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Autore: whitesnow    16/12/2014    0 recensioni
Puoi seppellire vecchi rancori, vecchi segreti e vecchi fantasmi, ma troveranno sempre il modo per ritornare e rendere i bei sogni solo un incubo, un incubo che non trova pace. Quando nella cittadina di Dimwoods viene riaperto il "Caso Miller" vecchi ricordi e incubi ritornano a minacciare la tranquillità dei suoi abitanti. Giovane e dalla vita tormentata, la tragica e misteriosa morte di Marine Miller desta ancora sospetti a distanza di otto anni. Nessuno sembra sapere nulla, tutti sembrano non conoscerla come se fosse sempre stata un fantasma. Ma adesso che c'è un assasino a piede libero da cercare, tutti si chiedono cosa ci sia dietro e chi di tanto muostruoso abbia deciso di mettere fine ad una vita ancora giovane. Ma c'è qualcuno in realtà che sa più del dovuto e che ha sepolto tutto con menzogne e bugie... Almeno fino ad ora.
*Questa storia è stata scritta a quattro mani con l'autrice Medy.
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Genere: Dark, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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       4° Capitolo  
 
 "Sospetti..."
 
Isabel attese che i piccoli cristalli dorati invadessero senza fretta e forza la stanza. Attese che il sole sorgesse appena sulla cittadina di Dimwoods, prima di lasciare il tiepido letto che quella notte aveva visto la sua inquietudine; aveva sentito il suo tormento ed era stato l'unico testimone di quel dolore che non trovava nè forma e nè manifestazione. Quel dolore che non aveva mutato i lineamenti rigidi del suo viso, quel dolore che non aveva inumidito e cancellato il luccichìo smeraldino dei suoi occhi. Isabel la sera precedente era rientrata nel suo piccolo appartamento - condiviso con Louise - lasciando al di fuori dimenticando, una volta varcata la porta di casa, il gelo che aveva sentito in quel bosco; quel gelo risvegliatosi con il ritorno di qualcosa che si pensava fosse stato seppellito per sempre sotto cumuli di ricordo e silenzio. Quella notte Isabel era rimasta vigile e rigida nel letto, non riuscendo ad abbandonarsi tra le braccia morbide e sottili della notte, non dandosi la possibilità di spegnere le mille voci che non le permettevano di trovare pace. Quelle voci che la riconducevano sempre a quella notte che le facevano rivivere con nitdia disperazione l'attimo che aveva decreatato il loro futuro, che aveva distrutto quel leggero pizzico di felicità e che - con incredula fortuna - le aveva investite per poi abbandonarle, lasciandole desiderose di ritrovarla e la consapevolezza che mai sarebbe ritornata. Isabel strizzò gli occhi, cercando di scacciare via la stanchezza non solo del corpo ma che aveva investito anche il suo animo.  Fingendo - come il giorno precedente - posò i piedi sul freddo pavimento che la scosse dalla voglia di ritornare a coprirsi e lasciare che il mondo proseguisse senza di lei, senza la sua presenza e il suo intervento. Il rumore delle stoviglie proveniente dalla cucina le fece comprendere che Louise era già sveglio, dedito a donarle un risveglio dolce e romantico. Isabel chiuse gli occhi e, rendendo il cuore rigido, rovinò quella sorpresa che in altre circostanze le avrebbe dipinto il volto di un radioso sorriso. Non trovava il coraggio di guardare Louise e fingere con lui, ANCORA. Quattro anni erano trascorsi e si erano plasmati nel silenzio omertoso su ciò che lei e le altre avevano compiuto; sul negare a Marine il semplice diritto di conoscere il proprio assassino e spiegare il motivo per cui la sua vita le era stata strappata via senza che lei potesse impedirlo. Quel fingere di non saperne nulla, quel restare in disparte alle indagini, fingendo che il suo aiuto non avrebbe potuto rendere le ricerche meno faticose e inutili. Isabel era rimasta in disparte, aveva voltato le spalle codardamente e aveva sigillato le labbra alle domande, zittito la voce, chiuso gli occhi; aveva proseguito senza voltarsi indietro e cercare di dare giustizia, lei che poteva, loro che avrebbero potuto provare. Se Louise lo avesse saputo lo avrebbe perso e con lui tutto ciò che con fatica si era costruita. Ma non riusciva a guardare il suo fidanzato - il suo futuro compagno di vita - negli occhi, continuando a fingere spudoratamente. Non riusciva a sorridere quando nulla sorrideva in lei, non riusciva a restare impassibile alla vista della dedizione che Louise stava impiegando in quelle ricerche, nel tentativo di divenire lui l'eroe di Marine; colui che avrebbe dato il volto del vero assassino. Isabel si catapultò in bagno e si chiuse la porta alle spalle, lasciando Louise solo, non dandogli la possibilità di poterle donare un risveglio migliore. 

"Isabel..." Sentire la sua voce cercarla, delusa di non averla trovata, le fece sentire quelle colpe gravare con maggior violenza su di lei. Cercando di trattenere il tremore che le salì alla gola - che l'avrebbe tradita e che avrebbe storpiato il tono - si schiarì la voce e rispose al suo richiamo dolcemente pronunciato. 

"Sono in bagno..." Rispose, poggiando la fronte sul ruvido legno. Percepì i suo passi avvicinarsi alla porta, per poi allontanarsi. Anch'essi descrivevano la confusione e la sua incapacità di spiegare il perchè di tanto distacco. Isabel aveva tentato di non lasciare che la paura e i sensi di colpa gestissero ogni movimento, ogni espressione; ma quella mattina - come la notte precedente - involontariamente aveva dato agio a quelle emozioni che non erano passate inosservate a Louise. Si staccò dalla porta, liberando il getto d'acqua e si fiondò sotto la doccia, cercando di spegnere i mille pensieri che producevano un rumore assordante nella sua mente. L'acqua calda le fece distendere i nervi ma non fu abbastanza per renderla totalmente tranquilla. Rimase lì immobile, fissando le piastrelle in porcellana lucida e non riuscendo a pensare ad altro; se non che  la notizia si sarebbe diffusa di lì a poco per tutta Dimwods, riportando sulla città un alone di mistero e timore irrisolti. Isabel si coprì con la ruvida asciugamano e - con i piedi ancora umidi - raggiunse la stanza condivisa con Louise che intanto era ritornato in cucina ignorandola del tutto. Il fastidioso ronzio della TV la raggiungeva, senza che lei potesse permettere a quelle informazioni di giungere a destinazione. Si vestì di malavoglia ma i suoi sensi si attivarono involontariamente. Andare a lavoro era l'ultima cosa che volesse fare; trovarsi nel liceo che un tempo lei, Savannah, Faye, Rosemary e.. Marine avevano frequentato e dove adesso Isabel ricopriva il ruolo di insegnante di ginnastica, di sicuro non avrebbe giovato al suo umore e avrebbe fatto riaffiorare solo i ricordi spiacevoli  della loro permanenza in quel luogo. La notizia che provenne dalla Tv la irrigidì completamente, gettandola in un  dimensione di paura e sgomento. Ogni parola del telecronista alla Tv sembrò essere urlata, intensificata e - mischiandosi al battito del cuore di Isabel che accellerò violentamente - fu assimilata alla perfezione dalla sua mente. Il caso Miller era stato riaperto e nuovi indizi erano stati portati alla luce; indizi che forse avrebbero coinvolto anche loro. Ascoltò ogni parola, tremando, lasciando in sospeso ciò che stava facendo.

