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Autore: DanielaRegnard    17/12/2014    4 recensioni
«E’ una buona cosa, questa intransigenza?»
«Forse no, ma è probabilmente un bene inseguire i propri ideali»
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Nel silenzio della fredda notte di Marzo, a Parigi, l’unica cosa che si sentivano erano i sussurri di un uomo abbastanza conosciuto, che chiamava un nome altrettanto famoso.
«Camille!» questa volta toccò all’Incorruttibile interrompere il discorso dell’altro «E’ la tua unica possibilità di salvezza, Camille.. Ciò che faccio io, ciò che sta facendo il Comitato non ti riguarda»
E Camille scoppiò a ridere.
«Non siamo amici, Maxine?»
[ Tra la fine del Marzo 1794 e l'inizio dell'Aprile dello stesso anno.
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
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About friendships and revolutions

 

«Credi che riusciremo a cambiare qualcosa in questo paese, dopo la laurea?»
«Tu di sicuro, Maxine. Saresti capace di qualsiasi cosa per ciò in cui credi»
«E’ una buona cosa, questa intransigenza?»
«Forse no, ma è probabilmente un bene inseguire i propri ideali»

 
«Camille» prima volta.
«Camille…» seconda.
«Camille!» la terza, poi più nulla. Nel silenzio della fredda notte di Marzo, a Parigi, nella quiete di quel piccolo appartamento lontano dalle piazze principali, l’unica cosa che si sentivano erano i sussurri di un uomo abbastanza conosciuto, che chiamava un nome altrettanto famoso.
In secondo piano si sentivano i pianti di un bambino, le parole rassicuranti della madre che tenta invano di farlo dormire. Tuttavia all’uomo che chiamava così insistentemente quel nome sembrava non importassero; la sua attenzione era catturata da altri pensieri, altri lamenti, che non provenivano dalla bocca di un bambino, ma dal suo cuore.
«Camille, ti prego, tu devi ascoltarmi.. Capisco che tu non voglia vedermi, dopo quello che è successo ne hai tutto il diritto, ma ascoltami. Solo questo, Camille, ascoltami..»  l’uomo in piedi, Maximilien Robespierre, tentava di attirare l’attenzione dell’altro, Camille Desmoulins, che invece manteneva il capo chino sulle carte sparse sul tavolo, intento a cancellare note e scarabocchiare bozze per chissà quale articolo, che probabilmente non sarebbe mai stato pubblicato. Maximilien avanzò, sedendosi accanto all’altro, mettendogli una mano sulla spalla, abbassando anche lui il viso, tentando di incontrare gli occhi scuri dell’altro.
«Non voglio ascoltarti» sbottò con durezza Camille, senza alzare lo sguardo. Durezza e serietà che si contrapponevano totalmente al tono calmo, quasi supplichevole, dell’altro. Maximilien abbassò lo sguardo, voltò la tesa, guardandosi intorno. Riflettendo.
Danton, mesi e mesi prima, gli aveva detto di parlare di più con il cuore in mano. Non ci stava provando? Perché Camille continuava a non volergli dare ascolto?
«Non siamo amici, Camille?» chiese allora Robespierre, voltando la testa, tornando a guardarlo.
«Cosa c’entra questo, adesso, Maxine? Ti rendi conto di quello che hai fatto?» questa volta si voltò, Desmoulins, lo guardò negli occhi, attento, sospirando pesantemente. Non aveva voglia di continuare a parlargli. Non aveva voglia di continuare a parlargli di amicizia.
«Posso dirti francamente quello che mi sembra di aver provato a fare fino ad ora?» attese una risposta positiva, che non tardò ad arrivare, e poi continuò.
«Ho provato a proteggere il tuo collo dalla lama della ghigliottina, Camille, e sto continuando a provarci»
«Bruciando un giornale?!» intervenne subito Camille prima che l’altro potesse aggiungere qualsiasi altra cosa. Si alzò, girando attorno al tavolo, passandosi una mano tra i capelli spettinati, tornando a guardare l’amico d’infanzia.
«Maxine, lo sai cosa penso io del vostro governo? State perdendo di vista i reali scopi per cui abbiamo combattuto fino ad ora! Bruciare un giornale non è democrazia! Che fine ha fatto la libertà per alla quale credevamo così tanto? E adesso volete uccidere Danton soltanto perché ha il coraggio di dire le cose come stanno! Maximilien, non te ne rendi conto, voi avete paura. Tu tremi di paura, perché tutto ciò che Danton sta facendo è mettere davanti ai tuoi occhi la realtà delle cose!»
«Camille!» questa volta toccò all’Incorruttibile interrompere il discorso dell’altro. Tremava, visibilmente. Si alzò anche lui in piedi, ma non si avvicinò all’altro, rimase in piedi, dalla parte opposta del tavolo rispetto all’amico.
