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Autore: Evee    21/12/2014    2 recensioni
~ sequel di “The White Lady who lost her soul”
Kisara è finalmente libera, ed ora che ha ritrovato i suoi ricordi sente di essere anche pronta ad aprire il suo cuore e buttarsi alle spalle il suo triste passato.
Ma presto scoprirà che il passato non ha ancora finito con lei... Anzi, con loro. Perché Seto ha voluto salvare la sua anima, ma purtroppo ogni scelta comporta sempre una conseguenza. E lui ne ha fatto una che rischia di pagare molto, troppo caro. Lei, però, non ha la minima intenzione di permettere che accada.
E poi gliel'aveva promesso, che lo avrebbe protetto per sempre.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kisara, Seto Kaiba
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dark Blue Saga'
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II - Unfinished business

 

{'Cause you've got blood on your hands
And I know it's mine

I just need more time
So, get off your low and let's dance like we used to
And there's a light in the distance
Waiting for me, and I will wait for you
So, get off your low and let's kiss like we used to}

 

Così non poteva andare avanti.

Ci aveva meditato su per l'intero fine settimana, dunque si era decisa: il lunedì mattina si svegliò appositamente mezz'ora prima, si vestì il più rapidamente possibile e poi scese di soppiatto in cucina per procurarsi qualcosa come colazione. Ma, proprio mentre stava attraversando l'atrio già vittoriosa, una voce la gelò sul posto, impedendole di raggiungere l'uscita.

-Dove credi di andare?-

Kisara si voltò in direzione delle scale, incrociando lo sguardo severo del suo datore di lavoro. Deglutì con fare colpevole, e si scostò dagli occhi una ciocca che non era riuscita a legare assieme agli altri capelli, maledicendola. Se non avesse inutilmente perso del tempo a cercare di sedare quella sua ribellione, forse sarebbe riuscita a farla franca.

-Al lavoro.- rispose quindi, cercando di suonare noncurante.

Kaiba corrucciò le sopracciglia con disappunto.

-E, di grazia, come pensavi di fare visto che io mi trovo ancora qui?-

-In tram.- azzardò lei, con una risposta che aveva più il tono di una domanda.

-Non dire idiozie.- la rimbeccò -Ci impiegheresti una vita, e non vedo perché dovresti quando puoi venire insieme a me.-

Kisara socchiuse gli occhi, sopprimendo un sospiro. Ormai tanto valeva vuotare il sacco.

-Lo so, ma credo che se iniziassi ad andarci per conto mio sarebbe più... professionale, ecco.-

Lui allora le si avvicinò, studiandola con i suoi implacabili occhi di ghiaccio.

-Perché?- le domandò, il tono pericolosamente irritato -Qualcuno ti ha forse fatto dei problemi al riguardo?-

Lei si affrettò a scuotere la testa, prima che con un'eventuale titubanza finisse per mettere nei guai i suoi colleghi, proprio ora che i rapporti con loro avevano iniziato a migliorare.

-No, per niente.- mentì -Ma sto già approfittando fin troppo della tua ospitalità, e non voglio dare l'impressione di ricevere un trattamento di favore dal mio capo.-

E, contro ogni suo pronostico, lui non parve risentirsi per quella considerazione, ma annuì piano.

-Sì, capisco quello che intendi.- mormorò, abbassando lo sguardo -Ma non è necessario che tu prenda il tram. Dirò ad Isono di metterti a disposizione una delle nostre vetture.-

Kisara scostò nuovamente la ciocca che, imperterrita, le era ricaduta sul viso, sempre più a disagio.

-Il fatto è che non avrei la patente per usarla.- fu costretta ad ammettere -Ho solo quella per le moto...-

Tra l'altro, falsa. Ma per sostenere l'esame si sarebbe dovuta iscrivere ad una scuola guida, il che avrebbe richiesto dei soldi e, soprattutto, una regolarità nella frequenza che non si sarebbe mai potuta permettere. E in ogni caso le andava bene così, perché avrebbe comunque preferito muoversi su due ruote: il cubicolo stretto delle auto le provocava sempre un senso di claustrofobia, per non parlare poi della prigionia inflitta dalle cinture di sicurezza. Invece su una moto la sensazione di controllo alla guida, la possibilità di scivolare agile nel traffico, lo sfidare in velocità l'aria sferzante, erano qualcosa di semplicemente impareggiabile.

