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Autore: StelladelLeone    18/12/2014    0 recensioni
Una giovane ladra dal pessimo carattere che lotta per la sua sopravvivenza.
L'odio per un padre che l'ha abbandonata insieme alla madre.
Un errore di calcolo nel scegliere il nuovo bersaglio da borseggiare.
L'assurdo incontro che le stravolgerà la vita.
Non tutto ciò che credeva era vero, ora lo sta scoprendo a suo rischio e pericolo: una nuova vita da affrontare, persone e sentimenti da scoprire e una maschera da gettare.
**
“Io vi odio tutti…vi odio proprio…” iniziò a mormorare con il corpo che le tremava dalla rabbia mentre cercava di rimettersi in piedi, “Voi pazzi sconosciuti…la capra…mia madre…voi stupidi piccioni e…mio padre. Lui lo odio da morire... Rivoglio la mia vita!” continuò alzando la voce leggermente isterica, mettendosi finalmente dritta e guardando con uno scintillio folle negli occhi l’arpia, che improvvisamente aveva smesso di inseguire il satiro e si avvicinava a lei.
~ Questa storia partecipa al contest "OC semidèi in cerca di penna e d'autore (Percy Jackson contest)" indetto da MaryScrivistorie (http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=10905934) ~
Genere: Avventura, Comico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Chirone, Dioniso, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ragazzi e ragazze: impossibile capirsi, ieri come oggi.

 

 

Jace correva per il campo da tre ore ormai, ma non c’era traccia di Becky; l’aveva sentita spostarsi nell’ombra ma non pensava potesse aver lasciato la Collina Mezzosangue. Era sudato, arrabbiato con se stesso e con lei e assolutamente impotente.

“Jace non sono riuscito a trovarla neanche io!” gli disse ansimando Gray raggiungendolo; grazie agli dei c’era anche lui ad aiutarlo o non avrebbe mai concluso niente, “Dannazione non potevi affrontarla meglio?!” gli rimproverò però esasperato, beccandosi un’occhiata inceneritrice dal moro, che ritirò i pensieri di ringraziamento.

“Non è colpa mia se lei…” iniziò a ribattere lui piccato, ma una voce cristallina li interruppe.

“Jace? Gray? Cosa state facendo?” i due si voltarono verso Lily, che camminava verso di loro a passo svelto ma leggiadro, lo sguardo che dardeggiava imbarazzato sul figlio di Ade “Io non trovo Becky, l’avete vista?” chiese preoccupata e i due si lanciarono un’occhiata complice prima che, con uno sbuffo, Jace si lasciasse cadere a terra e Gray aggiornasse la ragazza sulle ultime ore, con i dettagli e le parole precise come aveva obbligato Jace a riferirgliele.

Alla fine del riassunto Lily si voltò a guardare Jace con sguardo assassino.

“Ma sei un’idiota!” gli ringhiò contro facendo scoppiare a ridere Gray e scioccando il poveretto, “Come hai potuto dire quelle cose a Becky, dopo quello che ha passato?! E non è neanche colpa sua! Gli oggetti li ha presi per vendicare me, ma le avevo fatto promettere di non dire nulla.” Spiegò prima di lanciarsi anche lei nel racconto dei fatti di quel giorno, e più parlava, più Jace sbiancava e si dava dell’idiota. Come aveva potuto pensare che fosse viziata ed egoista? Certo se lei glielo avesse detto…

“Bene, e ora che facciamo?” chiese Gray, nascondendo lo strano sollievo che gli procurava sapere che Becky era davvero come aveva sempre sospettato essere e non come lei stessa si dipingeva.

“La andiamo a riprendere, è ovvio. E senza dirlo a Chirone o al Signor D, ci infileremmo solo nei guai e dovremmo dare un sacco di spiegazioni scomode. Hai una macchina tua, giusto Jace?” Rispose con sicurezza Lily; da quando era amica di Becky, la sua personalità e il suo carattere si erano rafforzati, salvandola dalla sua esagerata timidezza: ora era un fiore vivace e attraente, non un timido bocciolo.

“Sono con te!” le rispose Gray, impaziente di riprendersi una certa ladruncola, mentre Jace annuiva deciso. E che gli dei li aiutassero.

 

 

Pioveva. A dirotto.

E lei odiava la pioggia.

Becky sbuffò, calandosi ancora di più il cappuccio fradicio sul viso, e continuò a camminare per le strade di New York a passo frettoloso e distratto. Si chiese passivamente tra quanto sarebbero arrivati i primi mostri, a sentire Chris aveva un buon odore, e dato che non sapeva neanche dove stesse andando, quanto sarebbe sopravvissuta; in un primo momento le era passato per la mente di andare negli Inferi ad ammazzare suo padre, perché era tutta colpa sua alla fin fine, ma poi si era ricordata che gli dei non morivano e sarebbe stato uno spreco di tempo, oltre che di forze. Ne aveva già usate troppe per il passaggio nell’ombra…

Non sapeva chi odiare di più in quel momento: suo padre o se stessa. In realtà la risposta era ovvia, se stessa. Era una creatura patetica, un gazza ladra viziata e infantile che si nascondeva dietro mille scuse. Avrebbe potuto trovare altre soluzioni e invece no, a lei piaceva rubare, piaceva poter avere qualcosa! Probabilmente aveva ragione Jace, non voleva aiutare Lily, voleva aiutare se stessa. Jace, che ovviamente avrebbe picchiato a sangue comunque, che avesse torto o ragione; come si era permesso?! Come?! L’aveva ferita così a fondo che sentiva ancora il cuore sanguinare…

Con rabbia e disperazione tirò un calcio ad un lampione, con l’unico risultato di sentire un lancinante dolore alla caviglia, sicuramente slogata. Imprecando contro l’intimo di Demetra e la progenie di Crono in generale, riprese a zoppicare sotto l’acquazzone a caso, visto il suo pessimo orientamento, e senza nessuna meta. Non che le interessasse in quel momento.

“Odio tutti! Sono così stupida…” continuava a mugugnare con i capelli appiccicati al viso e i vestiti grondanti; vedere quel ponte in pietra che passava sopra un fiumiciattolo fu una specie di visione celestiale e cercò di accelerare il passo, con l’unico risultato di inciampare sulla caviglia martoriata e cadere nel fango.

“DANNAZIONE!” urlò prendendo a pugni il terreno, per poi rialzarsi a fatica e arrivare finalmente sotto il ponte, per accucciarsi in posizione fetale finalmente al riparo dalla pioggia.

