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Autore: zippo    10/11/2008    5 recensioni
Rebecca era solo una ragazza del liceo quando, ricevendo la visita di un bellissimo ragazzo, scopre di essere un angelo. Le sue radici, la sua storia e la sua stessa anima appartengono ad un altro mondo, ben diverso dal nostro, dove magia e creature mitologiche vivono indisturbate in armonia con i loro abitanti. Rebecca, sotto la protezione del suo maestro, dovrà essere iniziata all’arte della guerra e alla pratica della magia dato che in quello stesso pianeta così perfetto e tranquillo un altro angelo minaccia la sua distruzione. Una storia interessante basata sull’amore, sul coraggio e sul Bene.
Il primo capito della saga: IL BENE
"L'eroe non è colui che non cade mai ma colui che una volta caduto trova il coraggio di rialzarsi" Jim Morrison
Genere: Romantico, Sovrannaturale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 26 - L’ALBA DEGLI EROI -

[La guardo e mi rende fiero,
è un tipo di donna che non ha nemmeno bisogno del mio aiuto.

Ha qualcosa di unico,
è per questo che la amo.

Per sempre]

Ne-Yo - Miss independent -



***



Rebecca rimase a guardare il corpo privo di vita di suo padre. Non riusciva a capire se quello che stava provando era gioia, felicità oppure tristezza e riluttanza. Sì, riluttanza. Riluttanza perché in quel momento si sentiva una bestia, un mostro assassino che era stato capace di ammazzare a sangue freddo persino suo padre. Chiunque avrebbe provato un minimo di pietà e titubanza ma lei no, non ebbe nessun tipo di riguardo, non un’indecisione. Nel momento in cui decise di trapassargli il cuore con un pugnale non aveva avuto nessun fremito di esitazione. Si sentiva svuotata, sconvolta per la sua brutalità.

Gabriel era di fianco a lei e la osservava da lontano, quasi volesse mantenere una distanza di sicurezza, Rebecca s’immaginava già la faccia del ragazzo perplessa e inorridita. Si voltò lentamente con un sospiro, in cerca del suo sostegno, paurosa per quello che avrebbe potuto vedere sul suo volto.

Gli occhi di Gabriel erano puntati sul corpo di Dark Threat, la ragazza si accigliò nel constatare che non era lei la fonte della sua attenzione. Lo sguardo di Gabriel era fisso e vacuo, non si capiva se stesse soffrendo oppure se era contento. Sembrava una statua di marmo bianco. Rebecca si mosse impercettibilmente verso di lui ma poi ci ripensò e tornò al suo posto. Il gesto però non passò inosservato al ragazzo che subito la guardò. La guardò come se la vedesse per la prima volta.

“Gabriel…” lo provò a chiamare, non riusciva a capirlo in quel momento. Sembrava sorpreso, pronto ad urlare qualcosa, sull’orlo di una crisi isterica.

“Non ci posso credere” sussurrò, poi il suo volto si aprì in un sorriso. Rebecca si rilassò e rise con lui. Le corse incontro e l’abbracciò con trasporto. “Ce l’abbiamo fatta! Siamo salvi, è finita! Finita! Te ne rendi conto?!”

La ragazza passò le mani sulla sua schiena e si lasciò stritolare dal ragazzo che sembrava incapace di contenere le proprie emozioni. “Sì, finalmente è finita. Finalmente potremmo vivere in pace” mormorò lei, rischiando di piangere per la felicità.

Rimasero abbracciati allungo, poi Gabriel si staccò e il suo viso era bello e raggiante come il sole. Faceva persino male a guardarlo troppo. “Ogni giorno della mia vita da quando ti ho incontrata ho temuto questo giorno. Ogni giorno vivevo nel terrore che tu potessi morire per mano sua. La paura, l’ansia, le battaglie…si è concluso tutto. Tutto” era incredulo, forse non se ne rendeva ancora conto.

“Per il meglio anche, direi” sorrise soddisfatta.

“Il Male ha perso, insieme faremo in modo che il Bene rimanga sovrano su questo mondo”

“Cosa succederà ai seguaci di Mortimer?” domandò Rebecca.

