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Autore: despicableandri    23/12/2014    1 recensioni
STORIA COMPLETA - Niente è come sembra, e quasi sempre la prima impressione è sbagliata.
'non giudicare un libro dalla copertina' mi dicevano, ma non gli avevo mai dato peso. Si può passare davvero dalle famose 'stalle' alle 'stelle'? Si può amare qualcosa che ti ha già distrutto ma che ce la mette tutta a fare di te a persona più felice del mondo, ora?
probabilmente, si.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Justin Bieber, Kenny, Nuovo personaggio, Pattie Malette, Un po' tutti
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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"non so come chiamarlo" s corner. (?)
No vabbe, ragà.. non potete capire. So di essere mancata per così tanto tempo che forse non ricordo neanche precisamente il progetto iniziale che avevo per questa storia, ma ho deciso comunque di finirla.
Non so se vi interessa, ma non ci sono stata per motivi – strano ma vero – un pochino seri. Innanzitutto, ho la maturità a giugno e la cosa è più difficile del previsto. Poi sono stata molto più tempo vicino a mio nonno, purtroppo gravemente malato, che tra l’altro ho perso qualche giorni fa.. quindi vabbe, svariate cose.
Ho deciso di concludere la mia storia con questo capitolo che forse non interesserà a nessuno hahahahah e forse neanche voi ricorderete bene la storia, quindi farò iniziare questo capitolo con un riassunto della storia. è un po lunghetto, cosi da compensare i lunghi mesi di assenza.
Buona lettura ragazze – e ragazzi, qualora ci fossero.  Spero tanto che vi piaccia, fatemi sapere sempre quello che pensate e in cosa posso migliorare (ovviamente, tralasciano i miei tempi di rilascio capitoli, questo s’intende!!).
a prestissimo, sicuramente con altre storie!
con amore,

-Andrea.
@despicableandri su instagram, seguitemi!) ♥
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Abigail, detta Abby è nipote della guardia del corpo di Justin Bieber, cioè Kenny che decide di affidare lo stile della superstar alla nipote, in quanto brava nel campo della moda. I due finiscono quasi subito al letto, incastonati nel circolo vizioso dell'attrazione fisica ma lei, inguaribile romanticona, ci resta completamente immersa e si innamora soffrendo come un cane quando nelle loro vite compare una 'tizia', Dominique, capelli biondo ossigenato e gonne inguinali che diventerà un'altra amichetta di letto della superstar che però non riuscirà comunque a tenere le mani lontano da Abby che, a sua volta innamorata, si lascerà trasportare. Quando Abby decide che tutto ha un limite, torna dalla sua famiglia dopo aver confessato tutto a Justin e scopre, in contemporanea con Bieber, che in realtà Dominique era un'attrice ingaggiata dalla migliore amica di Abby, Sheeren e dai suoi due fratello, Tomhas e Derek. Quindi Bieber, credendo di averla persa per sempre, capisce in realtà quanto tenesse a lei e decide, sotto influsso dei suoi migliori amici, di organizzare una festa per distrarsi. Nel frattempo Abby, ormai a casa e intenzionata a levarsi dalla testa Justin, incontra Chris e crede di esserne attratta ma decide di tenersene lontana visti i precedenti. Quando Chris decide di portarla ad una festa, lei viene a scoprire che è proprio quel Chris tanto amico di Bieber e si ritrova sotto casa sua. I due fanno pace, cambiandosi un bacio dopo il quale Justin le dichiara fedeltà e le chiede scusa per tutto, lei lo perdona ma è ancora titubante. Il giorno seguente, Justin va a prende Abby a casa per portarla alle prove del suo nuovo disco ma la trova a baciarsi con Chris, che nel frattempo aveva preso una cotta per la ragazza. Chris confessa di aver baciato lui Abby, e che quest'ultima non c'entri niente. I due fanno ancora una volta pace e felici e contenti dichiareranno alla stampa di stare finalmente insieme. Il mattino seguente, dopo che i due protagonisti hanno letto l’articolo, ritornano a galla ricordi del passato e la tristezza che ne segue, tutte cose che Justin mette a tacere con la sorpresa dell’ anno: un viaggio nella città preferita di Abby: Londra, e l’acquisto di una villetta tutta loro nella periferia della suddetta città. Arrivati nella metropoli inglese, però, la situazione da meravigliosa si tramuta in decisamente fastidiosa a causa dei paparazzi che non danno fiato alla coppia neanche per due secondi durante il loro viaggio romantico. Nonostante tutto Abby e Justin riescono a sanare la loro neonata storia d’amore e fanno la pace.

 
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Due persone se sono destinate a viversi, un modo lo trovano.
 É solo questione di pazienza. E di coraggio. E di lotta.
Noi abbiamo lottato per averci. Noi lo sapevamo che eravamo destinati.
Non può essere altrimenti.

 
18.