A quell’ora avrebbe potuto essere al campo a cena, a ridere con quel cretino di Jace, e invece era sola, al buio e simile a un gatto semi affogato in una pozzanghera.

Ne aveva passate tante nella sua vita, ma non si era mai sentita tanto sola…forse era perché prima ci era abituata, non conosceva calore che non fosse quello di sua madre, che inoltre le sembrava sempre più lontana.

Grosse lacrime argentee incominciarono a cadere dai suoi occhi bicolore.

 

“Dove si sarà cacciata dannazione?!” imprecò Jace, perdendo la sua usuale calma glaciale e colpendo il volante della jeep, “Sta scendendo la notte e non l’abbiamo ancora trovata, non può non essere a New York, non coi poteri che sapeva controllare…” mormorò stringendo le nocche.

“Dobbiamo trovarla, andiamo avanti a cercare.” Lo incitò Gray altrettanto cupo; avrebbero voluto usare un messaggio Iride per scovarla, ma con l’acquazzone era stato impossibile e ora stavano vagando alla cieca; New York era troppo grande e troppo caotica perfino con la pioggia, che inoltre rendeva difficile distinguere le persone…non potevano riuscirci.

“Dove sei Becky?” chiese in un sussurro Lily stringendo con una mano la spalla di Jace e guardando fuori dal finestrino.

 

 

 

Un letto. Cosa avrebbe dato per un letto? Tutto, in quel momento. Stava seriamente pensando di andare a bussare in qualche casa, perfino alla polizia, ma poi spiegare le cose sarebbe diventato troppo complicato…doveva sopportare.

Con un movimento goffo e rigido cercò di mettersi comoda contro il cemento, raggomitolandosi per scaldarsi, mentre i vestiti bagnati le facevano penetrare il freddo nelle ossa; sopra di lei il cielo era nero, cupo…senza stelle.

Stava finalmente sentendo i primi cullanti sintomi del sonno quando un ruggito squarciò l’aria e Becky aprì gli occhi di scatto. Non c’erano zoo da quelle parti, ne era quasi sicura.

Con il corpo intorpidito si alzò a fatica in piedi, la caviglia che pulsava senza sosta, e si sporse fuori dal suo nascondiglio a guardare: la strada era deserta, fin troppo.

“Un ruggito…ruggito…pensa, pensa Becky!” iniziò a ripetersi tremante cercando di ricordare le lezioni di Chirone; una bestia che ruggiva… “Chimera!” esclamò infine in un rantolo iniziando a distinguere una grossa figura avanzare lungo la strada, sorgendo dall’oscurità. La parte anteriore e la testa erano di un leone dalla criniera incrostata di sangue, mentre la parte anteriore era da capra, con come coda un lungo serpente che sibilava sputando veleno.

Il sangue le si gelò nelle vene.

Cosa poteva fare? Se avesse evocato i morti, cosa che non era convinta di riuscire a fare in quelle condizioni, avrebbe accesso un cartello lampeggiante sulla sua testa, ma dopotutto dato il suo odore l’avrebbe trovata di sicuro comunque. Forse poteva…

Un altro ruggito e gli occhi sanguigni del mostro si piantarono nei suoi.

Con un singulto Becky indietreggiò ed evocò le daghe, per poi iniziare a correre zoppicando all’indietro per tenerla d’occhio, ma la bestia la incalzò con rapidi balzi fino a raggiungerla; le due si fronteggiarono per alcuni attimi, la ragazza ansimante e ferita, la belva affamata e feroce.

All’improvviso la testa di leone sputò una fiammata e solo grazie ai riflessi pronti Becky riuscì saltare di lato ed evitarla, per poi fare un tentativo disperato di evocazione. Per un attimo la terra tremò, ma nessuno rispose alla sua chiamata.

Disperata evitò goffamente una zampata della Chimera, la caviglia che urlava pietà e cercò di ferirla con un fendente, ma la piccola ferita provocatale servì solo a farla imbestialire di più; il serpente tentò di azzannarla ma Becky si gettò a terra ed evitò le sue fauci per un pelo, per poi rotolare di lato evitando gli zoccoli possenti che frantumarono il terreno. Non era un combattimento, era un gioco al massacro. Sarebbe morta.

Mentre cercava di rialzarsi e indietreggiare rivide il volto di sua madre, di Lily, di Jace e di Gray…

La Chimera la scaraventò a terrà con un zampa, aprendole una profonda ferita nel braccio e la sovrastò ruggendo con furia.

Becky iniziò a piangere.

“Padre…aiutami.” Mormorò prima di chiudere gli occhi, in attesa che le zanne del mostro si chiudessero su di lei.

Un sibilo.

Un’esplosione di luce dorata.

Becky aprì gli occhi giusto in tempo per vedere una freccia di luce conficcarsi al centro del muso della Chimera, mentre la terra tremava furiosa e un esercito di morti le si arrampicava sul corpo trascinandola lontano da lei.

“BECKY!” l’urlo congiunto di Gray e Jace la fece voltare di scatto e per poco non svenne dal sollievo nel vederli avanzare, armati, al fianco di Lily, pallida come un lenzuolo.

Sentì solo le labbra distendersi in un sorriso prima che tutto divenisse nero.

 

 

Quando aprì gli occhi la prima cosa che vide fu un soffitto in legno dorato, di sicuro non il soffitto della sua casa, in ossidiana nera; forse l’aveva già visto ma la testa le pulsava talmente tanto che avrebbe potuto scoppiarle e cercando di snebbiarsi tentò di portare il braccio alla fronte, ma un dolore lancinante la trafisse.

“Non sforzarti Becky…” una voce calda come un raggio di sole fu l’ultima cosa che sentì prima di cadere di nuovo nel buio.

 

La volta seguente che aprì gli occhi era il tramonto, a giudicare dalla luce, e il corpo le doleva almeno la metà dell’ultima volta; con uno sforzo immane tentò di mettersi a sedere rantolando e solo con l’aiuto di due mani che forti la presero per le spalle e l’aiutarono ce la fece.

“Gray? Jace?” chiese sbalordita mettendo a fuoco le figure dei due ragazzi, che le sorrisero con evidente sollievo.

“Ti sei svegliata ladruncola!” la salutò il biondo scompigliandole i capelli mentre Jace l’abbracciava protettivo e lei, ricordando ogni cosa, iniziava a piangere come una bambina.

“Mi spiace…” le disse a bassa voce Jace scostandosi e asciugandole le tracce di lacrime con le dite, “Non avrei dovuto dire quelle cose…anche se tu avresti potuto evitare di non raccontarmi mai nulla.” Aggiunse, incapace come ogni figlio di Ade di sotterrare completamente il risentimento, e Becky sbuffò fulminandolo.

