Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Clockwise    22/12/2014    6 recensioni
Oscar Wilde, aforismi per l'animo complicato di Sherlock.
Fra violini, fantasmi, cravatte, neonate, manoscritti del '600, opere teatrali, i Queen, gigli e teschi.

Noi dobbiamo sopportare il peso di questo tempo triste.
Dire ciò che sentiamo e non ciò che conviene dire.
(Shakespeare, King Lear)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Fra le righe'
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Amanda
(eroi bucati, eroi dorati)
 
 
 
Ogni volta che uno ama, è la sola volta che egli è amato.
Oscar Wilde
 
 
 
Sposta il teschio leggermente più a sinistra. Ecco, era esattamente così quando l’ha trovato; con un po’ di fortuna, nessuno si accorgerà che ci ha giocato di nuovo.
«Amanda?»
La bambina si volta di scatto, con l’espressione di chi è stato colto con le mani nella marmellata – o, in questo caso, sul teschio di Sherlock.
«Ciao, zio Myc! Ciao, zio Greg!»
La bambina sorride e corre incontro ai due uomini, saltando in braccio a Greg Lestrade, che l’aspetta a braccia spalancate.
«Amanda, ti ho ripetuto decine di volte che non devi chiamarmi “Myc” e non sono tuo zio…» inizia Mycroft, avanzando nell’appartamento.
«Sei il fratello di Sherlock, quindi mio zio. E poi sei sempre qui, come lo zio Greg, quindi zio» argomenta la bambina, dalla sua posizione privilegiata nelle braccia del poliziotto. Questi solleva le sopracciglia divertito, mentre Mycroft stringe le labbra e fa oscillare l’ombrello, infastidito.
«In ogni caso, dove sono Sherlock e John? Sei da sola?»
La bambina scuote la testa.
«Pa- Sherlock è andato a fare la spesa e papà in lavanderia.»
I due sollevano le sopracciglia.
«A fare la spesa? Sherlock?» chiede Greg, incredulo. La bambina rotea gli occhi.
«È un codice. Quando dicono: “siamo andati a comprare una cravatta per Mycroft”, vuol dire “caso con la polizia”, visto che hanno fatto il nome dello zio Myc. Quindi “Sherlock è andato a fare la spesa” e “papà in lavanderia” vuol dire che papà e Sherlock sono insieme da qualche parte e io non posso venire. Pensano che io sia ancora una bambina, ma ho sei anni ormai!» spiega, con l’aria annoiata – tipicamente sherlockiana – di chi constata l’ovvio. Greg sorride e nota con la coda dell’occhio che anche Mycroft nasconde un sorriso.
«E ti hanno lasciata da sola?»
«C’è Mrs Hudson. È scesa un attimo perché doveva chiamare qualcuno al telefono.»
Greg annuisce.
«Bene, dovrò chiamarli, allora. Intanto lascio questi…» dice, facendo scendere la bambina e posando una scatoletta di cartone sul tavolo del soggiorno. Lei si solleva sulle punte per guardare, curiosa.
«Cosa sono?» domanda.
«Denti» risponde lui. «Da parte di Molly. Penso glieli avesse chiesti Sherlock…»
«Oh, tu e Molly vi sposerete e farete tanti bambini con cui potrò giocare, un giorno?» chiede Amanda, con fare innocente. Greg lancia un’occhiata a Mycroft, arrossendo in maniera esponenziale.
«I-io e M-Molly non… Cosa diavolo te lo fa pensare, insomma… N-noi non…»
«Sherlock dice che saresti il tipo perfetto per una come Molly» spiega Amanda, tranquilla. «Anormale al punto giusto. E poi ha detto qualcosa sullo zio Mycroft, ma non ho capito bene…»
«Parlerò con mio fratello e gli chiederò di non immischiarsi nelle questioni altrui, non tema, Ispettore Lestrade» assicura Mycroft, in tono professionale. Amanda fa una smorfia.
«Secondo me ci ha preso… Ma forse non si riferiva a Molly, ma a voi due!» esclama, illuminandosi. «Anche se sareste una coppia un po’ strana: insomma, tu sei vecchio» constata con una smorfia, all’indirizzo di Mycroft. Questi, al contrario di Greg, che assomiglia ad una teiera pronta a fischiare, non si scompone e sospira.
«Crescere con Sherlock lascia i suoi segni…»
Si volta verso la porta, facendo ondeggiare l’ombrello all’avambraccio.
«Di’ a Sherlock, per favore, che si occupi del caso Von Bork e dei suoi pesci rossi.»
«Signorsì signor capitano!» esclama lei, portandosi una mano alla fronte. Greg sorride e le scompiglia i capelli, ancora piuttosto rosso intorno al collo e alle orecchie.
«Devo andare anche io, piccola peste. Non combinare guai. E sta attenta a quello che dici» l’ammonisce benevolmente, abbassandosi alla sua altezza per guardarla negli occhi.
«Io dico la verità!» protesta la bambina. Lui scuote la testa sorridendo, dirigendosi verso la porta.
«Salutami Sherlock e John, anche da parte di Molly.»
Amanda annuisce. Quando la porta si richiude, zampetta di verso la libreria, chiedendosi dove siano questi pesci rossi.
 
~~~
 
«Greg era passato per dei denti.»
«Chi?»
John rotea gli occhi.
«Greg Lestrade
«Oh, già. Me li ha procurati Molly, devo metterli in quella soluzione acida per studiare che effetti ha il…»
«Ceniamo insieme?»
Sherlock si blocca. Sposta gli occhi verso John, il resto del corpo paralizzato.
«Cosa?»
John si stringe nelle spalle, le mani dietro la schiena, e gli rivolge un sorriso affabile.
«Ceniamo insieme. Da Angelo. Il caso è risolto. A Mrs Hudson non dispiacerà badare ad Amanda un altro paio d’ore: la adora.»
«Oh.» Sherlock annuisce, sentendosi improvvisamente stupido. A cosa diamine aveva pensato. «Certo.»
 