Qualcosa che aveva il sapore della libertà.

-Vorrà dire che te ne farò avere una.- le annunciò allora Kaiba.

 

*

 

Non poteva credere ai propri occhi.

Quella sera stessa, quando era uscita dalla Kaiba Corp., aveva trovato ad attenderla sulla strada nientemeno che una Kawasaki Ninja 300. Kaiba doveva averle letto nel pensiero, perché era la moto che aveva sempre desiderato... Ma, proprio per quello, sapeva perfettamente quanto costava. Ossia troppo. Per quanto le avesse promesso una paga oltremodo generosa, avrebbe impiegato anni per mettere da parte gli 8 milioni di yen necessari per acquistarla.

-Non posso accettarla.- gli disse con riluttanza.

Lui per tutta risposta le mise in mano le chiavi.

-Non fare storie.- la redarguì severo -E' già intestata a tuo nome.-

E con ciò, sedò sul nascere ogni sua ulteriore rimostranza. Sapeva che avrebbe dovuto dire qualcosa per ringraziarlo, ma venne sopraffatta dalla commozione e riuscì solo a sorridergli: non c'erano parole per descrivere quanto gli fosse grata. Perché, se già era innamorata di quella moto, in quel lucente bianco perlato le parve ancora più splendida.

E la scelta di quel colore non poteva essere stata casuale.

 

***

 

Non glielo disse, ma quel sorriso radioso bastò a ripagarlo di ogni singolo yen speso, ed anche di più.

Avrebbe dovuto rinunciare alla sua compagnia durante gli spostamenti in auto, ma forse era meglio così. Era giusto che avesse i suoi spazi. E poi, l'entusiasmo che le brillava negli occhi quando montava sulla sella ed accendeva il motore, l'ondeggiare disordinato dei suoi capelli al vento quando sfrecciava in strada, il viso arrossato e felice che si svelava quando toglieva il casco dopo una corsa, gli scaldavano sempre il cuore.

In fondo, il vero regalo l'aveva fatto a se stesso.

 

***

 

-Aibara!-

Kisara si bloccò a metà corridoio, volgendosi verso il giovane che l'aveva appena appellata con voce fredda ed imperiosa. D'altronde in pubblico le si rivolgeva sempre così, ed anche lei preferiva si mantenesse un certo distacco. Solo quando erano soli la chiamava per nome. Il suo vero nome. Un tempo il solo sentirglielo pronunciare le era intollerabile, ma ora le faceva persino piacere il suono che aveva sulle sue labbra. Sapeva di autentico, come quello che c'era tra loro... Qualunque cosa fosse. Ma, proprio perché non riusciva a definirlo, lei non si era ancora decisa su come dovesse rivolgersi a lui. Tutti lo chiamavano “Kaiba”, ma ora le sembrava troppo impersonale e indegno dell'evoluzione che aveva avuto il loro rapporto... E poi sarebbe stato falso, perché lui rispondeva a quel cognome tanto quanto lei a quello di Aibara. Ciononostante, usare il suo nome proprio era fuori discussione. Solo suo fratello osava farlo, il che ne rendeva l'utilizzo ancora più intimo di quanto già non fosse. E tra loro non c'era affatto simile confidenza, né voleva infastidirlo con un pretenzioso tentativo di crearla.

Per cui, ovviando il problema, non lo chiamava affatto.

Lo raggiunse sollecita, domandandosi per quale ragione l'avesse fermata.

-Sei in ritardo.- la riprese tagliente.

Kisara si morse inavvertitamente un labbro, colta di sorpresa. Era continuamente testimone di quanto Kaiba potesse rivelarsi un vero bastardo al lavoro, ma non si aspettava che arrivasse a riprenderla per neanche dieci minuti di ritardo. In realtà non era nemmeno da lei una tale negligenza, ma quella mattina aveva finito per cedere alle recenti ed infaticabili insistenze di Mokuba perché lo accompagnasse a scuola in moto. Cosa che, ne erano consci entrambi, il suo iperprotettivo fratello non avrebbe di certo approvato, motivo per cui si erano reciprocamente promessi di tenergliela nascosta. D'altronde, il piccolo Kaiba sapeva essere a parole tanto persuasivo quanto il maggiore indisponente. E poi, sotto sotto, aveva finito per affezionarsi a lui... Perciò preferiva evitargli una ramanzina e lasciare che il fratello se la prendesse con lei, piuttosto. Anche se, non incrociandolo spesso al lavoro, aveva sperato non si accorgesse affatto di quel ritardo ingiustificabile. Ma aveva sperato male. Certo che non gli si poteva nascondere proprio nulla...