“Hai rischiato davvero tanto questa volta, Lily ti ucciderà per averla fatta preoccupare!” aggiunse con un sogghigno indicando la ragazza sdraiata su due poltroncine poco lontane, al cui indirizzo Becky sorrise dolce con le guance arrossate per la vergogna.

“E va bene, e va bene! Vi racconterò tutto, ma non interrompetemi!” li minacciò con un dito e i due annuirono cercando di non ridere.

“Fino ai quattordici anni ho avuto una vita abbastanza normale: mio padre ci aveva abbandonate, i miei nonni avevano ripudiato mia madre e lei faceva mille lavori per mantenermi, ma ero troppo piccola per capire…Poi si ammalò gravemente e le cose precipitarono. Non riusciva ad andare al lavoro e aveva bisogno di cure sempre più costose ma i soldi che i nonni mandavano non bastavano, così a sua insaputa abbandonai la scuola e presi il comando della casa: lavoravo in pizzerie, bar, librerie e ovunque avessero bisogno di me; ma ancora non bastava, anche perché lei continuava a spendere la maggior parte dei soldi in quello che ritenevo inutile profumo, ma dato le crisi di nervi che le venivano se minacciavo di non metterlo, la assecondavo. Certo non sapevo a cosa servisse…Quindi iniziai a rubare, scoprii che rendeva molto di più di quel che pensassi e di aver un talento per l’inganno, che feci fruttare in poco tempo: ciò che era vendibile lo rivendevo, altre cose che mi piacevano le tenevano. Era l’unico modo per sopravvivere, nessuno che ci abbia mai teso una mano, e ho sempre creduto di averne il diritto.” Concluse breve e amara guardando le lenzuola con interesse.

“Mi spiace Becky…ma ora non ne hai più bisogno.” Le disse Gray mentre Jace si limitava a guardarla con affetto fraterno, “Hai una nuova casa e una nuova famiglia che si prenderanno cura di te.” Le disse per poi guardare male l’amico.

“Quasi sempre bene!” concluse tirandogli un pugno sulla testa, che fece ringhiare il moro indispettito.

Becky non poté trattenere una risatina e poi si rivolse a Gray, mostrandogli il più sincero sorriso che gli avessi mai rivolto.

“Grazie.” Gli disse semplicemente con le guance arrossate e gli occhi scintillanti.

Poi gli venne in mente una curiosità.

“Come mi avete trovata?” chiese perplessa e i due si guardarono confusi.

“Non ci crederai ma…ci eravamo fermati un attimo per riposarci quando all’improvvisamente ci siamo addormentati e abbiamo avuto tutti lo stesso sogno riguardo a te e a dove ti trovavi. Una visione…” Le spiegò Gray quasi incredulo.

“L’unico che potrebbe averlo fatto è nostro padre…” rifletté Jace ad alta voce e immediatamente lo sguardo di Becky si indurì.

“Non è possibile, non si scomoderebbe mai per una cosa del genere…” ringhiò aggressiva rifiutandosi di credere ciò che aveva creduto per una vita: che a suo padre non interessasse nulla di lei. “Sarà stato un altro o un caso…” aggiunse cercando di convincersi, mentre Gray e Jace decidevano saggiamente di non insistere per non scatenare nuovamente la belva.

“Ora torna a dormire ladruncola, anche se hai dormito un giorno e mezzo hai ancora bisogno di riposare, parola di figlio di Apollo!” la rimproverò Gray cambiando argomento e spingendola contro i cuscini mentre si lamentava.

“Mi lasciate qui da sola? Non voglio…” mugugnò come una bambina viziata, facendolo ridere.

“Io no, ma tuo fratello deve riportare Lily alla sua casa…non può dormire ancora qui, quella povera ragazza…” le rispose il biondo con tono innocente e un ghigno malizioso mentre le guance pallide del fratello si tingevano di rosso e Becky sgranava gli occhi.

“Puoi farlo tu, Becky è mia sorella e…” iniziò a cercare scuse il moro, ma Becky intervenne aggrappandosi alla manica di Gray.

“No no, vai tu Jace; devo parlare a Gray in privato!” lo congedò con fare angelico e sbrigativo e Jace, dopo aver alternato lunghe occhiate sospettose ai due che lo osservavano sorridendo innocenti ma con gli occhi che brillavano maliziosi, si alzò con uno sbuffo e arrossendo prese tra le braccia Lily, bella come un angelo anche nel sonno, per poi uscire dal campo medico.

“Approvo.” Disse appena fu uscito con un sorrisetto Becky, “Approvo alla grande…” ribadì prima di voltarsi e trovarsi immersa nelle pozze blu di Gray.

“Anche io approvo…di cosa volevi parlarmi ladruncola?” le chiese sogghignando e avvicinandosi al suo volto, mentre la sua mano copriva quella di lei attaccata alla felpa.

“N-niente!” balbettò imbarazzata Becky, con le guance in fiamme, “Era solo una scusa!” aggiunse lasciandolo andare e nascondendosi sotto le coperte per reazione istintiva.

“Come vuoi…” ridacchiò Gray poggiandole una mano sulla testa, “Dormi ora ladruncola.” la invitò gentilmente, mentre il cuore della ragazza non smetteva di battere come un tamburo.

Certo, fosse facile con lui così vicino…

 

 

La mattina dopo, in seguito a una severa ramanzina di Lily e Chirone e un rimprovero da parte del Signor D. per esser tornata viva, la vita di Becky riprese il solito ritmo…più o meno; infatti dopo attente osservazioni lei e Gray erano arrivati alla conclusione che Jace e Lily erano perfetti l’uno per l’altra. La dolcezza e l’allegria di lei equilibravano la freddezza e l’isolamento di lui, e la sicurezza e la calma di lui bilanciavano la timidezza e l’insicurezza tendente alle crisi di pianto di lei.

 Questa decisione aveva portato all’organizzazione di una strategia per accoppiarli che prevedeva in breve che nei momenti adatti Gray e Becky si defilassero per lasciarli da soli ad approfondire il loro legame; ciò che la ramata non aveva calcolato era che Gray si difilasse per stare con lei e, più lei lo maltrattava imbarazzata, più lui la punzecchiava e le girava attorno, finendo col passare un sacco di tempo insieme. E la cosa a Becky non piaceva, per niente: più passava il tempo, più si rendeva conto che si stava innamorando di lui e non era una cosa buona, per niente. Lui era popolare, sempre circondato di oche starnazzanti, luminoso, allegro ed irritante; lei era solitaria, sarcastica, psicotica e ancora abbastanza sana di mente da capire che in realtà avrebbe dovuto volerlo strangolare non abbracciare. O almeno così la vedeva lei.