~~~
 
Amanda analizza con occhio critico il suo lavoro. Le proporzioni sono giuste, i colori anche, il chiaroscuro ben fatto… Oh, a Sherlock manca un braccio.
Si affretta a rimediare al suo errore, lanciando un’occhiata a Mrs Hudson, che smanetta con pentole e fornelli, canticchiando. Torna al suo disegno, sul retro di uno spartito: – spera Sherlock non si arrabbi, ma non c’era altra carta in giro – su uno sfondo multicolore, Sherlock, papà e lei nel mezzo.
Amanda non è un’esperta di relazioni interpersonali, ma conosce un po’ di biologia e sa che i bambini nascono da un uomo e da una donna – niente cicogne, Sherlock è stato chiaro a riguardo – e nel suo disegno una donna non c’è. Perché Amanda non ricorda nessuna donna che non sia Mrs Hudson o Molly, e nessuna delle due è la sua mamma. Ha conosciuto anche una strana donna con un bel nome, un rossetto rosso e un profumo molto buono, che sembrava essere molto amica di Sherlock e poco di papà, ma neanche lei è la sua mamma.
Non sa molto di lei – papà si arrabbia se Amanda fa domande sulla mamma. Ha soltanto una favola, che Sherlock le ha raccontato quella mattina, quando papà era uscito.
Inizia con c’era una volta, come tutte le favole, ma non finisce con vissero per sempre felici e contenti, perché è una favola vera.
 
~~~
 
«Mi dispiace. Abbi cura di loro.»
Le ultime parole, sussurrate a fior di labbra, in un viso calmo, sereno – tutto sommato, si fidava, si era sempre fidata.
«Mary…»
Una preghiera.
«Mary!»
Una supplica.
I grandi occhi chiari spalancati come pozze di cristallo.
«Cardenio
3-1-18-4-5-14-9-15: la chiave.
«NO!»
Silenzio.
 