"Isabel cos'hai?" La voce di Louise sembrò provenire da lontano e la travolse improvvisamente, riconducendola alla realtà e riportandola indietro. Si voltò con ancora il volto perso nel vuoto e accigliandosi mugolò incerta, non avendo colto le sue parole.

"Cosa? Niente, va tutto bene... ero solo sovrappensiero!" Mentì lei, infilando la felpa blu elettrica che le coprì le sottili curve e cercando di riprendere il controllo di sè, di apparire tanquilla e rilassata; abbozzò un vago sorriso, non del tutto convincente, verso il suo fidanzato. Ma Louise non sembrò convincersi delle sue parole e continuava a fissarla con aria sospettosa. Quello era uno degli svantaggi di vivere sotto lo stesso tetto dell'ispettore capo della polizia di Dimwoods.

"Ti avevo appena detto che non credo di farcela oggi per pranzo, alla centrale abbiamo tantissimo lavoro da fare. Sai oggi partono i sopralluoghi per il caso Miller. Con la scarcerazione di Gordon bisogna scoprire dove è avvenuto effettivamente l'omicidio." Nuovamente il viso ed il corpo di Isabel si irrigidirono al suono di quelle parole. Sicuramente anche il bosco sarebbe stato perlustrato e una nuova preoccupazione affiorò alla sua mente: e se avessero trovato le loro tracce lasciate dal loro recente passaggio? Come avrebbe potuto giustificare la sua presenza nel bosco a Louise? Improvvisamente sentì il respiro farsi sempre più corto, il cuore cominciò a battere all'impazzata e Isabel seppe di non poter restare un minuto di più in quell'appartamento, prima che Louise iniziasse a sospettare davvero del suo strano comportamento.

"Capisco, beh allora ci vediamo stasera a cena! Io adesso devo proprio scappare o farò tardi!" Isabel gli si avvicinò frettolosamente e il bacio a fior di labbra che concesse a Louise fece nascere in lui fievoli sospetti che però scacciò subito dalla mente, non riuscendo a credere che per un attimo li avesse evocati. Guardò la sua fidanzata che - senza mai incrociare il suo sguardo - si affettava ad uscire di casa lasciandolo lì, immobile a fissare esitante la porta che si era appena chiusa alle sue spalle.

Non appena uscì di casa Isabel potè nuovamente tornare a respirare, rilassando i muscoli del corpo e del viso che fino ad allora erano stati tanto rigidi da imperdirle i più semplici movimenti. Si trascinò di malavoglia fino alla sua Mercedes-Benz GL blu notte e, prima di partire, si lasciò sprofondare nei morbdii e caldi interni in pelle che per un piccolo istante le donarono un senso di relax. Ma quel piccolo attimo non bastò a scacciare quei torbidi pensieri che si insinuavano nella sua mente e che la stringevano in una morsa di angoscia e paura. Lo sguardo sospettoso che Louise le aveva  rivolto poco prima era bastato per far aumentare maggiormente i sensi di colpa che aveva nei suoi confronti. on sapeva per quanto ancora sarebbe riuscita a reggere quella situazione, er quanto ancora sarebbe stata capace di mentire all'uomo che amava ed ingannarlo per l'ennesima volta. Quel peso cominciava a diventare un macigno insostenibile sulla sua coscienza e nasconderlo agli occhi di Louise ogni singolo giorno era un prospettiva che lanciò Isabel nello sconforto più totale. Calde lacrime le scivolarono sul volto, posandosi salate sulle labbra. Lacrime che fino ad allora aveva trattenuto con forza che avevano lottato e alla fine avevano vinto. Quelle lacrime che non avevano mai avuto il privilegio di rigarle il viso.Per otto lunghi anni aveva dovuto custodire quell'enorme e doloroso segreto non potendo condividere le sue paure e le sue angoscie con la persona che amava. Aveva dovuto tenerelo all'oscuro di una parte della sua vita, nascondendogli le mille notti insonni passate a rimuginare su quella terribile notte. Ed ora che Louise era coinvolto in prima persona nel caso di Marine, Isabel ancora una volta avrebbe dovuto fingere, controllare ogni sua minima reazione o comportamento per non suscitare sospetti in colui che era il suo fidanzato ma allo stesso tempo colui che aveva il compito di svelare la verità; una verità che avrebbe potuto travolgerla. Socchiuse gli occhi, scacciando via quell'inquietudine che quella mattina avrebbe solo rovinato  i suoi soliti progetti. Assaporò l'aria che entrò nei polmoni, facendole male e, ritornando con la mente vigile e ferma, inserì le chiavi nel quadro dell'auto mettendo in moto; ma essa non partì. Provò più volte e, dopo molti tentativi, si decise finalmente a guizzare via e a unirsi al traffico. Le auto sfrecciavano accanto a lei frenetiche, come se avessero più fretta del solito, come se la notizia giunta anche nelle loro case avesse condotto gli abitanti di Dimwoods alla consapevolezza di quanto la vita fosse breve e di quante occasioni non potevano farsi mancare perchè, come successo a Marine, anche loro avrebbero potuto trovare qualcuno tanto macabro e violento da decidere di stroncare le loro vite. Isabel si incamminò lentamente verso l'istituto e non potè evitare di passare per il piccolo e ben curato cimitero della cittadina, dove metri di polvere e terreno accoglievano la salma di Marine; quella salma pianta dolorosamente quel giorno in cui le parole di Padre Gregory l'avevano accompaganata nel sonno profondo e tranquillo, lasciandola nelle braccia della morte...


Era un giorno grigio e pioviginoso e, nonostante si trovassero a metà maggio, le quattro adolescenti che si dirigevano verso la chiesa di Dimwoods furono attraversate da strani brividi di freddo che fecero venir loro la pelle d'oca. Arrivate al cospetto della porta d'ingresso esitarono qualche istante prima di entrare e prendere posto nelle panche di legno poste in ultima fila. Si guardavano intorno spaesate, sentendosi a disagio nel trovarsi lì - in quel giorno - a dare l'ultimo saluto ad una persona che per anni avevano sbeffegiato e tenuto alla larga; una persona di cui custodivano un atroce segreto che non dava di certo alle quattro ragazze il diritto di trovarsi lì quel giorno. Ma un sentimento di compassione e di colpevolezza aveva spinto Savannah, Faye, Rosemary ed Isabel a partecipare al funerale di Marine. La loro presenza era forse un inutile tentativo di scrollarsi di dosso quel peso insostenibile che le attanagliava e quel gesto voleva essere interpretato come una richiesta di perdono per aver interferito con il destino e di non aver saputo evitare quella tragica fine. Nonostante Marine avesse trascorso gli anni del liceo completamente emarginata dal resto del corpo studentesco, quel giorno tutti i loro compagni di scuola si erano presentati per dare a quella ragazza l'attenzione e il dovuto rispetto che aveva sempre cercato di guadagnarsi in vita. L'attenzione di Isabel si spostò sui familiari di Marine ed in particolare si soffermò a fissare la piccola Lola Miller, una bambinetta esile con morbidi capelli neri di appena otto anni che tentava di consolare la madre, abbandonatasi intanto ad un pianto silenzioso ma disperato. Isabel non potè fare a meno di provare ammirazione per quella bambina che ancora troppo piccola per capire cosa realmente fosse successo cercava comunque di allieviare il dolore che, in quel momento, stavano provando i suoi genitori. Padre Greogory fece il suo ingresso nella chiesa e, raggiunta la bara dove il corpo di Marine giaceva immobile, diede inizio al rito funebre:

