Ragazzi
e ragazze: impossibile capirsi, ieri come oggi.
Jace correva
per il campo da tre ore ormai, ma non c’era traccia di Becky;
l’aveva sentita
spostarsi nell’ombra ma non pensava potesse aver lasciato la
Collina
Mezzosangue. Era sudato, arrabbiato con se stesso e con lei e
assolutamente
impotente.
“Jace
non
sono riuscito a trovarla neanche io!” gli disse ansimando
Gray raggiungendolo;
grazie agli dei c’era anche lui ad aiutarlo o non avrebbe mai
concluso niente,
“Dannazione non potevi affrontarla meglio?!” gli
rimproverò però esasperato,
beccandosi un’occhiata inceneritrice dal moro, che
ritirò i pensieri di
ringraziamento.
“Non
è colpa
mia se lei…” iniziò a ribattere lui
piccato, ma una voce cristallina li
interruppe.
“Jace?
Gray?
Cosa state facendo?” i due si voltarono verso Lily, che
camminava verso di loro
a passo svelto ma leggiadro, lo sguardo che dardeggiava imbarazzato sul
figlio
di Ade “Io non trovo Becky, l’avete
vista?” chiese preoccupata e i due si
lanciarono un’occhiata complice prima che, con uno sbuffo,
Jace si lasciasse
cadere a terra e Gray aggiornasse la ragazza sulle ultime ore, con i
dettagli e
le parole precise come aveva obbligato Jace a riferirgliele.
Alla fine del
riassunto Lily si voltò a guardare Jace con sguardo
assassino.
“Ma sei
un’idiota!” gli ringhiò contro facendo
scoppiare a ridere Gray e scioccando il
poveretto, “Come hai potuto dire quelle cose a Becky, dopo
quello che ha
passato?! E non è neanche colpa sua! Gli oggetti li ha presi
per vendicare me,
ma le avevo fatto promettere di non dire nulla.”
Spiegò prima di lanciarsi
anche lei nel racconto dei fatti di quel giorno, e più
parlava, più Jace
sbiancava e si dava dell’idiota. Come aveva potuto pensare
che fosse viziata ed
egoista? Certo se lei glielo avesse detto…
“Bene,
e ora
che facciamo?” chiese Gray, nascondendo lo strano sollievo
che gli procurava
sapere che Becky era davvero come aveva sempre sospettato essere e non
come lei
stessa si dipingeva.
“La
andiamo a
riprendere, è ovvio. E senza dirlo a Chirone o al Signor D,
ci infileremmo solo
nei guai e dovremmo dare un sacco di spiegazioni scomode. Hai una
macchina tua,
giusto Jace?” Rispose con sicurezza Lily; da quando era amica
di Becky, la sua
personalità e il suo carattere si erano rafforzati,
salvandola dalla sua
esagerata timidezza: ora era un fiore vivace e attraente, non un timido
bocciolo.
“Sono
con
te!” le rispose Gray, impaziente di riprendersi una certa
ladruncola, mentre
Jace annuiva deciso. E che gli dei li aiutassero.
Pioveva. A
dirotto.
E lei odiava
la pioggia.
Becky
sbuffò,
calandosi ancora di più il cappuccio fradicio sul viso, e
continuò a camminare
per le strade di New York a passo frettoloso e distratto. Si chiese
passivamente tra quanto sarebbero arrivati i primi mostri, a sentire
Chris
aveva un buon odore, e dato che non sapeva neanche dove stesse andando,
quanto
sarebbe sopravvissuta; in un primo momento le era passato per la mente
di
andare negli Inferi ad ammazzare suo padre, perché era tutta
colpa sua alla fin
fine, ma poi si era ricordata che gli dei non morivano e sarebbe stato
uno
spreco di tempo, oltre che di forze. Ne aveva già usate
troppe per il passaggio
nell’ombra…
Non sapeva
chi odiare di più in quel momento: suo padre o se stessa. In
realtà la risposta
era ovvia, se stessa. Era una creatura patetica, un gazza ladra viziata
e
infantile che si nascondeva dietro mille scuse. Avrebbe potuto trovare
altre
soluzioni e invece no, a lei piaceva rubare, piaceva poter avere
qualcosa!
Probabilmente aveva ragione Jace, non voleva aiutare Lily, voleva
aiutare se
stessa. Jace, che ovviamente avrebbe picchiato a sangue comunque, che
avesse
torto o ragione; come si era permesso?! Come?! L’aveva ferita
così a fondo che
sentiva ancora il cuore sanguinare…
Con rabbia e
disperazione tirò un calcio ad un lampione, con
l’unico risultato di sentire un
lancinante dolore alla caviglia, sicuramente slogata. Imprecando contro
l’intimo di Demetra e la progenie di Crono in generale,
riprese a zoppicare
sotto l’acquazzone a caso, visto il suo pessimo orientamento,
e senza nessuna
meta. Non che le interessasse in quel momento.
“Odio
tutti!
Sono così stupida…” continuava a
mugugnare con i capelli appiccicati al viso e
i vestiti grondanti; vedere quel ponte in pietra che passava sopra un
fiumiciattolo fu una specie di visione celestiale e cercò di
accelerare il
passo, con l’unico risultato di inciampare sulla caviglia
martoriata e cadere
nel fango.
“DANNAZIONE!”
urlò prendendo a pugni il terreno, per poi rialzarsi a
fatica e arrivare
finalmente sotto il ponte, per accucciarsi in posizione fetale
finalmente al
riparo dalla pioggia.
A
quell’ora
avrebbe potuto essere al campo a cena, a ridere con quel cretino di
Jace, e
invece era sola, al buio e simile a un gatto semi affogato in una
pozzanghera.
Ne aveva
passate tante nella sua vita, ma non si era mai sentita tanto
sola…forse era
perché prima ci era abituata, non conosceva calore che non
fosse quello di sua
madre, che inoltre le sembrava sempre più lontana.
Grosse
lacrime argentee incominciarono a cadere dai suoi occhi bicolore.
“Dove
si sarà
cacciata dannazione?!” imprecò Jace, perdendo la
sua usuale calma glaciale e
colpendo il volante della jeep, “Sta scendendo la notte e non
l’abbiamo ancora
trovata, non può non essere a New York, non coi poteri che
sapeva controllare…”
mormorò stringendo le nocche.
“Dobbiamo
trovarla, andiamo avanti a cercare.” Lo incitò
Gray altrettanto cupo; avrebbero
voluto usare un messaggio Iride per scovarla, ma con
l’acquazzone era stato
impossibile e ora stavano vagando alla cieca; New York era troppo
grande e
troppo caotica perfino con la pioggia, che inoltre rendeva difficile
distinguere le persone…non potevano riuscirci.