Gabriel le scansò dal viso dei ciuffi che le erano caduti sulla fronte, poi posò la mano sulla sua guancia, assaporando quel contatto caldo e vicino. “Si arrenderanno. Non ci sarà più nessuno tanto potente quanto Dark Threat, non avranno più nessuno che possa guidarli come ha fatto lui. Scapperanno, si rifugeranno e un po’ alla volta gli staneremo tutti, oppure si faranno la guerra tra loro, dipende”

Rebecca guardò alla sua destra il cumolo di macerie che era rimasto come un’ombra nel pavimento della sala. Della polvere grigia albeggiava ancora nell’aria. Gabriel seguì incuriosito il suo sguardo concentrato e subito s’incupì. La guardò negli occhi e Rebecca vide che era addolorato.

“Che c’è?” chiese, il cipiglio innalzato.

“Niente, stavo ripensando al colpo che mi hai fatto prendere. Ti credevo morta”

“Mi dispiace, non avevo n’anche visto che eri entrato nella sala altrimenti a te avrei risparmiato quel trucchetto illusorio”

“Mi hai fatto morire, in effetti” disse con voce roca. Non rideva più. “Sei veramente cattiva quando ti ci metti”

Nonostante tutto lei si sforzò di sorridere. “Penso che l’abbia pensato anche mio padre” la risata le morì in gola.

Mio padre.

Distolse lo sguardo da Gabriel.

Il ragazzo le prese dolcemente il mento con le dita e le fece voltare la testa perché potesse vederlo. Il volto di Rebecca era imbronciato in una maniera squisitamente tenera. Gabriel distese un sorriso.

“Facciamo che non ci pensiamo più per un po’?”

Rebecca aggrottò la fronte facendo avvicinare le sopracciglia. “Se fosse per me vorrei dimenticare tutto” rispose, con voce piccola, da bambina.

“E lo faremo, insieme, te lo prometto. Ora però sarebbe meglio se andassimo ad avvertire gli altri”

“C’è una persona che dobbiamo aiutare ad uscire dal castello, Gabriel”

Gabriel serrò i pugni. “Non starai parlando di Atreius, vero?” domandò, minaccioso, facendo un passo in avanti. “Anche perché temo che sia troppo tardi”

“No, si tratta del fratello di Bastian: Alan. Credo che Bastian ne sarebbe davvero contento se lo riportassi da lui”

Il volto di Gabriel s’illuminò. Improvvisamente divenne desideroso di muoversi, di lasciare quella stanza, di darsi da fare. Si agitò sul posto, gli occhi scintillanti per l’eccitazione. Le prese le mani e l’avvicinò con uno strattone al suo viso. “Sarebbe il regalo più bello che tu potessi fargli. È da anni che non vedo Alan, mi piacerebbe poterlo abbracciare di nuovo”

“E lo farai, ma ora dobbiamo andare. Alan era l’unico prigioniero nella torre, l’ho nascosto in una stanza e l’ho bloccato all’interno”

“Ti ricordi dov’è la stanza?”

La ragazza annuì convinta e lui si rilassò. La prese per il gomito e la tirò verso la porta, correndo per raggiungere più in fretta possibile l’uscita. Stavano per avvicinarsi al portone quando Rebecca lo bloccò. Gabriel, sentendosi tirare della parte opposta dove stava andando, si voltò perplesso verso la ragazza che, ferma davanti a lui, lo guardava in un modo che lui conosceva fin troppo bene.

Rebecca lo prese per il colletto della divisa e lo attirò a sé. Non ce la faceva più ad aspettare, aveva voglia di sentire le sue labbra sulle sue, il suo corpo premuto in una morsa contro il suo. Si baciarono con urgenza, con furia, nulla a che vedere con quei dolci e casti baci che si davano normalmente. La paura iniziale e la gioia che avevano provato nel ritrovarsi entrambi vivi alla fine della battaglia avevano creato un mix di desiderio e passione. Se non fosse stato per il poco tempo che avevano a disposizione di sicuro Gabriel non si sarebbe risparmiato nel strapparle i vestiti di dosso. Dovette interrompere il bacio e quasi provò una fitta al cuore a quel distacco. Sbirciò con gli occhi e ciò che vide lo fece intenerire: il volto di Rebecca era ancora proteso verso di lui, le palpebre abbassate e le labbra sporgenti, pronte a ricominciare. Gabriel le diede un bacio sul naso e lei riaprì gli occhi tornando con i talloni dei piedi ben saldi a terra.