Per sua fortuna, però, non ebbe bisogno di inventare scuse, perché prima che potesse replicare lui la superò a passo sostenuto.

-Lascia stare.- tagliò corto -Muoviti, ho una conferenza stampa tra meno di un quarto d'ora.-

Lei allora richiuse la bocca e si affrettò con prontezza a seguirlo.

-E' per l'annuncio del torneo?- si informò.

-Sì.- rispose laconico.

Lo sospettava. In realtà, era dal suo primo giorno che tutto il personale era in fermento per l'edizione annuale di Battle City. Quella sarebbe stata la terza, e sembrava che organizzarla fosse ormai una specie di tradizione per la Kaiba Corporation. Aveva sentito dire dai suoi colleghi che il loro presidente contava di fare le cose in grande, e di superare il precedente record di iscritti... Tuttavia, nessuno sapeva ancora se tra questi ci sarebbe stato pure lui.

-Parteciperai anche tu?- osò chiedergli, incapace di trattenersi.

A quella domanda lo vide irrigidirsi, e la sua andatura tentennare.

-No.- rispose poi, perentorio -E' parecchio tempo che non duello, e comunque non potrei più ricominciare a farlo.-

Dunque allungò il passo, cercando di sfuggirle. Ma lei non intendeva demordere. Anzi, quella risposta irragionevole non fece che aumentare la sua curiosità. Non capiva davvero per quale ragione non potesse più fare qualcosa in cui, almeno a detta di tutti, non solo era abilissimo ma si era anche talmente appassionato da farne il cuore della sua stessa società.

-Ma... perché?!?- insistette, standogli dietro con ostinazione.

Lo vide stringere le labbra, presagio di una replica gelida che non tardò ad arrivare.

-Sai com'è, ho scelto di restituire i miei draghi bianchi ad una certa persona.-

Questa volta fu il suo turno di rimanere indietro, mortificata.

-Sì, questo lo so...- mormorò piano.

Tuttavia, c'era ancora qualcosa che non sapeva. Qualcosa che continuava a sfuggirle, e causa di quel dubbio che la sopraffaceva tutti i giorni, ogni volta che incrociava con lo sguardo gli occhi blu di quei tre magnifici draghi che l'accoglievano quando si recava al lavoro.

Quegli occhi così simili ai suoi da potersi specchiare in essi.

Il che non era una coincidenza, gliel'aveva già detto. Eppure, nonostante le tante parole scambiate quella notte sul loro passato, sentiva che nessuno dei due aveva affrontato la questione più importante di tutte. Perché c'era una ragione se la giovane donna cui assomigliava aveva scelto di sacrificarsi per quel sacerdote, e se il suo spirito aveva deciso di vegliare per sempre su di lui. Meglio, più che una ragione, un sentimento... che lei non aveva mai conosciuto in prima persona, ma che ricordava alla perfezione. Perciò, avvertiva tutto il bisogno di scoprire se si trattava dello stesso che, un tempo, l'aveva portato a piangere sul suo corpo...

E se era sempre quello che, dopo millenni, l'aveva spinto a legarsi tanto a quella carta e a rischiare tutto pur di aiutarla.

 

***

 

Provò una fitta dolorosa nell'udire la sua voce tanto avvilita, ma si sforzò di ignorarla.

Dannazione. Non gli piaceva trattarla male, ma quella volta se l'era proprio andata a cercare. Le aveva già spiegato ciò che significava per lei il Blue-Eyes White Dragon, ma non aveva intenzione di rivelarle anche l'importanza che aveva avuto e continuava ad avere per lui, e di certo non in quel momento.

Prima che potesse raggiungere le porte dell'ascensore, però, parlò ancora.

-Non potresti utilizzare altre carte?- osò proporgli.