~~~
 
Gli occhi di Sherlock erano distanti, come velati, mentre le raccontava le vicende di una coraggiosa Fata che aveva finto di parteggiare con il Mago cattivo per proteggere coloro che amava, combattendo in prima linea con un Cacciatore di Draghi e il Capitano dei Centauri; le labbra tese mentre descriveva gli ultimi istanti di una partita sanguinosa che era durata troppo a lungo e non aveva lasciato né vincitori né vinti. Alla fine aveva deglutito, la fronte corrugata, come chi cerchi di scacciare dalla bocca il sapore amaro di una medicina.
Amanda, seduta in grembo a lui, aveva reclinato la testa sul suo petto, in una posa che le era usuale, ormai.
«Perché papà non ne parla mai? Se la mamma era coraggiosa, perché non ne parla mai?» aveva chiesto la bambina, con un filo di voce. Sherlock l’aveva circondata con un braccio, strofinandole la schiena.
Come spiegarle tutte le aggrovigliate oscure vicissitudini che avevano preceduto e seguito la sua nascita?
Mary aveva fatto il doppiogioco sin dall’inizio, cambiando bandiera in corso d’opera, finendo per passare dalla parte degli angeli insieme a Sherlock; era stata punita.
Tom Butcher, figlio non riconosciuto di Lord Moran, braccio destro di Moriarty, ex-fidanzato di Molly Hooper, aveva eseguito la sentenza; la vendetta immediata di John non aveva consentito di capire per conto di chi avesse agito.
Moriarty rimaneva un’incognita che avrebbe perseguitato Sherlock fino alla fine dei suoi giorni, vivo nella sua mente, immortale doppio della sua anima.
John aveva odiato Mary, i primi tempi, non aveva nemmeno visitato la sua tomba, doppiamente tradito. Poi era giunto il perdono, le lacrime, un silenzio e una solitudine impenetrabili; solo Sherlock, ogni tanto, riusciva a fare capolino in quelle tenebre, per pochi, fugaci istanti. E poi, lentamente, giorno dopo giorno, la luce era ritornata nella vita di John, man mano che i ricordi e il dolore sbiadivano, e sorridenti sprazzi di presente avevano la meglio: il primo giorno di scuola di Amanda, un folle caso in cui si erano portati dietro la bambina, un assurdo Natale a casa Holmes, con tanto di Greg, Molly e Wiggins. E John si era riaffacciato alla vita.
Dopo un silenzio troppo lungo, Amanda si era offerta di preparargli una tazza di tè. Sherlock aveva aggrottato le sopracciglia.
«Papà prende sempre il tè quando è triste. Io lo so che non ha senso perché non c’è la setonina perché sta nel cioccolato…» aveva spiegato lei, stringendosi nelle spalle.
«Serotonina, non setonina» l’aveva corretta lui. Lei aveva fatto un gesto stizzito con la mano.
«Dettagli irrilevanti.»
Sherlock l’aveva sorpresa avvolgendola in un abbraccio – quand’è che avesse iniziato ad elargire abbracci a creature in miniatura comodamente acciambellate sul suo grembo era ancora da stabilire.
 
~~~
 
John non ha spostato la candela, stavolta. Sherlock non riesce a smettere di fissarla.
Effettivamente è un po’ presto per l’ora di cena, sono appena le sei, il locale è semivuoto –chissà cosa è preso a John.
«Ottime le lasagne» bofonchia John, la bocca piena. Sherlock mugugna il suo assenso, assorto, le lasagne appena toccate.
«Sherlock, non puoi continuare a non mangiare niente, capisco che la tua dieta fosse diversa, ma per una volta che non cucino io e il cibo è più che commestibile…»
«Tu non cucini male» lo interrompe Sherlock, serio. John fa un piccolo sorriso, scuotendo la testa.
«Meglio del take-away.»
«Oh, grazie» fa John, sarcastico, guadagnandosi un piccolo sorriso mentre l’altro si porta una forchettata alle labbra.
«È stasera, non è così?» domanda Sherlock di punto in bianco, dopo qualche istante di silenzio. John solleva lo sguardo.
«Mary» chiarisce, anche se non ce n’è bisogno. John annuisce, abbassa gli occhi.
«Sei anni oggi.»
Rimangono in silenzio; la candela brucia tutto l’ossigeno fra loro e a Sherlock sembra difficile respirare.
