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Autore: fraviaggiaincubi    17/12/2014    0 recensioni
Dal capitolo 7
“Un’arma?”domandò debolmente e il Nazgul annuì soddisfatto che la sua preda si interessasse delle sue parole, non c’era niente di meglio che allarmarlo facendogli intuire su quale baratro stesse per scivolare la Terra di Mezzo. Con un sorriso sadico che l’uomo non poteva cogliere proseguì: “Esatto, un’elfa che contiene in sé anche il sangue di uno stregone della terra di Angmar.”si indicò con un gesto teatrale. “Capace di creare guerrieri invincibili...
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kili, Nuovo personaggio, Tauriel, Un po' tutti
Note: Movieverse, OOC, What if? | Avvertimenti: Violenza
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Capitolo 12
 
I am fire
 
 
“Tauriel, siamo liberi!”. La voce di Kili si perse in parte nel vento, ma l’udito dell’elfa ne catturò comunque una parte e la sua risata argentina, quella che il nano amava, si librò nel vento, quasi ad usarlo come cavalcatura per diffondersi nella Terra di Mezzo.
Tauriel allungò una mano e il nano la strinse, un sorriso che spuntava dalla corta barba che ricopriva la linea della mascella, esaltandone la curva affilata. I suoi occhi scuri brillarono e l’elfa sorrise da sopra la spalla, cercando i trattenere le ciocche rosse che si sollevavano nell’aria. Fissò il sole sollevarsi con un nuovo giorno e si allungò sul collo immenso dell’aquila, aggrappandosi delicatamente alle piume argento della loro instancabile salvatrice. “Najiel, è tutta la notte che voli, devi riposare e non è il caso che il sole ti trovi.” sussurrò, mordendosi il labbro. Era difficile cercare di non essere insensibili con una Senzanome, soprattutto riguardo al rapporto con il sole che quella creatura magnifica aveva. In attesa della risposta, Tauriel si perse a guardare una delle piume che brillavano a pochi centimetri dal suo naso; era come se la luna ne avesse intinto di luce ogni singola parte, facendole brillare come piccoli gioielli anche quando lei era assente. I riflessi perlacei si inseguivano da una piuma all’altra ad ogni movimento del rapace e nell’insieme era come fissare il mutevole riflesso...
Del mantello dello Stregone di Angmar.
L’elfa si ritrasse mentre il pensiero le attraversava la mente. Ora che l’aveva colto, le era impossibile non notare la somiglianza dei giochi di luce delle piume con quelle del manto del Nazgul, come se anche a quella distanza, fuori dalle sue grinfie, lo spettro ricordasse a lei e Kili che lui c’era sempre e che se voleva li avrebbe trovati, magari addirittura segnati per sempre come quella creatura, che aveva rischiato la vita per salvarli.
L’impulso di scappare ghermì l’elfa e la sua mano cercò all’istante Kili, sentendolo ricambiare con le sue dita calde.
“Tauriel?”domandò preoccupato il nano e l’elfa sorrise lievemente. I ricordi che lo Stregone le aveva rivelato nella radura qualche giorno fa emersero di nuovo e Tauriel sentì un peso comprimerle il petto. Non serviva andare lontano, lo Stregone le aveva già legato un cappio al collo. Il suo sangue, metà elfico e metà dell’antica stirpe dello stesso spettro, già la marchiavano come un pericolo per la Terra di Mezzo. Fu in quell’istante che ricordò del taglio che le sfregiava il braccio e il suo sguardo lo cercò esaminandolo; doveva esserselo fatto durante la fuga, probabilmente contro la lama di uno dei Nove che avevano tentato di assalire Najiel.
Niente di grave, non basta di certo un po’di sangue per creare un esercito. Probabilmente non ci faranno neanche caso, potrebbe essere di Kili, tentò di rassicurarsi Tauriel, passandosi una mano sul piccolo graffio. Un singolo innocente graffietto, niente a che vedere con le frustrate che l’infido messaggero aveva inferto a Kili. Al pensiero di ciò che le era costato Tauriel represse la nausea; come poteva dimenticare il tocco di quell’essere, la sua bocca fredda e crudele e quel bacio, che sapeva di sangue e paura per Kili, per lei, per ciò che amava e aveva rischiato di perdere in quella terra arida.
“Come và la schiena?” chiese all’improvviso, cacciando il ricordo con un brivido.
Kili la studiò e le sue mani le strinsero la vita dolcemente, indovinando ciò che turbava gli occhi marroni della sua amata. “Sta bene, mi tira un pò, ma hai fatto un buon lavoro per curarmi.” la rassicurò dolcemente, reprimendo l’ondata d’odio che minacciava di avvelenare la sua voce. La Bocca di Sauron, aveva osato farle del male e Kili strinse  i denti fino a sentire un sordo ronzio. Poteva ancora vedere le braccia dell’essere che stringevano a sé l’elfa come lui stava facendo in quel momento e la sua bocca, le labbra nere come la lingua dei rettili, appoggiate a quelle di Tauriel.