Storse il naso facendo capire che non approvava quel suo allontanamento da lei.

“Andiamocene mocciosa, prima che sia troppo tardi, altrimenti potrei perdere il controllo e violentarti qui, su questo pavimento freddo”

Rebecca si portò una mano alla bocca per reprimere una risata, cercò di darsi un’aria composta e seria. “E se ti dicessi che non aspetto altro, angelo?” lo prese in giro.

In risposta alla sua provocazione il ragazzo andò letteralmente a fuoco.

“Avremo tempo per quello” sbottò, cercando di acquistare un tono di voce che risultasse duro e autoritario.

Peccato che per dire quattro parole aveva balbettato un po’ troppo.  



***



Non appena i due ragazzi uscirono dalla sala del trono percorsero correndo i corridoio del castello. La notizia della morte di Dark Threat si era sparsa in tutta la roccaforte e ora persino il castello sembrava morire con lui. Le mura e le pareti si stavano sgretolando. Cadevano a terra grossi e pesanti blocchi di marmo, le scale si stavano rompendo e dividendo. Tutto stava cedendo.

Ebbero appena il tempo di salvare Alan, ancora mezzo moribondo, prima che il soffitto crollasse e seppellisse la stanza in una pioggia di pietra. Gabriel e Rebecca aiutarono Alan ad uscire dal castello, procedevano veloci e irrequieti. Avevano paura di incontrare qualcuno in quei corridoi, oltre ad essere stanchi per la battaglia avevano il timore di non essere in grado di proteggere Alan se si fossero trovati davanti un gruppo di soldati. Fortuna volle che non s’imbatterono in nessun nemico durante la loro uscita, sembrava che dell’esercito di Mortimer e dei suoi fedeli non fosse rimasto più nessuno.

Erano appena usciti nel cortile e Gabriel sentì Rebecca gemere al suo fianco. Quando la guardò vide che il suo volto era contratto dal dolore.

Cercò di incrociare il suo sguardo da sopra la testa di Alan. “Che succede, Rebecca? Stai bene?” domandò preoccupato.

La ragazza cercò di sorridere ma non riuscì a nascondere una smorfia. “Penso di essermi fatta male quando mio padre mi ha seppellita sotto a quei sassi” voleva essere simpatica e ironica ma la sofferenza le aleggiava il contorno degli occhi.

Gabriel le squadrò il corpo martoriato da lividi e piccole ferite. Sbarrò gli occhi quando vide nella sua schiena una chiazza enorme di sangue.

La guardò allibito e sconvolto, fece per parlare ma lei lo mise a tacere. “Dopo” sibilò senza nemmeno guardarlo in faccia.

Cercò di camminare il più veloce possibile dato che a correre non ce la faceva più. Avrebbe tanto voluto fermarsi e riposare, medicarsi la ferita e fermare il sangue che continuava sentir colare. Ma non poteva. Doveva prima essere al sicuro e portare Alan al riparo con sé. Cacciava dei piccoli gemiti ogni volta che il taglio nella schiena le bruciava o le faceva male, beccandosi ogni volta delle occhiate allarmate da parte del ragazzo che la guardava con profonda commozione.

“Fermiamoci” le disse il ragazzo con disperazione quando la sentì gemere per l’ennesima volta. Era pronto a mollare la presa su Alan nel caso la ragazza avesse avuto un mancamento.

“Non devi preoccuparti per me, procediamo. Dobbiamo uscire dal castello, sta cadendo a pezzi” rantolò, la voce spezzata e roca.

Gabriel alzò gli occhi al cielo, non sapeva che fare per aiutarla. Aumentò la camminata per arrivare nel loro accampamento.

Rebecca camminava e, mentre con un braccio sosteneva Alan di fianco a lei, con l’altro tentava di tenersi premuta la ferita sulla schiena. Cercava di tamponare con la stoffa della divisa il taglio per fermare la fuoriuscita del sangue. Doveva aver perso molto sangue in effetti, cominciava a vederci sempre di meno, iniziava a sentirsi man mano sempre più debole e fiacca. Strizzò gli occhi un paio di volte prima di rendersi conto che vedeva tutto buio. Perse l’uso della vista e inciampò in un masso. Cadde per terra e sbattè la testa contro il sasso. Sentì Alan scivolare dalla sua presa, sentì la voce di Gabriel rincorrerla quasi volesse prenderla.