“Dai, cazzo, Justin!” afferro un braccio ancora coperto dalle lenzuola chiare e, dopo averlo trattenuto tre secondi in aria, lascio che precipiti precisamente sulla faccia del diretto interessato, sperando che si svegli. È sempre così con Justin, è sempre stato così. Io puntuale, lui ritardatario. Lo è con gli appuntamenti come lo è stato con i sentimenti. Ma come diceva mia nonna: ‘spesso il risultato giustifica l’attesa’, e questo valeva decisamente per la mia storia con Justin. Stare con lui era come stare in paradiso e non per i soldi o i viaggi, quelli sono dettagli sullo sfondo, sono semplicemente piacevoli. È lui che ti fa sentire in paradiso. Ti fa sentire il suo angelo personale.
“Dobbiamo già alzarci?” la voce rauca è ovattata, coperta anch’essa dal velo delle lenzuola come il suo proprietario. Il tessuto leggero evidenziava ogni suo muscolo, rilassato ma evidente. Ogni linea del suo corpo era delimitata, la si poteva seguire con lo sguardo anche se io avrei preferito tracciarla una ad una con i polpastrelli delle dita e assaggiarne il sapore, pelle contro pelle. Ma siamo in ritardo – come sempre con Justin, e quindi non mi sembra il caso di stuzzicare il leone.
“Mi sa proprio di si, amore mio” dico in tono più conciliante, sfilandomi l’accappatoio e pensando già a cosa indossare.
“Dio Abby, così non vale!” sospira mentre, girata verso l’armadio posso sentire il rumore di lenzuola che scivolano via da un corpo  e piedi nudi che camminano sulla moquette. Otto secondi dopo la mia schiena nuda e ancora un po’ umida è a contatto con i suoi pettorali e addominali scolpiti dai mesi di palestra intensiva e le sue braccia ancora calde per il tepore delle lenzuola mi avvolgono tutta. Mi bacia delicato la nuca e scende verso la base del collo, solleticandomi con un accenno di barba e il naso che strofina i capelli. Ma la cosa che noto di più in questo mento è la sua erezione, non del tutto sveglia ma neanche del tutto dormiente; preme contro il mio osso sacro in quanto la differenza di altezza tra me e lui è decisamente ampia, ma è eccitante da morire.
“Il tuo culo sodo e nudo a prima mattina è il miglior buongiorno del mondo” sussurra all’orecchio, lasciandoci un bacio.
“Che romanticone, Bieber. Sei sicuro di aver scritto tu tutte quelle canzoni?” domando divertita, scegliendo un paio di jeans chiari a vita alta e una camicetta a quadri dall’armadio.
“All’epoca, non avevo ancora fatto né sesso né l’amore con te” ridendo, il mio ragazzo si allontana da me e l’effetto è immediato: sono eccitata da morire e un brivido mi percorre la spina dorsale dalla base del collo fino all’osso sacro, proprio dove era appoggiata la sua mascolinità fino a due secondi fa. È proprio così. Abbiamo fatto prima del sesso e poi abbiamo cominciato a fare l’amore. l’atto in se per se non è cambiato granché e questo lo sappiamo entrambi, ma è cambiato ciò che proviamo quando lo facciamo.
“Ti sveglierò ogni mattina una mezz’oretta prima, per poter usufruire del tuo alzabandiera mattutino come Dio comanda” dichiaro, facendogli un occhiolino e mettendo in primo piano i miei seni sui quali torreggiano due capezzoli turgidi a beneficio del mio interlocutore.
“Smettila, siamo in ritardo e sai che mi fai impazzire!”bofonchia entrando nel bagno. È così da mesi ormai, la nostra routine. Non avrei mai pensato che ce ne sarebbe stata una, una proprio per noi due. Facciamo tardi quasi tutti i giorni, mi lavo e mi vesto a tempo record mentre cerco di svegliare Justin e decido i suoi vestiti in base ai vari impegni quotidiani mentre lui fa la doccia. Amo poter rispondere a chiunque me lo chiedi ‘Si, è proprio il mio ragazzo’, oppure ‘Esatto, viviamo insieme e ci amiamo da morire’. Ci è voluto un po’ a convincere tutti quelli che mi circondano che la cosa andava solo a giovare su di me. Justin mi aveva fatto più male di qualsiasi altro individuo al mondo eppure era stato l’unico a saper rimediare al danno compiuto. Ora sprizza amore da tutti i pori anche se in alcuni momenti, come appena sveglio, mostra ancora quel lato un po’ macho, malizioso e dannatamente sexy di quello che è ormai mia abitudine chiamare ‘vecchio Justin’.
“Non so come tu faccia, ma sembra che tu mi legga nel pensiero cosa vorrei indossare ogni giorno” Justin spunta dallo stipite in legno laccato del bagno con in dosso solo l’asciugamano immacolato a coprire quella parte del corpo che – come lui stesso sa bene – mi avrebbe facilmente convinto a fare un pochino di ritardo in più anche oggi.
“Sai, mi sembra –anche se non ricordo con precisione – che questo sia proprio il mio lavoro, poi non so.. magari sbaglio!” sbotto ironica, strizzando le mie cosce nel jeans e infilandoci la camicia. Lo osservo mentre si veste intrecciandomi i capelli. È così aggraziato quando si muove che sembra balli ogni secondo della sua vita. Io, nella fretta che ha lui, sarei inciampata sei volte nell’asciugamano ai suoi piedi e avrei messo la t-shirt al contrario. Fortuna mia non essere io quella in netto ritardo.
“Dai, andiamo” si sistema i capelli allo specchio che costituisce il retro della porta della nostra camera da letto e si infila sulla testa un cappellino da baseball in tinta.
“Ah Dio, quasi dimenticavo!” si ferma poi all’improvviso mentre sta per uscire dalla camera dell’albergo in cui stiamo alloggiando questa settimana per girare un video. Io, agile come ho già specificato, finisco dritta dritta contro la sua schiena e lui, sapendo bene del mio problema d’equilibrio, si gira in fretta e mi afferra quasi per le ascelle. Mi rimette ad altezza uomo e mi bacia appassionatamente, il sapore del dentifricio appena usato sulla bocca di entrambi, le lingue che si cercano e danzano insieme lentamente, come se avessimo tutto il tempo del mondo. Lo stringo a me, aggrappandomi alle sue spalle. Si stacca da me all’improvviso così come mi si era attaccato e mi sorride come un bambino a cui è stata promessa una doppia razione di torta dopo pranzo.
“Buongiorno amore della mia vita” sussurra a un millimetro dalle mie labbra ancora schiuse.
“Ancora..” bofonchio, avvicinandomi di nuovo a lui, tirandolo per le spalle.
Mi accontenta in parte, poggiando delicato le sue labbra sulle mie ancora una volta ma questa volta solo per una frazione di secondo poi mi lascia andare. Le sue mani dalle ascelle per sostenermi erano scese quasi alla base della mia schiena per abbracciarmi e non me ne ero manco accorta. . Mi lascio abbandonare dal tepore che la vicinanza del suo corpo mi provoca e ci avviamo entrambi verso l’ascensore al piano. Mi sorride mentre scendiamo velocemente e mi tiene stretta per la mano, carezzandomi con il pollice il palmo della mano ma tenendo ben salde le altre quattro dita sulle mie. Sa bene che potrei scappare da un momento all’altro. Sa bene che chiunque ricorderebbe le ferite lasciate aperte sulla pelle dai mesi di completa indifferenza ed arido freddo. Eppure io stringo di più la presa sulle sue dita, come a dire ‘tranquillo, non vado proprio da nessuna parte’. Il dolore era stato parte del mio viaggio verso il paradiso. Con il senno di poi, mi sta anche bene.