“Dove
sei
Becky?” chiese in un sussurro Lily stringendo con una mano la
spalla di Jace e
guardando fuori dal finestrino.
Un letto.
Cosa avrebbe dato per un letto? Tutto, in quel momento. Stava
seriamente
pensando di andare a bussare in qualche casa, perfino alla polizia, ma
poi
spiegare le cose sarebbe diventato troppo complicato…doveva
sopportare.
Con un
movimento goffo e rigido cercò di mettersi comoda contro il
cemento,
raggomitolandosi per scaldarsi, mentre i vestiti bagnati le facevano
penetrare
il freddo nelle ossa; sopra di lei il cielo era nero,
cupo…senza stelle.
Stava
finalmente sentendo i primi cullanti sintomi del sonno quando un
ruggito
squarciò l’aria e Becky aprì gli occhi
di scatto. Non c’erano zoo da quelle
parti, ne era quasi sicura.
Con il corpo
intorpidito si alzò a fatica in piedi, la caviglia che
pulsava senza sosta, e
si sporse fuori dal suo nascondiglio a guardare: la strada era deserta,
fin
troppo.
“Un
ruggito…ruggito…pensa, pensa Becky!”
iniziò a ripetersi tremante cercando di
ricordare le lezioni di Chirone; una bestia che ruggiva…
“Chimera!” esclamò
infine in un rantolo iniziando a distinguere una grossa figura avanzare
lungo
la strada, sorgendo dall’oscurità. La parte
anteriore e la testa erano di un
leone dalla criniera incrostata di sangue, mentre la parte anteriore
era da
capra, con come coda un lungo serpente che sibilava sputando veleno.
Il sangue le
si gelò nelle vene.
Cosa poteva
fare? Se avesse evocato i morti, cosa che non era convinta di riuscire
a fare
in quelle condizioni, avrebbe accesso un cartello lampeggiante sulla
sua testa,
ma dopotutto dato il suo odore l’avrebbe trovata di sicuro
comunque. Forse
poteva…
Un altro
ruggito e gli occhi sanguigni del mostro si piantarono nei suoi.
Con un
singulto Becky indietreggiò ed evocò le daghe,
per poi iniziare a correre
zoppicando all’indietro per tenerla d’occhio, ma la
bestia la incalzò con rapidi
balzi fino a raggiungerla; le due si fronteggiarono per alcuni attimi,
la
ragazza ansimante e ferita, la belva affamata e feroce.
All’improvviso
la testa di leone sputò una fiammata e solo grazie ai
riflessi pronti Becky
riuscì saltare di lato ed evitarla, per poi fare un
tentativo disperato di
evocazione. Per un attimo la terra tremò, ma nessuno rispose
alla sua chiamata.
Disperata
evitò goffamente una zampata della Chimera, la caviglia che
urlava pietà e
cercò di ferirla con un fendente, ma la piccola ferita
provocatale servì solo a
farla imbestialire di più; il serpente tentò di
azzannarla ma Becky si gettò a
terra ed evitò le sue fauci per un pelo, per poi rotolare di
lato evitando gli
zoccoli possenti che frantumarono il terreno. Non era un combattimento,
era un
gioco al massacro. Sarebbe morta.
Mentre
cercava di rialzarsi e indietreggiare rivide il volto di sua madre, di
Lily, di
Jace e di Gray…
La Chimera la
scaraventò a terrà con un zampa, aprendole una
profonda ferita nel braccio e la
sovrastò ruggendo con furia.
Becky
iniziò
a piangere.
“Padre…aiutami.”
Mormorò prima di chiudere gli occhi, in attesa che le zanne
del mostro si
chiudessero su di lei.
Un sibilo.
Un’esplosione
di luce dorata.
Becky
aprì
gli occhi giusto in tempo per vedere una freccia di luce conficcarsi al
centro
del muso della Chimera, mentre la terra tremava furiosa e un esercito
di morti
le si arrampicava sul corpo trascinandola lontano da lei.
“BECKY!”
l’urlo congiunto di Gray e Jace la fece voltare di scatto e
per poco non svenne
dal sollievo nel vederli avanzare, armati, al fianco di Lily, pallida
come un
lenzuolo.
Sentì
solo le
labbra distendersi in un sorriso prima che tutto divenisse nero.
Quando
aprì
gli occhi la prima cosa che vide fu un soffitto in legno dorato, di
sicuro non
il soffitto della sua casa, in ossidiana nera; forse l’aveva
già visto ma la
testa le pulsava talmente tanto che avrebbe potuto scoppiarle e
cercando di
snebbiarsi tentò di portare il braccio alla fronte, ma un
dolore lancinante la
trafisse.
“Non
sforzarti
Becky…” una voce calda come un raggio di sole fu
l’ultima cosa che sentì prima
di cadere di nuovo nel buio.
La volta
seguente che aprì gli occhi era il tramonto, a giudicare
dalla luce, e il corpo
le doleva almeno la metà dell’ultima volta; con
uno sforzo immane tentò di
mettersi a sedere rantolando e solo con l’aiuto di due mani
che forti la
presero per le spalle e l’aiutarono ce la fece.
“Gray?
Jace?”
chiese sbalordita mettendo a fuoco le figure dei due ragazzi, che le
sorrisero con
evidente sollievo.
“Ti sei
svegliata ladruncola!” la salutò il biondo
scompigliandole i capelli mentre
Jace l’abbracciava protettivo e lei, ricordando ogni cosa,
iniziava a piangere
come una bambina.
“Mi
spiace…”
le disse a bassa voce Jace scostandosi e asciugandole le tracce di
lacrime con
le dite, “Non avrei dovuto dire quelle cose…anche
se tu avresti potuto evitare
di non raccontarmi mai nulla.” Aggiunse, incapace come ogni
figlio di Ade di
sotterrare completamente il risentimento, e Becky sbuffò
fulminandolo.
“Hai
rischiato davvero tanto questa volta, Lily ti ucciderà per
averla fatta
preoccupare!” aggiunse con un sogghigno indicando la ragazza
sdraiata su due
poltroncine poco lontane, al cui indirizzo Becky sorrise dolce con le
guance
arrossate per la vergogna.
“E va
bene, e
va bene! Vi racconterò tutto, ma non
interrompetemi!” li minacciò con un dito e
i due annuirono cercando di non ridere.