Rimase qualche secondo distesa al suolo prima che Gabriel la prendesse. Si sentì alzare e afferrare saldamente per i fianchi. Seppe per certo di essere tra le sue braccia. Lui stava correndo. Cercò di aprire gli occhi. Voleva sgridarlo, ordinargli di metterla a terra e di aiutare Alan invece che lei, ma non ne trovò la forza né la volontà, era come se il suo corpo si fosse intorpidito. Rimase con la testa appoggiata al suo petto muscoloso e un terribile sonno la invase.

Stava per chiudere gli occhi e addormentarsi, sopraffatta da quella sensazione di pace e tranquillità, quando sentì il ragazzo urlarle di restare sveglia. “Non ti addormentare, Rebecca! Non ci provare nemmeno se non vuoi che ti riempia di schiaffi!”

La ragazza mugulò tra le sue braccia e cercò di non dormire. Sebbene avesse gli occhi aperti non ci vedeva niente.

“Siamo arrivati, tesoro. Un altro piccolo sforzo” le mormorò dandole un bacio sulla testa. Rebecca si tranquillizzò nel sentire le labbra del ragazzo premerle forte la fronte.

Gabriel si fermò e la posò a terra, distendendola con cura e devozione. Le passò una mano sulla guancia e a gran voce cominciò a chiamare Bastian affinché gli procurasse un curatore alla svelta. Rebecca fu contenta di sentire la voce di Bastian, temeva che fosse rimasto ucciso durante la battaglia. Cercò di alzare la testa ma una mano la spinse indietro.

Era Gabriel che vegliava su di lei. “Non fare stupidaggini, scema. Rimani ferma e tieni duro. Sta arrivando un medico”

“La battaglia?” domandò la ragazza con un filo di voce.

“Abbiamo vinto, non abbiamo riportato molte perdite nell’esercito. Le truppe di Mortimer sono state decimate e il resto dei soldati hanno fatto fuga” sorrise, non smettendo di accarezzarle le guancie, i capelli, la fronte, le labbra…

Si chinò e la baciò.

“Alan?” sussurrò Rebecca.

“Sei fortunata che il tuo ragazzo abbia avuto i suoi poteri con sé” disse. “L’ho trasportato con la magia”

Non fece in tempo a parlare che lui le premette un dito sulle labbra, zittendola. “Ora basta parlare, dormi”

Rebecca finse una faccia adirata. “Ma come? Prima mi hai detto di star sveglia!”

“Smettila di rompere, signorina. Ora arriva il curatore” era Bastian che aveva parlato. Lo sentì chinarsi su di lei e tastarle il polso. Anche se non ci vedeva non era stupida, sentì il cuore di Bastian accelerare nel suo petto e le parve di vederlo lanciare un’occhiata significativa a Gabriel che impallidì. Sentì che il cuore di Gabriel invece aveva smesso di battere.

Rebecca scrollò la testa da tutte la parti. “Che succede?” domandò con agitazione.

Gabriel le tenne ferme le spalle per non farle fare movimenti troppo pericolosi. Quando le parlò la sua voce era incrinata e malferma. “Niente, non succede niente” cercò di tranquillizzarla ma inutilmente.

“Sarebbe meglio se tu mi dicessi che sto per morire piuttosto che girarci intorno sperando che abbocchi” disse duramente.

Gabriel chiuse gli occhi ed emise un gemito. Bastian sospirò frustrato, guardando il ragazzo con compassione.

Il curatore arrivò dopo pochi minuti e frettolosamente si fece spiegare la situazione. Fu Gabriel a parlagli. “Ha un taglio profondo nella schiena, ha perso molto sangue e la vista è già sparita”

Rebecca ascoltò con attenzione il curatore che spiegò sia a Gabriel che a Bastian in cosa avrebbe consistito la sua operazione. Si presentò abbastanza complessa e dolorosa. Da come parlava sembrava che la possibilità di salvarsi era molto scarsa. Disse ad entrambi di pregare e di attendere che finisse.

“Che Dio prego?” Rebecca sentì Gabriel sussurrare.