 
*

“Stanco” la voce di Justin è affaticata e roca dopo le prove, gli occhi appesantiti dalle ore di lavoro e dalle luci abbaglianti del set, la sua pelle quasi arancione sotto l’alone di luce dei fari della strada.
“Stanchissima” sussurro io, avvicinandomi a lui sul sedile posteriore dell’auto che mio zio Kenny sta guidando verso l’hotel. Mi appoggio alla sua spalla e lo abbraccio con tutte e due le braccia, facendo incontrare le mani sul suo fianco sinistro. Mi bacia una tempia delicato, chiudendo gli occhi e abbandonandosi tra le mie braccia.
“Zio, andiamo al Mc, adora le nuggets di pollo!” sussurro  mentre cerco di cullarlo tra le mie braccia e lui me lo lascia fare.
“La mia piccina” mormora stringendomi a sua volta, sorridendo contro la pelle sensibile del mio collo.
La sosta al Mc dura poco. Grazie a Dio qualcuno ha inventato il servizio per le auto, cosi che nessuno di noi è dovuto entrare nel locale super-affollato ad ordinare il cibo. Velocemente, rientriamo all’hotel dove la ragazza strizzata in un tailleur grigio perla nella hall, i capelli tirati in uno chignon stretto e alto sulla testa, guarda la busta di carta per alimenti come se fosse tossica ma non apre la bocca, riconoscendo Justin. Divoriamo quasi il cibo e poi, tutti e tre, ripuliamo il tavolo della sala da pranzo della suite prima che una qualsiasi persona simile alla ragazza della reception possa avere qualcosa da ridire. Zio Kenny, sbadigliando, si congeda e lascia la stanza, raccomandandosi, come ogni sera ‘non fate tardi domani, siete un disastro!’.
Guardo l’orologio sulla parete color ocra ansiosa, aspettando la mezzanotte come manna dal cielo. Tra esattamente quattro minuti saranno tre mesi dal giorno in cui mi venne a prendere con la sua auto dalla casa di mia madre, viaggiammo per ore e incise, solo ed unicamente per me, una nuova versione di Never let you go e dopo, come se quasi un anno di dolore fosse stato cancellato dalla mente di entrambi, facemmo l’amore come e nello stesso posto della prima volta. Ho faticato molto per trovare qualcosa di speciale da regalargli, qualcosa che gli ricordi quel giorno come quello in cui ho deciso di amarlo a pieno e lui di amare me.
Lo guardo quasi di nascosto mentre ci infiliamo io il pigiama e lui i pantaloni di una tuta, lasciando – come sempre – nudo il petto, come unico scopo quello di farmi impazzire.
L’orologio segna mezzanotte. Mezzanotte e due secondi.
“Amore, auguri” sussurriamo insieme, come se tutto fosse programmato, come se anche lui avesse tenuto gli occhi fissi sul quadrante rotondo e bianco appeso alla parete. Sorridiamo entrambi, guardandoci negli occhi e avvicinandoci piano, già seduti nel letto, in un abbraccio che non ha niente di malizioso ma sa solo d’amore puro.
“Ti amo ogni giorno di più, sei una cosina così piccola tra le mie mani.. non voglio farti male mai più, non voglio farti più soffrire, non voglio vederti ne piangere ne stare male a causa di nessuno, non voglio sentire la tua mancanza mai..” mormora contro il mio orecchio, tenendomi stretta. Lo stesso timore del mattino lo attaglia sempre, come uno spettro della sua stessa cattiveria, lo segue ovunque come un’ombra, se ne pentirà per sempre e non se lo perdonerà mai. Non si perdonerà mai, come invece ho fatto io.
“Non pensare al passato. Non pensare a tutto ciò che non avresti voluto e non vuoi fare più. Pensa ad ora, pensa a noi nel presente”. Come un bambino mi guarda fisso negli occhi, colpevole, come a chiedere scusa implicitamente allo stesso tempo per l’atteggiamento passato e per il timore presente. Poi cambia improvvisamente espressione, come quando in tv appare una lampadina in cima alla testa dei protagonisti e credono di aver avuto l’idea del secolo.
“Non solo voglio pensare al presente amore mio, pensiamo al futuro. Tu sei l’unico futuro che voglio. Solo tu. Sposami” lo dice con uno sguardo febbrile, come se volesse farlo adesso, come se potesse pescare un prete, una chiesa, un altare e tutti gli invitati dal comodino e celebrare il matrimonio seduta stante. Qualcosa deve avergli colpito il cervello, oppure l’aria di questa città è davvero troppo inquinata.
“Tu sei pazzo” dico solo, ridendo “sei stanco e al tempo stesso sovraeccitato per il video e per le nuggets, lascia perdere..” sciolgo l’abbraccio e apro il mio comodino, estraggo una scatola quadrata e piccola e cerco di nasconderla immediatamente alla sua vista, dietro la schiena mentre mi rivolgo di nuovo a lui.
Quello che mi ritrovo di fronte non era quello che avevo lasciato. Justin è contrariato, il suo sguardo è deluso, e nella sua mano destra vi è una scatolina grande quanto un quarto della mia.
“Ero serio, volevo chiedertelo davvero, cazzo. Non così, e su questo siamo d’accordo. Ma ero serio” lo dice così velocemente che quasi non realizzo. Merda. Ripenso alle sue parole. ‘Sposiamoci’. Mi si ferma quasi il cuore. È serio, diamine.
“Non so Justin.. è presto, infondo siamo giovani, tu hai il tuo nuovo tour con il nuovo video.. io volevo iscrivermi a quell’università online.. è un grande impegno, sai, non si decide di sposarsi da un momento all’altro”farfuglio, gesticolando e sudando soprattutto le mani. Ad ogni parola il suo sguardo è più cupo e la presa sulla scatolina di pelle aumenta fino a che le sue nocche non diventano completamente bianche, poi rilassa completamente la mano lasciando cadere il pacchetto sulle lenzuola, abbandonato.
“Tu non vuoi” dice, determinato. Fermo. Deciso. Deluso.
“So che sono tre mesi che ti dico che resterò per sempre con te e che non voglio altro nella vita, e sai bene che è così, non potrei mentirti così spudoratamente. Però non ce la faccio, è troppo ed è troppo presto. Probabilmente non ne sei sicuro neanche tu, Justin. Ripensaci, non voglio dirti no, è solo che.. è troppo presto” cerco di farlo ragionare, lo sguardo fisso sulla scatola di pelle. Sono a metà tra prenderla e lanciarla fuori dalla finestra e prenderla e scoprire quale tra i tanti anelli Justin abbia scelto solo per me, pensando e volendo solo me. Ma io non posso, insomma. Siamo giovani, ognuno la sua carriera e la sua vita. Lui è cambiato tutto d’un tratto ed io lo amo come mai prima d’ora, però nessuno direbbe che è una grande idea. E poi ho lo stomaco contratto. Nessuno si sposa sapendo che nel proprio stomaco sta avvenendo una guerra civile.