La pagherà, la mia lama gli trafiggerà il cuore.
Kili inspirò piano, tentando di placare l’odio che pulsava nelle tempie scorrendo nel sangue come veleno. Fissò Tauriel e addolcì lo sguardo, girandola per farle appoggiare la testa contro la sua spalla. Il profumo dei suoi capelli era come un potente antidoto a quella rabbia cocente e il nano si immerse in esso, costringendosi  rinchiudere come fiere quei propositi di vendetta, fino all’occasione in cui avrebbe potuto scatenarli per fargli affilare la lama della sua spada.
“Sono così felice che siamo salvi amore mio.”
Tauriel sorrise contro la sua spalla, giocando con una ciocca scura dei capelli di Kili. Sollevò un dito e percorse le labbra del nano, sentendole curvarsi per baciarle il polpastrello. Si alzò fino a fissarlo, i respiri sincronizzati come i cuori. “Anche io, ho temuto di perderti”. La voce si spezzò e Tauriel sentì le lacrime rigarle il viso. “Dopo quello che ho scoperto di me, io...”
Kili la strinse a sé e Tauriel si lasciò andare, sentendolo cullarla tra quelle braccia dure come la roccia di Erebor. “Ti amo Kili, non posso perderti.” confessò e le braccia di Kili si sciolsero, le sue mani cercarono il suo viso e un istante dopo le sue labbra erano sulle sue, investite di mille emozioni che correvano tra di loro come le lacrime sulle sue guance. Sentì le sue dita coglierle e cancellarle e schiuse le labbra, accogliendo ogni singolo respiro che Kili le dava e rubava allo stesso tempo. Parve un eternità, ma quando si staccarono Tauriel si sentì di nuovo integra, come solo lui, dalla prima volta che l’aveva vista, sapeva fare. Non importava se aveva sangue elfico o di una delle più potenti razze che avessero calpestato quelle terre, né che lui fosse nano e lei elfa, destinati ad essere nemici come le loro razze; Tauriel si sentiva completa e viva solo sotto al suo tocco. Era come argilla tra le sue mani, la plasmava in qualcosa di buono, di unico e nessuno, nemmeno la furia di Sauron, poteva toglierglielo.
La voce morbida di Najiel penetrò nel loro mondo e Tauriel e Kili si voltarono verso di lei, fissando uno dei due immensi e malinconici occhi aranciati studiarli. “Pensavo voleste sapere dove siamo diretti, siamo quasi giunti.”
“Sei sicura di farcela?” domandò Kili fissando il sole cominciare a tingere di oro il paesaggio, ma Najiel annuì, catturando una corrente ascensionale con le immense ali. Per un istante qualcosa guizzò nel suo sguardo, ma si spense subito com’era nato. “Si, sarò sicura solo quando sarete con lui.”
“Lui chi?”. Tauriel tornò a voltarsi, posizionandosi di nuovo in maniera più comoda e sicura sul dorso dell’aquila.
Najiel distolse lo sguardo e la sua voce vibrò sicura nel vento come il suo volo: “Gandalf, è da lui che vi sto portando.”
 
 
~~~ 
 
 
“Non posso credere che siano scappati sotto al nostro naso!”
Lo Stregone di Angmar scivolò sull’immenso pavimento di Minas Morgul, fissando con occhiate roventi gli otto spettri dell’Unico ritirarsi davanti la sua aura di potere, che inviava a ondate dal suo corpo fasciato nell’immenso manto nero. Era di nuovo al culmine dei suoi poteri, come un vulcano di elettricità e distruzione che non potesse eruttare per sfogarsi. Il Nazgul si bloccò repentino e gli otto fremettero di terrore. Sauron era stato duro nella sua vendetta, aveva scatenato la sua furia e l’intera Mordor ancora tremava sotto la potenza del suo sguardo rovente.
Lo stregone riprese a camminare, la posa altezzosa che traspariva anche dal passo con cui macinava avanti e indietro marmo e idee; il suo sguardo vagava nell’immensa navata della sua reggia, Minas Morgul, il suo impero. Era avvolto da una tenue luce verde, un bagliore malato che gettava sul marmo nero un tocco infido e malsano, specchiandosi sule pile di ossa e cadaveri ancorati alle catene sui muri, brillando con sinistra maestria su orbite incavate o sul lucido pelo dei topi, che sbucavano dalle bocche urlanti di ciò che restava dei prigionieri degli spettri.
Il Nazgul si bloccò pensieroso e con un ringhio si girò verso uno dei tre troni che adornavano la fine della navata, ignorando gli otto spettri ritrarsi alle sue ondate di potere. “E tutto questo è anche colpa tua!” sibilò minaccioso verso la Bocca di Sauron, mollemente appoggiata contro lo schienale di uno dei tre troni. La creatura non si scompose di fronte l’ira dello spettro, limitandosi a smettere di sorseggiare dal calice che reggeva tra le dita pallide. “Non direi, stavo solo facendo il mio dovere.”