E per quanto Jace fosse piuttosto ingenuo in queste questioni, abbastanza da non accorgersi di essere praticamente finito in un programma di match-making, non era cieco e aveva imparato a capire la sorella. Per questo esatto motivo si stava inerpicando a passo svelto e silenzioso sopra i gradoni dell’arena per raggiungere Becky, accovacciata in posizione fetale con lo sguardo fisso sul campo d’allenamento.

“Cosa fai qui da sola?” le chiese sedendosi accanto a lei con calma, osservandola con gli occhi pece.

“Osservo gli allenamenti.” Rispose lei monocorde. Non era depressa e incazzata in quel momento…di più.

“Cosa è successo?” le chiese Jace mettendole un braccio intorno alle spalle e stringendola a sé, senza che quella avesse nessuna reazione.

“Dovevo allenarmi con Gray, ma quelle oche di Afrodite lo hanno rapito e Lily è a intrecciare fiori con le ninfe” spiegò con una smorfia, sia per il rapimento che per i fiori, proprio non capiva cosa ci andasse a fare quella ragazza…

Jace prese un profondo respiro: era suo dovere sostenere la sorella anche in quella circostanza e doveva perciò introdurre l’argomento, per quanto per lui fosse come parlare di alieni o simili, solo più imbarazzante.

“Becky…” tentò di dire con tatto ma un urletto a livello ultrasuoni gli forò il timpano.

“Graaaaaaaaaaaay, sei fantastico!” sotto lo sguardo duro di Becky e quello palesemente scioccato da tanta stupidità di Jace, Cecil fece finta di inciampare nel nulla e cadde tra le braccia di Gray a peso morto, tanto che lui venne schiacciato a terra mentre l’oca ne approfittava per far casualmente scontrare le sue labbra contro quelle del biondo che per afferrarla l’aveva abbracciati ai fianchi, finendo in una posa davvero promiscua.

Becky si alzò di scatto, lo sguardo basso e i pugni stretti.

“Avevi ragione Jace…” mormorò prima che il moro tentasse di dire qualcosa di confortante o come minimo che la facesse sbollire un attimo, “Non si può avere tutto ciò che si vuole.” Gli disse fingendo un sorriso, tanto triste che il cuore di Jace si strinse, prima di scappare via con le lacrime agli angoli degli occhi.

 

Lo sapeva lei che sarebbe finita male! Lo sapeva! Certo non così male ma…

“Becky?” la voce cristallina di Lily cercò di raggiungerla attraverso gli strati di coperte in cui si era avvolta per nascondere al mondo la sua vergogna, “Puoi uscire da lì?” le chiese per la decima volta paziente. Era da quando Jace, dopo averla strappata alla sua attività, l’aveva trascinata nella Casa di Ade, brontolando di “emergenze femminili” o “mi ha cacciato con la lampada” o cose simili, che tentava di smuovere l’amica dalla sua posizione. Ovviamente era già stata informata degli avvenimenti e da brava figlia di Afrodite voleva rassicurarla che non c’era la minima possibilità che Gray fosse innamorato di Cecil, ma prima doveva calmarla, farla uscire e ottenere la sua attenzione. Era come parlare con un animale selvatico.

“Becky so cosa stai pensando ed è assurdo, non catastrofico! Esci subito di lì che ti spiego bene perché. E non dire che sono pazza, mia madre è la dea dell’amore!” le ricordò picchiettando le dita curate su quella che deduceva essere la testa dell’amica.

Becky si immobilizzò immagazzinando il dato fondamentale: era vero...forse, forse poteva anche ascoltarla per qualche secondo.

Timidamente iniziò a far capolino, con gli occhi gonfi e rossi, dall’ammasso di morbidume e già Lily le sorrideva vittoriosa quando una voce fece piombare tutto nella catastrofe.

“Ehi Becky dove sei finita? Ti cercano alla Casa Grande!” urlò Gray allegro entrando sudato nella casa per poi gelarsi immediatamente davanti a quello che avrebbe ricordato come uno degli sguardi più spaventosi della sua intera vita, perfino rispetto a quello degli dei: lo sguardo inceneritore di Lily.

“Ma cosa…?” tentò di balbettare guardando lei e il cumolo di coperte tremante, prima che il dolce fiore di afrodite gli scaraventasse contro l’ormai famigerata lampada da comodino centrandolo in piena fronte.

“Meglio se sparisci per un po’ amico…” gli consigliò Jace afferrandolo per le spalle e trascinandolo fuori ancora accasciato, mentre con una mano faceva cenno a Lily di uscire con loro in fretta; cosa che la ragazza fece all’istante dato lo sguardo preoccupato del ragazzo. O forse semplicemente perché glielo aveva chiesto lui.

Ci volle qualche istante prima che Becky, che si macerava nell’imbarazzo e nella rabbia omicida, si rendesse conto di essere rimasta sola; piccata per l’abbandono (voleva essere coccolata lei!) sbirciò fuori dalla coperta.

“Arrivo in un momento sbagliato?” una voce maschile, adulta e fredda, la fece sobbalzare con un urletto e cadere dal materasso sul duro pavimento.

“Chi sei?! Cosa ci fai in casa nostra!?” urlò alzandosi nel tentativo di districarsi dalle coperte.

“Tecnicamente, è casa mia.” Le rispose un uomo dai capelli neri scompigliati, gli occhi come il carbone ma che ardevano brillanti e la pelle cadaverica, messa in risalto dai pantaloni e dalla camicia nera col colletto alzato.

Becky lo guardò per alcuni istanti senza capire, poi un fuoco nero divampò nei suoi occhi.

“Ade!” ringhiò evocando le daghe e guardandolo omicida. Quel bastardo! Come osava farsi vedere lì?!

“Ciao figlia mia.” La salutò lui guardandosi intorno quasi incuriosito.

“Figlia mia un corno, sono Black per te!” le rispose lei in un sibilò alzando le armi in posizione di difesa.

“Mi spiace, ma l’unica Black della mia vita è stata tua madre. Tu per me sei Becky.” Rispose con un sogghigno osservandola, mentre dentro di sé sorrideva soddisfatto. Assomigliava a sua madre, anche nel carattere…ma aveva i suoi lati peggiori, questo era certo.