“Vaffanculo, credevo che le tue parole avessero un senso. Io ti amo Abby, più della mia stessa vita, molto di più di quanto amassi me stesso tre mesi fa e di quanto faccia ora. Sono cambiato per te e non me ne pento. Voglio sposarti e voglio che tu sia mia moglie, la mia donna ed io il tuo uomo, per sempre. Ma forse non è quello che vuoi tu” la sua voce si affievolisce, fino a tanto che quel ‘tu’ è così basso che ho solo ipotizzato come potesse finire la frase perché alle mie orecchie non è più giunto alcun suono. Una parte di me vorrebbe dire ‘si, diamine, sposiamoci domani, tienimi stretta come fino a due minuti fa per tutta la vita’, l’altra parte di me vorrebbe solo riflettere sulla questione e trovare un’argomentazione valida al mio no. Resto in silenzio. Non voglio sposarmi. Non posso sposarmi.  Non posso dirgli di si solo per farlo contento, dopo lo deluderei solo di più. So solo che è sbagliato, è tutto sbagliato. Troppo presto, troppo giovani, troppo impulsivo.
Prima che me ne renda conto, si alza dal letto lasciando la scatolina proprio dov’era, simbolo della sua delusione.
“Dove vai?” riesco a bofonchiare, alzando lo sguardo sulle sue spalle tese. Si gira verso di me e nei suoi occhi non c’è più stanchezza, sonno o delusione, ma solo tristezza. L’ho ferito eppure non riesco a sentirmi completamente in colpa. In cuor mio so di aver risposto sinceramente. Non gli ho detto ne no ne si, sono nel mezzo.
“Guardo un po’ di tv nella sala da pranzo” e si chiude la porta alle spalle. Il divano in pelle nera nella stanza adiacente a quella da letto è ad angolo e così grande che quattro persone della mia altezza ci sarebbero entrate stese tranquillamente. Già mi vedevo stesa accanto a lui, abbracciati uno contro l’altro, a coccolarci mentre la tv parlava da sola. Ma il suo questa volta non era un invito, non era una battutina maliziosa. Si era chiuso quella porta alle spalle come a voler mettere un muro tra me e lui, come a dire ‘ora lasciami solo’. E cosi faccio. Senza neanche guardare la scatolina alla mia destra, mi lascio scivolare sul cuscino avvertendo subito i quattro spigoli della scatola sotto di esso. Senza alzarmi o sollevare il cuscino, la trascino fino a metterla vicino all’altra. Una grande l’altra piccola, sembrano una madre ed un bambino. Una madre sposata con un marito con cui ha avuto un bambino. Dannata me. Spengo la luce dalla pulsantiera sulla testiera del letto e resto stesa per ore a pancia in su nel letto freddo senza il calore del corpo di Justin. Dalla stanza a fianco non giunge il solito rumore ovattato della tv al minimo volume, solo silenzio. Posso quasi vedere Justin rannicchiato sul divano, la coperta che gli regalò la madre due o tre anni fa stesa su di lui. Non voglio questo. Non voglio allontanarlo proprio ora da me. Ma non sono sicura neanche che sposarsi sia una cosa ragionevole e giusta al momento. Dovrei correre di la e abbracciarlo e dirgli che andrà tutto bene, che ci penseremo insieme e che prenderemo la decisione giusta e invece mi lascio scivolare in un sonno debole, agitato e spesso interrotto.
Quando la sveglia suona  le mie condizioni d’umore sono peggiorate e non ho voglia neanche di spegnere quel dannato aggeggio che sta perforando i miei timpani. Controvoglia, lo faccio comunque e il mio primo pensiero è vedere se Justin è ancora li. Se lo conosco almeno un po’ sarà uscito prima di me, avrà fatto colazione al bar dell’albergo e ora starà girovagando in tuta ed occhiali scuri per la città. Stupida me e la mia insicurezza. Avrei dovuto parlargli e chiarire. Avrei potuto provare a convincerlo che non era la cosa giusta, non lasciarlo andare così. Stupida. Stupida. Stupida. Me lo ripeto in mente come se fosse un mantra e riesco quasi a sentire la voce di Sheeren che mi accusa. Se lei fosse qui saprebbe cosa dirmi e cosa fare e tutto prenderebbe una piega migliore. Aspetta.. se lei fosse qui. Grazie ventunesimo secolo! Afferro di corsa il cellulare abbandonato sul comodino – evito di guardare dal lato del letto sul quale le due scatole sembrano amoreggiare tra loro – e nelle chiamate rapide trovo subito il numero della mia migliore amica.
“AIUTO” scandisco bene ogni lettera appena sento che dall’altra parte qualcuno ha risposto alla chiamata.
“Dio, Abby, sei in pericolo?”è la voce di mio fratello Derek, nonché ragazzo della mia migliore amica, a rispondere alla mia chiamata.
“Cazzo Der, passami Sheeren” sbraito, il tono più incazzato con me stessa che con quel poveretto di mio fratello.
“Subito capo!” e una manciata di secondi dopo la voce della mia migliore amica fa capolino dalla cassa del mio smartphone.
“Ho un problema, grande!” e spiego, nel dettaglio, tutta la giornata di ieri, partendo dal risveglio, da quella stretta di mano timorosa e rassicurante assieme fino ad arrivare  alla proposta. Cerco di descriverle al meglio anche i miei sentimenti, sperando di risultare più chiara di ciò che sono stata ieri con Justin. Mentre racconto ho messo il vivavoce così da poter parlare e vestirmi al tempo stesso, voglio comunque andare al lavoro o sul set o ovunque io debba andare per trovarlo.
“Diamine, Abb, è un bel guaio.. hai sempre avuto un po’ paura di parlargli apertamente, ricordi? Solo che qui la cosa è un pochino più seria. Sei riuscita a dirgli ‘ti amo’ quando era tutto preso da un’altra, sei riuscita a sbattergli una porta in faccia e non tornare da lui finché non è stato lui a farlo.. perché ora non riesci a dirgli anche questo?” il suo tono – come sempre – è tra l’accusatorio e quello che io chiamo ‘tono-mamma’, sta cercando di aiutarmi.
“Cosa devo fare?” piagnucolo, riprendendo il cellulare abbandonato sul comodino e stringendolo tra le mani.
“Va da lui, idiota, e calmalo e scusati per ieri e digli semplicemente cosa provi. Se ti ama davvero, capirà e ti aspetterà” la sua voce è sicuramente più determinata della mia, sicura di sé, come se per fare cose del genere esistesse un manuale, una specie di ricetta da seguire in ordine e lei lo avesse fatto milioni di volte.
“Almeno provaci, Abby, non lasciartelo scappare completamente.. e poi, di solito sono gli uomini a scappare di fronte alla parola matrimonio!” il suo tono ora è scherzoso e so che cerca di tirarmi su, ma io mi sento solo più confusa: tra il senso di colpa e l’autoconservazione.
“Ho deciso, vado sul set. Dovrei trovarlo li, no?” saluto la mia amica e quell’impiccione di mio fratello poi infilo il cellulare nella borsa. Guardo per la prima volta le due scatole abbandonate sul materasso. Nella notte devo averle spostate perché ora sono più vicine ma ancora non si toccano. Decido di prenderle e portarmele con me. Infondo, se ho detto no devo restituire a Cesare quel che è di Cesare. Deve essere sul set, altrimenti ha fatto tardi. E se ha fatto tardi, non è con me. Se non è con me con chi sarà?