Poi il curatore prese una siringa e fece l’anestesia alla ragazza. Pian piano Rebecca si addormentò.



***



Vezzen, l’umile servitore di Dark Threat, vagava come un pazzo lungo i corridoi distrutti del castello. Ammirava con dolore e rimpianto le mura crollate e la sua dimora cadere a pezzi. Non sapeva dove andare ora che il suo Signore era morto.

Morto!

Com’era possibile? Come aveva fatto quella ragazza a sconfiggere il Male?

Andò nelle dimore di Mortimer e si lasciò scappare un singhiozzo vedendo il suo letto spaccato a metà. Ridusse gli occhi a due fessure, in quel momento un odio profondo e incontrollato verso quella ragazza lo stava prosciugando.

“Non ti preoccupare, Vezzen” disse una voce calma e melliflua alle sue spalle.

Vezzen si voltò perplesso e cacciò un singulto nel vedere la figura di Mortimer dietro di lui. Si buttò per terra per prostrarsi ai suoi piedi, elogiandolo. Non appena si tolse il cappuccio dalla testa e mostrò il suo volto, Vezzen sbarrò gli occhi e serrò la mascella. Si alzò in piedi e serrò i pugni, profondamente dispiaciuto.

Atreius lo fissava con uno strano sorrisino stampato in faccia. Gli abiti di suo padre gli calzavano alla perfezione. “Non ti preoccupare” ripetè. “Avranno tutti la loro bella sorpresa. Avranno ciò che si meritano”

Vezzen non capiva a cosa il ragazzo si riferisse con quella frase ma annuì comunque con la testa e fece un piccolo inchino. A quanto pareva era lui, ora, il suo nuovo padrone.



***



Gabriel andava avanti e indietro lungo il corridoio. Era passata più di un’ora da quando avevano portato Rebecca al villaggio. Dopo l’operazione fatta direttamente sul campo di battaglia era stata trasportata su una barella fino al villaggio, per poi essere condotta nell’edificio sanitario che era un po’ simile agli ospedali della Terra. L’avevano adagiata su un lettino e avevano chiesto a Gabriel di uscire e aspettare che finissero di darle i punti sulla ferita. Gabriel aveva insistito per rimanere al suo fianco ma i curatori gli avevano fatto ben capire che se non fosse uscito immediatamente dalla stanza si sarebbero rifiutati di guarirla.

Dopo averli urlato dietro una serie di imprecazioni e di aver sbattuto la porta prima di uscire, si sistemò fuori nel corridoio. Incapace di restare fermo continuava a camminare su e giù, lo sguardo fisso a terra e le mani tenute dietro la schiena.

Sentiva un istinto omicida verso quei curatori. Mandò giù il groppo che aveva in gola e cercò civilmente di aspettare che qualcuno venisse fuori per dargli qualche notizia. Ma dopo un’ora che attendeva cercare di rimanere calmo e pacifico era pressoché impossibile.

In quel momento vide sua sorella corrergli incontro, tutta indaffarata e preoccupata. Si lanciò addosso al fratello e lo abbracciò forte. Gli chiese come stava, come stava Rebecca, se sapeva qualcosa, se era viva, se era guarita…

“Non lo so” rispose il ragazzo con voce incolore. Era svuotato, gli sembrava di vivere un incubo.

Stava ancora tenendo la sorella tra le braccia quando spalancò gli occhi dalla sorpresa. La prese per le spalle e la tirò indietro in modo da guardarla meglio. Non aveva sentito il suo pancione contro il suo ventre quando l’aveva abbracciato, e ora che la vedeva bene notò che la sua pancia era tornata piatta e…vuota!

Credette di svenire. “Rose! La tua pancia! N-Non sei più incinta!” Rosalie fece un enorme sorriso. “Hai partorito!” esclamò il fratello con gli occhi fuori dalle orbite.

“Sì, ho partorito mentre voi eravate a farvi ammazzare” sospirò, lanciando un’occhiata preoccupata alla porta chiusa davanti a lei.

“E non mi dici niente?! Sono diventato zio, porca miseria! Dimmi almeno se è andato tutto bene!”

“Sei diventato zio di due gemelli, caro mio! Un maschio e una femmina. Oh Gabriel, sono così piccoli e belli! Non vedo l’ora che tu possa vederli!”