«Sarebbe così fiera di Amanda…» John prende un sorso di vino, gli occhi lucidi. «Sai, a volte mi chiedo dove abbiamo sbagliato, se avremmo potuto fare le cose diversamente, se avrei potuto salvarla, nonostante tutto…»
«Hai ucciso Butcher: hai salvato tutti noi.»
«Lei ha salvato tutti noi: se non avesse capito il collegamento, il codice… Credevo fosse al sicuro con Amanda, invece lei era con Mycroft e… Ci stava aiutando da lontano. Doveva dirlo ad alta voce, non poteva uccidere un uomo a cuor leggero, non più, lei…»
«Smettila, John.»
«è colpa mia, Sherlock…»
«Ho detto smettila.»
John rialza lo sguardo verso di lui. Piange. Anche Sherlock è scosso: ha serrato le dita intorno alla forchetta e stretto la mascella. Il suo senso di colpa è sconfinato, John non può neanche immaginare.
«Mi dispiace, io… Cambiamo argomento, scusa» dice John, facendo un gesto vago con la mano, prendendo un altro sorso di vino.
«Parlarne non ha più senso, lei…»
«Lo so, lo so, appunto, noi… Basta. Parliamo d’altro» mormora John, schiarendosi la gola.
Rimangono entrambi in silenzio per un po’.
«Amanda mi ha chiamato “pa’” l’altro giorno. Suppongo stesse per “papà”» racconta Sherlock, in tono apparentemente casuale. John saetta lo sguardo verso di lui.
«Lo faceva anche quando era più piccola, ma le ho insegnato subito a chiamarmi “Sherlock”: non volevo… si confondesse.»
I suoi occhi incontrano quelli di John; la luce della candela impallidisce a confronto.
«Non pensavo avrei mai detto una cosa del genere, ma…»
È il momento, non può più tirarsi indietro, ha rimandato troppo a lungo. Si è gettato, non si torna indietro (ha una paura folle, è terrorizzato) (lui non conosce l’amore, i sentimenti li ha sempre fuggiti, non li capisce, li teme, ha conosciuto soltanto il dolore che ne è derivato).
Gli occhi di John sono come il sole, fanno male, eppure non riesce a separarsene.
«Amanda è come una figlia per me. Ovviamente non posso sostituire Mary, ma lei non c’è. Ha dato la vita per noi, John. Io…»
Sarebbe bello che continuasse a chiamarmi “pa’”.
Fa un grande respiro. Sono così tante le cose che vorrebbe dirgli, le tiene dentro da anni, e ora sono tutte lì, sulle sue labbra, pronte a uscire fuori, ma gli occhi di John tremano alla luce della candela, lui rivede il sorriso di Mary e le parole battono in ritirata: non ancora. (Forse, un giorno. Per ora va bene così.)
John rimane in silenzio a lungo, abbassando gli occhi. Ripensa improvvisamente a quando l’ha conosciuto, ai sentimenti senza nome che ribollivano nel suo petto, che metteva a tacere nel silenzio della notte, alla voragine in lui dopo la caduta, alla burrasca tumultuosa quando l’ha rivisto. Quando parla, la voce è un po’ roca.
«È una bambina intelligente, non è vero?»
Sherlock sorride – anni e anni in quel sorriso.
«Tutta sua madre.»
John abbassa lo sguardo sulla sua mano, ed è come se le imponesse di muoversi solo guardandola. La mano si solleva e va a posarsi su quella di Sherlock, abbandonata accanto al piatto. Prima esitante, poi acquistando via via più ardore, la mano del detective freme e si gira sotto quella del dottore. Con una naturalezza sorprendente, le due mani si stringono, come se non avessero fatto altro tutta la vita.
E solo allora hanno entrambi il coraggio di guardarsi negli occhi, finalmente, nella luce abbagliante della verità, che era sempre stata lì, sin dall’inizio.
Impetuosamente, si alzano entrambi, incuranti dello stridere delle sedie e dei bicchieri traballanti, del generale frastuono del mondo, e si aggrappano l’uno all’altro in un abbraccio che sa di disperazione, perdono e attesa. John seppellisce il viso nel petto di Sherlock, come aveva osato sperare di fare tanti e tanti anni prima; Sherlock tiene le testa di John ferma lì, vicino al suo cuore, come non ha mai cessato di sperare.
 