 
*
 
“Eccovi finalmente, Abby. Aspetta, dov’è Justin?” zio Kenny non aspetta neanche di veder comparire interamente la mia figura prima di parlare e quando poi nota l’assenza di Justin il suo volto è quasi sconvolto. Sono tre mesi che entriamo insieme, entriamo insieme ovunque, mano nella mano, sorridendo o raccontandoci qualcosa o mangiando insieme un cornetto. Non ci posso credere neanche io al fatto di entrare da sola qui oggi.
“Zio, abbiamo discusso. Anzi, non so se era una discussione o un litigio. Non abbiamo neanche parlato granchè..” borbotto, lo sguardo fisso sulle mie mani, le dita che si intrecciano e sciolgono tra loro.
“Ti esprimi come un libro stracciato” sbuffa mio zio, avvolgendo le mie spalle con il suo enorme e pesante braccio destro. Mi spinge dolcemente verso le poltroncine trucco e mi ci fa sedere, incitandomi poi a parlare con un velato gesto della mano. Non so se svuotare il sacco o meno. Non so se Justin avrebbe voluto farlo sapere così alla mia famiglia o almeno al membro della mia famiglia che gli è più vicino. Non so neanche se avesse voluto dirlo a qualcuno prima che io dicessi si. Guardo mio zio dritto negli occhi. È mio zio, mi vuole bene. Quando decido che posso raccontarglielo, lascio che le parole e le sensazioni escano dalla mia bocca come un fiume in piena. Avendolo spiegato ben tre volte di seguito – una alla me interiore, una a Justin e una alla mia migliore amica – ora mi sembra quasi naturale spiegare le mie sensazioni, come se avessi fatto ordine nei cassetti del cuore e della mente. Ora sento che potrei spiegarlo anche meglio a Justin, farmi capire. Guardo nervosamente lo schermo del cellulare durante il mio monologo, come se aspettassi che anche Justin ora sapesse bene cosa dirmi e volesse parlarmi. Come se aspettassi una sua chiamata, un messaggio, un’email, un messaggio in segreteria. Ma niente di tutto questo accadde fino alla fine della mia spiegazione.
“Lo sai, è cambiato proprio tanto per te. Vi ho osservato nell’ultimo periodo e si vede da come ti tiene stretta al petto che non vuole lasciarti mai più. Da parte mia, non capisco perché tu ne sia così tanto spaventata. Insomma, siete giovani e tutto, ed è anche normale avere paura di una cosa così seria e nuova.. ma teoricamente lo hai amato prima tu, hai voluto stare con lui mesi e mesi prima che lui si rendesse anche conto di tenere a te. Sai, tesoro, io non sono poi così bravo con le questioni di cuore e non ti dico neanche di dire ‘si’ se non te la senti. Una cosa la so per certa però: se continui a parlarne con me o Sheeren la situazione non cambia. È da lui che devi andare!” e indica l’uscita del locale nel quale hanno allestito il set, come se Justin fosse proprio dietro quella porta. Non faccio neanche in tempo a pronunciare questa frase nella mia mente che la sua figura spunta dalla porta nera e lucida che sto osservando, come se il richiamo della mia sofferenza l’avesse fatto arrivare lì, come se il fatto che io stessi pensando e parlando di lui lo avesse fatto arrivare lì. Non mi degna neanche di uno sguardo e, in ritardo di mezz’ora, entra nel suo camerino con al seguito il solito capannello di truccatori e acconciatori.
Va bene, posso capire il suo comportamento. Infondo non gli ho parlato neanche io, ne ho cercato di parlargli. Non posso colpevolizzarlo per questo. Eppure.. avrei voluto tanto che venisse qui e, d’avanti a tutti, mi avesse fatto di nuovo la proposta. Non so perché, non so cosa avrei risposto ora. Avrei solo voluto che avesse fatto così.