"Fratelli e sorelle, siamo riuniti qui per salutare un'ultima volta la nostra cara sorella Marine Miller, morta per volere altrui, strappata alla vita quando il tempo era ancora lungo, quando la vita era ancora piena e lei ancora sazia di essa... Era giovane Marine, amava la vita, amava la sua città, la sua famiglia, le sue amiche... ma tutto ciò le è stato privato ingiustamente, con violenza e malignità. Preghiamo per il suo assassino affinchè possa trovare la via del pentimento e si renda conto del suo atto; si renda conto dell'ingiusta volontà che ha preteso di esercitare su di lei. Preghiamo affinchè giustizia venga fatta, preghiamo per Marine, affinchè prosegua per la strada del Signore e arrivi ad esso per rendersi immortale... Il corpo muore ma l'anima vive in eterno.... Preghiamo".
Isabel questa volta si girò in direzioni delle sue tre migliori amiche per esaminarne l'espressioni e si accorse che tutte avevano lo sguardo abbassato come a voler evitare di scorgere la candida bara bianca che padroneggiava al centro della navata.Tutte tranne Savannah che fissava il vuoto con aria indifferente, come se la sua presenza in quel luogo fosse stata data al caso; come se fosse totalmente indiffrente a quel dolore che aleggiava per l'intera chiesa e che si posava su ogni persona presente. Isabel si domandò se quell'indiffrenza ostentata dall'amica fosse reale o se Savannah avesse indossato quella maschera per non mostrare la debolezza e il senso di colpa che in quel momento facevano da padroni all'interno del suo animo. La sua attenzione fu nuovamente richiamata dalla voce di Louise che, in piedi affianco alla bara di Marine, si apprestava a fare il discorso di commemorazione a nome dell'intero liceo di Dimwoods.

"Come Rappresentane d'Istituto mi è stato chiesto di dire qualcosa per Marine... Siamo in chiesa, nella casa del signore e non dirò bagianate inutili... dirò solo la verità. Marine non era una ragazza facile da capire, preferiva nascondersi dietro ad abiti non suoi, ad un look che non le apparteneva, dietro a modi sbagliati che deturpavano il suo vero essere. Marine non ha mai mostrato chi realmente fosse ma qualche volta lo faceva... qualche volta si tradiva e mostrava il suo essere sorridente, la sua spensieratezza di giovane ragazza, quella spensieratezza che le è stata strappata via.... Marine non meritava una sofferenza tale, non meritava di essere seppellita e nascosta in un modo cosi BARBARO, privandole giustizia, privandole di una dignitosa sepoltura. Oggi voglio ricordare Marine come la mia partner di Biologia; la stessa che quando un giorno il professore le chiese di sezionae una rana si alzò rifiutandosi, preferendo una F piuttosto che dissacrare un corpo.Voglio ricordare Marine nella sua gioventù, quella gioventù che le è stata sottratta e che non ha avuto il tempo di terminare e prendere il suo corso... Addio Marine, ci mancherai..." Un tenue applauso accompagnò la fine di quel discorso e Louise tornò a prendere il suo posto tra le prime file.

Le quattro ragazze non poterono fare a meno di sussultare al sentire la parole "sepoltura" e sperarono che nessuno si fosse accorto di quel loro brusco movimento. Soprattutto Isabel si augurò di non essere stata vista da Louise che, per tutto il discorso, aveva avuto lo sguardo fisso nella sua direzione; non si vedevano da giorni ormai. Da quando, la notte dopo l'omicidio di Marine, Isabel si era chiusa in casa rifiutando di parlare con tutti, anche con lui e biascicando qualche scusa campata in aria che avevano insospettito Louise, il quale però aveva preferito non insistere o fare pressioni sulla sua ragazza e deciso ad affrontarle appena si fosse presentata l'occasione. Dopo il discorso commovente di Louise, padre Gregory si accinse a benedire la bara e a concedere un ultimo e straziante saluto alla famiglia di Marine. La piccola Lola si avvicinò titubante alla bara posta al centro dell'altare. Non realizzando realmente cosa fosse accaduto, poggiò la piccola manina su di essa, salutando per l'ultima volta la sua cara sorella. E fu allora che la maschera d'indiffrenza che Savannah aveva portato fino a quel momento crollò. Non riuscendo più a sostenere la tensione che rivestiva ogni fibra del suo corpo, la ragazza si alzò di scatto, voltandosi in direzione dell'uscita. Ma fu bloccata da Faye che, afferrandola per un braccio, costrinse Savannah a sedersi nuovamente e le parlò quasi sussurrando:

"Non puoi andartene! Dobbiamo prima salutare la famiglia di Marine. O vuoi che qualcuno si insospettisca?" Mai prima d'allora Faye aveva osato rivolgersi ad una di loro in quelo modo. Il tono duro che aveva usato aveva deformato la sua voce che, da calda e morbida com'era sempre stata, si era tramutata in un suono aspro e glaciale. L'espressione che aveva assunto Faye mentre pronunciava quelle parole fece rimanere tutte di stucco e la stessa Savannah non osò contrombattere a quell'ordine che le era stato impartito. Si rimise a sedere immobile e con lo sguardo basso; per la prima volta intimidita da qualcuno e quel qualcuno era proprio la sua migliore amica. Le quattro ragazze aspettarono che arrivasse il loro turno e si avvicinaro alla famiglia Miller per porgere le loro condoglianze. Quando lo sguardo di Carol Miller si posò su di loro, la donna le accolse con un sorriso familiare; come se già avesse fatto la loro conoscenza. E come stabilito fu Faye a prendere la parola.

"Signori Miller le porgiamo le nostre più sentite condoglianze" Il tono di poco prima era sparito e la sua voce era tornata come sempre calda e rassicurante; in quel momento le si poteva leggere un tono di dolore e rammarico, segno del suo reale stato d'animo.