“Fino
ai
quattordici anni ho avuto una vita abbastanza normale: mio padre ci
aveva
abbandonate, i miei nonni avevano ripudiato mia madre e lei faceva
mille lavori
per mantenermi, ma ero troppo piccola per capire…Poi si
ammalò gravemente e le
cose precipitarono. Non riusciva ad andare al lavoro e aveva bisogno di
cure
sempre più costose ma i soldi che i nonni mandavano non
bastavano, così a sua
insaputa abbandonai la scuola e presi il comando della casa: lavoravo
in
pizzerie, bar, librerie e ovunque avessero bisogno di me; ma ancora non
bastava, anche perché lei continuava a spendere la maggior
parte dei soldi in
quello che ritenevo inutile profumo, ma dato le crisi di nervi che le
venivano
se minacciavo di non metterlo, la assecondavo. Certo non sapevo a cosa
servisse…Quindi iniziai a rubare, scoprii che rendeva molto
di più di quel che
pensassi e di aver un talento per l’inganno, che feci
fruttare in poco tempo:
ciò che era vendibile lo rivendevo, altre cose che mi
piacevano le tenevano.
Era l’unico modo per sopravvivere, nessuno che ci abbia mai
teso una mano, e ho
sempre creduto di averne il diritto.” Concluse breve e amara
guardando le
lenzuola con interesse.
“Mi
spiace
Becky…ma ora non ne hai più bisogno.”
Le disse Gray mentre Jace si limitava a
guardarla con affetto fraterno, “Hai una nuova casa e una
nuova famiglia che si
prenderanno cura di te.” Le disse per poi guardare male
l’amico.
“Quasi
sempre
bene!” concluse tirandogli un pugno sulla testa, che fece
ringhiare il moro
indispettito.
Becky non
poté trattenere una risatina e poi si rivolse a Gray,
mostrandogli il più
sincero sorriso che gli avessi mai rivolto.
“Grazie.”
Gli
disse semplicemente con le guance arrossate e gli occhi scintillanti.
Poi gli venne
in mente una curiosità.
“Come
mi
avete trovata?” chiese perplessa e i due si guardarono
confusi.
“Non ci
crederai ma…ci eravamo fermati un attimo per riposarci
quando
all’improvvisamente ci siamo addormentati e abbiamo avuto
tutti lo stesso sogno
riguardo a te e a dove ti trovavi. Una visione…”
Le spiegò Gray quasi
incredulo.
“L’unico
che
potrebbe averlo fatto è nostro padre…”
rifletté Jace ad alta voce e
immediatamente lo sguardo di Becky si indurì.
“Non
è
possibile, non si scomoderebbe mai per una cosa del
genere…” ringhiò aggressiva
rifiutandosi di credere ciò che aveva creduto per una vita:
che a suo padre non
interessasse nulla di lei. “Sarà stato un altro o
un caso…” aggiunse cercando
di convincersi, mentre Gray e Jace decidevano saggiamente di non
insistere per
non scatenare nuovamente la belva.
“Ora
torna a
dormire ladruncola, anche se hai dormito un giorno e mezzo hai ancora
bisogno
di riposare, parola di figlio di Apollo!” la
rimproverò Gray cambiando
argomento e spingendola contro i cuscini mentre si lamentava.
“Mi
lasciate
qui da sola? Non voglio…” mugugnò come
una bambina viziata, facendolo ridere.
“Io no,
ma
tuo fratello deve riportare Lily alla sua casa…non
può dormire ancora qui,
quella povera ragazza…” le rispose il biondo con
tono innocente e un ghigno
malizioso mentre le guance pallide del fratello si tingevano di rosso e
Becky
sgranava gli occhi.
“Puoi
farlo
tu, Becky è mia sorella e…”
iniziò a cercare scuse il moro, ma Becky intervenne
aggrappandosi alla manica di Gray.
“No no,
vai
tu Jace; devo parlare a Gray in privato!” lo
congedò con fare angelico e
sbrigativo e Jace, dopo aver alternato lunghe occhiate sospettose ai
due che lo
osservavano sorridendo innocenti ma con gli occhi che brillavano
maliziosi, si
alzò con uno sbuffo e arrossendo prese tra le braccia Lily,
bella come un
angelo anche nel sonno, per poi uscire dal campo medico.
“Approvo.”
Disse appena fu uscito con un sorrisetto Becky, “Approvo alla
grande…” ribadì
prima di voltarsi e trovarsi immersa nelle pozze blu di Gray.
“Anche
io
approvo…di cosa volevi parlarmi ladruncola?” le
chiese sogghignando e
avvicinandosi al suo volto, mentre la sua mano copriva quella di lei
attaccata
alla felpa.
“N-niente!”
balbettò imbarazzata Becky, con le guance in fiamme,
“Era solo una scusa!”
aggiunse lasciandolo andare e nascondendosi sotto le coperte per
reazione
istintiva.
“Come
vuoi…”
ridacchiò Gray poggiandole una mano sulla testa,
“Dormi ora ladruncola.” la
invitò gentilmente, mentre il cuore della ragazza non
smetteva di battere come
un tamburo.
Certo, fosse
facile con lui così vicino…
La mattina
dopo, in seguito a una severa ramanzina di Lily e Chirone e un
rimprovero da
parte del Signor D. per esser tornata viva, la vita di Becky riprese il
solito
ritmo…più o meno; infatti dopo attente
osservazioni lei e Gray erano arrivati
alla conclusione che Jace e Lily erano perfetti l’uno per
l’altra. La dolcezza
e l’allegria di lei equilibravano la freddezza e
l’isolamento di lui, e la
sicurezza e la calma di lui bilanciavano la timidezza e
l’insicurezza tendente
alle crisi di pianto di lei.
Questa
decisione aveva portato
all’organizzazione di una strategia per accoppiarli che
prevedeva in breve che
nei momenti adatti Gray e Becky si defilassero per lasciarli da soli ad
approfondire il loro legame; ciò che la ramata non aveva
calcolato era che Gray
si difilasse per stare con lei e, più lei lo maltrattava
imbarazzata, più lui
la punzecchiava e le girava attorno, finendo col passare un sacco di
tempo
insieme. E la cosa a Becky non piaceva, per niente: più
passava il tempo, più
si rendeva conto che si stava innamorando di lui e non era una cosa
buona, per
niente. Lui era popolare, sempre circondato di oche starnazzanti,
luminoso,
allegro ed irritante; lei era solitaria, sarcastica, psicotica e ancora
abbastanza sana di mente da capire che in realtà avrebbe
dovuto volerlo
strangolare non abbracciare. O almeno così la vedeva lei.
E per quanto
Jace fosse piuttosto ingenuo in queste questioni, abbastanza da non
accorgersi
di essere praticamente finito in un programma di match-making, non era
cieco e aveva
imparato a capire la sorella. Per questo esatto motivo si stava
inerpicando a
passo svelto e silenzioso sopra i gradoni dell’arena per
raggiungere Becky,
accovacciata in posizione fetale con lo sguardo fisso sul campo
d’allenamento.
“Cosa
fai qui
da sola?” le chiese sedendosi accanto a lei con calma,
osservandola con gli
occhi pece.
