Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Segui la storia  |       
Autore: Nayuki911    18/12/2014    5 recensioni
E pensare che tutto era iniziato con una banalissima lite.
Poteva davvero essere una svolta nella sua misera vita?
Sarebbero state due anime destinate ad unirsi, o a scontrarsi senza esito?
Genere: Drammatico, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mikasa Ackerman, Rivaille, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 6

 
«..Non fare complimenti.» Disse semplicemente, notando la titubanza della ragazza di fronte ad un piatto pieno di pancakes e salsa al cioccolato. «Sarai affamata. Da quanto non mangi?»
 
«Da questo pomeriggio», rispose Mikasa, un po’ sorpresa di trovare già qualcosa da mangiare sul tavolo. Si scostò la solita ciocca di capelli dietro le orecchie, prima di accomodarsi a sedere.
Era appena tornata dal bagno, probabilmente per struccarsi, a giudicare dal volto molto più puro; gli rivolse uno sguardo colmo di scuse, aggiungendo persino un’alzata di spalle, un po’ come volesse dire “Scusa, se mi sto praticamente mangiando l’intero tavolo con gli occhi”. Eppure, dal suo fisico perfetto non dava affatto l’idea di essere una grande amante del cibo. Era magra, ben proporzionata nei punti giusti; al di sopra dei vestiti era difficile dirlo con esattezza, ma sicuramente era una di quelle ragazze che teneva davvero tantissimo al proprio fisico. Un’altra cosa che Levi apprezzava tantissimo, era il fatto che non si truccasse affatto, ad eccezione di quella sera, probabilmente per lo spettacolo di cui lei stessa era stata – anche se per poco – protagonista.
La osservò mentre addentava la prima forchettata, e decise per rispetto di non puntarle gli occhi addosso; lui aveva preso una semplice cioccolata calda, giusto per riscaldarsi.
Odiava soffrire così tanto il freddo.
 
«Dunque.. lei è una specie di stalker?» Inaspettatamente, era stata lei ad iniziare la conversazione. Perché si ostinava a dargli del lei? Forse lo credeva tanto vecchio?
 
«Guarda che ho ventisette anni, non centottanta.»
 
«Mh.. la credevo più vecchio. Anche per via della sua statura.»
 
«…»
 
«Sto scherzando.» Prese un pezzo di pancake, ficcandoselo in bocca con tutta la galanteria a disposizione, che al momento sfortunatamente era minima. Doveva davvero essere affamata. «E’ una questione di semplice rispetto. E se qualche volta mi è scappato, darle del tu.. mi dispiace, non era mia intenzione.»
 
Levi rimase colpito da quelle parole. A giudicare dal modo in cui si fosse appena espressa, capì di quanto fosse una ragazza per bene, educata; anche se lo aveva già capito da tempo. Portare una valigetta e fare il giro della città solo per salvare uno sconosciuto non è da tutti.
 
«Mi chiamo Levi, ma questo lo sai già. Gradirei mi dessi del tu, mi farebbe sentire più giovane.»
 
«.. Se è quello che preferisce..» addentò un altro boccone, prima di guardarlo negli occhi, e farfugliare a bocca mezza piena. «..Preferisci» aggiunse, correggendosi in tempo dopo aver ricevuto un’occhiataccia glaciale.
 
Soddisfatto, l’uomo prese un sorso della sua cioccolata calda; il posto era molto caldo, accogliente, si capiva subito che l’ambiente fosse riscaldato, il che era oro colato per un tipo come lui.
Non c’era praticamente nessuno, a parte qualche coppietta e un gruppo di amici alle prese con chissà quale discorso turbolento. Sarebbe stato bello recarsi lì con qualcuno, magari sotto il periodo natalizio, peccato che fosse già passato.
Aveva scelto un posto lontano da tutto il resto, vicino alla vetrata esterna; non che ci fosse uno spettacolo esorbitante, a parte qualche ragazzo che passava di lì ogni tanto.
 
«Allora, mi racconti un po’ di te?» Del resto erano quelli, i piani.
 
Mikasa deglutì l’ennesimo boccone, dopodiché prese il tovagliolo e si pulì la bocca da eventuali residui.
«Cosa vuol- vuoi che ti dica? Sono una ragazza qualunque. Mi chiamo Mikasa, ho terminato gli studi un anno fa, ora lavoro al pub, in cui sembri andare spesso, per mantenermi. Il mio lavoro extra mi permette di guadagnare quei soldi in più che mi permettono di arrivare a fine mese.»
 