 
*
Cinque ore e trentacinque minuti dopo, Justin ritorna nel camerino per rimettersi i vestiti con cui era giungo qui. Nonostante quello che avrebbe potuto provare, è stato splendido come sempre d’avanti le telecamere. La sua voce e il suo sguardo erano dessert per gli obiettivi, tutte le scene girate erano stupefacenti. Cinque ore e trenta minuti di noia. Nessuno mi ha rivolto la parola, nessuno mi ha guardata, nessuno mi ha ascoltata. E con nessuno intendo principalmente Justin. Non ho fatto molta attenzione agli altri presenti. Quando vedo uscire tutti dal suo camerino per lasciare che si vesti, inizio a pensare che dovrei entrarci io. Ora o mai più, comunque. O torno a casa che abbiamo già fatto pace o ci torno per farci le valigie. Conosco Justin: se qualcosa va per le lunghe la decisione è drastica. Mi incammino a passo deciso ma quando la mia mano avvolge la maniglia in plastica scura della porta del camerino sento il mio battito cardiaco velocizzarsi e rimbombare nella gabbia toracica. Riesco a sentire solo quello, il ritmo incalzante e sempre più veloce sovrasta anche quello dei miei stessi pensieri. Nonostante ciò, faccio comunque pressione sulla maniglia e quasi a rallentatore la porta si apre. Quando mi rendo conto che non c’è nessuno in vista, lascio che i miei polmoni incamerino l’aria. Non mi ero neanche resa conto di star trattenendo il fiato. Justin deve essere nel bagno a farsi una doccia o a sciacquarsi un po’ il viso. Lascio che i miei polpastrelli scivolino sugli oggetti stipati nel camerino. Il divano in pelle, le sedie del trucco in legno e tela, i tavolini il cui legno è visibile solo per una manciata di centimetri quadrati grazie a tutte le cose che vi sono poggiate. Tutt’intorno alla cornice dei due specchi sulla parete che ho di fronte ci sono foto mie e di Justin, sul set e non. Alcune scattate con i nostri cellulari, altre ad alta definizione, prese da servizi insieme. Siamo splendidi. Il mio sorriso va da un orecchio all’altro e si unisce al suo, l’uno non potrebbe esistere senza l’altro. I suoi occhi guardano nell’obbiettivo ma il suo corpo è sempre a contatto con il mio. Che siano le nostre dita a sfiorarsi, oppure le nostre braccia, le nostre fronti, le nostre spalle, le nostre schiene; qualsiasi cosa. Ma non siamo mai separati. Come potrei separarmi da Justin?
“Hei” la voce della persona che mi stringe da dietro nella foto che sto osservando, sfiorandola con le dita, mi sorprende talmente tanto che la lascio andare e cade sul tavolino già sovraffollato.
“Scusami” gli dico subito, di getto. Voglio scusarmi delle mie insicurezze, delle mie paure, delle mie parole sconnesse, del mio timore di perderlo e di essere entrata qui senza permesso – non che negli ultimi mesi me ne servisse uno. Voglio talmente scusarmi che non mi rendo neanche conto che la mia voce si era unita alla sua, che aveva pronunciato la stessa singola parola della mia.
“Perdonami, ti va se inizio io?” sussurro come se fossimo vicini un millimetro. So che lui mi ha sentito e mi ha capito, ma non mi risponde. Resta in silenzio e io prendo questo silenzio come un si.
“Mi dispiace aver detto subito no, mi dispiace non averti spiegato bene le cose come stanno per me. Anzi, mi dispiace non esser riuscita a trovare spiegazioni plausibili per il mio no. Ho solo paura, capisci? È una cosa enorme per noi due e di mezzo ci sono carriera e vita. Siamo giovani e credo sia normale che una cosa del genere possa spaventare”lascio che le parole fluiscano proprio come era successo ore fa con mio zio, solo che diventa tutto più difficile se lo guardo dritto negli occhi. Nonostante questo, però, non oso abbassare lo sguardo. Devo cercare di passargli la mia confusione con ogni mezzo a mia disposizione.
“Voglio davvero passare la mia vita con te, tutta la mia vita. Ho solo paura di un passo così grande” mentre parlavo mi avvicinavo gradualmente alla sua figura, come e avessi paura di poterlo spaventare con un movimento brusco e quindi farlo scappare via da me. Sono a due spanne dal suo petto che si alza e s’abbassa al ritmo regolare del respiro. Vorrei tanto tuffarmici e tenerlo stretto fino alla fine dei giorni.
“Posso?” chiede, con voce flebile, dopo non meno di due minuti intrisi di un silenzio innaturale. Annuisco flebilmente. Il suo sguardo è ancora triste come quello di ieri, eppure con un movimento veloce porta le sue mani sulla parte bassa della mia schiena e mi avvicina a se. Ora i nostri petti si toccano e posso sentire il suo cuore battere contro il mio orecchio. Allenta la presa in modo da permettere alle mie braccia di cingerlo a sua volta e lascio che il suo profumo torni a vivere nei miei polmoni.
“Innanzitutto, mi sei mancata terribilmente. Non facciamolo mai più” e così dicendo il suo sguardo si ammorbidisce, chiude per un secondo le palpebre poi riprende a parlare “so bene che la mia proposta era enorme. So bene che siamo giovani e tutti quei blablabla che hai ripetuto. Volevo chiederti scusa per non averti chiesto il tuo parere ma averti preso alla sprovvista. Ti amo più della mia vita e se non ti senti pronta, io aspetterò. Non mi interessa quanto, non mi interessa nulla. L’importante è che io stia con te”.