"Vi ringrazio ragazze per la vostra presenza. Marine sarebbe stata felice di sapere che le sue migliori amiche non l'hanno mai abbandonata. Sapete, lei non faceva altro che parlare di voi, di elogiare la vostra gentilezza e il fatto che in tutti questi anni Marine abbia avuto qualcuno su cui contare al liceo mi ha sempre fatta stare tranquilla. Sappiamo benissimo che la sua vita a scuola non era per niente facile ma sapere che c'era qualcuno che nonostante tutto la accettava mi rallegrava". Le parole, sussurrate tra lacrime, lasciarono spiazzate le ragazze che non compresero a cosa la donna si stesse riferendo. Savannah scoccò un'occhiata colma di domanda a Rosemary che scrollò appena le spalle, facendole comprendere che ne sapeva quanto lei. Isabel guardò Faye, consigliandole, con un accennato cipiglio, di dire qualcosa e far cadere quell'alone di imbarazzo appena sceso su di loro. Fay rimase immobile e spaesata, allora Isabel si decise ad intervenire e, schiarendosi la gola, mentì con un talento che non credeva di possedere.

"Signora Miller, Marine è stata molto importante per noi e perderla è stato davvero doloroso...." La voce tremava ma, con stupore delle presenti, riuscì a mantenere la calma e riuscì a non tradirsi. Allungò la mano verso la donna stringendogliela, continuando quella farsa con magnifico talento. Carol Miller stava già soffrendo abbastanza e le quattro ragazze non se l'erano sentita di darle un ulteriore dispiacere; come sempre avevano deciso di mentire e nascondere la verità. Savannah soffiò stancamente, voltando le spalle a quella scena che la stava mandando in fibrillizzazione. Mentire in modo così sfacciato sarebbe stato compito suo ma in quel momento sembrò che le parti fossero state ribaltate, rendendola del tutto incapace di parlare. Frenando la minima bugia che, in casi diversi, sarebbe balzata fuori con facilità.

"Marine mi ha sempre detto quanto foste legate a lei. Mi raccontava sempre delle vostre serata passate al cinema o nel vostro luogo segreto, il bosco. Devo dire che mi ha sempre messo un pò di timore sapervi in quel posto." I volti delle quattro ragazzi si pietrificarono all'istante non solo per le bugie che per anni Marine aveva raccontato a sua madra - e di cui non riuscivano a comprendere il motivo  - ma anche del fatto che Marine era già stata nel bosco prima di quella terribile notte. Le aveva seguite per chissà quanto tempo, le aveva spiate, aveva ascoltato i loro discorsi ed era venuta a conoscenza dei loro più intimi segreti. Isabel rivolse uno sguardo alle sue amiche e capì dai loro volti che la situazione stava diventando instostenibile e che quello era il momento di andarsene. Assumendo nuovamente uno sguardo ed un tono cordiale si rivolse alla madre, cercando le parole adatte per congedarsi. Ma fortunatamente in loro aiuto arrivò la preside del Liceo di Dimwoods e Carol Miller, prima di rivolgere la sua attenzione a quest'ultimo, rivolse un sorriso alle quattro ragazze che ricambiarono indecise, prima di voltarsi e raggiungere l'uscita della chiesa. Appena furono fuori all'aria aperta, i loro volti poterono rilassarsi e i loro cuori ricominciarono a battere regolarmente. Ma non appena Isabel posò il suo sguardo su una figura appoggiata ad un auto difronte a lei capì che era troppo presto, almeno per lei, per potersi rilassare. Louise intanto si era staccata dal suo fuoristrada ed avanzava deciso verso il quartetto, senza però togliere gli occhi di dosso alla sua ragazza.

"Isabel se non ti dispiace vorrei darti un passaggio a casa... ho bisogno di parlarti." Il tono duro e risoluto di Louise non ammetteva repliche. Erano giorni che lo evitava, temendo di essere troppo trasparente ai suoi occhi. Ma ora che lui era lì davanti a lei, non poteva tirarsi indietro; annuendo appena con il capo, Isabel si rivolse alle sue amiche.

"Ragazze ci sentiamo questa sera" E detto ciò, si avvio verso Louise che, cingendole appena la vita con una mano, la scortò verso la sua auto. Nonostante avesse dichiarato di doverle parlare per quasi tutto il viaggio Louise era rimasto in silenzio, mantenendo sempre gli occhi fissi sulla strada con il viso tirato e teso. Isabel dal canto suo si sentiva enormemente in imbarazzo per quel silenzio che era scesa tra lei ed il suo ragazzo ma non aveva il coraggio di rompere il ghiaccio, anche perchè non sapeva assolutamente cosa dire. Ma come se Louise avesse letto nella sua mente si decise a parlare.

"Perchè mi eviti?" Louise rivolse quella domanda che ronzava nella sua mente da una settimana; domanda che non aveva trovato alcuna risposta. Aveva rivissuto vari momenti, ipotetici, che gli avrebbero fatto comprendere quell'atteggiamento distante e ingiustificato di Isabel; ma nulla affiorò alla sua mente, nulla era riuscito a spiegargi il perchè di quel distacco improvviso, di quella freddezza e di quelle telefonate a vuoto. Sentì Isabel muoversi nervosamente al suo posto e con la coda dell'occhio la vide abbassare lo sguardo, come se quella domanda l'avesse abbattuta, l'avesse schiacciata pesantemente.

"Non ti evito..." Mentì lei, mordendosi la lingua e frenando altre bugie. 

"Non fingere con me, Isabel..." Il fuoristrada frenò bruscamene appena in tempo. Le auto davanti erano ferme in strada e nuovamene il silenzio cadde tra loro. Isabel scostò lo sguardo e si soffermò a osservare il cielo che quella mattina era di un grigio pallido, con qualche leggero raggio di sole che, timidamente, mostrava la sua presenza. Non si annunciava pioggia ma il cielo sembrava essersi perso in una triste malinconia. Gli occhi di Louise divennero sempre più insistenti; erano puntati su di lei, in cerca di qualcosa che potesse aiutarlo a comprendere il perchè di tutto ciò. Aveva notato piccoli particolari quella mattina che avevano farto sorgere in lui dubbi e sospetti.

"Anche in chiesa durante il mio discorso tu e le tue amiche vi comportavate in modo strano. Cosa sta succedendo Isabel?" Lo sguardo di Louise questa volta era preoccupato, angosciato per quel suo strano atteggiamento. Isabel chiuse gli occhi, sentendo quelle parole calcare nella sua mente il ricordo della salma di Marine, il ricordo di pochi attimi prima, dello sguardo stanco e triste della madre, del ricordo - tristemente tenero - della piccola Lola, incapace di comprendere cosa ci facesse sua sorella in quella bara in legno.

" Nulla, Louise. Non pretendere di vedermi felice... abbiamo appena seppellito una nostra amica..."

"Da quando consideri Marine un'amica?" Louise sentiva che Isabel gli stava nascondendo qualcosa. Il dispiacere della morte di Marine aveva coinvolto molti, nonostante la ragazza non avessse veri amici a Dimwoods. Ma quella parole suonò cosi stonata da far sorgere nuovi dubbi in lui.

"Louise stiamo appena rientrando da un funerale. Cavolo non puoi farmi queste domande!" Isabel sentì la pasienza scivolarle via dalle mani e scoppiò in un leggero impeto di rabbia.

