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Autore: HikariMoon    25/12/2014    6 recensioni
NUOVO AGGIORNAMENTO: AVVISO
Sono passati quattro anni dal ritorno dei Maestri della Luce dal futuro. Quattro anni in cui Mai, Yuuki, Hideto e Kenzo hanno cercato di riprendere le fila della propria vita.
Ma è arrivato il momento che i Guerrieri di Gran RoRo tornino a combattere per i sei mondi. Guidati da una verde farfalla i quattro si ritroveranno finalmente catapultati a Gran RoRo. E ad attenderli ci saranno vecchi amici e una misteriosa ragazza. Grazie a loro verranno a sapere tutto ciò che è successo in quegli anni e chi minaccia la pace, rendendosi conto di come il mondo che hanno lasciato non sia più lo stesso. Ma prima di iniziare la loro battaglia scopriranno che c’è una loro vecchia amica che ha bisogno del loro aiuto.
Genere: Angst, Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hideto Suzuri, Kenzo Hyoudo, Mai Viole/Shinomiya, Nuovo personaggio, Yuuki Momose
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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NOTA: me ne sono dimenticata nelle precedenti fanfiction, ma è chiaro che (purtroppo) Battle Spirits e i suoi personaggi non mi appartengono, ma appartengono alla Sunrise, alla Bandai e a chi di diritto. Queste storie non sono state scritte con alcun scopo di lucro! Miei sono solo i personaggi minori inventati che ogni tanto appaiono qua e là (Kaoru, Hinata, Andrew, Elisabeth, ecc.)  … detto questo, BUONA LETTURA! ^-^

EPISODIO 1 – Le Farfalle di Gran RoRo

Capitolo 1

Hideto sospirò di sollievo e si sistemò il più comodamente possibile sul proprio sedile. Stentava ancora a credere di essere riuscito a trovare un posto sull’aereo con così poco preavviso. Era l’ultima volta che partiva per un viaggio senza chiedere prima agli altri se si volevano incontrare. Si sarebbe di sicuro risparmiato un bel po’ di problemi.

Non che fosse andato molto lontano, in realtà. Erano ormai diversi mesi che aveva promesso a Benjamin Glynnhorn, conosciuto in uno dei suoi precedenti viaggi, di tornare a trovarlo. Quando si era accorto di avere un paio di settimane di tempo, non ci aveva pensato due volte ed era volato in Australia. E per fortuna che lo aveva fatto. Almeno, così, aveva potuto lasciare metà delle cose a casa sua. Sarebbe stato difficile passare il check-in con l’apriscatole, per esempio. Ma su Ben poteva contarci ogni volta.

Il ragazzo chiuse gli occhi cercando di non pensare al terribile check-in che aveva appena superato. Trascinandosi lo zaino dietro, sbadigliando e quasi addormentandosi in piedi era stato costretto a restare in fila per quasi due ore. Per fortuna che si era immaginato un tranquillo rientro.

Ma capiva perché Mai lo avesse fatto. Era ormai una tradizione, per loro, riunirsi nell’anniversario della scomparsa di Dan. Ed era colpa sua se, tra i preparativi e il viaggio, era riuscito a dimenticarsene. Per decidere di andare nel deserto australiano, poi! Certo non si sarebbe potuto portare dietro un computer…

Quando era arrivato a casa di Ben, poche ore prima, si era reso conto della sua terribile dimenticanza ed era corso a guardare nelle email. Con sommo orrore aveva visto l’email di Mai: era datata ad una settimana prima. Si era sentito terribilmente in colpa. Sapeva che, in fondo in fondo, Mai aveva ancora bisogno della vicinanza degli amici in quel giorno.

Racimolando tutta la forza di volontà che aveva potuto trovare, aveva risposto all’email, aveva salutato l’amico ed era corso all’aeroporto. Solo per scoprire che il primo volo disponibile partiva a notte fonda. Ma non poteva rimandare, altrimenti non sarebbe mai riuscito a tornare in tempo a Tokyo per il primo pomeriggio.

Rassegnatosi, Hideto aveva comprato il biglietto e si era messo in fila. Ed, ora, era finalmente seduto. Doveva cercare di dormire un po’ durante il volo o sarebbe crollato.

Quando l’aereo decollò, Hideto voltò lo sguardo verso il finestrino. Il cielo era così limpido. La luna illuminava le nuvole sottostanti e le stelle era brillanti come quelle che vedeva dal deserto australiano.