Allora si fermò, e volle guardarla dritto per mettere le cose ben in chiaro. Grandissimo errore, come realizzò nel sentire la sua determinazione vacillare. Tutta colpa di quegli occhi blu... Tanto da essere quasi blu scuro, ma non uno cupo, perché in profondità vi si scorgeva una luce così pura che poi era impossibile smettere di fissarla, non desiderare possederla. Ma quella era troppo lontana, troppo sua per poter essere raggiunta, e inseguirla finiva solo per abbagliarlo, per fargli abbassare le difese.

-Non sarebbe la stessa cosa.- le disse.

“Non saresti tu”, intendeva dirle.

E magari l'avrebbe fatto, se fosse stato solo un po' più coraggioso. Ma se lo fosse stato per davvero, si sarebbe spinto anche a scostarle quella ciocca argentea che nascondeva indebitamente i suoi occhi preferiti. Ed allora, forse, avrebbe persino osato trattenerle il viso per avvicinarlo al suo. Per scoprire il sapore di quelle labbra socchiuse, che provocatorie lo sfidavano a baciarle.

Allungò istintivamente una mano verso Kisara, ma come vide i suoi occhi spalancarsi dallo stupore ritornò in sé: cercando di apparire naturale, all'ultimo deviò il suo gesto per chiamare l'ascensore dietro di lei. E se ne pentì subito.

Di quale delle due azioni, però, non avrebbe saputo dirlo.

 

***

 

Il tragitto in ascensore fu quantomai silenzioso, ed imbarazzato.

Almeno, per lei lo fu di sicuro. D'altronde, il cuore le batteva sempre più veloce quando gli era vicina, anche se non riusciva a distinguere se solo per l'amore di un tempo o per quel qualcosa che effettivamente provava per lui. Perché sì, certo, gli era immensamente riconoscente per tutto ciò che aveva fatto e continuava a fare per lei, e più imparava a conoscerlo più sentiva di stimarlo ma... non si trattava solo di quello.

No, c'era anche quell'incontrollabile, destabilizzante attrazione che mai aveva avvertito prima.

Tuttavia, per quanto Kaiba fosse innegabilmente bello, non era il suo aspetto ad esserne la vera causa. Anche Kurosawa lo era stato, eppure non le faceva un simile effetto, neppure quando ancora lo considerava il suo protettore, anziché uno schiavista come quando il tempo e le sofferenze inflitte gliene avevano offerto una visione ben più disillusa. Riusciva a vederne ancora gli occhi verdi, perfetti ed ammalianti, ma dietro quell'apparenza terribilmente spietati e crudeli. Invece, quelli azzurri di Kaiba erano così freddi da risultare gelidi e taglienti, però... se gli si dava fiducia svelavano un fuoco nascosto, e se si aspettava pazienti arrivavano a trasmettere un calore davvero stupendo. Ecco, era proprio per quel fascino più profondo, se riusciva a farla fremere al suono avvolgente della sua voce, a catturarla quando la fissava con il suo sguardo magnetico, ad incantarla ad ogni gesto sicuro delle sue mani...

Come quello che, giusto un attimo prima, le aveva fatto credere, se non desiderare, che intendesse baciarla.

 

***

 

Il tragitto in ascensore fu troppo silenzioso, e fastidioso.

In realtà, lui non sentiva mai la necessità di parlare con qualcuno giusto per il gusto di farlo, ciononostante dopo quanto appena successo ne sentì tutta l'impellenza, e la sua più assoluta incapacità. Non che fosse successo davvero qualcosa, ma avrebbe potuto, e temeva che anche lei l'avesse percepito. Scrutò di sottecchi Kisara, cercando inutilmente di capire cosa le stesse passando per la testa, ma quella ragazza gli continuava ad apparire più impenetrabile di una torre d'avorio... e troppo irresistibile per non desiderare scalarla.

Involontariamente i suoi occhi scivolarono lungo la sua schiena ed oltre, indugiandovi ben al di là di quanto consigliasse la comune decenza. Quando se ne accorse, e soprattutto prima che potesse farlo anche lei, sbatté le palpebre e si impose di distogliere lo sguardo. Represse un'imprecazione. Odiava ammetterlo, ma con quel completo scuro, dal taglio maschile ma perfettamente adattato ad ogni sua forma, era davvero attraente.