La ascoltò con attenzione, sorseggiando la sua cioccolata di tanto in tanto. Come sospettava, sembrava parecchio responsabile.
 
«Quanti anni hai?»
 
«Diciannove, il 10 Febbraio.»
 
«Oh. E’ la settimana prossima.»
 
«Sì.. non faccio il calcolo. Non mi importa molto festeggiare. Per me un giorno vale l’altro.»
 
In quell’attimo di pausa, metabolizzò tante cose:
per prima cosa, fu inspiegabilmente sollevato, dal fatto che lei fosse maggiorenne. Non che avesse in progetto chissà cosa, ma portare fuori una minorenne lo avrebbe fatto sentire davvero vecchio.
Inoltre, realizzò quanti demoni potessero nascondersi dietro l’apparenza; sembrava una ragazza qualunque, forse un po’ tra le nuvole, ma quegli occhi gli avevano sempre comunicato qualcosa di strano, ed ebbe la sensazione di essere comunque molto vicino a scoprirlo.
Come ultima cosa, scoprì un loro punto in comune: anche lui trattava con indifferenza il giorno del suo compleanno, era un giorno come tutti gli altri, senza contare che, ricordarsi di invecchiare, non gli faceva bene.
 
«Capisco. Sei come me, anche io non amo molto il giorno del mio compleanno. Eppure tu sei molto giovane, potresti fare qualcosa.»
 
«Mi basterebbe un giorno di ferie pagate.»
 
«Ottima risposta.»
 
La giovane abbozzò un mezzo sorriso, per poi sparire con la faccia sul piatto e divorare i restanti pancakes. Una volta finiti, prese un sorso della sua cioccolata – non si era accorta che ce ne fosse una anche per lei – e la sorseggiò lentamente. Era squisita.
 
«..Vivo a casa con mio fratello, i miei sono venuti a mancare quando avevo dodici anni, per un incidente d’auto.» Iniziò a parlare, senza che lui le avesse chiesto nulla. Le venne spontaneo, tra un boccone e l’altro. Lo sguardo interessato dell’uomo la spinse a continuare. Ripose le posate sul piatto, quindi riprese a parlare, giocherellando con l’estremità della forchetta. «Da allora, ho sempre cercato di darmi da fare, e già a tredici anni ho iniziato a lavorare per pagarmi la scuola, per me lo studio è sempre stato importante. Mi sarebbe piaciuto frequentare un college, ma.. non ha nulla a che vedere con la scuola, è molto più costoso. Perciò preferisco lavorare per pagarmi le bollette. Anche mio fratello fa qualche lavoretto qua e là, ma.. in due è meglio.» Prese un attimo di pausa, come per trovare le parole giuste, poi proseguì. «..Il proprietario del pub in cui lavoro, è il padre del mio attuale.. ragazzo, ed è grazie a lui se ho quel lavoro, gli devo molto. Per quel che riguarda il secondo “lavoro”, lo faccio solo una volta a settimana, pagano bene e a me piace cantare.» Durante tutto il discorso, giocherellò un po’ con le posate, un po’ con il manico della tazza, infine prese qualche sorso di quella cioccolata ormai tiepida; nemmeno per un secondo, lo aveva guardato negli occhi.
 
Lui sì, e parecchio.
 
In un primo momento, pensò che loro due avessero più cose in comune di quel che si aspettasse. In seguito, sentì una sottospecie di vuoto, al pensiero di una povera bambina di dodici anni che si era vista privata della sua famiglia in un colpo solo, costretta a mettersi in marcia per mantenere lei e il fratello.
Sapeva che era in gamba, lo aveva sempre sospettato.
Tutti i dubbi, stavano pian piano trovando risposte. Allora il ragazzo con cui l’aveva vista litigare era il figlio del proprietario del pub? Fare supposizioni non sarebbe mai stata una saggia scelta, anche perché non era nessuno per poterselo permettere, né per infierire. Tuttavia, ancora una cosa non riusciva a comprendere.
 
«Sin dal primo momento in cui ti ho visto, ho avuto il sospetto che tu fossi.. diversa. Adesso mi spiego il perché. Non deve essere stato facile.»
 