“Osservo
gli
allenamenti.” Rispose lei monocorde. Non era depressa e
incazzata in quel
momento…di più.
“Cosa
è
successo?” le chiese Jace mettendole un braccio intorno alle
spalle e
stringendola a sé, senza che quella avesse nessuna reazione.
“Dovevo
allenarmi con Gray, ma quelle oche di Afrodite lo hanno rapito e Lily
è a
intrecciare fiori con le ninfe” spiegò con una
smorfia, sia per il rapimento
che per i fiori, proprio non capiva cosa ci andasse a fare quella
ragazza…
Jace prese un
profondo respiro: era suo dovere sostenere la sorella anche in quella
circostanza e doveva perciò introdurre
l’argomento, per quanto per lui fosse come
parlare di alieni o simili, solo più imbarazzante.
“Becky…”
tentò di dire con tatto ma un urletto a livello ultrasuoni
gli forò il timpano.
“Graaaaaaaaaaaay,
sei fantastico!” sotto lo sguardo duro di Becky e quello
palesemente scioccato
da tanta stupidità di Jace, Cecil fece finta di inciampare
nel nulla e cadde
tra le braccia di Gray a peso morto, tanto che lui venne schiacciato a
terra
mentre l’oca ne approfittava per far casualmente scontrare le
sue labbra contro
quelle del biondo che per afferrarla l’aveva abbracciati ai
fianchi, finendo in
una posa davvero promiscua.
Becky si
alzò
di scatto, lo sguardo basso e i pugni stretti.
“Avevi
ragione Jace…” mormorò prima che il
moro tentasse di dire qualcosa di
confortante o come minimo che la facesse sbollire un attimo,
“Non si può avere
tutto ciò che si vuole.” Gli disse fingendo un
sorriso, tanto triste che il
cuore di Jace si strinse, prima di scappare via con le lacrime agli
angoli
degli occhi.
Lo sapeva lei
che sarebbe finita male! Lo sapeva! Certo non così male
ma…
“Becky?”
la
voce cristallina di Lily cercò di raggiungerla attraverso
gli strati di coperte
in cui si era avvolta per nascondere al mondo la sua vergogna,
“Puoi uscire da
lì?” le chiese per la decima volta paziente. Era
da quando Jace, dopo averla
strappata alla sua attività, l’aveva trascinata
nella Casa di Ade, brontolando
di “emergenze femminili” o “mi ha
cacciato con la lampada” o cose simili, che
tentava di smuovere l’amica dalla sua posizione. Ovviamente
era già stata informata
degli avvenimenti e da brava figlia di Afrodite voleva rassicurarla che
non
c’era la minima possibilità che Gray fosse
innamorato di Cecil, ma prima doveva
calmarla, farla uscire e ottenere la sua attenzione. Era come parlare
con un
animale selvatico.
“Becky
so
cosa stai pensando ed è assurdo, non catastrofico! Esci
subito di lì che ti
spiego bene perché. E non dire che sono pazza, mia madre
è la dea dell’amore!”
le ricordò picchiettando le dita curate su quella che
deduceva essere la testa
dell’amica.
Becky si
immobilizzò immagazzinando il dato fondamentale: era
vero...forse, forse poteva
anche ascoltarla per qualche secondo.
Timidamente
iniziò a far capolino, con gli occhi gonfi e rossi,
dall’ammasso di morbidume e
già Lily le sorrideva vittoriosa quando una voce fece
piombare tutto nella
catastrofe.
“Ehi
Becky
dove sei finita? Ti cercano alla Casa Grande!”
urlò Gray allegro entrando
sudato nella casa per poi gelarsi immediatamente davanti a quello che
avrebbe
ricordato come uno degli sguardi più spaventosi della sua
intera vita, perfino
rispetto a quello degli dei: lo sguardo inceneritore di Lily.
“Ma
cosa…?”
tentò di balbettare guardando lei e il cumolo di coperte
tremante, prima che il
dolce fiore di afrodite gli scaraventasse contro l’ormai
famigerata lampada da
comodino centrandolo in piena fronte.
“Meglio
se
sparisci per un po’ amico…” gli
consigliò Jace afferrandolo per le spalle e
trascinandolo fuori ancora accasciato, mentre con una mano faceva cenno
a Lily
di uscire con loro in fretta; cosa che la ragazza fece
all’istante dato lo sguardo
preoccupato del ragazzo. O forse semplicemente perché glielo
aveva chiesto lui.
Ci volle
qualche istante prima che Becky, che si macerava
nell’imbarazzo e nella rabbia
omicida, si rendesse conto di essere rimasta sola; piccata per
l’abbandono
(voleva essere coccolata lei!) sbirciò fuori dalla coperta.
“Arrivo
in un
momento sbagliato?” una voce maschile, adulta e fredda, la
fece sobbalzare con
un urletto e cadere dal materasso sul duro pavimento.
“Chi
sei?!
Cosa ci fai in casa nostra!?” urlò alzandosi nel
tentativo di districarsi dalle
coperte.
“Tecnicamente,
è casa mia.” Le rispose un uomo dai capelli neri
scompigliati, gli occhi come
il carbone ma che ardevano brillanti e la pelle cadaverica, messa in
risalto
dai pantaloni e dalla camicia nera col colletto alzato.
Becky lo
guardò per alcuni istanti senza capire, poi un fuoco nero
divampò nei suoi
occhi.
“Ade!”
ringhiò evocando le daghe e guardandolo omicida. Quel
bastardo! Come osava
farsi vedere lì?!
“Ciao
figlia
mia.” La salutò lui guardandosi intorno quasi
incuriosito.
“Figlia
mia
un corno, sono Black per te!” le rispose lei in un
sibilò alzando le armi in
posizione di difesa.
“Mi
spiace,
ma l’unica Black della mia vita è stata tua madre.
Tu per me sei Becky.”
Rispose con un sogghigno osservandola, mentre dentro di sé
sorrideva
soddisfatto. Assomigliava a sua madre, anche nel
carattere…ma aveva i suoi lati
peggiori, questo era certo.
Una vena
iniziò a pulsare freneticamente sulla fronte della ragazza
che strinse le armi
convulsamente: era inutile parlargli, voleva solo sfogare la rabbia di
sedici
anni.
“Andiamo.”
Le
disse Ade all’improvviso, bloccandola a metà dello
scatto, le daghe già a metà
del loro arco.
“Dove?”
chiese lei confusa, perdendo la sua maschera d’odio per un
attimo.
“Da tua
madre.”
Rispose lui con un sorriso triste, prima di raggiungerla e prenderla
per mano,
prima che lei riuscisse a ritrarsi.
Poi le ombre
li avvolsero.
Quando
l’oscurità si dissolse di nuovo, Becky si
ritrovò sull’uscio di casa sua;
disgustata liberò la mano che Ade le aveva afferrato.
