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Autore: JKEdogawa    21/12/2014    1 recensioni
Se non avete letto Jikan Eleven, non capirete nulla. Se lo avete letto capirete poco. Se avete intenzione di leggere Jikan Eleven-Convergent vi lascerà con un mucchio di domande.
Non c'è molto da dire: alcuni giocatori hanno sogni strani che potrebbero cambiare per sempre la loro vita. Questi sogni sono raccolti in Jikan Extra e potrebbero sorprendervi. Sono sogni che solo persone speciali possono fare, persone con una capacità unica. Una capacità da Ultra Evoluti che solo in Jikan Eleven-Convergent sarà spiegata.
Questo è Jikan Extra. Spero vi piaccia.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Tutta un'altra Inazuma'
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ERNEST

Si guardò intorno spaesato. Un attimo prima era in un bellissimo prato fiorito che tirava calci al suo pallone-reperto ed un attimo dopo si trovava a casa sua a guardare se stesso ed una ragazza stesa sul suo letto. Cosa stava succedendo? Non aveva mai visto quella ragazza, come poteva sognarla? Forse era una creazione della sua testa, eppure gli sembrava impossibile di aver creato una situazione così.
<< Soccorri la ragazza ed aiuterai te stesso.>> gli disse il se stesso guardandolo negli occhi<< Lei è come te e ti aiuterà a capire. Ci uniremo presto, Ernest.>>.
A quel punto il sogno si dissolse come sabbia trasportata dal vento ed il ragazzino si ritrovò nel buio più completo. Il vento raccolse anche lui e lo sparò su quella che sembrava una spiaggia. Okinawa. Sì, si trattava sicuramente dell'isola più a sud del Giappone. Ma cosa ci faceva lì?
Non ebbe il tempo di scoprirlo che qualcuno o qualcosa lo prese per il colletto del pigiama e lo sparò senza troppe cerimonie fuori dal sogno con un “Tyler ha delle cose importanti da dirti, rammollito!”.
Spalancò gli occhi, scosse la testa e si guardò attorno. Era a casa sua, nel suo letto e si era appena svegliato.
<< Certo che si fanno dei sogni ben strani a volte.>> si disse scuotendo la testa<< Molto strani.>>.
<< ERNEST!>> lo chiamò sua madre dal piano di sotto<< SEI SVEGLIO? C'È TYLER AL TELEFONO!>>.
<< Tyler?>> era ancora un po' confuso<< Oh! Tyler! Arrivo!>>.

TYLER

Certo che quello era un posto ben strano.
Cunicoli stretti e cupi, nessuna finestra ne porte visibili. Sembrava un labirinto per prendere in giro dei topi. Come si chiamava? Tyler's box? Boh, lui non era un etologo. Sapeva solo che gli sembrava di camminare da ore e che quel posto non cambiasse mai.
Fece per svoltare a destra e si ritrovò se stesso che ansimava come se avesse corso.
<< Perfetto!>> esclamò<< Pure me stesso non si ritrova.>>.
<< L'uscita la trovano i migliori, sopratutto quelli fortunati come noi.>> disse il suo io stanco<< La storia vuole essere cambiata, quindi ci aiuterà ad uscire. Ricordatelo, Tyler, quando vi cattureranno.>>.
Una folata di vento fece sparire tutto in una nuvola di polvere mentre il ragazzino si sentiva come preso per i piedi da un arciere che lo lanciò a sbattere la testa contro un immenso pinguino completamente nero.
Si massaggiò la testa per la botta e si guardò intorno. Il bianco della stanza rendeva il pinguino gigante ancora più scuro e minaccioso, sopratutto con quegli occhi rossi che sembravano studiare accusatori il ragazzino. Braci ardenti che lo avrebbero incenerito al minimo errore, al minimo cenno di debolezza. Occhi da prozio Ray.
“Il segreto dei Dark.” risuonò nell'aria “Il potere che puoi creare pensando solo ai pinguini.”.
Tutto si fece buio e Tyler si svegliò con Izzy che gli tirava le coperte. La piccolina doveva essersi infilata nel suo letto durante la notte e lui non se n'era accorto. Quattro anni, occhi arancioni e capelli scuri.
“Stupida sorella minore.” pensò con uno sbuffo prima di stringerla in un abbraccio e ritornare a dormire.