"Ok, scusa" Louise rimise in moto e, lasciando perdere del tutto i sospetti, le domande e soprattutto Isabel che sembrava essere sotto pressione, ripartì dando al silenzio la possibilità di accompaganre il loro breve viaggio. Ma appena arrivati davanti casa sua, si rivolse nuovamente alla sua ragazza:

"Se ci fosse qualcosa che non va, che ti preoccupa, me lo diresti vero?" Louise non sapeva cos'altro dire. Non volendo farle nuovamente delle pressione; voleva solo farle comprendere che lui era lì per lei e lo sarebbe stato per sempre..

"Certo che te lo direi. Ma davvero va tutto bene... sono solo un po' provata e ho bisogno di dormire.Ti chiamo stasera..." Dettò ciò Isabel si affrettò ad uscire dalla macchina; senza donare a Louise un gesto tenero si allontanò frettolosamente. Non poteva crederci! Per la prima volta in vita sua aveva mentito all'uomo che amava. Aveva dovuto farlo, aveva dovuto fingere. Non riusciva a non farlo. Ormai era diventato facile fingere che nulla fosse accaduto; in quella settimana le bugie erano divenute parte integrante e necessaria della sua vita...



E allora non sapeva quante altre bugie avrebbe dovuto raccontargli, pensò Isabel, ritornata al presente non appena la sua auto entrò nel parcheggio del liceo riservato ai docenti. Subito dopo aver conseguito la mini-laurea in scienze fisiche e motorie, il liceo di Dimwoods aveva offerto ad Isabel il posto di insegnante di educazione fisica. Quest'ultima inizialmente era stata restìa nell'accettare l'incarico; ma alla fine si era lasciata convincere da suo fratello Josh e dallo stesso Louise. Essendo leggermente in ritardo per la prima ora di lezione, Isabel procedette con passo spedito verso la palestra. Il suo passaggio per i corridoi non mutati del vecchio liceo furono seguiti da sguardi scrutatori che si domandavano, silenziosamente, se lei potesse conoscere dettagli accurati su quella vicenda, riportata alla luce dopo otto anni di tranquillo e omeroso silenzio. Ma Isabel notò a malapena quegli sguardi: troppo assorta nei suoi pensieri, non notò neanche che aveva superato di un bel pò l'entrata della palestra. Quella mattina di sicuro non avrebbe combinato niente di buono pensò, tornando indietro e prendendo questa volta la direzione giusta. Gli alunni del terzo anno erano già nella palestra ad attenderla. Appena Isabel fece il suo ingresso notò qualcosa di strano: quasi tutti i ragazzi erano posti in semi-cerchio e porgevano i loro sguardi rapiti da qualcosa che Isabel inizialmente non riuscì a scorgere. Sentiva solo urla provenire dal centro di quel cerchio e, quando si fu avvicinata abbastanza, riuscì a vedere cosa o meglio chi lo occupava. Quattro ragazzi ridevano e sbeffeggiavano una ragazza minuta dai lunghi e morbidi capelli bruni; ma quest'ultima non dava segnali di risposta: se ne stava lì, con la testa bassa, senza mostrare la minima intenzione di reagire. E, prima che Isabel potesse intervenire per portare ordine e cominciare la lezione, fu immobilizzata dalle parole che uscirono dalle bocche di quei ragazzini.

"Tua sorella era pazza ma tu hai un cervello da gallina. Non mi stupisco che si sia uccisa! Averti come sorella era uno strazio per lei! Non so come tua madre abbia potuto procreare due creature così: Marine e Lola Crazy Miller!" Una fragrosa risata di scherno accompagnò quelle offese che, come lame taglienti, avevano trafitto il cuore della povera ed indifesa Lola Miller. La dolce e piccola Lola che rimaneva lì immobile con gli occhi lucidi ma senza proferire una singola parola. Isabel di getto fu riportata a tanti anni prima, quando anche lei era stata al posto di quei ragazzini e, come loro, anche lei era rimasta impassibile alle offese che la maggior parte degli studenti del suo liceo rivolgeva a "Marine Crazy Miller" una ragazzina pazza e squilibrata, oggetto di insulti e scherzi di pessimo gusto. Isabel stava rivivendo giornate come quelle, quando al centro dell'attenzione c'era stata Marine Miller che, mascherandosi e nascondendo il volto addolorato e stanco di quelle continua prese in giro, aveva proseguito per la sua strada senza dare la soddisfazioni a lingue melliflue di adolescenti fin troppo sinceri, incapaci di tenersi per se commenti velenosi. Marine aveva sempre mostrato un animo diverso, una personalità in contrasto con gran parte dei modelli standard presenti in quella scuola. Quella personalità che non l'aveva condotta su una giusta strada. Era sempre stata derisa Marine, da tutti, da lei, da loro. Aveva sempre sentito su di se commenti poco carini e piacevoli, aveva sempre trattenuto con forza le lacrime dolorose, nascondendo quel dolore, sommergendolo e cancellandolo dalla sua mente in modo sbagliato. Dando al suo corpo sostanze velenose, avvelenandosi , preferendo piccoli attimi di incoscienza chimica, piuttosto che interi giorni   di realtà pungenti, dure, velenose. Isabel riviveva quelle scene, odiando se stessa, sentendo colpe farsi strada in lei e sussurrarle all'orecchio quanto fossero state ingiuste; facendole provare disgusto per se stessa e per le sue amiche che non avevano mai impedito nulla. Improvvisamente si sentì in dovere di intervenire, di difendere Lola non solo in quanto compito di un insegnante ma perchè Isabel in qualche modo voleva redimersi da errori fatti in passato, dal silenzio che troppe volte aveva avuto la meglio su di lei.

"Ora basta! Che cosa sta succedendo?" Il tono autoritario che provenne dalla figura di Isabel fece immediatamente zittire l intera palestra e i ragazzi che, un secondo prima stavano prendendo in giro Lola Miller, ora non erano altro che studenti impauriti dall'arrivo della Professoressa Martin. Isabel non aspettò la loro risposta e, ponendosi al centro del cerchio, rivolse agli alunni uno sguardo severo dal quale però non potè fare a meno di lasciar trasparire il disprezzo che in quel momento provava per loro.

"Voi quattro, immediatamente nell'ufficio del preside!" Una bella sospensione non gliel'avrebbe tolta nessuno, pensò soddisfatta Isabel.

"Ma professoressa Martin noi..." Uno dei quattro ragazzi mugugnò un flebile protesta ma fu fulminato all'istante dallo sguardò assassino dell'insegnante. Senza aggiungere altro gli alunni puniti sgusciarono in silenzio verso l'uscite della palestra, diretti all'ufficio del Preside. Isabel immediatamente si avvicinò a Lola, la quale continuava a stare lì immobile, combattendo contro le lacrime che prepotenti volevano scivolare lungo il visino smunto; sollevò lo sguardo, non appena le braccia rassicuranti di Isabel furono intorno alle sue spalle.

"Vieni, andiamo in infermeria" Lola esitò qualche istante sul viso di Isabel, guardandola con occhi familiari. Continuando a restare in silenzio la seguì lontano dai suoi compagni di classe che erano rimasti imbambolati ad assistere il suo salvataggio. Venne sorretta dalle forti braccia della sua insegnante che, prima di uscire dalla palestra, si volse nuovamente verso il resto degli studenti.

