migliori, e nonostante l’aria tenebrosa che sembrava circondarlo, Sakura non riusciva a distogliere gli occhi dal suo pelo arruffato. Per un attimo pensò che fosse tutta colpa di Genma e dei suoi piccoli occhi da roditore il fatto che cominciasse a vedere cose che non esistevano davvero, come l’animo maligno di quel gatto che, probabilmente, era più che normale. O forse era solamente la fase dei saluti che la stava mettendo terribilmente a disagio tanto da costringerla ad intraprendere sentieri ancora inesplorati ed oscuri della sua immaginazione.

Quando si convinse a chiamare “micio, micio, micio” e a fare il solito verso che, a detta di tutto il resto del mondo – che ammontava a quasi otto miliardi di persone – attirava l’attenzione di tutti i felini domestici, Sakura vide i suoi occhi gialli sgranarsi e il suo sguardo fissarsi nel suo, e il gatto arricciò il pelo.

Tutti i passanti poterono sentire il miagolio lungo, ininterrotto, e più simile al suono di un gatto che viene brutalmente picchiato in un angolo che uscì da un animale che Sakura pensava essere incapace di un suono tanto sgradevole.

Si voltò di scatto cercando di far finta di niente mentre il grido di battaglia del gatto continuava a imperversare senza freni, e cercò di allacciarsi maldestramente alla conversazione che stava nel frattempo andando avanti tra Karin, Sasuke e Naruto.

Lo shock per essere stata aggredita verbalmente da un gatto le fruttò comunque un inaspettato avvicinamento da parte di Sasuke che, probabilmente più divertito dal suo silenzio imbarazzato che preoccupato, se la portò di fianco e posò un braccio sulle sua spalle.

Sakura si ripromise di spolverare un qualche piumino meno imbottito di quello che aveva indosso quella sera.

« Ciao allora. E grazie dell’aperitivo. » disse Karin avviandosi a piccoli passi verso la piazza dove aveva parcheggiato la macchina. Sakura fece un cenno di saluto con la testa e un sorriso che sparì appena la ragazza scomparve dalla sua vista per essere sostituito da un sospiro profondo.

Sasuke, come aveva previsto, si allontanò.

« Grazie mille per avermi chiamata, voi due. E io che pensavo che fosse affetto disinteressato il vostro. »

Ma Sakura notò che nessuno dei due ragazzi che le stavano di fronte le stava prestando ascolto. I loro occhi erano da qualche parte dietro le sue spalle, e quando sentì il gatto riprendere il suo miagolio infernale capì che erano troppo divertiti dall’accaduto per concentrarsi su altro. Li vide ridacchiare sotto i baffi e scambiarsi occhiate inequivocabili.

« Fortuna che da piccola dicevi di voler fare la veterinaria, Sakura-chan, certo, come no. »

« Quello non è un gatto qualsiasi! » si giustificò arrossendo fino al midollo « È un gatto...diabolico! »

« Certo, come Akamaru il Demonio, Sakura. »

Aprì la bocca solo per richiuderla poco dopo, le labbra poggiate l’una sull’altra fino a farle divenire quasi bianche e gli occhi forse vagamente simili a quelli di Genma durante un tentativo di comunicazione telepatica. Guardò Sasuke con sgomento mentre lui replicava lo stesso sguardo di quando l’aveva beccata a lanciare cartacce per terra nel bagno del locale.

« Lo avete sentito? »

« Si dà il caso che tu abbia urlato a voce molto alta. »

Abbassò lo sguardo, frustrata, per poi essere disturbata da altre risatine mal nascoste.

« Beh, vorrei vedere voi! » proruppe, attirando l’attenzione – sempre indesiderata – di troppi passanti. In quel momento anche il gatto si zittì, forse preso in contropiede da un urlo più acuto del suo.

« Io...io ho un certo feeling con gli animali! » disse, agitando un dito per aria, presa dall’entusiasmo della sua contro-arringa.

« Certo Sakura-chan, a quanto pare con tutti gli animali tranne che con i feelini. »

Sakura si sorprese al più di un accenno di sorriso che apparve sul volto di Sasuke alla battuta più che deprimente di Naruto, e ancora più indispettita dallo sguardo inequivocabile di complicità che si mandarono, Sakura fece per andarsene. Il gatto – soprannominato nella sua mente Gatto mefistofelico, meglio conosciuto come Satana e semplicemente come Diavolo per gli amici affezionati – ricominciò il suo urlo pieno di struggente sofferenza appena la vide muoversi.

« E non provate a richiamarmi quando vi servirò per tenere Karin alla larga! » si permise di dire rigirandosi di scatto, come se la cosa le fosse venuta in mente all’improvviso. Per qualche secondo cercò di spostare lo sguardo dall’uno a l’altro, ma inevitabilmente finì per fermarsi su Sasuke. Per la prima volta si sentì quasi arrabbiata con lui.

« Non ci riprovare. »

 

 

Non era stato possibile mantenere l’arrabbiatura. Forse perché Naruto l’aveva scongiurata di perdonarlo prostrandosi in ginocchio di fronte a lei, a braccia larghe, fingendo lancinanti fitte di dolore al petto ogniqualvolta che provava ad aggirarlo per avviarsi verso casa, e forse, - ma proprio forse – perché Sasuke aveva dato una spiegazione più che plausibile per averla chiamata in circostanze tanto sospette.