Una vena iniziò a pulsare freneticamente sulla fronte della ragazza che strinse le armi convulsamente: era inutile parlargli, voleva solo sfogare la rabbia di sedici anni.

“Andiamo.” Le disse Ade all’improvviso, bloccandola a metà dello scatto, le daghe già a metà del loro arco.

“Dove?” chiese lei confusa, perdendo la sua maschera d’odio per un attimo.

“Da tua madre.” Rispose lui con un sorriso triste, prima di raggiungerla e prenderla per mano, prima che lei riuscisse a ritrarsi.

Poi le ombre li avvolsero.

 

Quando l’oscurità si dissolse di nuovo, Becky si ritrovò sull’uscio di casa sua; disgustata liberò la mano che Ade le aveva afferrato.

“Come osi presentarti qui?” gli chiese con un ringhio, ma lui la ignorò completamente mentre si guardava intorno, negli occhi una tristezza infinita.

“Non è cambiato poi molto…” mormorò con un sorriso nostalgico, “Tua madre odiava quel quadro. Immagino fosse più nel mio stile…” Disse indicando un piccolo dipinto appeso nel salotto, nero con dei globi luminescenti bianchi.

“Come lo sai?” gli chiese Becky guardinga, cercando di tener vivo dentro di sé l’odio per il padre, ma c’era qualcosa di magnetico in lui, che la confondeva…la rabbia cedeva alla curiosità, la voglia di ucciderlo alla tristezza e al dolore per l’abbandono.

“Gliel’ho regalato io, per farmi perdonare d’essere arrivato tardi ad uno dei primi appuntamenti.” Spiegò sospirando e scuotendo la testa, “Mi ha riso in faccia e me lo ha lanciato addosso scappando via, poi è scoppiata a piangere ed è tornata a prenderlo. Mi ha perdonato il giorno dopo, ci siamo dichiarati e lei lo ha appeso in casa, dicendo che era un ricordo prezioso.” Concluse sorridendo, perso tra i fantasmi del passato.

Becky non riuscì a non sorridere, era tipico di sua madre.

“C’è qualcuno?” la voce cristallina di Lily li riportò al presente ed entrambi volsero la testa verso il corridoio, il cuore che accelerava.

“Mamma!” urlò Becky con gli occhi lucidi e correndo si precipitò in camera, neanche pensando al fatto che fosse strano che non fosse dai nonni.

“Becky!” la salutò sua madre con gli occhi sgranati mentre la ragazza la guardava incredula, era come l’aveva lasciata, e poi le sorrise mentre la figlia le si gettava tra le braccia.

“Quanto mi sei mancata mamma!” le disse piangendo e stringendola a sé.

“Anche tu piccola mia…” le rispose accarezzandole dolcemente i capelli, “Come va al campo?” le chiese poi asciugandole le lacrime e osservandone il viso con affetto.

“Benissimo! Jace è mio fratello ed è fantastico, si prende sempre cura di me anche se lo faccio disperare; anche quel cretino di Gray mi sta accanto…e poi ho un’amica, anzi la mia migliore amica! Si chiama come te, Lily, una figlia di Afrodite straordinaria e…” iniziò a raccontare disordinatamente e entusiasta di poter condividere con lei la sua nuova vota, ma ad un certo punto dei passi felpati distrassero la madre.

Becky vide i suoi occhi spalancarsi e poi riempirsi di lacrime di gioia.

“Ade!” lo chiamò con il volto che le si illuminava, nel tentativo di mettersi leggermente più diritta.

Ade non si avvicinò ma le sorrise luminoso, come la luna che riflette i raggi del sole.

“Ciao Lily, sei bella come sempre…” la salutò accarezzando con gli occhi la figura della donna per intero, con quello che Becky non poté non etichettare, a malincuore, come amore.

“E tu sei in ritardo come sempre!” lo rimproverò lei ridacchiando mentre lui alzava gli occhi al cielo esasperato.

“Black, la gente di solito è felice quando sono in ritardo…” notò ridendo, “Ma tu non sei mai stata come gli altri.” Aggiunse addolcendo il tono. Becky sentì il cuore stringersi, mentre si sentiva un’intrusa in quel momento. Perché? Perché era lì anche lei?

“Ti aspetto da anni! Potevi essere puntuale…” ribadì Lily fingendosi offesa e incrociando le braccia.

“Sono un dio occupato, Black!” rispose alzando gli occhi al cielo.

“Tanto occupato da avere il tempo di scegliere di indossare gli stessi vestiti di quel giorno e venire di persona?” chiese lei allora sogghignando e, sotto lo sguardo incredulo della ragazza, le guance di Ade si tinsero di rosso.

“Te lo ricordi…” mormorò nascondendosi la bocca con una mano.

“Mi ricordo ogni cosa di quel giorno, compreso quell’orribile quadro…” rispose lei con un sorriso dolce.

I due si guardarono sorridendo per un attimo in silenzio, rivivendo un giorno di tanti anni fa, in cui si erano dichiarati il loro amore.

“È ora di andare Ade.” Disse poi Lily, una lacrima sola a scendere lungo la sua guancia.

“Andare dove?” chiese Becky recuperando la parola e guardando sua madre preoccupata, mentre Ade distoglieva gli occhi addolorato.

“Becky…guardami. Guardami davvero.” Le chiese la madre prendendola per mano.

Becky inizialmente la osservò senza capire e poi vide. Vide quello che aveva visto Jace e gli occhi le si colmarono di lacrime, che iniziarono a sgorgare come un fiume in piena.

“Mi spiace Becky…” mormorò triste mentre la ragazza cadeva a sedere sul pavimento, le mani a coprirsi il viso.

Sua madre era morta.

Era morta.

E lo era da tre anni.

“Ade mi ha concesso di rimanere in vita, posticipando la mia morte fino a che tu non fossi stata pronta…Sarei dovuta morire due giorni dopo aver contratto questa malattia…” le spiegò accarezzandola dolcemente.

“Ti è riservato un posto nei Campi Elisi…” mormorò Ade, ma Becky lo ignorò mentre tutto quello che aveva creduto le crollava attorno.

“Perché ora?” le chiese solamente con voce flebile.

“Perché ora sei pronta e hai una nuova famiglia a prendersi cura di te, Chirone mi ha tenuta informata e mi ha mostrato qualche sprazzo della tua vita attraverso i messaggi di Iride; hai una vita luminosa…devi perdonarmi per ciò che ti ho fatto passare in questi tre anni, sappi che ti amo come nessuno al mondo ma… devo lasciarti andare…e tu devi lasciar andare me. Ovviamente potrai evocarmi quando vuoi, mia piccola semidea…” le rispose la madre accarezzandola, mentre lei continuava a piangere silenziosa; poi si distese sul letto e incrociò le mani sull’addome.