«E’ la tua unica possibilità di salvezza, Camille.. Ciò che faccio io, ciò che sta facendo il Comitato non ti riguarda» continuò, tentando di recuperare il tono freddo e distaccato che durante tutta la conversazione non era riuscito ad assumere nemmeno lontanamente. E Camille scoppiò a ridere.
Una risata crudele, forse, sicuramente priva di gioia. Abbassò lo sguardo, aggrappandosi al tavolo con entrambe le mani, quasi come se fosse stanco. Come se un peso insostenibile gravasse sulla sua schiena.
«Come,  Maximilien… Sei stato tu a chiedermelo… Non siamo amici, Maxine?» rimase fermo, a fissarlo, mantenendo un sorriso che di felice non aveva niente. Mantenendo un sorriso spento, accennato. Un sorriso che era cenere, paragonato alle risate che Camille e Maximilien si erano fatti, insieme, negli anni passati. Un sorriso.
Di fronte a quel sorriso Maximilien si voltò, riprendendo il cappotto e rimettendoselo, velocemente. Insostenibile. La situazione era insostenibile, adesso. L’Incorruttibile chiuse gli occhi, voltato, rivolgendo le spalle all’altro.
«Ci sto provando, Camille… Perché non vuoi venirmi incontro?» si voltò, Robespierre; questa volta sembrava più uno spettro che un oratore nato. L’espressione stanca, quasi implorante, rivolta verso l’amico, sembrava volergli comunicare un desiderio che entrambi conoscevano, ma che col passare dei minuti sfumava via sempre più, come sabbia al vento. Il desiderio di poter tornare a sorridere insieme, poter ancora giocare insieme al piccolo Horace insieme. Poter ancora passeggiare per Parigi chiacchierando del più e del meno. Potersi ancora proteggere a vicenda, sostenersi,  potersi abbracciare, poter ricordare i bei tempi passati, a scuola, quando l’unica loro preoccupazione consisteva nel prendere un brutto voto o essere scoperti dall’insegnante mentre giocavano a tris al posto di seguire le lezioni.
Bei tempi passati che, entrambi lo sapevano, non sarebbero mai più tornati indietro.
«Maximilien, mi dispiace, lo sai… Sei il mio migliore amico..»  sussurrò sofferente Camille, avvicinandosi a lui, portando una mano sulla sua spalla, accarezzandola lentamente, cercando di rassicurarlo.
«Ma io non posso più seguirti…» sospirò senza smettere di accarezzargli la spalla, lasciando scendere la propria mano lungo il braccio dell’altro, poggiando la fronte su quella spalla.
«Lo so…» fu l’unica cosa che Robespierre riuscì a sussurrare, prima di separarsi da lui in modo abbastanza brusco, evitando in qualunque modo di sfiorarlo. Camille sorrise; nonostante tutto Maximilien era lo stesso. Era fragile, infondo, e Camille lo sapeva. Tentava di non mostrarsi emotivo perché sapeva che altrimenti sarebbe stata la fine, l’emotività, l’allontanarsi dalla razionalità. Se in quel momento avesse deciso di stringere Camille a se, di dirti che gli dispiaceva, che non desiderava niente di tutto ciò, non sarebbe più stato capace di continuare sulla sua strada. Non sarebbe più stato capace di separarsi da lui. E Camille, questo, lo sapeva bene; proprio per questo non smise di sorridergli.
«Maximilien» sussurrò in fretta quando lo vide allontanarsi, diretto verso la porta di uscita allo studio.
«Maximilien, continua sulla tua strada. Non abbandonare nulla, continua a credere nei tuoi principi… Io ti perdono..» concluse, mentre l’altro apriva la porta dello studio, e nel giro di pochi secondi il pianto del bambino riprese a riecheggiare nelle pareti dello studio. Robespierre si voltò un’ultima volta a guardarlo. Ultima. Entrambi sapevano che, probabilmente, non si sarebbero mai più rivisti.
«Maxine, sei il mio migliore amico» fu l’ultima cosa che Camille disse, prima di vedere l’altro uscire, sentendo la porta richiudersi di fronte a se. L’Incorruttibile uscì dalla casa, velocemente, senza rivolgere una parola alla moglie dell’amico, che insistentemente lo chiamava per avere notizie.
«Anche tu sei il mio migliore amico…»





Angolo dell'autrice

Ce l'abbiamo fatta (?) 
Seriamente, sentivo davvero il bisogno di scrivere qualcosa sul mio periodo storico preferito, e niente, ho deciso di scrivere su Maximilien e Camille perchè boh. La loro è un'amicizia tristissima, è una storia tristissima, una di quelle amicizie che la Rivoluzione ha distrutto, purtroppo. Ciò nonostante, io credo Camille l'abbia perdonato. Credo che nessuno dei due volesse seriamente allontanarsi dall'altro, però purtroppo succede ciò che succede, per colpa di vari fattori *COF*Danton*COFFF*
Niente. Spero che vi sia piaciuta, che non vi abbia annoiato.
Bye-
  
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