Il ragazzo era al culmine della felicità. “Due nipoti! E come li hai chiamati?”

“Ian ed Emma. Ti piaceranno, ne sono sicura”

“Ora sono a casa con il papà?”

“Per forza, non volevo lasciarli ma non potevo neppure non venire. Posso capire quanto tu ti senta solo e impotente in questo momento. Lascia che ti faccia un po’ di compagnia”

“Vorrei solo che lei si svegliasse” disse con una faccia talmente addolorata e disperata che Rosalie sentì una fitta al cuore. Non aveva mai visto suo fratello in quello stato. Sembrava spacciato, morto dentro. Lo strinse a sé e insieme si sedettero in una sedia tenendosi sempre stretti l’uno con l’altra.

Quando finalmente la porta di aprì Gabriel scattò in piedi rischiando di far cadere la sorella che gli era seduta sopra. Si catapultò verso il curatore che indossava ancora la mascherina sul viso.

Gabriel lo prese per il colletto della divisa. “Me lo dica, dottore. Come sta?” il suo tono era minaccioso.

“Si è ripresa, è dentro. Potete entrare anche se…”

Il ragazzo non diede il tempo al curatore di finire la frase. Mollò la presa su di lui e corse dentro la stanza come una furia. Non appena vide davanti a sé il lettino con la ragazza sdraiata sopra che lo guardava sorridente le andò incontro con un sorriso a trecentosessantacinque denti.

Rebecca era appoggiata contro lo schienale del letto ed era coperta da un lenzuolo azzurro, le braccia erano scoperte e le mani congiunte. Nonostante avesse appena subito un’operazione era bellissima. Non aveva n’anche un capello fuori posto. Appariva sollevata e tranquilla. Nel vederla in quello stato, così serena e affettuosa, Gabriel ricevette una scossa elettrica. Qualcosa si smosse e si accese dentro di lui, fu come se un fuoco l’avesse invaso. La guardava e non vedeva più la ragazza di cui si era innamorato, bensì vide la sua vita attraverso i suoi occhi. Arrivò alla consapevolezza che di essere arrivato al limite massimo con cui si può amare una persona. Ebbe un tale impulso di possessività che quasi gli mancò il fiato. Era una sensazione straziante e soffocante quella che provava per lei.

Quando vide che il giovane medico le stava toccando il seno per sentire i battiti del cuore emise un basso e minaccioso ringhio. Il ragazzo si voltò verso di lui e sbiancò nel vedere la sua faccia. Tolse immediatamente le mani dal corpo dalla ragazza e gli cadde la cartella medica dalle mani. La raccolse goffamente e uscì di corsa dalla stanza. Gabriel diede uno spintone alla porta e la chiuse.

Rebecca scuoteva la testa. “Guarda che non mi freghi. Ti sembra normale fare queste scenate di gelosia?”

Il ragazzo scrollò le spalle con fare innocente. “Non avercela con me, era lui che ti toccava in tutte le parti possibili e immaginabili. Io gli solo fatto capire che sei di mia proprietà”

“Io. Non. Sono. Di. Tua. Proprietà” scandì bene parole.

Gabriel salì sul lettino con un ginocchio e la sovrastò. Cominciò a baciarla con insistenza prima sulle labbra e poi sul collo. “Sì, sì, dicono tutte così”

Lei lo urtò indietro, fingendosi offesa. “Ti pare che io sia come tutte le altre?”

“Sai cosa intendevo” rispose, poi tornò a baciarla. “Non vedo l’ora di sposarti” le sussurrò all’orecchio.

Il suo alito caldo e sensuale provocò un brivido di eccitazione in Rebecca. Il respiro cominciò a farsi irregolare. “Prima dammi il tempo di riprendermi”

“Bastian ti ringrazia” le disse Gabriel tra un bacio e l’altro.

Rimanere lucidi in un momento come quello era molto difficile. “Ah sì?”

“Gli hai ridato il fratello che aveva perso, chi non potrebbe esserti grato?”

Con gentilezza Rebecca scostò Gabriel.

“Che fai?” domandò il ragazzo, vedendosi respingere.