Ed improvvisamente, il Guerriero Blu si rese conto di non essere affatto stanco. Con lo sguardo perso verso il cielo, il ragazzo lasciò la sua mente vagare sui tanti ricordi dei suoi amici. Un sorriso triste gli piegò le labbra quando gli tornò in mente un precedente viaggio in Australia. Si trovava lì quando Kenzo era sbucato dal nulla e lo aveva trascinato con sé nel futuro.

Si ricordava ancora come era stato sorpreso di sentire la voce del Guerriero Verde… quel pensiero gli portò in mente alcune strane sensazioni che aveva provato nelle precedenti settimane.

Per la maggior parte del tempo, era stato da solo. Gli piaceva camminare nel silenzio, esplorare e osservare ogni particolare del luogo in cui viaggiava. Eppure, quella volta, non si era sentito solo. Non che altre volte gli succedesse, da quella prima fuga per il mondo risalente al 2009 (quando restare a Tokyo gli era sembrato impossibile), aveva imparato ad amare la solitudine. In quelle settimane, invece, aveva avuto la strana e fastidiosa sensazione che ci fosse qualcuno con lui. E il fatto che, in realtà, non ci fosse proprio nessuno, non aveva migliorato la cosa.

Quello che più gli era sembrato strano, ad un certo punto, era l’impressione di sentirsi chiamare. Un paio di volte era stato quasi convinto di sentire qualcuno chiamare distintamente il suo nome. Sia chiaro, aveva già avuto un paio di volte qualche vaga allucinazione per il caldo, ma mai quando era all’ombra e perfettamente assetato! Eppure aveva visto una sagoma, nell’aria calda del deserto. Era durato tutto solo un istante ed era quasi convinto di essersi immaginato ogni cosa.

Ma un dubbio rimaneva. Aveva già provato quella sensazione. Anche se erano passati tanti anni se lo ricordava. Assurdamente era bastato questo per fargli ridestare le speranze. Poteva essere possibile che Magisa stesse cercando di mettersi in contatto con loro?

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Era tutto così strano. Quel luogo le sembrava allo stesso tempo sconosciuto e familiare. Il lungo corridoio sembrava proseguire all’infinito davanti a lei, senza alcuna porta o finestra. Ci fosse stato almeno un vetro, avrebbe potuto capire dove si trovava.

“Mai.”

La ragazza si fermò di scatto, voltandosi a guardarsi alle spalle. Ma non c’era nessuno. Forse era stata solo una sua suggestione. Il silenzio era quasi inquietante. Però, aveva l’impressione che qualcuno la stesse chiamando… era come se sentisse di dover fare qualcosa, di dover riuscire a raggiungere qualcuno. Ma chi?

Mai riprese a camminare. Prima o poi sarebbe arrivata da qualche parte no? Non voleva credere che fosse un corridoio infinito, anche se aveva l’impressione di camminarvi da ore… sempre se poteva contare sulla propria percezione del tempo.

Improvvisamente lo vide. C’era qualcuno davanti a lei, molti metri più avanti. Stava camminando anche lui, senza guardarsi indietro. Mai sentì il cuore fermarsi per un istante. Non poteva essere, ma lo avrebbe riconosciuto tra mille. Dan.

“Dan!”

Il ragazzo non sembrò sentirla e Mai iniziò a correre. Ogni passo sembrava allontanarla invece che avvicinarla a lui. La paura iniziò a crescere dentro di lei: lo avrebbe perso un’altra volta? Un’altra volta perché lei non era capace di fare qualcosa?

Non poteva permetterlo. Non di nuovo.

La ragazza rallentò bruscamente nel momento in cui si rese conto che il corridoio era finito. Davanti a lei c’erano due porte. Dove era andato Dan? Si guardò attorno e si avvicinò lentamente alle due porte. E ora che cosa significava tutto quello?

Titubante, provò ad aprire la porta a sinistra e si rese subito conto che era chiusa. Fece un passo indietro e per un attimo ebbe l’impressione di vedere al suo posto un varco luminoso, simile a quello che aveva attraversato per andare a Gran RoRo. L’impressione che qualcuno la stesse chiamando si fece più forte. Il cuore cominciò a battere più veloce. Che fosse Magisa? Che cercasse di mettersi in contatto con loro per farli tornare?

Mai tornò alla porta cercando di farla aprire. Sentiva che doveva farlo e ogni istante che passava l’ansia dentro di lei aumentava. Colpì la porta con la mano.

“Guerriero Viola.”

La ragazza si afferrò con tutte le due mani alla maniglia, lacrime di frustrazione le iniziavano a riempire gli occhi. Se quella porta poteva portarla a Gran RoRo, doveva riuscire ad aprirla.