"Pretendo che restiate buoni e calmi fino al mio ritorno intesi?" E senza aggiungere altro ripresero a camminare dirette verso l'infermeria.
Camminarono in silenzio lungo i corridoi deserti della scuola ma le braccia di Isabel erano sempre strette intorno a Lola, come se avesse paura che il fragile corpicino della ragazza potesse cedere da un momento all'altro. E quando finalmente entrarono nell'infermeria, al riparo da occhi ed orecchie indiscrete, Isabel si fermò ad analizzare la sottile figura di Lola, troppo magra a parer suo; il suo volto, pallido e delicato, comunicava dolcezza e innocenza. Non assomigliava per niente a Marine, se non per l'impressionante magrezza. Ogni tratto di lei era l'opposto della sorella maggiore. L'arrivo dell'infermiera, la signorina Torres, interruppe lo scambio di sguardi tra Isabel e Lola; con un sorriso raggiante, diede ad entrambe la possibilità di muoversi in quel luogo come se fossero in casa propria.

"Infermiera Torres, è possibile avere un po' d'acqua?" La richiesta della Professoressa fu colta subito e, senza farla attendere, le fu portato un bicchiere monouso contenemte acqua fresca che ridiede a Lola la possibilità di ingoiare le lacrime di umiliazione. Isabel riprese a fissarla, volendosi assicurare che stesse bene o almeno meglio rispetto a pochi attimi prima. Istintivamente, senza limitare o sopprimere quell'azione, le accarezzò il capo con una dolcezza che, in casi diversi, avrebbe riservato solo a Louise. Si sentiva in debito con quella ragazzina; sentiva il bisogno di assicurarsi che stesse bene, come se le colpe la inducessero a quella rassicurazione. Erano piccoli segni quelli, piccoli messaggi del fato che le stavano comunicando che ben presto molte cose sarebbero cambiate e il caso Miller avrebbe ritrovato nuovi indizi che avrebbero messo una nuova luce su ogni cosa. Per il momento però, sembrava volersi solo divertire tormentandola, mettendole sotto il naso vecchi ricordi e sensi di colpa che non poteva impedire che riaffiorassero.

"Come va adesso?" I grandi occhi di Lola si spostarono su Isabel e sfoderò il suo miglior sorriso: accennato e poco visibile, l'unico in grado di evocare in quel momento; annuì, rassicurandola.

"Molto meglio adesso... Devo ringraziare te" Isabel per un attimo tralasciò quel suo rivolgersi così confidenziale. Ma quando Lola ritornò a stringere con nervosa pressione il bicchiere in plastica - che piano si accartocciò tra le sottili mani - ripensò al modo con cui si era rivolta a lei. Non che fosse fiscale ma Lola poche volte le aveva rivolto la parola e quelle poche volte si erano limitate ad educati saluti.

"Sai... io mi ricordo di te e anche delle tue amiche..." La sottile voce di Lola riaffiorò, debole, pacata, tranquilla: esattamente come lei. Teneva gli occhi bassi sul bicchiere monouso e stringeva forte, come se ciò che stava rievocando le facesse male. Isabel ingoiò a vuoto, sospettando a cosa lei si riferisse. Una sola volta lei, Savannah, Rosemary e Faye avevano incontrato quella ragazzina; l'unica volta che non avrebbe dimenticato facilmente. Sembrò rivederla poggiare la paffuta mano, mutata esattamente come lei, sul feretro in legno, porgendo l'ultimo saluto a Marine, abbandonandola nelle braccia della terra. Attese che continuasse e quando lo fece i suoi sospetti divennero reali.

"Eravate presenti al funerale di Marine... avete parlato con mia madre..." Non accennava a voler mostrare l'espressione che quei ricordi le provocavano. Il viso basso non permetteva ad Isabel di scorgere nei suoi occhi un ipotetico dolore o un sorriso di infelicità. I capelli castani contribuivano ad ostruire la visuale.

"Si, anche io mi ricordo di te" Aggiunse Isabel, incapace di dire qualcosa di sensato. Rievocare quel momento le fece mancare un battito, ricordare la codardia, le menzogne raccontate a chiunque si avvicinasse a loro. Scappare dalla reltà. Nuovamente era tutto poggiato alla memoria, nitida e precisa.

"Marine parlava sempre di voi, diceva che eravate le uniche amiche che aveva..." Quelle parole si ripeterono con la medesima nenia, esattamente come la signora Miller aveva fatto quel giorno. Lo stomaco divenne un macigno e i sensi di colpa attanagliavano le budella. L'innocenza della ragazza era visibile nella voce che tracciava piano toni pacati e calmi, rievocando di malavoglia attimi che forse non ricordava realmente.

"Però..." La precisazione che ne sarebbe conseguita gettò su Isabel della suspance. Quel però che sembrava voler spiegare che lei non era come gli altri ma aveva scorto qualcosa in quelle bugie che la sorella, immotivatamente, si era prodigata - un tempo quando le era ancora possibile - di raccontare.

"Ho sempre saputo che non era vero. Anche se ero abbastanza piccola sapevo riconoscere quando mia sorella mentiva... Marine inventava storie  e scuse su di voi solo per poter uscire di casa." Fu come presagito. Lola conosceva la sorella meglio di chiunque altro e, nonostane la sua giovane età, era stata capace di poter individuare la bugia in quelle scuse convincenti che avevano ingannato i genitori, i quali erano stati felici di lasciare che la propria bambina potesse frequentare brave e sincere ragazze come loro; inconsapevoli però delle cattiverie e colpi bassi che le erano stati inflitti. Isabel sembrò incapace di emettere ogni tipo di suono: rimase lì immobile, scioccata da quelle inaspettate dichiarazioni e non sapendo cosa rispondere, se confermare o smentire quanto aveva appena detto Lola. Ma la ragazzina come se potesse leggere in lei la sua esitazione continuò nel suo monologo.

"Marine aveva molti segreti... ma allora ero troppo piccola per poter scoprire qualcosa e, quando fu trovato il suo corpo senza vita in quel cantiere, sapevo che non era stato quell'uomo ad ucciderla. Sai, negli ultimi giorni della sua vita Marine era più strana del solito: usciva di notte e stava sempre al telefono. Credo che si trattasse della stessa persona... la stessa persona che molto probabilmente l'ha uccisa..."

"Lola perchè mi stai dicendo queste cose?" Isabel aveva finalmente trovato il coraggio di parlare, di porre quella domanda che esprimeva tutti i dubbi e le incertezze che fino a quel momento l'avevano attanagliata. Perchè Lola le stava confidando quei suoi più intimi pensieri? Forse sospettava di lei, delle sue amiche. Forse in qualche modo la ragazzina aveva scoperto che anche loro, in un certo qual modo, erano coinvolte nella morte di sua sorella. Aspettò con ansia la risposta a quella domanda che era stata pronunciata con timore.