Ma esisteva forse qualcosa con cui non apparisse così, irrimediabilmente sexy?!?

I primi tempi aveva pensato fosse unicamente un suo problema, ma poi aveva iniziato a notare gli sguardi lascivi che le dedicavano più o meno di nascosto gli altri uomini. Il che gli aveva confermato che non si trattava solo di una sua impressione e, soprattutto, gli ingenerava il puntuale desiderio di cavar loro gli occhi con le sue stesse mani. Ma se avesse ucciso o anche solo, più civilmente, licenziato tutti quelli che mostravano interesse per lei, era verosimile che avrebbe dovuto sbarazzarsi della quasi totalità del suo personale maschile. E forse anche di parte di quello femminile.

Il suolo sotto ai suoi piedi gli venne improvvisamente a mancare, ed il ronzio di sottofondo che aveva accompagnato i suoi pensieri si interruppe, anticipandogli che l'ascensore aveva ultimato la propria corsa. Al che si maledisse per essersi lasciato andare a tal punto, anziché rimanere concentrato su un discorso che in quel momento faticava a ricordare. Ma forse non avrebbe neanche dovuto chiedere che fosse Kisara ad accompagnarlo, considerando che nel giro di cinque minuti era riuscita a fargli desiderare di dedicarsi con lei ad altre attività, e per ben due volte...

“Ok”, si impose, “ora basta”.

Non appena le porte dell'ascensore si aprirono, scattò fuori dal vano per farla uscire, se non dalla testa, quantomeno dalla vista, e si diresse risoluto verso la sala conferenze.

Ma non riuscì a raggiungerla.

Svoltato l'angolo, si imbatté in un gruppo di persone parate davanti all'ingresso, pronte a sbarrargli la strada. Tuttavia non si trattava della solita, fastidiosa folla di giornalisti, ma di una mezza decina di poliziotti inequivocabilmente in sua attesa. E quella circostanza lo innervosì ancor di più perché, a prescindere dall'eventuale impellenza delle ragioni per cui fossero lì, rappresentavano di certo un contrattempo quanto mai inopportuno sulla sua già arretrata tabella di marcia.

-Che diavolo succede?- sbottò.

Eppure, avrebbe dovuto rendersi conto da solo di quello che stava accadendo. L'avrebbe dovuto leggere nello sguardo inquieto del detective Mori. L'avrebbe dovuto intuire dall'atteggiamento a lui ostile degli agenti al suo fianco. L'avrebbe dovuto presagire dal brivido freddo che gli percorse la spina dorsale, e dal pallore mortale che aveva assunto il viso di Kisara.

Ma, prima che potesse farlo, due poliziotti lo presero ai lati e si ritrovò con i polsi ammanettati. L'espressione di Mori, se possibile, si fece ancora più grave.

-Signor Kaiba, la dichiaro in arresto per l'omicidio di Riichi Kurosawa.-

 

[perché hai del sangue sulle tue mani
ed io so che è il mio

ho solo bisogno di più tempo
dunque, scrollati di dosso la tua malinconia e balliamo come facevamo una volta
e c'è una luce in lontananza
che mi aspetta, ed io aspetterò te
dunque, scrollati di dosso la tua malinconia e baciamoci come facevamo una volta]

 

Evee's corner

 

H^o^la!

Ordunque, dopo una tormentata operazione di taglia-e-cuci mi sono rassegnata e, non riuscendola ad imbrigliare, ho finito per dare più spazio del previsto alla mia vena romantica anche in questo capitolo, sig sob. Ditemi voi se avete apprezzato o vi ho fatto venire la carie per la troppa melassa. Comunque non esultate/disperate perché, come avrete intuito dalla conclusione, d'ora in avanti si cambia musica... Anzi, a proposito: preciso che la canzone che ho scelto stavolta è una cover dei White Lies e, a mio modesto parere, la versione dei Mumford and Sons è persino migliore dell'originale.

Grazie mille di essere qui, e alla prossima domenica... anzi, no. A mercoledì, perché come regalo di Natale pubblicherò un nuovo capitolo di “The little brother... etc” davvero speciale, a colmare i vuoti di questi primi due capitoli.

XOXO

- Evee

   
 
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