Lo Stregone di Angmar si irrigidì. “Prego?” domandò con la voce gelida come vento artico e le torce si abbassarono al suo suono, come percorse da una corrente fredda.
Il messaggero di Mordor notò la velata minaccia e la sua voce roca, simile al grattare di mille coltelli affilati, si venò di un lieve rispetto: “Intendevo che stavo punendo il nano, aveva tentato di scappare.” spiegò e una risata gelida, capace di spezzare le ossa per l’acuto terrore che portava, proruppe dal buio del cappuccio dello Stregone. “Già, e immagino che baciare quella mezzosangue non rientrasse nei piani.”
“Precisamente.” rimbeccò il messaggero, mostrando i denti davanti la risata di scherno dello spettro. Si alzò furibondo, ma prima che potesse muoversi una mano fasciata da un guanto metallico gli afferrò la gola, sollevandolo di pochi centimetri da terra. Annaspò graffiando il marmo del trono e l’alito gelido del Nazgul gli soffiò sul viso: “Non osare dirmi che non avevi già in mente tutto, so bene quando qualcuno mi mente e se c’è una cosa che odio”, la presa si strinse e la Bocca di Sauron si contorse, colpendo il calice che cadde a terra con un rumore metallico, spandendo il sangue denso sul marmo scuro. “E’ chi mente a me, soprattutto adesso che Sauron è furibondo.” sibilò minaccioso lo Stregone. Si godette la paura della creatura e mollò la presa, facendola cadere di nuovo sul trono, il respiro basso e spezzato. La fissò con un’occhiata altezzosa e si allontanò, il mantello acceso di mille riflessi, godendosi l’occhiata rovente che gli indirizzava.
Non c’è niente di meglio che ricordargli chi comanda, pensò con un sibilo compiaciuto. “D’altronde, per mia somma bravura ho preso un po’ di sangue all’elfa prima che scappasse.” continuò come nulla fosse, passeggiando con aria divertita.
La Bocca di Sauron si alzò in piedi, calciando con rabbia il calice. “E allora?” domandò velenoso. “Un po’ di sangue non basta per creare l’esercito che Sauron brama.”
“E’vero, ma possiamo comunque sfruttarlo per avere un potente alleato.” ribatté misterioso lo Stregone, ma la Bocca di Sauron sbuffò con una risata, sfoderando la dentatura affilata in uno dei suoi macabri sorrisi. “Chi? Aragorn?” domandò con innocenza, alludendo alla notte appena passata e il Nazgul sibilò cancellandogli il sorriso. “Non dire assurdità, parlo di qualcuno di potente, che sia capace di odiare la Terra di Mezzo e portare distruzione traendone piacere.”
Il messaggero lo fissò, all’improvviso serio. “Chi sarebbe?” domandò con voce intrisa di malcelata curiosità e lo Stregone sorrise, scivolando verso l’esterno. “Scoprilo da te, Sauron sta già valutando la nostra nuova alleanza e devo dire che riportarlo in vita mi è costato parecchia fatica, ma ne è valsa la pena.” spiegò con una risata gelida. “Vale la pena sprecare quel prezioso sangue rubato per questo.”
La Bocca di Sauron lo seguì all’esterno e appena i suoi occhi si posarono sulla vasta distesa di Mordor, la sua bocca si aprì leggermente, rivelando lo stupore che tentava di trattenere. “Non è possibile, è tale il potere di quel sangue?” sussurrò e un sorriso diabolico seguì il sibilo divertito dello spettro.
Davanti a loro, illuminato dai fuochi delle torce degli orchi che scintillavano sulle squame rosse e oro, le immense ali leggermente aperte ad oscurare persino il ribollente fuoco del Monte Fato, un enorme drago ricambiava con il rosso fiammeggiante delle iridi lo sguardo rovente di Sauron, le pupille verticali immerse in quella del signore della Terra Nera. Il muso crudele della creatura si arricciò mostrando i denti lunghi come lance e l’immensa testa, munita di punte affilate, si chinò verso la figura minacciosa dello Stregone.
Una voce calda e crudele come il fuoco stesso che dominava scivolò nell’aria metifica: “Salve Stregone, lieto di vedere che sei finalmente venuto a salutare il vostro nuovo alleato”. Il drago gettò indietro la testa e una potente fiammata, capace di radere al suolo una montagna, brillò nel cielo oscurando persino la luce del sole stesso. Le pupille si assottigliarono annegando nel rosso delle iridi e la voce del drago tornò a squarciare imperiosa il cielo: “Sono tornato, io che sono fuoco!”
Lo Stregone scoppiò a ridere e con un inchino beffardo indicò il drago alla Bocca di Sauron. “Permettimi di presentarti il nostro nuovo alleato”, fissò con il suo sguardo cieco quello crudele e antico del drago. “Smaug, il terribile.”
  
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