"Perchè ho intenzione di scoprire chi ha realmente ucciso mia sorella e perchè non aspetterò che la polizia faccia le sue indagini. Ha già sbagliato una volta! E poi so che posso fidarmi di te e delle tue amiche; nonostante tutto quel giorno in chiesa avete omesso particolari che avrebbero distrutto mia madre, più di quanto non lo fosse già." Lo sguardo di rispetto che Lola le riservò fece sentire in colpa Isabel. Se solo la ragazzina fosse stata al corrente di quello che avevano fatto al corpo di Marine quella terribile notte, avrebbe di sicuro cambiato la sua opinione su lei e le amiche. Non le avrebbe di sicuro confidato quei suoi sospetti e l'intenzione di scoprire da sola l'assassino di sua sorella. Il suono della campanella sembrò riscuoterla da un sonno profondissimo e, cercando di assumere un pò di contegno, Isabel si alzò dalla sedia che aveva occupato fino ad allora. Prima di andarsene si soffermò ancora una volta sul viso di Lola che rimaneva lì, a fissarla di rimando con una strana espressione che Isabel non riuscì a decifrare.

"Grazie ancora dell'aiuto professoressa Martin."Come se il suono della campanella avesse decretato la fine delle sue confessioni, Lola ritornò alle formalità, rivolgendosi ad Isabel come se fosse un insegnante qualunque. Quest'ultima, dal canto suo, decise di non soffermarsi troppo su quella questione; la mattinata era già stata densa di avvenimenti e l'unica cosa che Isabel desiderava fare era starsene un po' per conto proprio e liberare la mente da quel flusso di pensieri che ininterrottamente stava attraversando la sua mente.

"Era mio dovere farlo." E senza aggiungere altrò si allontanò dall'infermeria e dalle confessioni che poco prima avevano portato nuovi dubbi e tormenti nel suo animo.


**


Per tutto il resto della giornata però Isabel non potè fare a meno di pensare alle parole di Lola. E ancora una volta le sue riflessioni ricaddero su quel giorno in chiesa e a quanto aveva detto la signora Miller. Perchè mai Marine aveva usato loro per mentire alla mamma? E soprattutto dove andava - o meglio - da chi andava quando mentiva ai suoi genitori? Troppi segreti si celavano ancora sulla tragica fine di Marine; segreti che erano rimasti sepolti per tutti quegli anni ma che adesso sembravano voler riemergere. Segreti che coinvolgevano anche loro e che, a quanto pareva, non c'entravano nulla con quello che avevano fatto quella notte. Isabel non sapeva se avrebbe dovuto contattare le altre per riferire loro della conversazione avuta con Lola. Dopotutto erano state dette cose importanti, cose che riguardavano anche loro. La mente di Isabel lavorava ininterrottamente ma c'erano troppe domande a cui non sapeva dare una risposta; domande che in quel momento sembravano di estrema importanza per donare alla sua vita la serenità che ormai cercava da tempo. Forse avrebbe dovuto aiutare Lola a scoprire il vero assassino di Marine e mettere fine a quella tormentata questione che la perseguitava da anni. Ma immediatamente pensò a Louise, al fatto che fosse proprio lui il responsabile delle nuove indagini sul caso Miller. Louise inconsapevolemente la stava costringendo a rigettarsi in quella menzogna e nascondergli particolari scottanti. Non poteva parlarne con lui, non poteva svelare  al suo fidanzato - che tra lì a qualche mese sarebbe diventato suo marito - i tormenti che non facevano altro che tamburellarle la mente, facendo un fracasso infernale; non poteva farlo. Da quando Louise aveva deciso di prestare alla comunità la sua perspicacia, la sua dedizione, il suo talentuoso cervello. Louise e Isabel navigavano, per la prima volta, su due linee differenti e contrastanti. Mentirgli era l'unica soluzione che Isabel poteva considerare ovvia. I sospetti di Lola sarebbero serviti a lei e le altre nell' occultare, ancora, il loro coinvolgimento di otto anni prima.  L'assassino sarebbe stato scovato dalla polizia ma i tormenti erano riferiti soprattutto alla possibilità che le loro tracce sarebbero potute venire a galla, infangando il loro ruolo, gettando su di loro sospetti e accusandole di un qualcosa dettato dalla paura e dall'incapacià di ragionare che quella notte era stata padrona dei loro gesti. Isabel si sentiva tesa e nervosa e il lieve mal di testa che l'aveva accompagnata per tutta la giornata stava diventando sempre più forte, martellandole le tempie e rendendola ancora più inquieta. Quando finalmente il suono della campanella decretò la fine delle lezioni, Isabel si avviò verso la sua auto con il solo desiderio di andare a casa e rilassarsi sul suo comodo divano e lasciare i pensieri e le paura fuori dalla sua mente.
Ma non appena Isabel varcò la soglia di casa, s'imbattè nella figura di Louise che, seduto su una poltrona del salotto, aveva gli occhi fissi sulla porta d'ingresso, come se stesse aspettando il suo arrivo da un momento all'altro.

"Ehi ciao, non mi aspettavo di trovarti qui! Pensavo fossi impegnato in commissariato." Isabel cercò di celare lo stupore e lo sconcerto di esserselo ritrovato difronte, al buoi e in quella posa inquietante.

"Già ma sono tornato prima... devo parlarti!" Il tono serio e austero che Louise usò fece capire ad Isabel che nuovi guai erano all'orizzonte e non potè fare a meno di pensare che avesse scoperto qualcosa su quella notte; qualcosa che poteva mettere in serio pericolo lei e le altre. Ma soprattutto che poteva minare seriamente alla stabilità del suo rapporto con Louise.

"E' successo qualcosa di grave?" Isabel distolse lo sguaro da Louise, puntandolo sulle chiavi che tintinnarono nervosamente, fingendo indifferenza. Le posò sul piattino posto all'ingresso e puntò verso la cucina, con sguardo schivo e freddo che non sfuggì a Louise. La seguì a passi pesanti, spazientiti da quegli strani comportamenti che forse avevano trovato una risposta.

"Mi ascolti Isabel?" Lo disse quasi urlando ed Isabel riuscì a trovare in tempo appoggio al tavolo. Si sentiva schiacciare sempre più, sentiva pressione ovunque e adesso anche il tono alterato di Louise sembrava chiederle di urlare a squarciagola cosa nascondesse dentro di lei.

"Si  ti ascolto" Fu quasi impercettibile la voce che diede risposta all'urlo di Louise. Il capo le doleva, come se mille aghi lo trafiggessero di parte in parte; come se martelli rimbombssero dentro di lei con violenza inaudita. Sentiva lo stomaco sobbalzare e il bisogno di trovare conforto e tranquillità altrove.I suoi occhi si posarono sull'anello che occupava spazio sulla mano del cuore. E brillava dispettosamente, come per ricordarle che quella promessa racchiusa in lui stava venendo meno, come per dirle che non meritava quell'amore eterno che si sarebbero giurati davanti a Dio. Sentì il bisogno di scappare, perchè Louise non meritava quelle bugie, non meritava quella meschinità..

"Isie, ho da dirti una cosa MOLTO importante, pretendo la tua attenzione" Sentì i passi farsi vicini ma non sentì l'abbraccio dolce che era solito riservarle. Non sentì il suo profumo invaderla e rassicurarla che tutto andava bene, che quell'incubo era solo frutto dei suoi sogni. La voce era autoritaria e piatta, come se ciò che stava per pronunciare facesse male ance e lui; come se il peggio fosse riservato a quelle parole.