L’occhiata dolce della ragazza lo tranquillizzò. “Non mi sembra il caso di farci vedere in queste condizioni dai medici”

Gabriel inarcò le sopracciglia. “Rebecca, ti rendi vero conto che in questo momento il giudizio dei medici non me ne sbatte proprio niente”  

“Beh, non voglio che ci vedano amoreggiare, penseranno che siamo due animali assatanati di sesso”

Gabriel innalzò ancora di più le sopracciglia. “Mi sono preso uno spavento sapendoti tra la vita e la morte, e ora mi vieni a dire che devo trattenermi? Beh, mi dispiace, non c’è niente che io voglia di più”

Rebecca deglutì. Lo sguardo del ragazzo la mise in soggezione. Sapeva che poco poteva contro il suo volere. Forse perché anche lei, infondo, lo voleva.

Gabriel le fece l’occhiolino, lei scosse la testa come per chiedergli che avesse in mente. Con una mossa della mano il ragazzo bloccò la serratura della porta e oscurò i vetri. Rebecca alzò gli occhi al cielo e sorrise.



***



Era passato un mese da quando la guerra era finita.

Rebecca era stata dimessa, non aveva riportato problemi dopo l’operazione. La ferita un po’ alla volta si era richiusa anche se era rimasta la cicatrice. Gabriel l’aiutava in ogni modo, le cambiava la garza e le disinfettava la ferita, l’aiutava a cambiarsi e con cura la metteva pure a letto la sera. All’inizio la ragazza aveva problemi a camminare e il più delle volte era Gabriel a portarla in spalla fregandosene delle sue lamentele. Festeggiarono in quei giorni il compleanno di Rebecca che dopo un anno compiva diciotto anni. Il suo primo anno da eroe, il suo primo anno a Chenzo.

“Io sono comunque due anni più grande di te perciò cerca di non metterti in testa strane idee di superiorità” le aveva ribadito Gabriel, beccandosi un pugno in testa da parte della ragazza.

“Ma sei rimasto scemo uguale” aveva esclamato incrociando le braccia al petto con un broncio adorabile stampato in faccia.

Non appena tornarono a casa andarono a trovare Rosalie e Denali che avevano già la fama di essere i migliori genitori del villaggio. Rebecca era stata entusiasta di tenere in braccio Ian ed Emma e Gabriel si era addirittura commosso, sebbene lui l’avesse negato. Gli sguardi fieri di Denali e Rosalie mentre guardavano i loro figli crescere erano un qualcosa di fantastico e unico.

Kevin e Delia avevano deciso, dopo tanto tempo, di andare a vivere insieme. Kevin si era beccato un vaso in testa dopo che ebbe parlato con il padre di Delia, a quanto pareva l’uomo non vedeva di buon occhio il ragazzo della figlia. Dopotutto Kevin non era quello che si poteva definire un ragazzo responsabile. Ma il padre di Delia chiuse un occhio quando vide l’amore che lui nutriva per la ragazza. Si presero una casa vicino al centro del villaggio e parlavano di mettere su famiglia.

Rebecca, scherzando, buttò lì la frase: “Gabriel, potremmo mettere su famiglia anche noi, no?”

Rise come una matta nel vedere la faccia del ragazzo irrigidirsi e sbiancare. Aveva cominciato a balbettare e dopo aver ripreso colorito era diventato rosso come un peperone. Si era giustificato dicendo: “Sono troppo giovane per fare il padre”

Ma lei sapeva che lui sarebbe stato un padre perfetto.

I risultati della loro vittoria avevano contribuito a migliorare il mondo, i villaggi si erano ripopolati, le famiglie si erano ricongiunte e la natura stessa era più prosperosa e verde. Bastian lo si vedeva sempre in giro per il villaggio con il fratello a seguito mentre gli indicava e gli spiegava i cambiamenti che aveva riportato al paese negli anni in cui lui era mancato. Si era anche tenuta una festa, una delle prime sere da quando Rebecca era tornata a casa, ovviamente era in suo onore.

La gente la adorava, la ringraziò e la definì la loro eroina. Il tema di quella festa era appunto: “L’alba degli eroi” e, in un certo senso, era riferito a tutti i cittadini, perché tutti in quel momento potessero sentirsi utili e importanti per il villaggio. Perché tutti dovevano sentirsi dentro un po’ eroi.