Le sue parole arrivano dritte al mio cuore, facendogli perdere un battito. Nonostante io avessi deluso le sue aspettative era stato lui quello a scusarsi. Io lo amo e lui mi ama. È disposto ad aspettare che io sia pronta ad una cosa così impegnativa come il matrimonio come io sono stata disposta ad aspettare che lui si accorgesse di amarmi. So che la cosa giusta da fare adesso è una sola, ma prima vorrei sapere una cosuccia.
“Dove sei stato stamattina?” chiedo ed il mio tono risulta più accusatorio di quello che avrei voluto. Non sono una di quelle ragazze troppo gelose o morbose, ma non sapere dove sta – soprattutto se abbiamo appena litigato o discusso o quello che era – mi ha innervosita parecchio.
“Volevo riportare l’anelli indietro alla gioielleria. Arrivato fuori al negozio mi sono reso conto di averlo lasciato all’albergo, sul nostro letto. avevo paura di svegliarti se fossi tornato a prenderla allora mi sono fermato in un bar a fare colazione” sorride prima di rispondermi. Sorride complice, sapendo benissimo quanto io sia stata in ansia. Ora va molto meglio e sono molto più tranquilla. Mi stacco da lui e sorridendogli anche con lo sguardo, cerco alla cieca nella borsa la scatola più grande. Gliela porgo sicura e aspetto che la apra. Ne esce prima un bigliettino. Non riesco a leggere cosa c’è scritto nella mia scrittura, ma recito nella mia mente ‘auguri per il nostro terzo mesiversario, ti amo, Abby’. Sorride, poggiando il cartoncino e il coperchio della scatola sul tavolino stipato di roba. Dalla scatola le dita di Justin cacciano un portachiavi con una nostra foto plastificata e dietro tutte le date che ho ritenuto importanti per la nostra storia.
“Lo so che non è niente di che, avevi pensato che ci servisse un portachiavi per la nostra casetta di Londra” sussurro imbarazzata, come sempre quando consegno a qualcuno un regalo.
“Ti rendi conto che è semplice e stupendo? Esattamente come te!” mi stringe ancora di più con la mano libera mentre con l’altra tiene lontano dai nostri corpi stretti la scatola.
“Ti amo” lo diciamo insieme, come la prima volta che ce lo siamo detti, in aereo verso la sorpresa che mi aveva preparato, ovvero la casa di Londra.  Senza pensarci due volte, infilo di nuovo la mano destra nella borsa e senza che se ne accorga caccio fuori la seconda scatolina, quella più piccola, e la tengo stretta tra le dita come se fosse la cosa più fragile del mondo. Sciolgo l’abbraccio e con decisamente molto imbarazzo ma anche determinazione, poso la borsa sul bracciolo del divano e mi inginocchio li, d’avanti a lui. A metà tra il divertito e il sorpreso mi guarda dall’alto. Prendo un lungo respiro prima di lasciare che la mia mano destra si tenda in avanti, la scatolina ancora chiusa sul mio palmo. L’anello è mio, non avrebbe senso mostraglielo.
“Justin Drew Bieber, nonostante al nostro primo tentativo abbiamo quasi finito per non parlarci per un giorno, mi sono spaventata a morte e non abbiamo dormito nello stesso letto, accetteresti di sposarmi e passare con me il resto della tua vita, rendendomi così ancor più felice di quanto tu non faccia già?” lo dico con gli occhi lucidi, la mano tremante e il cuore a mille; ma la voce non trema e neanche la mia paura. Sono determinata, decisa, irremovibile. Voglio sposarlo. Voglio essere a tutti gli effetti la sua donna, la signora Bieber. Anche lui con  gli occhi lucidi ed un sorriso aperto e sereno, si inginocchia di fronte a me e afferra con le mani i due lati del mio viso per regalarmi il bacio più dolce che abbia mai avuto.
“Dio mi maledica se non è la cosa che voglio di più al mondo” sussurra ancora contro le mie labbra, riappropiandosene poco dopo. Si allontana da me solo per afferrare la scatolina dalla mia mano, aprirla e cacciarne una fascetta argentata, semplice e poco bombata, interrotta solo da una sequenza di tre pietre. Le due laterali sono minuscoli diamantini trasparenti, al cui centro vi è uno smeraldo circolare che sembra brillare anche nella penombra del camerino. So che l’ha scelto verde perché risalta i miei occhi, che gli sono piaciuti sin dall’inizio della nostra avventura insieme.
“È la cosa più bella che abbia mai visto” mormoro mentre lascio che Justin lo infili all’anulare della mia mano sinistra.
“Spero tu intenda dopo di me” sbotta divertito e dopo avermi infilato l’anello che sembra davvero brillare di luce propria come un mio sole personale, si alza e mi aiuta ad alzarmi, cingendomi immediatamente in un abbraccio caldo e confortante.
“Hai ancora paura?” sussurra ogni parola lentamente, dritta nel mio orecchio ed io mi aggrappo alle sue spalle come a sottolineare ciò che sto per dire.
“Se ci sei tu non posso aver paura di niente” e lo bacio di nuovo, coronando questa seconda proposta.