«Non importa, è passato. Sono dell’opinione che niente è facile, ma se lo fosse non ci sarebbe gusto.» Alzò le spalle, finendo la cioccolata.
 
«Vero anche questo.» Colpito, ancora una volta, finì anche lui la sua cioccolata. «C’è una cosa che non mi torna.. perché nasconderti da questo secondo lavoro? Non è mica una vergogna cantare in pubblico.»
 
«..No. Non lo è. E’ che.. Jean – il mio ragazzo – è molto.. possessivo. Come posso metterla.. è un ragazzo.. “potente”.»
 
«Il solito figlio di papà.»
 
«…»
 
«Si vede dalla faccia.»
 
«..Ad ogni modo», proseguì, facendo finta di niente, «lui cerca di tenermi sott’occhio, e io mi sento come.. imprigionata. Gli devo tantissimo, è solo che.. certe volte mi sento oppressa, come se dipendessi da lui.»
 
«Ti senti chiusa in un vicolo cieco? Legata a lui in quanto pensi che il tuo lavoro dipenda dalla vostra relazione?» Si stupì persino di come quelle domande gli fossero venute spontanee, sembrava che le stesse facendo il terzo grado, e in ogni caso non voleva spaventarla. Si schiarì la voce e fece per bere un sorso di cioccolata, ricordandosi solo dopo qualche secondo di averla finita. Fece finta di nulla e bevve questo sorso immaginario.
 
«.. In un certo senso. Gli voglio molto bene, ma temo di aver preso determinate decisioni solo per salvarmi il cu-sedere. Mi ha offerto un lavoro e un riparo quando persino i miei parenti restanti sono spariti dalla circolazione. E adesso mi sento parecchio legata a lui. Dirgli che ho un altro lavoro, sarebbe come fargli un torto, e non mi va.»
 
Non seppe se rimanere colpito dalla sua quasi-parolaccia o dal grado di preoccupazione che la affliggeva.
 
«Non stai abbandonando il tuo lavoro principale, ne hai un altro, che c’è di male?»
 
«.. Non conosci Jean. Lui è un ragazzo molto potente, e se gli dicessi di quest’altro lavoro, probabilmente mi direbbe qualcosa del tipo “Hai bisogno di soldi in più? Te li do io!” O qualcosa del genere.. ma con questo lavoro, è diverso.» Si morse il labbro inferiore, le mani ben serrata attorno alla tazza ancora tiepida.
«Questa è la prima volta in cui mi sento veramente libera.»
 
L’uomo la guardò a lungo, pensando ad un mucchio di cose.
La capiva, pur non avendo mai vissuto nulla di simile, la capiva bene. Perché lei si era appena aperta, e la verità è che non se lo aspettava affatto. Doveva essere frustrante, avere un ragazzo così oppressivo e “potente”, e l’idea di chiederle “Perché non lo lasci?” non gli passò nemmeno per l’anticamera del cervello. Non avrebbe concluso nulla, e a quanto pare il movente era legato al lavoro e al suo guadagno.
Se una gran parte di lui la ammirava, quella restante si chiedeva come mai, una donna così forte, non avesse il coraggio di mandare quel ragazzo al diavolo.
 
«Detto così sembra che lui ti abbia in pugno. Come immagini la tua vita? Vuoi che sia per sempre così? Credi che semmai tu dovessi scegliere di allontanarti da lui.. sarebbe così stronzo da farti licenziare?»
 
«Non credo, onestamente. E’ un ragazzo buono, alla fine.. sono io, a non volergli fare un torto.»
 
«Continuo a non capirti.»
 
«Non c’è niente da capire. Le cose stanno così.»
 
«Almeno.. lo ami?»
 
Mikasa lasciò andare di colpo la tazza, rovesciandola sul tavolo. Fortuna che ormai fosse vuota. Non si aspettava una domanda così schietta da quello che in fin dei conti restava uno sconosciuto, ma la verità è che, al di fuori di suo fratello, non aveva mai provato un sentimento a cui potesse attribuire il significato di amore. Voleva bene a Jean, ma no, non lo amava. Amava la vita, suo fratello Eren, amava anche i fiori e la cioccolata calda. Ma non amava quel ragazzo nel modo in cui ci si aspetta di amare un fidanzato. Era più diventata una sorta di abitudine.
 