La vita riprese ad essere quella di sempre. Ora che non dovevano più combattere Rebecca e Gabriel passavano le loro giornate viaggiando e visitando posti fantastici. Ogni giorno erano in un posto diverso, Gabriel voleva farle vedere tutto il pianeta. Quando tornarono a casa dopo il viaggio era passato un mese. Si potè benissimo immaginare le facce costernate della gente.

“Come avete fatto a visitare Chenzo in un mese?”

Gabriel sorrise orgoglioso e abbracciò Rebecca cingendole i fianchi, attento a non urtarle la ferita che si stava rimarginando. “Ehi, state pur sempre parlando con due angeli”

Chenzo era magnifica e Rebecca fu contenta di averla vista con Gabriel.

Fu mentre erano nella famosa rupe che dava sul mare che alla ragazza comparve un alone di tristezza per la prima volta dopo quel mese di vittoria. Gabriel se ne accorse e si fece più vicino a lei. Stavano entrambi guardando l’orizzonte infinito, era il tramonto e faceva caldo. Era estate. Il mare era tinto di rosso e di arancione, gli scogli erano macchiati di sfumature grigie e nere.

“A che pensi?” le domandò timoroso. Non pensava di essere pronto ad affrontare un discorso serio che comportasse dell’altro dolore.

Lei sospirò, alzando e abbassando il petto. “Pensavo a quello che mi ero ripromessa di fare un anno fa”

“E cioè?”

“Che una volta finito il mio compito su questo pianeta sarei ritornata a casa, sulla Terra, e avrei ridato ai miei genitori la memoria”

Rebecca potè sentire Gabriel irrigidirsi al suo fianco. Sbirciò per guardarlo e vide che il suo volto era contratto e rigido.

“È questo che vuoi?” le domandò con un filo di voce.

La ragazza rimase allungo in silenzio. Si voltò disperato verso di lei e ammirò il suo profilo cupo e pensieroso. Strinse i pugni lungo i fianchi e si morse la lingua per non urlarle addosso. In quel momento rimanere zitto gli costò un sacrificio immenso. Avrebbe voluto gridarle che no, non poteva andarsene. Era impazzita?! Lei doveva rimanere con lui, stare con lui, per sempre. Ma non voleva dimostrarsi egoista, se andarsene era quello che veramente desiderava di più avrebbe saputo accettarlo il tempo necessario per vederla partire. Dopodichè si sarebbe ucciso con le sue mani. Non avrebbe sopportato l’idea di saperla sulla Terra, con una vita normale distante da lui, continuamente attorniata da ragazzi insistenti che la volevano tutta per sé. L’immagine di lei con un altro che si abbracciavano, innamorati e felici, gli mandò il sangue al cervello. Inspirò profondamente e attese che lei parlasse.

“Questo era quello che volevo, Gabriel. Ora però non penso di riuscire ad andarmene”

Gabriel sorrise e prese la sua mano tra la sua. “Era quello che speravo dicessi”

“Sii serio Gabriel, pensavi davvero che ti avrei lasciato qui mentre io me ne sarei andata via a farmi una nuova vita?” sembrava sorpresa. “Avresti una bassa fiducia di me”

Il ragazzo alzò le spalle, guardava il mare dritto davanti a sé. “Non l’ho mai pensato”

Rebecca ghignò. “Ah no? Bugiardo…”

“Te l’ho detto, Bec. Ci sposeremo, avremo dei figli e diventeremo immortali. Passeremo il resto della nostra vita insieme, per l’eternità”

Rebecca si voltò verso di lui, lo guardò e sorrise. “Sai cos’è un lieto fine?” chiese abbassando lo sguardo. “Quando l’eroe, alla fine della storia, comprende finalmente il motivo della sua sofferenza”

Gabriel piegò la testa per cercare di vedere l’espressione del suo volto. Rebecca alzò il viso verso di lui. Gabriel si appoggiò con il mento sulla sua fronte e poi si chinò a baciarle le labbra.



“Fra il Bene e il Male c’è una porta, qualcuno potrebbe aprirla…”

.Continua.




***



Ehi ragazzi, è finita sul serio la storia...vi aspetto con il sequel!!!
"Angelus Dominus - Alone in the dark -"
Grazie di tutto, grazie perchè mi avete seguita, grazie per le vostre recensioni.

Bacioni, Federica.




  
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