"Oggi abbiamo riesaminato gli effetti personali che Marine Miller aveva addosso al momento dell'omicidio, lasciate dimenticate negli archivi... ed ho trovato questo..." Il luccichìo della collanina, conosciuta E familiare, la colpì con violenza. Le penzolava davanti agli occhi e la presenza di Louise era viva alle sue spalle, come se tra loro si fosse formata una lastra di tensione e rivelazioni scomode. Sentì il sangue raggelarsi nelle vene e tutto intorno inziò a vorticare velocemente. Le labbra divennero secche e il flebile sussurrò fu abbastanza per destare altri sospetti in Louise.

"Ma questa è..." Le parole le morirono sulle labbra, mentre continuava a fissare il ciondolo di Tiffany appartenuto a Savannah e che Isabel, tanto tempo prima, aveva strappato dal collo di Marine davanti all'intera mensa del liceo. Ed ora non riusciva a spiegarsi come quel ciondolo potesse essere presente nelle mani di Louise che intanto non le toglieva gli occhi di dosso, pronto a scorgere ogni sua minima reazione. La presa di Louise era aggressiva e violenta, mai appertenutagli prima, ma chiaro segno che la pazienza aveva raggiunto il limite. La fece girare con forza verso di lui, permettendosi di guardarla negli occhi dove scorse una luce diversa, una paura che incupiva lo splendore dei suoi occhi. Le labbra di Isabel tremavano e il viso era smorto, pallido e sudaticcio. Quell'alone di sudore, segno di colpevolezza.

"Spiegami cosa DIAMINE ci faceva la collana di Savannah tra i reperti dell'omicidio di Marine Miller!!"Isabel sentì le difese, la forza avuta fino ad allora, la menzogna che la stava traformando, crollare e abbandonarla. Il tono alterato e sospettoso con cui Louise le parlò fece comprendere a Isabel che la situazione stava peggiorando. Ora il suo fidanzato - nonchè ispettore capo della polizia di Dimwoods - aveva dei sospetti su di lei e sulle sue amiche. Non sapeva cosa dire, come giustificare la presenza di quell'oggetto che era appartenuto ad una delle sue migliori amiche; anche perchè non ne aveva la minima idea. L'ultima volta che aveva visto quel ciondolo era stato quel pomeriggio a scuola, quando era ritornato nelle mani della legittima proprietaria. Ma, a pensarci bene, dopo quel giorno non l'aveva più visto al collo di Savannah. Possibile che Marine fosse riuscita nuovamente a sottrarglielo? Isabel balbettò, incapace di produrre scusanti in grado di salvarla, di ingannarlo. Forse nel suo profondo voleva smetterla con quella farsa e involontariamente stava mandando a Louise i segnali di una richiesta di aiuto.

"Io... non lo so..."Quel flebile sussurro incerto e spaventato, furono le uniche parole che uscirono dalla bocca di Isabel che continuava a reggersi al tavolo, come se da un momento all'altro sarebbe potuta sprofondare. Louise continuava a fissarla con due occhi che non appartenevano al suo fidanzato, all'uomo che amava. Colui che in quel momento la stava sottoponendo ad una sorta di interrogatorio era l'ispettore capo Louise Stewart che non aveva intenzione di mollare la presa finchè non avesse avuto delle risposte soddisfacenti. Sentì che la rabbia stava montando in lui difronte alla sua risposta evasiva. Quello che fece dopo lasciò Isabel profondamente provata.

"Isabel, maledizione, mi trovo in una posizione scomoda! DIMMI COSA DIAVOLO SAPETE TU E LE TUE AMICHE!" Isabel era una bambola in pezza nella sua presa che, forte, non la smetteva di strattonarla; sfogando quella rabbia che cresceva sempre più in lui, visibile nel suo sguardo adirato, nella sua voce rabbiosa. Isabel sentì lacrime di terrore scivolarle involontariamente sul viso e con forza si sottrasse a lui.


"NON LO SO! NON LO SOO!" Urlò di conseguenza e, stanca , spossata e sconvolta, lo gettò di lato per indirizzarsi a passi affrettati in camera da letto, dove si chiuse tutto alle spalle con un tonfo sordo. Lousie fissava il punto in cui poco prima c'era stata Isabel. Le mani tremavano e un senso di colpevolezza lo colpì in pieno petto. Non aveva mai trattato Isabel in quel modo. Non aveva mai urlato contro di lei; ma in quel momento una forza superiore, incapace da ignorare, si era impadronito di lui distruggendo la perfezione creatasi tra loro in quegli anni di convivenza e amore.
Una volta chiusasi la porta della stanza da letto alle sue spalle Isabel si liberò in un pianto esasperato e lì, da sola, rannicchiata in un angolo diede sfogo a quella tensione che ormai la possedeva da giorni. Pianse come mai aveva fatto prima. La forte e coraggiosa Isabel ormai era solo un ricordo sbiadito che aveva lasciato spazio ad una donna fragile e angosciata. Ogni cosa che era riuscita a costruirsi in quegli anni stava crollando; quella vita che si era costruita a fatica accanto a Louise stava per essere demolita dal peso insostenibile delle bugie. Per un attimo Isabel ripensò a quello che era successo poco prima, allo scontro che aveva avuto con Louise e stentò a credere che fossero arrivati addirittura ad un contrasto fisico. Le braccia le dolevano ancora nel punto dove lui l'aveva strattonata ma quello che faceva più male era l'animo, ferito e straziato da quello che era accaduto. Improvvisamente Isabel udì il rumore della porta d'ingresso che sbatteva e rimase immobile con il fiato sospeso, nell'attesa di carpire altri suoni o rumori. ma niente... un silenzio assordante era sceso intorno a lei. Louise doveva essersene andato e Isabel dovette ammettere che quella prospettiva le aveva donato un pizzico di calma. Per il momento non sarebbe stata in grado di riaffrontare nuovamente il suo fidanzato; era troppo scossa, troppo debole per subire un suo ulteriore assalto. Le domande che le aveva rivolto poco prima l'avevano destabilizzata abbastanza da farle perdere il suo usale self-control e poi la catenina che stringeva tra le mani aveva lasciato Isabel di stucco, incapace di darsi una spiegazione plausibile. Improvvisamente, riacquistando il suo solito contegno e la sua risolubilità, Isabel sapeva qual era l'unica cosa giusta da fare. Si alzò di scatto e si diresse verso il cordless - poggiato su un comodino - e composto il numero con dita tremanti e con fare frenetico; si portò il telefono all'orecchio in attesa di una risposta.

"Pronto" Rispose una voce calda e rassicurante ma allo stesso tempo velata da un pizzico di incertezza. Doveva aver registrato il suo numero pensò Isabel che, impaziente, si affrettò a parlare a quella voce che aspettava di conoscere il motivo della sua telefonata.

"Faye, sono Isabel. Ho assoluto bisogno di parlarti... è sorto un problema."
 
 
  
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