“Come
osi
presentarti qui?” gli chiese con un ringhio, ma lui la
ignorò completamente
mentre si guardava intorno, negli occhi una tristezza infinita.
“Non
è
cambiato poi molto…” mormorò con un
sorriso nostalgico, “Tua madre odiava quel
quadro. Immagino fosse più nel mio
stile…” Disse indicando un piccolo dipinto
appeso nel salotto, nero con dei globi luminescenti bianchi.
“Come
lo
sai?” gli chiese Becky guardinga, cercando di tener vivo
dentro di sé l’odio
per il padre, ma c’era qualcosa di magnetico in lui, che la
confondeva…la
rabbia cedeva alla curiosità, la voglia di ucciderlo alla
tristezza e al dolore
per l’abbandono.
“Gliel’ho
regalato io, per farmi perdonare d’essere arrivato tardi ad
uno dei primi
appuntamenti.” Spiegò sospirando e scuotendo la
testa, “Mi ha riso in faccia e
me lo ha lanciato addosso scappando via, poi è scoppiata a
piangere ed è
tornata a prenderlo. Mi ha perdonato il giorno dopo, ci siamo
dichiarati e lei
lo ha appeso in casa, dicendo che era un ricordo prezioso.”
Concluse
sorridendo, perso tra i fantasmi del passato.
Becky non
riuscì a non sorridere, era tipico di sua madre.
“C’è
qualcuno?” la voce cristallina di Lily li riportò
al presente ed entrambi
volsero la testa verso il corridoio, il cuore che accelerava.
“Mamma!”
urlò
Becky con gli occhi lucidi e correndo si precipitò in
camera, neanche pensando
al fatto che fosse strano che non fosse dai nonni.
“Becky!”
la
salutò sua madre con gli occhi sgranati mentre la ragazza la
guardava
incredula, era come l’aveva lasciata, e poi le sorrise mentre
la figlia le si
gettava tra le braccia.
“Quanto
mi
sei mancata mamma!” le disse piangendo e stringendola a
sé.
“Anche
tu
piccola mia…” le rispose accarezzandole dolcemente
i capelli, “Come va al
campo?” le chiese poi asciugandole le lacrime e osservandone
il viso con
affetto.
“Benissimo!
Jace è mio fratello ed è fantastico, si prende
sempre cura di me anche se lo
faccio disperare; anche quel cretino di Gray mi sta
accanto…e poi ho un’amica,
anzi la mia migliore amica! Si chiama come te, Lily, una figlia di
Afrodite
straordinaria e…” iniziò a raccontare
disordinatamente e entusiasta di poter
condividere con lei la sua nuova vota, ma ad un certo punto dei passi
felpati
distrassero la madre.
Becky vide i
suoi occhi spalancarsi e poi riempirsi di lacrime di gioia.
“Ade!”
lo
chiamò con il volto che le si illuminava, nel tentativo di
mettersi leggermente
più diritta.
Ade non si
avvicinò ma le sorrise luminoso, come la luna che riflette i
raggi del sole.
“Ciao
Lily,
sei bella come sempre…” la salutò
accarezzando con gli occhi la figura della
donna per intero, con quello che Becky non poté non
etichettare, a malincuore,
come amore.
“E tu
sei in
ritardo come sempre!” lo rimproverò lei
ridacchiando mentre lui alzava gli
occhi al cielo esasperato.
“Black,
la
gente di solito è felice quando sono in
ritardo…” notò ridendo, “Ma
tu non sei
mai stata come gli altri.” Aggiunse addolcendo il tono. Becky
sentì il cuore
stringersi, mentre si sentiva un’intrusa in quel momento.
Perché? Perché era lì
anche lei?
“Ti
aspetto
da anni! Potevi essere puntuale…”
ribadì Lily fingendosi offesa e incrociando
le braccia.
“Sono
un dio
occupato, Black!” rispose alzando gli occhi al cielo.
“Tanto
occupato da avere il tempo di scegliere di indossare gli stessi vestiti
di quel
giorno e venire di persona?” chiese lei allora sogghignando
e, sotto lo sguardo
incredulo della ragazza, le guance di Ade si tinsero di rosso.
“Te lo
ricordi…” mormorò nascondendosi la
bocca con una mano.
“Mi
ricordo
ogni cosa di quel giorno, compreso quell’orribile
quadro…” rispose lei con un
sorriso dolce.
I due si
guardarono sorridendo per un attimo in silenzio, rivivendo un giorno di
tanti
anni fa, in cui si erano dichiarati il loro amore.
“È
ora di
andare Ade.” Disse poi Lily, una lacrima sola a scendere
lungo la sua guancia.
“Andare
dove?” chiese Becky recuperando la parola e guardando sua
madre preoccupata,
mentre Ade distoglieva gli occhi addolorato.
“Becky…guardami.
Guardami davvero.” Le chiese la madre prendendola per mano.
Becky
inizialmente la osservò senza capire e poi vide. Vide quello
che aveva visto
Jace e gli occhi le si colmarono di lacrime, che iniziarono a sgorgare
come un
fiume in piena.
“Mi
spiace
Becky…” mormorò triste mentre la
ragazza cadeva a sedere sul pavimento, le mani
a coprirsi il viso.
Sua madre era
morta.
Era morta.
E lo era da
tre anni.
“Ade mi
ha
concesso di rimanere in vita, posticipando la mia morte fino a che tu
non fossi
stata pronta…Sarei dovuta morire due giorni dopo aver
contratto questa malattia…”
le spiegò accarezzandola dolcemente.
“Ti
è
riservato un posto nei Campi Elisi…”
mormorò Ade, ma Becky lo ignorò mentre
tutto quello che aveva creduto le crollava attorno.
“Perché
ora?”
le chiese solamente con voce flebile.
“Perché
ora
sei pronta e hai una nuova famiglia a prendersi cura di te, Chirone mi
ha
tenuta informata e mi ha mostrato qualche sprazzo della tua vita
attraverso i
messaggi di Iride; hai una vita luminosa…devi perdonarmi per
ciò che ti ho
fatto passare in questi tre anni, sappi che ti amo come nessuno al
mondo ma…
devo lasciarti andare…e tu devi lasciar andare me.
Ovviamente potrai evocarmi
quando vuoi, mia piccola semidea…” le rispose la
madre accarezzandola, mentre
lei continuava a piangere silenziosa; poi si distese sul letto e
incrociò le
mani sull’addome.
“Procedi
pure.” Disse ad Ade prendendo un bel respiro e guardandolo
con amore.