~~~
 
«Ah, Molly si è superata: denti nuovi di zecca. Beh, tecnicamente non sono nuovissimi… Dovrò procurarle due entrate al compleanno del marmocchio reale della prossima settimana, sembra apprezzare questo genere di cose…»
«Sturati bene le orecchie: guai a te se uno di quei denti arriva anche solo vicino al frigorifero, il microonde, il forno o…»
«Veramente pensavo alla caldaia.»
«Non puoi dire sul serio.»
«Papà, posso giocarci anch’io?»
«NO!»
«Io non ci gioco
John e Sherlock si voltano contemporaneamente l’uno verso l’altro. Amanda sbatte le palpebre.
«Bisogna trovare due nomi, avete ragione. Allora, tu sei papà» proclama, indicando un basito John. «E tu babbo, perché non sei il mio papà blologico» continua, rivolta a Sherlock.
«Biologico» la corregge lui con calma, tornando ad ispezionare il contenuto della scatola di Molly. Lei fa un gesto annoiato con la mano.
«Dettagli irrilevanti.»
Sherlock nasconde un sorriso, poi prende in braccio la bambina e la solleva in aria, facendola volare e volteggiare per la stanza; lei strilla deliziata e John li osserva dallo stipite della cucina.
Sherlock raggiunge il caminetto e qualcosa attira la sua attenzione, perché si ferma all’improvviso.
«Ha toccato il teschio. Amanda, hai giocato con Billy?» indaga, duro.
«No» mente la bambina, arrossendo.
«Devi migliorare la tua recitazione, ti chiederei di prendere lezioni dallo zio Mycroft se non fosse che poi dovrei vederlo anch’io» commenta Sherlock. Tende le braccia e lascia la presa sulla bambina, che cade sulla poltrona di John con un gridolino sorpreso.
«Sherlock!» lo rimprovera allarmato John, accorrendo a controllare che Amanda stia bene. «Che diavolo hai, poteva farsi male…»
Sherlock lo ignora e si volta verso la bambina con le mani sui fianchi.
«Ti ho detto centinaia di volte che non devi giocare con quel teschio…»
«Oh, per l’amor del cielo, Sherlock, è solo un teschio…» tenta John, troppo felice per mettersi a discutere con Sherlock.
«Era mio amico!»
«Oh, ma per favore…» ride John. Sherlock scuote la testa, arraffando un foglio dimenticato sulla sua poltrona.
«E hai anche disegnato sui miei spartiti, non avevo finito di comporre…» poi però volta il foglio e smette di brontolare. John lancia un’occhiata da sopra la sua spalla e sorride. Poi si china e prende Amanda in braccio.
«Dì scusa al babbo» le chiede. Sherlock sente il cuore fare un balzo (deve smetterla con questa cosa delle metafore, lui è un uomo di scienza, per la miseria).
Amanda esibisce una faccia contrita.
«Scusa, pa’. Posso ancora giocarci con i denti?»
«Certo, domani mattina.»
«Sherlock!»
Sua figlia ride – ricorda tanto Mary – e anche Sherlock sorride – uno di quei suoi sorrisi che sono come squarci del cielo dritto nel cuore di qualche stella.
John non sa cosa succederà domani, chi saranno lui e Sherlock d’ora in poi. Può farsi qualche idea, nulla più, ma è fiducioso. Le cose non andranno sempre bene e i guai non tarderanno a bussare al 221b, come al solito, ma adesso ha Sherlock, ha Amanda: non ha bisogno d’altro.
John chiude gli occhi in un sorriso e nell’animo di Sherlock suona una sinfonia: mai più silenzio d’ora in poi.
 
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It was worth a wound; it was worth many wounds; to know the depth of loyalty and love which lay behind that cold mask.
A. C. Doyle, The Adventure of the Three Garridebs
 
Fine
 
 
 







Siamo arrivati quaggiù, e mi sento quasi emozionata. 
Un enorme grazie a chi legge, segue, preferisce: siete un'enorme stimolo ad andare avanti e migliorare! Un grazie un po' più grande ad H., che si sorbisce tutte le mie bozze, paranoie, piani malvagi, e _Koa_, che mi ha lasciato bellissime recensioni che mi hanno spinta a mettere in discussione la storia e portarla ad un livello un po' più alto. Grazie a Wilde, insperata fonte d'ispirazione.
Spero di non aver deluso nessuno con questo capitolo, l'ho scritto almeno sette volte nel corso degli ultimi quattro mesi. Per qualsiasi dubbio, non esitate a chiedere.
A presto, spero!
Buon Natale!
-Clock
  
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