“Procedi pure.” Disse ad Ade prendendo un bel respiro e guardandolo con amore.

Il dio della morte avanzò a passo lento; Becky avrebbe potuto fermarlo forse, o implorare perché la lasciasse in vita ma…rimase ferma. Con Jace aveva discusso degli enormi doveri e vincoli di Ade e di loro semidei della morte e si rendeva conto di quanto avesse rischiato per sua madre, quanto Ade la dovesse amare per concederle tale proroga. Inoltre ora molte cose si spiegavano: nessuno che era mai venuto a controllare casa loro, carabinieri, ministri della sanità o medici, le tasse da pagare sempre così basse e i soldi che riceveva per i suoi lavoretti così alti…doveva aver vegliato su di loro per tutto quel tempo, ma lei era stata troppo accecata dal suo odio per accorgersene.

 Si era sbagliata, Ade amava Lily. L’amava ancora.

Con lentezza Ade si chinò sul viso sorridente di Lily e la baciò.

Poi la prese per mano ma invece di trascinare lei, dal corpo si staccò uno spettro luminoso, l’anima di sua madre; bella e pura com’era prima che si ammalasse.

Fece un solo cennò con la testa a Becky, sorridendo così spontaneamente e felicemente che Becky non ebbe il coraggio di chiederle disperata di rimanere, e Ade le sillabò “Aspettami. Tornerò.”

Poi sparirono nella luce rosata del tramonto.

 

Quando Ade tornò, osservò sua figlia sorpreso: era in piedi a braccia incrociate appoggiata al muro per guardare fuori dalla finestra, gli occhi arrossati ma asciutti, che bruciavano del fuoco nero che bruciava in lui e della luce radiosa che ardeva in sua madre. Erano loro due in una sola persona e allo stesso tempo una ragazza che con loro non centrava assolutamente nulla.

“Sei tornato davvero.” Gli disse perforandolo coi suoi occhi bicolore, uno lilla e uno nero.

“E tu non sei accasciata a disperarti.” Rispose lui alzando un sopracciglio.

“Non servirebbe a nulla…se non a renderla più triste.” Rispose con un sorriso malinconico, per poi guardarlo e sospirare.

“Se penso a quanti anni ho speso inutilmente odiandoti…” gli sbuffò contro facendolo sogghignare.

“Non mi posso lamentare, ti hanno reso una degna figlia di Ade.” Le rispose tendendole e una mano, mentre lei arrossendo si avvicinava. La considerava una figlia degna.

“Immagino che potrò smetterla di sacrificarti marmellata e cereali…” aggiunse con un ghigno, mentre lui a sorpresa l’abbracciava.

“Mi farebbe piacere.” Le rispose Ade con una smorfia infastidita e Becky ridacchiò.

Poi sparirono nelle ombre e riapparvero sotto il pino di Talia.

“Verrai a trovarci più spesso?” chiese Becky staccandosi da lui e guardandolo dritto in volto. Ade annuì con una smorfia.

“Non siete male, ma cerca di rendermi orgoglioso di te.” Le disse facendole storcere le labbra indispettita, “E salutami Jace, sta facendo un ottimo lavoro...” Aggiunse prima di appoggiarle una mano sul capo e sparire.

Becky sospirò sfinita e dopo aver salutato stancamente il drago iniziò a risalire la collina. Non era arrivata neanche a metà che si vide venire incontro Lily correndo, Jace e Gray a passo svelto, e dagli sguardi che avevano dedusse dovessero sapere già tutto.

Cercando ancora un po’ di forza nel suo cuore sorrise e agitò una mano, prima che Lily la travolgesse in un abbraccio.

“Becky io…!” iniziò piangendo, ma la ragazza scosse la testa.

“Sto bene, sono a casa.” disse malinconica zittendola affettuosamente mentre i ragazzi la raggiungevano; fu a quel punto che si ricordò degli avvenimenti precedenti e la rabbia la trascinò di nuovo nelle sue spire.

“Becky stai bene?” le chiese Gray preoccupato, prima che la ragazza lo schiantasse a terra con un pugno alla bocca dello stomaco.

“Non ti voglio vedere pervertito!” gli ringhiò prima di prendere per mano Jace, terrorizzato dalla sua furia, e trascinarlo lontano.

“Ho voglia di andare a casa, sono stanca.” gli disse, mentre dietro di sé Lily riprendeva a maledire e rimproverare Gray che rantolava a terra.

 

“Sei sicura di stare bene?” le chiese Jace mentre entrambi si preparavano per andare a letto, dopo esser stato muto a osservarla per tutto il tempo, cosa che Becky aveva immensamente apprezzato.

“Si tranquillo.” Gli rispose in automatico continuando a lanciare i vestiti sul fondo del letto e Jace sospirò, chiedendosi entro quanto sarebbe scoppiata o quando fosse tornata la solita lei.

“Come vuoi. Sono qui.” Le rispose infilandosi sotto le coperte mentre lei faceva lo stesso, spegnendo la luce. Jace dovette aspettare solo un quarto d’ora prima di sentire il primo singhiozzo soffocato, con il cuore che gli si stringeva; stava giusto pensando se fare il primo passo o lasciarla sfogare da sola, quando sentii le coperte frusciare e la sorella muoversi nell’ombra.

“Jace? Sei sveglio?” una voce flebile nell’oscurità accanto al suo letto, mentre una mano tremante tirava delicatamente le lenzuola.

“Certo.” Le rispose lui sollevandosi sul gomito lateralmente e sollevando le coperte.

“Posso?” chiese lei ancora con un singhiozzo.

“Devi.” La rassicurò con un sorriso, sapendo che lei l’avrebbe percepito anche senza vederlo, e Becky si infilò nel letto con il fratello, accoccolandosi al suo petto e scoppiando a piangere a dirotto, mentre Jace l’abbracciava stretta.

L’alba avrebbe colto fratello e sorella abbracciati l’uno all’altra stretti da un legame indissolubile.

 

 

Gray era stufo. Ed irritato. E probabilmente cominciava anche a cadere nella follia.