Il dio della
morte avanzò a passo lento; Becky avrebbe potuto fermarlo
forse, o implorare
perché la lasciasse in vita ma…rimase ferma. Con
Jace aveva discusso degli
enormi doveri e vincoli di Ade e di loro semidei della morte e si
rendeva conto
di quanto avesse rischiato per sua madre, quanto Ade la dovesse amare
per
concederle tale proroga. Inoltre ora molte cose si spiegavano: nessuno
che era
mai venuto a controllare casa loro, carabinieri, ministri della
sanità o
medici, le tasse da pagare sempre così basse e i soldi che
riceveva per i suoi
lavoretti così alti…doveva aver vegliato su di
loro per tutto quel tempo, ma
lei era stata troppo accecata dal suo odio per accorgersene.
Si
era sbagliata, Ade amava Lily. L’amava
ancora.
Con lentezza
Ade si chinò sul viso sorridente di Lily e la
baciò.
Poi la prese
per mano ma invece di trascinare lei, dal corpo si staccò
uno spettro luminoso,
l’anima di sua madre; bella e pura com’era prima
che si ammalasse.
Fece un solo
cennò con la testa a Becky, sorridendo così
spontaneamente e felicemente che
Becky non ebbe il coraggio di chiederle disperata di rimanere, e Ade le
sillabò
“Aspettami. Tornerò.”
Poi sparirono
nella luce rosata del tramonto.
Quando Ade
tornò, osservò sua figlia sorpreso: era in piedi
a braccia incrociate
appoggiata al muro per guardare fuori dalla finestra, gli occhi
arrossati ma
asciutti, che bruciavano del fuoco nero che bruciava in lui e della
luce
radiosa che ardeva in sua madre. Erano loro due in una sola persona e
allo
stesso tempo una ragazza che con loro non centrava assolutamente nulla.
“Sei
tornato
davvero.” Gli disse perforandolo coi suoi occhi bicolore, uno
lilla e uno nero.
“E tu
non sei
accasciata a disperarti.” Rispose lui alzando un sopracciglio.
“Non
servirebbe a nulla…se non a renderla più
triste.” Rispose con un sorriso
malinconico, per poi guardarlo e sospirare.
“Se
penso a
quanti anni ho speso inutilmente odiandoti…” gli
sbuffò contro facendolo
sogghignare.
“Non mi
posso
lamentare, ti hanno reso una degna figlia di Ade.” Le rispose
tendendole e una
mano, mentre lei arrossendo si avvicinava. La considerava una figlia
degna.
“Immagino
che
potrò smetterla di sacrificarti marmellata e
cereali…” aggiunse con un ghigno,
mentre lui a sorpresa l’abbracciava.
“Mi
farebbe
piacere.” Le rispose Ade con una smorfia infastidita e Becky
ridacchiò.
Poi sparirono
nelle ombre e riapparvero sotto il pino di Talia.
“Verrai
a
trovarci più spesso?” chiese Becky staccandosi da
lui e guardandolo dritto in
volto. Ade annuì con una smorfia.
“Non
siete
male, ma cerca di rendermi orgoglioso di te.” Le disse
facendole storcere le
labbra indispettita, “E salutami Jace, sta facendo un ottimo
lavoro...” Aggiunse
prima di appoggiarle una mano sul capo e sparire.
Becky
sospirò
sfinita e dopo aver salutato stancamente il drago iniziò a
risalire la collina.
Non era arrivata neanche a metà che si vide venire incontro
Lily correndo, Jace
e Gray a passo svelto, e dagli sguardi che avevano dedusse dovessero
sapere già
tutto.
Cercando
ancora un po’ di forza nel suo cuore sorrise e
agitò una mano, prima che Lily
la travolgesse in un abbraccio.
“Becky
io…!”
iniziò piangendo, ma la ragazza scosse la testa.
“Sto
bene,
sono a casa.” disse malinconica zittendola affettuosamente
mentre i ragazzi la
raggiungevano; fu a quel punto che si ricordò degli
avvenimenti precedenti e la
rabbia la trascinò di nuovo nelle sue spire.
“Becky
stai bene?”
le chiese Gray preoccupato, prima che la ragazza lo schiantasse a terra
con un
pugno alla bocca dello stomaco.
“Non ti
voglio vedere pervertito!” gli ringhiò prima di
prendere per mano Jace,
terrorizzato dalla sua furia, e trascinarlo lontano.
“Ho
voglia di
andare a casa, sono stanca.” gli disse, mentre dietro di
sé Lily riprendeva a
maledire e rimproverare Gray che rantolava a terra.
“Sei
sicura
di stare bene?” le chiese Jace mentre entrambi si preparavano
per andare a
letto, dopo esser stato muto a osservarla per tutto il tempo, cosa che
Becky
aveva immensamente apprezzato.
“Si
tranquillo.” Gli rispose in automatico continuando a lanciare
i vestiti sul
fondo del letto e Jace sospirò, chiedendosi entro quanto
sarebbe scoppiata o
quando fosse tornata la solita lei.
“Come
vuoi.
Sono qui.” Le rispose infilandosi sotto le coperte mentre lei
faceva lo stesso,
spegnendo la luce. Jace dovette aspettare solo un quarto
d’ora prima di sentire
il primo singhiozzo soffocato, con il cuore che gli si stringeva; stava
giusto
pensando se fare il primo passo o lasciarla sfogare da sola, quando
sentii le
coperte frusciare e la sorella muoversi nell’ombra.
“Jace?
Sei
sveglio?” una voce flebile nell’oscurità
accanto al suo letto, mentre una mano
tremante tirava delicatamente le lenzuola.
“Certo.”
Le
rispose lui sollevandosi sul gomito lateralmente e sollevando le
coperte.
“Posso?”
chiese lei ancora con un singhiozzo.
“Devi.”
La
rassicurò con un sorriso, sapendo che lei
l’avrebbe percepito anche senza
vederlo, e Becky si infilò nel letto con il fratello,
accoccolandosi al suo
petto e scoppiando a piangere a dirotto, mentre Jace
l’abbracciava stretta.
L’alba
avrebbe colto fratello e sorella abbracciati l’uno
all’altra stretti da un
legame indissolubile.
Gray era
stufo. Ed irritato. E probabilmente cominciava anche a cadere nella
follia.
Erano due
settimane! Due settimane che Becky lo evitava, scappava quando lo
vedeva, non
gli parlava, non lo insultava, cosa che invece faceva Lily in
abbondanza al
posto suo, dando mostra delle spine che proteggevano quello che poco
tempo
prima avrebbe definito il delicato fiore. E Jace, il suo migliore amico
e
fratello, ogni volta che chiedeva spiegazioni o aiuto sospirava
scuotendo la
testa e se ne andava! Cosa aveva fatto a quella ragazza?! Proprio ora
che
andavano d’accordo…proprio ora che riusciva ad
avvicinarsi…la distanza lo stava
uccidendo e purtroppo cominciava a intuire il perché. Doveva
risolvere la
situazione. Non ne poteva più.