La spiegazione era stata, prevedibilmente, che Naruto stava per chiamarla nel momento in cui Karin, in città per commissioni, si era ritrovata faccia a faccia con i due. Tutto quello era durato dalle tre di pomeriggio fino alle sei, quando avevano deciso di chiamarla sul serio, ormai sull’orlo di un esaurimento nervoso.

« Certo Sakura-chan, io non vorrei dire nulla, ma...»

Sakura smise di frugare nella borsa per cercare le chiavi del portone di casa sua e si concentrò sul volto di Naruto. Non fu difficile decifrare la sua espressione quando si rese conto che era uguale a quella che qualcun altro le rifilava con troppa frequenza. Sì, sempre sua madre, e no, non la stessa faccia che Genma le aveva mostrato non troppo tempo prima.

Sua madre la faceva quando voleva rimproverarla del suo disordine e, prendendo in maniera esitante – esageratamente esitante, avrebbe detto Sakura – un capo di vestiario abbandonato per terra tra il pollice e l’indice per poi farlo ricadere subito dopo avergli dato un’annusata da segugio, le diceva “Sakura, questa stanza è un porcile!”

Di tanto in tanto gliela rifilava anche Ino, quando voleva essere crudele e non limitarsi a qualche frecciatina allusiva. Era successo con il suo ultimo taglio di capelli. Sakura aveva tirato le labbra l’una contro l’altra e aveva sollevato le sopracciglia così tanto da farle scomparire dietro alla sua allora frangetta – che era la capigliatura messa in discussione.
« Sakura-chan, » aveva detto Ino, « certo che tu non ci capisci proprio niente di capelli. »

Sakura si toccò i ciuffi più corti che le ricadevano intorno al volto ricordando malinconicamente la sua frangetta, aspettando che Naruto concludesse la sua frase con la faccia di sua madre/Ino stampata in volto.

« ...potresti metterci anche un pizzico in più di impegno quando fai finta di essere la ragazza di Sas’ke! »

Sakura lasciò ricadere le chiavi appena trovate nella borsa e batté le palpebre, perplessa, e poi improvvisamente su tutte le furie.

« Un pizzico? » chiese, ripensando alla torta di Ino, al suo non saper prendere le misure, alla sua mancanza di nozioni base come millimetri, centimetri e metri, « Un pizzico? »

« Beh, sì, Sakura-chan, giusto un pizzico. »

Sakura guardò Naruto sconvolta per un rimprovero del tutto inadeguato e senza senso, e poi, voltandosi verso Sasuke che, invece di comportarsi da diretto interessato, aveva incrociato le braccio al petto e aveva cominciato a guardarsi i piedi, perse il controllo.

« Non mi sembra che Sas’ke stesse proprio ballando la hula, in quanto ad entusiasmo ed impegno! »

« Ma Sakura-chan, » le disse prontamente Naruto andandole dietro e mettendole le mani sulle spalle, « lui è Sas’ke! È il ghiaccio fatto persona! Sai che dentro al suo petto non c’è un cuore che batte ma un computer controllato da una navicella madre che sta progettando di ucciderci tutti! »

Sasuke a quel punto tornò ad essere partecipe della loro conversazione solamente con uno sconsolato “Oddio” ed un’alzata al cielo.

« Sei tu che devi metterci spirito! »

Fu il turno di Sakura di sussurrare un “Oddio” e mandare gli occhi al cielo.

« Beh, fate come vi pare, ma siete a malapena guardabili, figuriamoci credibili. » disse Naruto impettito, avviandosi verso la fine del vicolo per imboccare nuovamente la strada principale. Sakura scosse la testa, sconsolata, e Sasuke la imitò, condividendo uno sguardo divertito.

« Non chiedetemi di inventarmi un’altra scusa tra tre mesi, qaundo Karin ritornerà all’attacco! » sentirono dire a Naruto con la voce ormai quasi inudibile.

« Nessuno te l’ha mai chiesto! » gli urlarono dietro entrambi, stranamente in sincronia.

Dopodiché Sasuke si avvicinò di un passo e con una mano le scompigliò i capelli, prima di avviarsi anche lui verso il corso principale.

Quando si guardò nello specchio, dopo essere entrata in casa, le sembrò che nessuna acconciatura le fosse mai stata meglio che quella che Sasuke aveva accidentalmente creato con le sue dita.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mamma mia, era una vita che non aggiornavo questa storia. Il capitolo era mezzo scritto da un sacco di tempo, ma avevo perso completamente interesse considerando che la storia non è poi così seguita, ma adesso, rileggendone i capitoli, - nonostante io sia consapevole dell’immensa stupidità e banalità della trama – mi è venuta voglia di continuarla, almeno per me, per distrarmi e togliermi qualche sfizio creando scene che normalmente non scriverei se dovessi seguire il mio stile usuale.

Comunque, non mi aspetto gran che da questo capitolo, l’ho riletto molto di fretta e forse avrei potuto migliorarlo in qualche punto, ma, come già detto, scrivo questa storia per puro divertimento e non ho alcuna intenzione di farne un’opera d’arte – cosa di cui non sarei lo stesso capace anche se dovessi impegnarmici per anni e anni.

Ecco qua, sperando che coloro che seguivano un tempo “Verdi idee senza colore dormono furiosamente” non se la siano dimenticata del tutto.

Naturalmente le vostre opinioni e consigli sono sempre ben accetti.

Un bacio

 

umavez

  
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