Erano due settimane! Due settimane che Becky lo evitava, scappava quando lo vedeva, non gli parlava, non lo insultava, cosa che invece faceva Lily in abbondanza al posto suo, dando mostra delle spine che proteggevano quello che poco tempo prima avrebbe definito il delicato fiore. E Jace, il suo migliore amico e fratello, ogni volta che chiedeva spiegazioni o aiuto sospirava scuotendo la testa e se ne andava! Cosa aveva fatto a quella ragazza?! Proprio ora che andavano d’accordo…proprio ora che riusciva ad avvicinarsi…la distanza lo stava uccidendo e purtroppo cominciava a intuire il perché. Doveva risolvere la situazione. Non ne poteva più.

“Gray va tutto bene?” chiese una sua timida sorella di Apollo, seduta accanto a lui al tavolo per la colazione, per poi tremare alla vista del suo ghigno mentre annuiva, gli occhi incollati su una piccola figura dai capelli ramati che entrava or ora per fare colazione.

“LADRUNCOLAAAAA!” urlò come un invasato mentre tutto il campo si girava a guardarlo con gli occhi fuori dalle orbite, compresi Chirone e il Signor D, “SONO STUFO!” continuò puntandola con una forchetta, gli occhi che bruciavano folli, prima di saltare in un colpo solo il tavolo della sua casa e iniziare a correre verso di lei assetato di sangue.

Se non fosse stato per i suoi riflessi pronti e il suo istinto di autoconservazione, Becky sarebbe rimasta paralizzata per lo shock; invece scattò a correre terrorizzata per tutto il campo, ringraziando di essere migliorata nella corsa, in fuga da quel folle che sembrava volerla uccidere con le sue mani. Quando finalmente riuscì a seminarlo, nascondendosi dietro le stalle dei pegasi, si accasciò senza fiato a terra.

 Ma che gli prendeva?! Era impazzito?!

“Dovrai affrontarlo prima o poi…” mormorò Jace uscendo dall’ombra, ma la ragazza nemmeno sobbalzò, avendolo percepito prima.

“No.” Rispose lei testarda incrociando le braccia.

“È stato un incidente…” tentò di persuaderla, come faceva da due settimane ormai, “Non prova niente per Cecil!”

“Non mi interessa…sarebbe inutile, non mi amerebbe mai.” Concluse triste ma decisa, facendo percepire alla perfezione che la questione per lei si chiudeva lì.

“Come vuoi…” sospirò esasperato, “Ma ti avviso: stasera hai la tua prima partita di Caccia alla Bandiera e siamo alleati di Apollo” le disse prima di andarsene.

“COSA?!” gli urlò mentre lui a passo felpato si allontanava per accertarsi della situazione mentale del suo amico. Non poteva averle fatto questo! A causa di vari mostri che si aggiravano per la foresta, non avevano mai potuto organizzare una partita e lei moriva dalla voglia di giocare e dimostrarsi all’altezza…e lui li aveva alleati con Apollo. Quel ragazzo voleva morire. E dolorosamente.

Poi sospirò e cercò di farsi forza: erano almeno una trentina in totale…non poteva certo rimanere sola con lui (anche se la scenata del mattino non la consolava), sarebbe stato tutto troppo sfigato perfino per lei…

 

 

Effettivamente la mattina si era sbagliata: non c’era limite alla sua sfiga. Il caro Jace, eletto capitano, aveva messo lei e Gray in squadra d’attacco sotto copertura insieme, da soli, e si era rifiutato di sentire ragioni, aiutato da Lily, la sua cara amica che quando parlava Jace spegneva il cervello! Anzi…sospettava si fossero perfino alleati! L’avrebbero pagata…

Ma la cosa peggiore era un’altra: lì, da soli nella foresta, acquattati in attesa del momento giusto, Gray non le parlava. Non la guardava. Non la calcolava proprio…Ma come si permetteva?! Era LEI quella arrabbiata con lui, non viceversa! Cos’era quel silenzio a metà tra la resa e la rabbia?! Avrebbe dovuto cercare di tornare da lei, di farsi perdonare come minimo, non ignorarla! Lei voleva, pretendeva che lui tornasse ad assillarla per essere perdonato, a costo perfino di vederlo impazzire di nuovo! Solo perché lo aveva evitato per due settimane, demordeva?! Che uomo era? Non riusciva neanche a capire una cosa così semplice di lei?! Lo sapeva che i maschi erano delle pessime creature, escluso Jace…

Becky lo guardò perforandolo con una smorfia arrabbiata, delusa e imbarazzata. In realtà sapeva di essere piuttosto stupida, ma non avrebbe mai ammesso di aver sbagliato, né di volere Gray accanto a se…perfino come amico.

Con uno sbuffo, incapace di reggere oltre, si alzò di scatto e iniziò a correre tra gli alberi, verso dove pensava fosse la bandiera.

 “FERMATI!” Le urlò dietro cercando di raggiungerla, ma quella scivolava come un ombra tra i pini nelle sue vesti nere e i capelli rossi come il fuoco.

Ah! Ora le parlava eh?!

“IDIOTA!” sbraitò lei in risposta, parlandogli per la prima volta da quello che sembravano loro secoli, e accelerò; si fosse concentrata su dove andava invece che sul suo cuore che gemeva, magari avrebbe ascoltato il ragazzo, ma era troppo testarda.

Come faceva quella ragazza a essere così orgogliosa?! Come?! Avesse almeno guardato avanti, Gray l’avrebbe perdonata, ma come faceva a non aver visto quel gigantesco Minotauro che si aggirava per la foresta nell’esatta direzione in cui si stava lanciando?! E per fortuna che il Signor D. aveva assicurato che la foresta fosse sicura…

Esasperato e sempre più vicino al mostro, tentò l’impossibile: con uno scatto disumano si avvicinò il più possibile alla ragazza e con una spinta le si lanciò letteralmente addosso travolgendola e facendola cadere a terra; lei emise un breve urletto terrorizzato, ma prima che potesse fare alcunché Gray la immobilizzo seduta tra le sue gambe e bloccandole le braccia con le sue, una mano a coprire la bocca. Poi, mentre lei lo guardava assassina con le gote in fiamme, le fece un cenno verso il Minotauro e lei sbiancò non appena lo vide.

Aveva appena rischiato di diventare carne trita!

“Mai che mi ascolti, eh ladruncola?” le sussurrò all’orecchio, le labbra pericolosamente vicine. Becky sentì il cuore iniziare a battere come un tamburo e sperò fortemente che il ragazzo lo attribuisse alla corsa…

“Che facciamo?” tentò di cambiare argomento balbettando e cercando di allontanarsi, ma il ragazzo aveva una presa ferrea.

“Per ora mi riprendo dalla corsa folle, poi faccio fuori il bestione…” le rispose con il respiro affannato, cercando di guardarla negli occhi.