«Non sono tenuta a dare spiegazioni.»
 
«No, non lo sei.» Doveva aspettarsi una reazione simile. Forse si era spinto troppo oltre. C’era qualcosa che lo spingeva a volerla conoscere sempre più, e ancora non riusciva a capacitarsene, non aveva mai avuto un interesse così ovvio e spiccato per qualcuno.
Adesso, Mikasa guardò altrove, un po’ turbata. Lui era sempre molto pacato, quando rispondeva. Per un momento pensò persino di essere stata troppo irruente.
Cercò di riparare, a modo suo.
«Ti chiedo scusa. Non avrei dovuto farmi i fatti tuoi.»
 
«Non c’è problema. Ma vorrei rendere le cose eque. Io non so ancora niente di te. Perché non mi parli un po’ di quel che—Levi, non spaventarti, ma due tipi loschi sono appicciati al vetro della finestra e ti stanno fissando.»
 
Levi non si girò nemmeno. Era già pronto a raccontarle qualcosa di sé, finché l’aveva udita interrompere la sua giustissima richiesta. Sospirò, picchiettando il tavolo con l’indice, impaziente.
 
«Fammi indovinare. Uno di loro ha il monociglio e l’altro ha la faccia di cazzo.»
 
«… Non posso affermare con certezza nessuna delle due cose, il vetro è un tantino appannato.»
 
«Puoi aspettarmi un secondo?» Si alzò in piedi, sistemandosi il colletto della camicia; prese al volo il cappotto e se lo infilò sbottando.
 
«Sì, certo.» Incuriosita, rimase a sedere composta, lanciando un’occhiata un po’ sbigottita ai due tipi.
 
Uscito dall’atrio del bar, si diresse a passo spedito verso i due uomini, sicuro di non sbagliarsi affatto.
 
«Adesso. Le opzioni sono due. O restiamo qui e ridiamo per tutto il tempo, fingendo di essere amici di vecchia data che si sono incontrati casualmente dopo una ventina d’anni, oppure sviamo in un vicolo cieco e vi spacco la faccia a ripetizione.»
 
«Levi, per l’amor del cielo! Eri sparito! Hai idea di quanto ti abbiamo cercato io ed Erw?» Mike gli rivolse uno sguardo preoccupato, ma non appena si ricordò delle due opzioni di Levi, iniziò a ridere a crepapelle, fingendo persino un mancamento per il troppo divertimento. «AHAH LEVI, MI FAI MORIRE!»
 
«… Testa di cazzo, guarda che i vetri sono spessi quanto la muraglia cinese. E non c’è bisogno che fai così, riprenditi.» Prese un enorme sospiro, infilando le mani in tasca. Stavolta, si rivolse direttamente ad Erwin. «Tu non dici niente?»
 
«Ho provato a dirgli che avevi i tuoi affari da sbrigare, ma mi ha praticamente trascinato fuori dal locale! Beh, ammetto che.. non appena ti ho visto in compagnia di quella SPLENDIDA fanciulla-» e qui rivolse attraverso il vetro un sorriso smagliante alla giovane, urlando a squarciagola la parola “splendida” «non ho potuto far a meno di dare un’occhiata. Vi state divertendo?»
 
«Gesù Cristo, ma volete capirlo o no, che non vi sente!? Che cazzo urlate!?» sbottò, voltandosi verso la ragazza, facendole un cenno cortese. Tornò a voltarsi verso i due presunti amici, fulminandoli con un’occhiata delle sue. «Adesso che sapete dove sono e come sto, che ne pensate di farvi i fattacci vostri e tornare al loca- Mike?» lo rimbeccò, vedendolo intento a fissare la ragazza oltre il vetro.
 
«Però, è proprio carina! Ma dove l’hai pescata?»
 
«Dall’oceano. Ehi, che ne dici se ci torniamo, ti ci lancio, e provi a vedere se ne trovi qualcuna anche per te?»
 
«Levi..» Erwin lo ammonì con un’occhiataccia.
 
«Cosa.»
 
«Nulla, nulla. Eravamo solo preoccupati, non credevo ti saresti allontanato dal locale. Poi, ti ricordo che in ogni caso sono io che guido, stasera. Quindi.. a casa dovrai pur tornarci.»
 