“Gray
va
tutto bene?” chiese una sua timida sorella di Apollo, seduta
accanto a lui al
tavolo per la colazione, per poi tremare alla vista del suo ghigno
mentre
annuiva, gli occhi incollati su una piccola figura dai capelli ramati
che
entrava or ora per fare colazione.
“LADRUNCOLAAAAA!”
urlò come un invasato mentre tutto il campo si girava a
guardarlo con gli occhi
fuori dalle orbite, compresi Chirone e il Signor D, “SONO
STUFO!” continuò
puntandola con una forchetta, gli occhi che bruciavano folli, prima di
saltare
in un colpo solo il tavolo della sua casa e iniziare a correre verso di
lei
assetato di sangue.
Se non fosse
stato per i suoi riflessi pronti e il suo istinto di autoconservazione,
Becky
sarebbe rimasta paralizzata per lo shock; invece scattò a
correre terrorizzata
per tutto il campo, ringraziando di essere migliorata nella corsa, in
fuga da
quel folle che sembrava volerla uccidere con le sue mani. Quando
finalmente
riuscì a seminarlo, nascondendosi dietro le stalle dei
pegasi, si accasciò
senza fiato a terra.
Ma
che gli prendeva?! Era impazzito?!
“Dovrai
affrontarlo prima o poi…” mormorò Jace
uscendo dall’ombra, ma la ragazza
nemmeno sobbalzò, avendolo percepito prima.
“No.”
Rispose
lei testarda incrociando le braccia.
“È
stato un
incidente…” tentò di persuaderla, come
faceva da due settimane ormai, “Non
prova niente per Cecil!”
“Non mi
interessa…sarebbe
inutile, non mi amerebbe mai.” Concluse triste ma decisa,
facendo percepire
alla perfezione che la questione per lei si chiudeva lì.
“Come
vuoi…”
sospirò esasperato, “Ma ti avviso: stasera hai la
tua prima partita di Caccia
alla Bandiera e siamo alleati di Apollo” le disse prima di
andarsene.
“COSA?!”
gli
urlò mentre lui a passo felpato si allontanava per
accertarsi della situazione
mentale del suo amico. Non poteva averle fatto questo! A causa di vari
mostri
che si aggiravano per la foresta, non avevano mai potuto organizzare
una
partita e lei moriva dalla voglia di giocare e dimostrarsi
all’altezza…e lui li
aveva alleati con Apollo. Quel ragazzo voleva morire. E dolorosamente.
Poi
sospirò e
cercò di farsi forza: erano almeno una trentina in
totale…non poteva certo
rimanere sola con lui (anche se la scenata del mattino non la
consolava),
sarebbe stato tutto troppo sfigato perfino per lei…
Effettivamente
la mattina si era sbagliata: non c’era limite alla sua sfiga.
Il caro Jace,
eletto capitano, aveva messo lei e Gray in squadra d’attacco
sotto copertura
insieme, da soli, e si era rifiutato di sentire ragioni, aiutato da
Lily, la
sua cara amica che quando parlava Jace spegneva il cervello!
Anzi…sospettava si
fossero perfino alleati! L’avrebbero pagata…
Ma la cosa
peggiore era un’altra: lì, da soli nella foresta,
acquattati in attesa del
momento giusto, Gray non le parlava. Non la guardava. Non la calcolava
proprio…Ma come si permetteva?! Era LEI quella arrabbiata
con lui, non
viceversa! Cos’era quel silenzio a metà tra la
resa e la rabbia?! Avrebbe
dovuto cercare di tornare da lei, di farsi perdonare come minimo, non
ignorarla! Lei voleva, pretendeva che lui tornasse ad assillarla per
essere
perdonato, a costo perfino di vederlo impazzire di nuovo! Solo
perché lo aveva
evitato per due settimane, demordeva?! Che uomo era? Non riusciva
neanche a
capire una cosa così semplice di lei?! Lo sapeva che i
maschi erano delle
pessime creature, escluso Jace…
Becky lo
guardò perforandolo con una smorfia arrabbiata, delusa e
imbarazzata. In realtà
sapeva di essere piuttosto stupida, ma non avrebbe mai ammesso di aver
sbagliato, né di volere Gray accanto a se…perfino
come amico.
Con uno
sbuffo, incapace di reggere oltre, si alzò di scatto e
iniziò a correre tra gli
alberi, verso dove pensava fosse la bandiera.
“FERMATI!”
Le urlò dietro cercando di
raggiungerla, ma quella scivolava come un ombra tra i pini nelle sue
vesti nere
e i capelli rossi come il fuoco.
Ah! Ora le
parlava eh?!
“IDIOTA!”
sbraitò lei in risposta, parlandogli per la prima volta da
quello che
sembravano loro secoli, e accelerò; si fosse concentrata su
dove andava invece
che sul suo cuore che gemeva, magari avrebbe ascoltato il ragazzo, ma
era
troppo testarda.
Come faceva
quella ragazza a essere così orgogliosa?! Come?! Avesse
almeno guardato avanti,
Gray l’avrebbe perdonata, ma come faceva a non aver visto
quel gigantesco Minotauro
che si aggirava per la foresta nell’esatta direzione in cui
si stava
lanciando?! E per fortuna che il Signor D. aveva assicurato che la
foresta
fosse sicura…
Esasperato e
sempre più vicino al mostro, tentò
l’impossibile: con uno scatto disumano si
avvicinò il più possibile alla ragazza e con una
spinta le si lanciò
letteralmente addosso travolgendola e facendola cadere a terra; lei
emise un
breve urletto terrorizzato, ma prima che potesse fare
alcunché Gray la
immobilizzo seduta tra le sue gambe e bloccandole le braccia con le
sue, una
mano a coprire la bocca. Poi, mentre lei lo guardava assassina con le
gote in
fiamme, le fece un cenno verso il Minotauro e lei sbiancò
non appena lo vide.
Aveva appena
rischiato di diventare carne trita!
“Mai
che mi
ascolti, eh ladruncola?” le sussurrò
all’orecchio, le labbra pericolosamente
vicine. Becky sentì il cuore iniziare a battere come un
tamburo e sperò
fortemente che il ragazzo lo attribuisse alla corsa…
“Che
facciamo?” tentò di cambiare argomento balbettando
e cercando di allontanarsi,
ma il ragazzo aveva una presa ferrea.
“Per
ora mi
riprendo dalla corsa folle, poi faccio fuori il
bestione…” le rispose con il
respiro affannato, cercando di guardarla negli occhi.
“Gray…”
tentò
di dire lei agitata.
“Mi hai
evitato per tutto questo tempo…” iniziò
a dire lui piccato e amareggiato.