“Gray…” tentò di dire lei agitata.

“Mi hai evitato per tutto questo tempo…” iniziò a dire lui piccato e amareggiato.

“Gray.” Lo cercò di interrompere irritata, oltre che agitata.

“Non mi hai nemmeno detto il perché! Non credi di aver esagerato?” continuò lui imperterrito, perforandola con le sue pozze blu.

“GRAY PER ZEUS IL MINOTAURO CI HA FIUTATO!” urlò Becky prima di spingerlo nell’ombra con lei, esattamente mentre l’ascia bipenne del mostro si abbatteva dove poco prima c’erano loro.

“Sei un idiota!” gli urlò la ragazza riemergendo poco lontano, mentre il ragazzo la lasciava andare ed evocava l’arco, lei le daghe.

“Ehi io ti stavo…” cercò di scusarsi enormemente irritato, ma la ragazza lo gelò con un’occhiata.

“Tu distrailo!” gli urlò prima di lanciarsi vero il bestione, che fiutatili li caricava mugghiando.

Con uno sbuffò Gray iniziò a scaricare una pioggia di frecce sul mostro, puntando ai punti più scoperti e vitali, ma quello avanzava imperterrito; Becky scacciò la paura e gli andò incontro di corsa, poi, giuntagli davanti, aspettò che caricasse l’ascia bipenne e che si sbilanciasse in avanti per andare in scivolata sotto di lui e infilzarlo nell’addome con le due daghe incrociate, nel momento esatto in cui una freccia dorata gli si conficcava nel cranio. Il mostro esplose in sabbia e si dissolse nel vento.

“Per un attimo ho temuto di non farcela…per fortuna abbiamo fatto tutti quegli allenamenti…” mormorò lei lasciandosi cadere all’indietro nell’erba, il cuore che iniziava a riprendere un ritmo regolare.

“Bella mossa ladruncola!” si congratulò Gray raggiungendola e sovrastandola con sguardo ferino; lei fece per sorridergli, ma poi vide i suoi occhi brillare e si ricordò della discussione interrotta poco prima. Con uno scatto felino balzò piedi e tentò di scappare ma Gray era pronto quella volta e veloce la placcò bloccandola tra le braccia.

“Devi dirmi perché!” le impose mentre lei si dimenava invano come una furia, senza poter nemmeno evocare le daghe o usare l’ombra senza portarsi dietro anche lui. Ma quanto era testardo?!

“No! È imbarazzante!” rispose lei rossa in viso, sperando che chiunque, chiunque l’aiutasse a scappare…

“Imbarazzante? Di cosa stai parlando? Io voglio sapere perché mi hai evitato queste settimane!” le ripeté Gray girandola in modo da guardarla negli occhi, nonostante il divario d’altezza evidente.

“PERCHÉ HAI BACIATO QUELL’OCA!” sbottò allora lei urlandogli contro ciò che voleva rinfacciargli dal primo momento, prendendolo a pugni sul petto e cercando di non far diventare gli occhi lucidi.

Gray la guardò allibito. Cosa?!

“Ma che…?” le chiese confuso mentre quella si calmava senza forze, guardando per terra.

“Perché hai baciato Cecil…” ripeté per essere più chiara in un sussurro, le lacrime che iniziavano a far capolino dagli angoli degli occhi. Ora che glielo aveva detto aveva distrutto ogni cosa…

Gray la guardò per qualche secondo in silenzio, cercando di capire seriamente a cosa si riferisse: lui non avrebbe mai baciato Cecil! Non poteva e…

“Non ti riferirai a quando mi è caduta sopra vero?!” le chiese scioccato e alienato, con gli occhi sgranati, mentre lei si imbarazzava di più e allo stesso tempo sentiva le mani pruderle.

“Quello non era un bacio ladruncola…” aggiunse con un sorrisetto mentre molti pezzi si sistemavano al posto giusto nella sua testa.

Poi Gray prese con una mano il mento di Becky e le alzò la testa per guardarla negli occhi, mentre il braccio attorno alla vita si faceva più delicato ma la avvicinava; rapido, prima che lei potesse dire o fare qualcosa, appoggiò le labbra sulle sue e le diede un dolce bacio.

“Questo è un bacio.” Le disse allontanandosi a un soffio dalle sue labbra, gli occhi che brillavano malandrini.

Lei lo guardò senza parole.

“Vuoi essere la mia ragazza?” aggiunse Gray, capendo che con una come Becky bisognava essere chiari in certe faccende…

“C-certo!” balbettò lei riprendendosi e nascondendo il volto nella sua maglietta.

“Ne sono felice…” ridacchiò lui accarezzandole i capelli, ma lei alzò la testa, improvvisamente decisa e gli sorrise furba.

“Ma sia chiaro…tu sei solo mio Gray.” gli soffiò prima di depositargli un altro bacio sulle labbra, leggero come un ombra.

 

 

 

Poco lontano una testa bruna e una mora si tornarono a nascondere dietro gli alberi.

“È andata bene direi.” Disse Lily appoggiata al tronco soddisfatta incrociando le gambe e portandole al petto, con un sorrisino gioioso sulle labbra rosee.

“Decisamente. Se non era per noi chissà cosa avrebbero fatto quei due…” le rispose Jace seduto accanto a lei rilassandosi, tra le mani lo stendardo rosso della squadra avversaria. Era stata una bella partita: avevano finto un diversivo e mandato avanti i due piccioncini, poi lui e Lily avevano usato le ombre per portarsi alla base nemica, stordire le guardie e prendere la bandiera; tutto ciò in tempo per tornare e vedere Gray che atterrava Becky e tutto ciò che ne era conseguito. Doppia vittoria quella sera.

“Non dovremmo andarlo a riportare?” chiese Lily, mentre l’adrenalina per la missione compiuta svaniva e lasciava il posto all’imbarazzo per essere da sola con il ragazzo di cui si era innamorata.

Jace parve pensarci un attimo, mentre la scrutava intensamente.

“Ancora qualche secondo…” le mormorò con un sorrisetto, prima di chinarsi e baciarla a sorpresa.

Poi si alzò in piedi e le tese la mano, mentre lei lo guardava incredula per ciò che era appena accaduto.

“Andiamo?” le chiese con falsa tranquillità, le gote a suo malincuore arrossate, e lei ridacchiando prese la sua mano e si alzò in piedi.

“Certo Jace.” Gli rispose camminando mano nella mano al suo fianco verso il raduno, pronti a riportare la vittoria.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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