Merda. Quello non lo aveva considerato. Aveva persino pensato di accompagnare Mikasa, in un’eventualità remota in cui lei avesse acconsentito di essere lasciata a casa.
 
«.. Non ci avevo pensato.»
 
«Levi-»
 
«No, è tutto a posto, adesso vedrò di trovare una soluzione.»
 
«No, Levi, è che-»
 
«Eh? Va tutto bene, devo solo pensare.»
 
«Levi?» una voce femminile da dietro le spalle interruppe i suoi pensieri. Mikasa, avvolta nel suo cappottino nero e con un delizioso berretto rosso in testa, abbinato alla sciarpa dello stesso colore, fece capolino all’improvviso, confondendolo per un minuto buono.
 
«Che ci fai.. ehi, torna dentro, stai al caldo, arrivo subito.»
 
Mike ed Erwin stettero in assoluto silenzio, gustandosi la scena come due fan sfegatati. Con dei pop corn in mano sarebbero stati perfetti.
 
«No, no, non importa. Ero venuta a dirti che devo comunque andare. Domani mattina ho parecchie commissioni da sbrigare. Comunque ti lascio in compagnia, buona…serata e grazie per tutto» concluse la frase, rivolgendo un cenno molto educato ai due uomini, i quali ricambiarono con un sorriso a trentadue denti. Prima che potesse scappare via, Levi la afferrò per il polso, cercando di non essere troppo teatrale.
 
«Aspetta.» Ci mise pochissimo tempo a giungere ad una conclusione affrettata, e non gli piacque molto. «.. non avrai mica pagato tu?»
 
Mikasa roteò gli occhi un volta sola, assumendo un’espressione indecifrabile. Dopodiché gli sorrise, divertita, stringendo piano le dita attorno la Sua mano, come ad intimargli di stare tranquillo, e di lasciarla andare.
 
«Non sia sciocco. Ovvio che no. Ho già detto alla cameriera che ci avrebbe pensato “il tappetto lì fuori” a pagare tutto.»
 
«Mossa molto saggia.» Ammise di essere rimasto colpito, e in tutto quel frangente di tempo, dimenticò persino che Erwin e Mike fossero ad un passo da loro, ad osservarli e ascoltarli. La accompagnò pochi metri più avanti, in modo che solo lei potesse sentirlo. «Possiamo accompagnarti a casa.» A dire il vero, non gli andava molto che lei tornasse a casa da sola, a quell’ora della notte; eppure avrebbe capito, se lei si fosse rifiutata. Entrare in una macchina con tre sconosciuti, non sarebbe stato da lei.
E infatti, come ci si aspettava, lei rifiutò.
 
«L’ho già fatto molte volte, con i mezzi pubblici. Non abito molto lontano, e mi creda, se le dico che in ogni caso, so come difendermi
 
Non seppe cosa intendesse, con quella frase, che fosse una ragazza esperta di arti marziali? Ma ciò in cui si focalizzò fu il modo in cui gli si rivolse.
 
«..Un giorno ti verrà spontaneo, darmi del tu.»
 
«Sì. Un giorno. Questo lascia presumere che vuoi vedermi ancora?»
 
Quella domanda lo spiazzò per un attimo. Per quanto, inutile nasconderlo, avesse davvero voglia di vederla, non si aspettava di essere posto dinnanzi a quella schiettezza, tipica forse, di chi avesse diciannove anni e poco meno. Com’era lui, otto anni fa? Lei era tutta da scoprire; a tratti misteriosa, a tratti aperta come un libro. L’aveva vista sincera, quella sera, ad un passo dal sapere quello che la riguardasse appieno; quegli occhi solitamente spenti, si erano illuminati per una semplice pila di pancakes. Quanto ancora non sapeva di lei? E’ vero, avrebbe voluto rivederla, se a lei fosse andato bene, e nulla gli avrebbe impedito di fermarsi.
 
«Mi piacerebbe, non lo nego. E poi.. devo ancora parlarti di me.»
 
«Mh, è vero.. io non so praticamente niente di lei.»
 
«…»
 
«.. di te
 
La guardò negli occhi il tempo necessario per infonderle quella rassicurazione che solitamente si cerca negli sconosciuti. Gli occhi color ghiaccio solitamente non trasmettono troppa serenità, ma lui sperò nel profondo del cuore, che lei potesse vedere al di sotto.
 