EGIDE

Prima reazione: scappare.
Seconda reazione: attenersi alla prima reazione.
Eppure lui era lì, su quel campo che stava parlando con suo nonno Eugene. Insomma, lui. Un lui non spaventato che gli dava le spalle. Le voci non si sentivano, inoltre sembrava di essere in un altro mondo, estraneo a quello che era abituato a vivere. Un passato che lui non comprendeva a pieno.
Il suo io si voltò, poi disse:<< Lo so che hai paura, ma il coraggio sta nell'affrontarla.>> fece una pausa e sorrise<< Esattamente, vieni nel passato e combatti la paura, Egide!>>.
Subito dopo la visione si sgretolò come un pupazzo di neve nel microonde ed il ragazzo si ritrovò nella completa oscurità. Si guardò intorno colto dal panico, poi intravide un puntino luminoso. Si mise a correre verso quel puntino che si faceva sempre più grande fino a raggiungere un campo d'erba verde mossa dal vento. Era tutto così rilassante da agitarlo, poi si ricordò che era un sogno e fece un respiro profondo assaporando l'aria fresca. Per essere un sogno era parecchio reale. Un ragazzino più piccolo di lui stava steso nell'erba quasi sognante. Aveva i capelli verde pistacchio ed una divisa che lui non aveva mai visto.
<< Che bello! Ah! Questa sensazione è splendida, non trovi?>> disse a qualcuno di indefinito, tanto che Egide si guardò attorno per capire se parlava con lui<< Sarebbe bellissimo se potessimo assaporarla sempre.>> l'erba iniziò a seccarsi all'orizzonte<< Peccato che non si possa vivere nei sogni per sempre.>>.
Egide si svegliò con l'urlo di sua madre che gli trapanava le orecchie con il suo nome.
La testa gli faceva male come se gli avessero dato una botta per farlo dormire.
“Prima quel sogno su una roba chiamata calcio, ora questo.” pensò studiando il soffitto“Ma proprio a me devono capitare sogni così idioti!?”.

GREGOR

Il campetto al fiume. Tanti ricordi felici, sopratutto negli ultimi tempi con degli amici con cui condividere il tempo da trascorrere. La sabbia volava leggera trasportata dal vento, eppure a lui sembrava di vedere tutto attraverso un paio di occhiali da sole, tanto che provò a toglierseli, ma sul naso non aveva proprio niente.
Una palla gli sforò il ciuffo di capelli, poi si sentì trapassare da qualcosa. Ernest lo aveva appena superato passandogli attraverso e la cosa non gli piaceva troppo. Sembrava come essere svuotati, come se con l'amico se ne fosse andato qualcosa di lui. Blade mosse le labbra, ma non percepì alcun suono. Probabilmente era rivolto a qualcuno dietro di lui, così si voltò trovandosi di fronte a se stesso. Si guardarono interrogativi a vicenda, poi l'altro disse:<< è così che funziona, dunque.>> sorrise affabile<< Non temere, questo è ciò che sei, ciò che sarai e ciò che aiuterà tuo nonno,Gregor.>>.
Tutto evaporò come una pozza d'acqua riscaldata e Gregor si ritrovò a precipitare nel vuoto. Quando cadde rotolò a terra sentendo dolore come se fosse stato tutto vero. Un soffitto scuro illuminato da un pentacolo di neon lo sovrastava ed illuminava quello che sembrava un campo contenete mille sport diversi. C'era un angolo da calcio ed uno da basket, ma anche un quadrato di ghiaccio per gli sport invernali.
<< Il limbo è qualcosa che tutti i Cinquedea possono trovare.>> disse qualcuno nel nulla<< È dove tutto ciò che abbiamo provato a controllare si unisce rendendolo un posto unico. Non dimenticarlo, Greg. Tu puoi fare la differenza e cambiare la reputazione della nostra famiglia.>>.
Greg. Solo una persona lo chiamava così, ma era scomparsa molti anni prima, quando lui era ancora un bambino. Una persona che gli aveva promesso che sarebbe tornata.
<< Papà.>> disse aprendo gli occhi e scoprendosi con il braccio alzato a cercare di raggiungere qualcosa d'invisibile.
“Un sogno.” pensò “Certo, solo un sogno.”.

SYON

Divenne bordeaux e cercò un posto dove nascondersi, ma la ragazza gli passò attraverso come se nulla fosse. In quel preciso momento sentì come se Marceline gli avesse tolto qualcosa da dosso, un peso che gli impediva di sentire o di vedere. Si vide con il braccio teso quasi a volerla fermare, poi si voltò a guardarsi. Incrociare il suo sguardo lo lasciò interdetto.
Quello era lui? Era veramente lui? Non riusciva a crederci ad essere davanti a se stesso, eppure era lì e lo stava guardando, e pure intensamente. Come se fosse stato certo che era lì pronto ad ascoltarlo.
<< Non demordere.>> disse<< Sarà difficile e soffrirai, ma non demordere. È il momento di scoprire la verità, Syon.>>.
Il paesaggio prese fuoco in una fiammata mentre al suo posto come una pagina che si bruciava e mostrava i suoi segreti nascosti appariva quella che sembrava una cella, e lui vedeva il mondo dall'interno di essa.
<< Questa è la cella della tua mente.>> disse il fantasma di una ragazza oltre le sbarre<< Liberati dalle costrizioni che ti hanno imposto, sei l'unico su cui posso contare.>> sorrise inginocchiandosi mentre Syon si buttava letteralmente verso di lei<< Lo so, per te dovrei essere morta, mio piccolo eroe. Però ogni Blaze che deve fare un'avventura sembra che abbia una sorella da difendere o, nel mio caso da ritrovare. Neanche fossimo semidei.>> sorrise prima di svanire<< Ti voglio bene, fratellino.>>.
Syon si svegliò con la faccia sul cuscino e le guance rigate di lacrime.
“Possibile che Andromeda sia viva?” pensò guardando nell'oscurità una foto sul comodino “Possibile che tu sia viva, sorellona?”.