Dieci anni dopo

“Daddy è a casa, donne!” neanche il tempo di finire, che il rumore di piedi scalpitanti sulla moquette rompe l’insolito silenzio che ho trovato a casa mia.
“Papà!”gridano in coro le gemelle una volta giunte alla base delle scale per poi corrermi incontro e abbracciarmi entrambe in vita. Le mie gemelle. Mi sono mancate da impazzire. Sono stato via un giorno intero per cercare di convincere quelli che ora sono ‘i nonni’, ovvero i miei genitori a spostare la cena di natale nella nostra nuova villa in Canada, per festeggiarla tutti insieme – e per dare la notizia, ovviamente -  e per farmi aiutare da mia madre per i regali di Natale. Anche i genitori di Abby verranno qui per natale. Lo festeggeremo tutti insieme
Le abbraccio più strette che posso, inginocchiandomi per arrivare con il viso al loro e baciandole entrambe numerose volte sulle guance o suoi nasini piccoli quanto una ciliegia.
“Come è andata con i nonni, sono convinti?” la figura di mia moglie, molto più alta vista da quaggiù, appare dal soggiorno ancora dentro ai jeans attillati e la blusa scura che avrà indossato per tutta la mattina. Fortunatamente, essendo l’addetta al design della mia equipe, non è dovuta andare in maternità quando ha avuto le gemelle. Sarebbe stata insostituibile.
“Verranno, papà?” chiedono in coro le bimbe, districando un po’ l’abbraccio per guardarmi dritto negli occhi. Da quando sono nate non hanno mai partecipato a un natale tutti insieme. Eravamo sempre a casa dei miei nonni con mia madre e la sua nuova famiglia o a casa di mio padre. E poi a casa dei genitori di Abby. Non che i miei genitori non vadano d’accordo, solo che da anni hanno famiglie diverse.
“Beh, mie principesse e mia regina, devo darvi una notizia. È stata dura, ho dovuto convincere la nonna che non sarà lei a cucinare ma in quello non ci sono riuscito. Abbiamo patteggiato, verrà due ore prima per dare una mano! Grande traguardo, lo so benissimo. Comunque, torniamo alla notizia. Siete pronte ad aprire tutt’e due le montagne di regali di natale lo stesso giorno?!” mi rivolgo direttamente alle bimbe, ricevendo uno dei sorrisi che solo un padre può ricevere. L’ho imparato dalla prima volta che le ho viste, oltre lo schermo dell’ecografia. Le ho tenute strette in mano, avvolte nell’asciugamano dell’ospedale, ancora umide per il bagnetto appena fatto. Sono creature mie, nate dall’amore tra me e Abby. Sono le nostre bambine. È il miracolo della natura. E questo miracolo può essere compreso solo da chi ha i propri figli tra le braccia. Ora hanno sei anni e sono tutt’oggi un fenomeno unico e irripetibile. I miei fenomeni.
Altri gridolini di gioia e mi sono anche guadagnato un altro super-abbraccio.
“Ora a nanna, bimbe, dai” so benissimo che nella mente di Abby, ogni qual volta le vede ridere, piangere, giocare insieme tra di loro o con noi, passano le stesse immagini che vedo io, gli stessi pensieri. Essere genitori è un lavoro difficile, ma la paga è inestimabile.
Obbediscono immediatamente, e questo mi fa intuire che abbiano fatto un patto con la mamma: ‘a nanna appena papà torna e l’abbiamo salutato’. Le guardo salire le scale nei loro pigiamini, uno rosa l’altro lilla. Hanno ereditato i capelli da Abby ed ora hanno due chiome lunghe e folte, tutte boccoli. Da me hanno preso gli occhi color nocciola e – lo dico senza presunzione, sia chiaro – l’abilità di cantare. Sin da quando erano più piccole e incominciavano a dire le prime parole ho avuto la speranza che almeno una di loro cantasse. Non so perché, ma è come se le avessi passato un’eredità unica, originale e tutta nostra. Quando un giorno rientrando a casa dalle prove le ho sentite cantare la sigla di un cartone, ho capito che Dio mi aveva ascoltato. Come ho già detto, solo il fenomeno della natura più bello che abbia mai visto.
“A nanna anche noi, signorina” dico determinato, una smorfia tutta seria sul volto ma poi sorrido a mia moglie e la coinvolgo in un abbraccio passionale e romantico. Mi è mancata anche lei. Mi mancano sempre tutte quando non le vedo per qualche ora di troppo.
“Saluta papino come si deve!” la incito, sciogliendo l’abbraccio di quel poco che basta per far incontrare le nostre labbra. La bacio con tutto l’amore e la passione che ci avvolge dalla prima volta che l’abbiamo fatto.
Il giorno del nostro matrimonio, quasi nove anni fa, mi resi conto che quella fu la scelta migliore della mia vita. Non potevo chiedere di meglio al mondo, avevo già lei. È stato il giorno più bello della mia vita, dopo la nascita delle gemelle, che è avvenuta tre anni dopo il nostro matrimonio. Per il primo anno, quasi un anno e mezzo, non avevamo pensato affatto ad avere bambini. Tra il nuovo tour già organizzato e il disco in uscita sarebbe stato un inferno. Appena tornati a casa da mia madre, abbiamo incominciato a parlarne, abbiamo cominciato a fare l’amore quattro volte al giorno. Quando abbiamo scoperto delle gemelle eravamo diecimila volte più felici di tutti gli altri esseri viventi sulla terra. E ora stiamo aspettando un altro bambino. Abbiamo scoperto da un paio di mesi che avremo avuto un altro figlio o, come ha specificato il ginecologo, ‘forse altri gemelli’. L’idea non mi dispiaceva, quella dei gemelli. Due settimane fa il dottore ci ha detto che sarà maschio, uno solo. Mi sarà utile tra qualche anno che sia maschio, anche per badare le altre tre donne della casa. A natale dovremo dirlo a tutti. È per questo che abbiamo preso una casa nuova e più grande in Canada. Più grande per il nuovo arrivato e per i futuri, se mai ce ne saranno. Ed in Canada così che Abby potrà essere vicina sia ai miei che ai suoi genitori quando sarò in tour. Io avrei portato tutta la mia famiglia con me, ma penso sia un tantino scomodo. Comunque sia, abbiamo accordato di poterli farli venire con me in alcune tappe.
“Non vedo l’ora di dirlo ai miei genitori. Impazziranno davvero questa volta. Dopo Sheeren che aspetta un altro bambino da mio fratello Derek e mio fratello Tom che si sposa, mancavo io all’appello!” scherza Abby e io la stringo di nuovo a me. La mia vita è meravigliosa sin da quando l’ho incontrata. Come avrei potuto lasciarla andare via?
Magari l’ho scoperto dopo, di amarla e di tenere a lei più di qualsiasi altra cosa nell’universo ma l’ho fatto e non me ne pentirò mai. E poi, sono quasi sicuro di averla amata da sempre, da quando infreddolita le prestai la felpa, da quando quella mattina i nostri occhi si incontrarono più volte attraverso il vetro della saletta di registrazione. Quando qualcuno mi chiede se è stato amore fin da subito, quindi, io rispondo di si. Nessuno lo sapeva o se ne era reso conto. Ma io l’ho amata e l’amerò da sempre e per sempre.


The end.

Un grazie enorme a tutti quelli che hanno seguito la storia, l’hanno recensita o inserita in una lista nei loro profili. Siete le persone migliori del mondo, io lo so!
Spero davvero che la storia vi sia piaciuta, vi abbia fatto divertire ed emozionare come è successo a me scrivendola. Visto che ci siamo, vi auguro anche buon natale! E rinnovo l’augurio di vedere tutti coloro che hanno seguito questa storia partecipare alla crescita anche delle mie future storie!
Un bacione enorme,
sempre io e sempre con amore,

-Andrea.
@despicableandri su instagram, seguitemi!) ♥
   
 
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