E lo fece, a giudicare dalla sua espressione convinta, la punta del naso arrossata – sicuramente per il freddo.
 
«Il giorno del tuo compleanno. Potremmo pranzare insieme.»
 
Le ci volle un attimo per riprendersi. Nessuno le aveva mai chiesto di pranzare insieme. Era un appuntamento? Perché quell’uomo aveva tanto interesse nei suoi confronti?
 
«Sei un maniaco.»
 
«Forse.»
 
«Accetto molto volentieri.»
 
«Bene.» Ammise di essere rimasto molto colpito. Non credeva che avrebbe accettato subito, però fu parecchio felice di sentirla acconsentire. «Puoi darmi un recapito? Indirizzo? Numero di telefono?»
 
«Ah- uhm, o-ok, le do il mio numero di telefono. In ogni caso, preferirei passare io dal suo ufficio, che ne pensa? Mi faccio trovare lì e andiamo.» Disse con fermezza, estraendo un foglietto di carta e una penna dalla sua borsa. Cos’altro aveva lì dentro? Non si sarebbe stupito affatto, se ci avesse uscito pure una casa a quattro piani.
Qualcosa nel suo tono di voce, sembrò improvvisamente schivo, ma Levi non le chiese altre spiegazioni, si limitò ad annuire, rinunciando a priori nel proporle un “passaggio”, e prese il fogliettino di carta piegato, conservandolo direttamente nella tasca del cappotto.
 
«Va bene. Buona serata allora, e sta’ attenta.»
 
«Sì. Buona serata anche a.. voi.»
 
Non si allontanò subito. Mimò qualcosa a bassa voce, Levi ebbe l’impressione che si fosse trattato di un “Grazie”, ma non ne fu sicuro. La lasciò andare, le staccò gli occhi di dosso solo quando, giustamente, voltò l’angolo e sparì dalla sua visuale. Non si premurò nemmeno di voltarsi verso quei due, chissà cosa stavano dicendo alle sue spalle.
La prima cose che fece, fu entrare in quel bar e rivolgersi alla cassiera, e per poco le venne voglia di inseguire Mikasa e picchiarla, nello scoprire che il conto era già stato pagato.
 
Uscì come dal bar come una furia, tanto che per poco ad Erwin non prese un colpo.
 
«Tutto bene? E’ carina, comunque! Quanti anni ha?»
 
«Già, quanti anni ha?» Incalzò Mike, con la sua solita faccia da perso nella nebbia.
 
«Non credo siano affari vostri.» E con “vostri” era chiaro si riferisse solo a Mike; sperava che Erwin in qualche modo fosse in grado di capirlo, e vista la loro complicità, sperò che lo facesse anche piuttosto in fretta.
 
«Va bene, giovani, che ne dite di tornare a casa? Si è fatto tardi!» Erwin tagliò la discussione, battendo le mani; forse, proprio perché aveva afferrato il concetto. Levi era sicuro che di lì a quella notte, avrebbe ricevuto un suo messaggio, ma in ogni caso ne avrebbero parlato in ufficio.
 
Chiudendo lì la discussione, si diressero in macchina, posteggiata non troppo lontano dalla loro attuale posizione. Erwin cercò in tutti i modi di evitare le imprecazioni di Levi, del tipo “Ma dove l’hai messa la macchina!? Facevo prima a tornare a casa a piedi” o “Sto arrivando al Polo Nord, ho scambiato Mike per l’uomo delle nevi” e con tutta la calma del mondo, accompagnò a casa prima Mike – il quale salutò calorosamente entrambi, per sfortuna di Levi – e poi il migliore amico.
 
«Dunque?» Erwin spense il motore, il parcheggio impeccabile.
 
«Dunque cosa? Dovrei essere io a chiedere “dunque” a te.»
 
«Ahah! E’ vero!» La risata sonora di Erwin era inconfondibile. «Che posso dirti, Levi. Ho visto come la guardavi al pub. Una sera, sono uscito, per mera coincidenza mi sono ritrovato in quel locale e l’ho riconosciuta subito. Perciò ho pensato sarebbe stato carino fartela ritrovare, visti i tuoi sguardi persi l’ultima volta che abbiamo ordinato dei panini. Devo dirti che non aveva una parrucca, però, perché ero così ubriaco che se avesse indossato quell’ammasso di peli rossi, l’avrei scambiata per un peperoncino formato gigante, ahah! Insomma, l’ho riconosciuta perché era senza, capisci? Ahah!»
 