“Gray.”
Lo
cercò di interrompere irritata, oltre che agitata.
“Non mi
hai
nemmeno detto il perché! Non credi di aver
esagerato?” continuò lui
imperterrito, perforandola con le sue pozze blu.
“GRAY
PER
ZEUS IL MINOTAURO CI HA FIUTATO!” urlò Becky prima
di spingerlo nell’ombra con
lei, esattamente mentre l’ascia bipenne del mostro si
abbatteva dove poco prima
c’erano loro.
“Sei un
idiota!” gli urlò la ragazza riemergendo poco
lontano, mentre il ragazzo la
lasciava andare ed evocava l’arco, lei le daghe.
“Ehi io
ti
stavo…” cercò di scusarsi enormemente
irritato, ma la ragazza lo gelò con
un’occhiata.
“Tu
distrailo!” gli urlò prima di lanciarsi vero il
bestione, che fiutatili li
caricava mugghiando.
Con uno
sbuffò Gray iniziò a scaricare una pioggia di
frecce sul mostro, puntando ai
punti più scoperti e vitali, ma quello avanzava
imperterrito; Becky scacciò la
paura e gli andò incontro di corsa, poi, giuntagli davanti,
aspettò che
caricasse l’ascia bipenne e che si sbilanciasse in avanti per
andare in
scivolata sotto di lui e infilzarlo nell’addome con le due
daghe incrociate,
nel momento esatto in cui una freccia dorata gli si conficcava nel
cranio. Il
mostro esplose in sabbia e si dissolse nel vento.
“Per un
attimo ho temuto di non farcela…per fortuna abbiamo fatto
tutti quegli
allenamenti…” mormorò lei lasciandosi
cadere all’indietro nell’erba, il cuore
che iniziava a riprendere un ritmo regolare.
“Bella
mossa
ladruncola!” si congratulò Gray raggiungendola e
sovrastandola con sguardo
ferino; lei fece per sorridergli, ma poi vide i suoi occhi brillare e
si
ricordò della discussione interrotta poco prima. Con uno
scatto felino balzò
piedi e tentò di scappare ma Gray era pronto quella volta e
veloce la placcò
bloccandola tra le braccia.
“Devi
dirmi
perché!” le impose mentre lei si dimenava invano
come una furia, senza poter
nemmeno evocare le daghe o usare l’ombra senza portarsi
dietro anche lui. Ma
quanto era testardo?!
“No!
È
imbarazzante!” rispose lei rossa in viso, sperando che
chiunque, chiunque
l’aiutasse a scappare…
“Imbarazzante?
Di cosa stai parlando? Io voglio sapere perché mi hai
evitato queste
settimane!” le ripeté Gray girandola in modo da
guardarla negli occhi,
nonostante il divario d’altezza evidente.
“PERCHÉ
HAI
BACIATO QUELL’OCA!” sbottò allora lei
urlandogli contro ciò che voleva
rinfacciargli dal primo momento, prendendolo a pugni sul petto e
cercando di
non far diventare gli occhi lucidi.
Gray la
guardò allibito. Cosa?!
“Ma
che…?” le
chiese confuso mentre quella si calmava senza forze, guardando per
terra.
“Perché
hai
baciato Cecil…” ripeté per essere
più chiara in un sussurro, le lacrime che
iniziavano a far capolino dagli angoli degli occhi. Ora che glielo
aveva detto
aveva distrutto ogni cosa…
Gray la
guardò per qualche secondo in silenzio, cercando di capire
seriamente a cosa si
riferisse: lui non avrebbe mai baciato Cecil! Non poteva e…
“Non ti
riferirai a quando mi è caduta sopra vero?!” le
chiese scioccato e alienato,
con gli occhi sgranati, mentre lei si imbarazzava di più e
allo stesso tempo
sentiva le mani pruderle.
“Quello
non
era un bacio ladruncola…” aggiunse con un
sorrisetto mentre molti pezzi si
sistemavano al posto giusto nella sua testa.
Poi Gray
prese con una mano il mento di Becky e le alzò la testa per
guardarla negli
occhi, mentre il braccio attorno alla vita si faceva più
delicato ma la
avvicinava; rapido, prima che lei potesse dire o fare qualcosa,
appoggiò le
labbra sulle sue e le diede un dolce bacio.
“Questo
è un
bacio.” Le disse allontanandosi a un soffio dalle sue labbra,
gli occhi che brillavano
malandrini.
Lei lo
guardò
senza parole.
“Vuoi
essere
la mia ragazza?” aggiunse Gray, capendo che con una come
Becky bisognava essere
chiari in certe faccende…
“C-certo!”
balbettò lei riprendendosi e nascondendo il volto nella sua
maglietta.
“Ne
sono
felice…” ridacchiò lui accarezzandole i
capelli, ma lei alzò la testa,
improvvisamente decisa e gli sorrise furba.
“Ma sia
chiaro…tu sei solo mio Gray.” gli
soffiò prima di depositargli un altro bacio
sulle labbra, leggero come un ombra.
Poco lontano
una testa bruna e una mora si tornarono a nascondere dietro gli alberi.
“È
andata
bene direi.” Disse Lily appoggiata al tronco soddisfatta
incrociando le gambe e
portandole al petto, con un sorrisino gioioso sulle labbra rosee.
“Decisamente.
Se non era per noi chissà cosa avrebbero fatto quei
due…” le rispose Jace
seduto accanto a lei rilassandosi, tra le mani lo stendardo rosso della
squadra
avversaria. Era stata una bella partita: avevano finto un diversivo e
mandato
avanti i due piccioncini, poi lui e Lily avevano usato le ombre per
portarsi
alla base nemica, stordire le guardie e prendere la bandiera; tutto
ciò in
tempo per tornare e vedere Gray che atterrava Becky e tutto
ciò che ne era
conseguito. Doppia vittoria quella sera.
“Non
dovremmo
andarlo a riportare?” chiese Lily, mentre
l’adrenalina per la missione compiuta
svaniva e lasciava il posto all’imbarazzo per essere da sola
con il ragazzo di
cui si era innamorata.
Jace parve
pensarci un attimo, mentre la scrutava intensamente.
“Ancora
qualche secondo…” le mormorò con un
sorrisetto, prima di chinarsi e baciarla a
sorpresa.
Poi si
alzò
in piedi e le tese la mano, mentre lei lo guardava incredula per
ciò che era
appena accaduto.
“Andiamo?”
le
chiese con falsa tranquillità, le gote a suo malincuore
arrossate, e lei
ridacchiando prese la sua mano e si alzò in piedi.
“Certo
Jace.”
Gli rispose camminando mano nella mano al suo fianco verso il raduno,
pronti a
riportare la vittoria.