SVEN

Quegli uomini non gli piacevano. Non gli piacevano per niente. Non era il loro abbigliamento futuristico o la loro aria poco raccomandabile. Erano proprio loro che emanavano qualcosa di negativo. Era come avere i sensi di ragno dei fumetti che leggeva Hao. C'era qualcosa in quegli uomini che non lo convinceva per niente, qualcosa che gli faceva salire la rabbia.
Li vedeva di spalle e sembravano intenti a parlare con qualcuno davanti a loro. Si spostò appena per vedere di chi si trattasse ed il sangue gli si gelò nelle vene. Era lui, o almeno uno ragazzino identico a lui in tutto. Suo nonno Aitor no di certo, quindi era proprio lui.
<< Quando arriverà il momento scegli cosa ritieni più saggio.>> disse a sguardo basso prima che un ragazzino dai capelli arancioni più piccolo di lui gli si parasse davanti ed un muro di fiamme si formasse tra loro e gli uomini<< Decidi se stare con chi potrebbe ridarti tutto o chi ti ha difeso senza conoscerti, Sven.>>.
Tutto si dissolse come foglie che cadono da un albero, poi nel buio più completo si venne a formare una stanza piena di trabocchetti e trappole. Sven non era mai stato portato per quel genere di cose, anche se gli piaceva fare buchi in terra e nasconderli con dei rami o della terra e vedere le persone caderci dentro, non gli piacevano le reti o le pistole che vedeva. La passione per le buche doveva averla ereditata da nonno Scott, ma nessuno ne parlava molto. Non che molti potessero parlagliene. Sua madre era morta quando aveva cinque anni e suo padre lo aveva lasciato in affidamento chiedendogli scusa con le lacrime agli occhi.
<< Sei cresciuto, Sven.>> disse un uomo dietro di lui facendolo voltare di scatto<< Sembri proprio tuo nonno Aitor.>> s'incupì<< Avrei voluto essere un padre come lui.>>.
<< Ah! Adesso lo dici!?>> esclamò il ragazzino lanciandosi per dargli un pugno sulla pancia. Gli passò attraverso come fosse stato un fantasma. Rabbrividì sentendosi come privato di qualcosa e si voltò nuovamente a guardare l'uomo che non si era mosso.
<< Ascoltami.>> disse senza voltarsi, così Sven tornò davanti a lui<< Tu sei speciale, sei il figlio di due grandi difensori. Un po' monelli, bisogna ammetterlo, ma grandi. E soprattutto combattivi. Si come loro e potremo tornare assieme.>> si abbassò e gli appoggiò una mano sulla spalla<< Non credere a chi vuole la tua forza, Sven. Si fedele a te stesso e ricorda. Ti voglio bene.>>.
Si svegliò con il tamburellare insistente di un dito sulla fronte.
<< Sven, sveglia.>> disse una ragazzina di undici anni dai capelli rosa legati in due code basse. Portava un paio di occhiali da vista tondi<< Hai lezione, ricordi?>>.
<< Sì, giusto. Lezione. Solita routine alla Fireing, e chi se la perde.>> sbuffò alzandosi<< Magari venisse quel ragazzino che ho visto in sogno, Johanna. Magari.>>.

???

I ragazzini erano davanti a lei in quel campetto che odiava con tutto il suo cuore.
Quelle linee avevano rovinato la sua famiglia, avevano fatto morire suo padre e sua madre. Non poteva sopportare di vederle, come non sopportava quelle porte da hockey extra large e quei ragazzini a calciare il pallone uno verso l'altro. Calciare, la sola idea le dava ribrezzo.
Allo stesso tempo, però, quelle linee la attraevano come un orso con il miele. Desiderava correre, saltare, usare i piedi e colpire il pallone come quegli stupidi in fondo alla collina. Come faceva da piccola. Come aveva smesso di fare da tempo se non in casi di emergenza.
Distolse lo sguardo costringendosi al disgusto.
Quello era il male. Quello aveva solo fatto del male e tutti gli anni di allenamento dovevano servire per eliminarlo.
Il ragazzino in difesa(a suo parere il più stupido di tutti) si voltò a guardarla, poi sorrise e la salutò con la mano.
Lo ignorò appositamente, poi vide una se stessa immobile di fianco a lei. Che guardava sorpresa il campo. Rimase un po' lì, poi disse:<< Di la verità, non hai mai dimenticato, vero?>> guardò verso il cielo come a sperare che le cadesse addosso<< Non hai mai dimenticato la gioia che provavi, Ninive.>> e con ciò corse giù per la collina mentre un muro di ghiaccio isolava la ragazza dal sogno per sempre.
Si svegliò nella cella che le faceva da stanza e si stiracchiò con uno sbadiglio. Si alzò, si vestì con la divisa attillata scura e mettendosi una fascia color porpora sul braccio destro, poi fece per uscire fissandosi una specie di scatolina alla guancia destra.. Si voltò solo un attimo indietro verso le uniche cose che le erano rimaste.
<< L'unica gioia che provo è nel vedere il calcio morire.>> disse fredda e tagliente come una stalagmite.

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