«Gesù Cristo.»
 
«Sì, comunque», si tolse i guanti, sgranchendosi le mani «è davvero bella, e ha una voce molto melodiosa. E’ riuscita persino a coprire i conati di Mike, quella volta.»
 
«… Io non la guardo in nessun modo. E’ ancora quella storia, Erwin? Stai cercando di farmi mettere su famiglia? So badare a me stesso, e poi non mi piace.»
 
«A te fanno schifo i panini in genere. Specialmente quelli con la zucchina. E tu vuoi mangiare sempre in quel posto, ultimamente. Quando l’altra volta non l’hai vista, ne hai ordinati due per disperazione, aspettando che lei spuntasse. Andiamo, Levi, siamo migliori amici da un sacco di anni, sai che non mi sfugge niente!»
 
Era vero, erano migliori amici da un sacco di tempo, e non c’era nulla che ad Erwin passasse inosservato.
 
«… Apprezzo le intenzioni. So che non lo fai per male. E ti ringrazio.»
 
«Di nulla.»
 
«E non ti ho ancora perdonato per aver portato quella quaglia di Mike con noi.»
 
«E’ un amico a cui tengo molto, e.. sì, beh, so che non ti va molto a genio, ma mi piacerebbe che provaste ad andar d’accordo. Puoi provare a farlo per me?»
 
«.. No.»
 
«…»
 
«…»
 
«… La prossima cena la offro io.»
 
«Dici sempre così, vigliacco.»
 
«Tornando seri.. quanti anni ha, la fanciulla?»
 
«Diciannove la prossima settimana.»
 
«.. Diciannove?»
 
«Sì. Che c’è, hai cambiato idea, adesso? Non ci devo mettere su famiglia, siamo sempre lì.»
 
«No, no! E’ vero, per divertirsi va più che bene!»
 
«Neanche. Non sono quel tipo.»
 
«Hai almeno concluso qualcosa..?»
 
«Che cazzo stai dicendo?»
 
«Insomma, vi siete..?»
 
«Mio Dio. Sì, Erwin, abbiamo passato una notte di fuoco intensa, stuprandoci a vicenda nel bagno di quel bar, con i pancakes spalmati addosso.»
 
«E’ pur sempre un’ottima fantasia. Si vede che sei in astinenza.»
 
«Fottiti con uno scopino sturacessi.»
 
«…»
 
«..Ho il suo numero, comunque.»
 
«Ah, almeno è una buona notizia!»
 
Levi spiegò il fogliettino, estraendolo dalla tasca del cappotto. Per poco non bestemmiò in otto lingue diverse, nel leggerne il contenuto. L’espressione divenne così tetra e spettrale che Erwin si preoccupò seriamente stesse avendo un mancamento. Alla fine, ebbe la curiosità dirompente di affacciarsi e leggere assieme a lui; per poco non si strozzò dalle risate.
 
Levi ripiegò il foglio con un’espressione mista tra l’ira e la delusione; slacciò la cintura e scese dalla macchina, lasciando un Erwin alle prese con un attacco isterico di risa sonore.
 
“Quella ragazza…” pensò tra sé e sé, una volta messo piede all’interno del suo appartamento.
Posò il bigliettino sul mobile del salottino, più lo osservava, più avrebbe avuto voglia di incendiarlo con un solo sguardo.
 
Gli diede un’ultima occhiata, prima di slacciarsi la cintura e dirigersi verso il bagno, dove una doccia bollente lo avrebbe atteso, sciacquando via i pensieri di una serata fin troppo lunga.
 
 
 
 
 
“Non sono un numero di telefono.
Ah, non se la prenda per il conto. Lei mi offrirà il pranzo.”
 
- Mikasa
 
 ________________________________________________________________________________________________
 
 
 
 
 
 
 
Dedico questo capitolo alla mia Nexys, sperando che sia alla sua altezza <3
Ah, prometto che la prossima volta, ci sarà qualcosa di PORN PORN.
CIAO.
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: Nayuki911