Improvvisamente Mai si fermò, scostando bruscamente le mani dalla maniglia. Solo in quel momento si rese conto di aver paura, paura che quella porta fosse ciò che sperasse. In tutti quegli anni si era trovata spesso a sognare e temere quella possibilità: tornare a Gran RoRo non sarebbe stato come tradire Dan? Era un pensiero stupido, perché Dan sarebbe stato il primo a dire loro di andare, di combattere anche per lui.

Forse era lei che non voleva tornare a Gran RoRo senza Dan. Forse perché quei luoghi l’avrebbe costretta definitivamente ad affrontare la realtà: Dan non sarebbe mai tornato e lei doveva andare avanti. Colpevole, si chiese se l’amore per Dan non stesse diventando solo una scusa per non soffrire ancora… per non perdere di nuovo qualcuno che amava.

“Sono pronto. Sarò io a premere il pulsante.”

Strani suoni, quasi fasci di energia.

“Ci siamo. Il momento è arrivato.”

Mai sgranò gli occhi e si voltò verso la porta alla sua destra. Era inspiegabilmente socchiusa. Prima, ne era sicura, non lo era. Una strana luce rossastra e biancastra si rifletteva sulla parete lucida. Improvvisamente, capì che cosa c’era dall’altra parte. Voleva andarsene, ma qualcosa la spingeva ad avanzare. Con un gruppo in gola e il cuore che batteva all’impazzata, la ragazza aprì la porta e si ritrovò di nuovo lì.

Il duello concluso. Il campo di battaglia infuocato. Scintille rosse e fumo.

“Quella è la rampa di lancio.”

Mai ricordò l’illusorio senso di gioia quando il duello era finito. Quando tutto era sembrato così facile. Le parole di Dan erano state una pugnalata al cuore.

“Sì, certo. Ho capito. Non esiste un pulsante. Sono io un essere pulsante.”

Non poteva riviverlo un’altra volta. La ragazza si inginocchiò a terra, chiudendo gli occhi e mettendosi le mani sulle orecchie.

Non voleva rivedere lo sguardo sconvolto di Yus, le lacrime di Plym, la rabbia di Clarky, l’incredulità di Hideto.

“Basta…”

Sapeva che nessuno l’avrebbe ascoltata. Come nessuno aveva ascoltato quel giorno la sua accorata richiesta che tutto quello finisse. Che Dan non dovesse sacrificarsi.

Anche con gli occhi chiusi vedeva davanti a sé il volto di Dan, quella sua calma rassegnazione che più l’aveva fatta soffrire. Perché lui aveva accettato così facilmente di dover morire?

Calde lacrime cominciarono a rigarle le guance. “Basta…”

Perché doveva riviverlo ancora?

“Non si parlava di un oggetto. Ma del cuore che pulsa.”

Ogni pensiero si dissolse nella sua mente. Riusciva a vedere solo quelle scene, mischiate ai tanti ricordi di Dan. Il dolore che continuava a crescere come quel giorno.

Era di nuovo incapace di muoversi. Di nuovo immobile davanti alla fine.

Un vortice luminoso, iridescente avvolse Dan. Lo vide, anche se aveva gli occhi chiusi.

“Barone. Ti sono molto grato. È stato un duello avvincente.”

La colibrì si staccò, mentre Barone gridava. Non servì a niente avere le mani sulle orecchie, lo sentì comunque, forte come quel giorno.

E per quanto non volesse vedere, non volesse sentire, Mai aprì gli occhi pieni di lacrime e alzò lo sguardo verso lo schermo. Ricordava cosa aveva provato in quegli istanti. Si rivide correre verso lo schermo, incapace di accettare che non ci fosse più niente da fare.

Risentì le sue urla di dolore. Una volta. “Dan!”

Disperazione. Due volte. “Dan!”

Aveva capito che era finito. Che non poteva più fare nulla per impedirlo. Ci aveva provato, ma aveva fallito. Aveva avuto ancora così tante cose da dirgli. Ma non c’era più tempo per nulla.

Tre volte. “Noooo!!!”

E questa volta gridò anche lei. Mentre risentiva il dolore, la disperazione, l’amore che aveva provato. Gridò anche lei.

Mentre Dan la guardava dolcemente attraverso lo schermo. Gridò. Mentre una lacrima scivolava dal suo occhio, perdendosi verso l’alto nell’iridescente spirale. Gridò. Mentre si rendeva conto che quella lacrima voleva dirle che soffriva anche lui, che voleva farle capire che quel sacrificio l’aveva fatto anche per lei. Per farle capire quello che anche lui non aveva potuto dirle.

Gridò.

Basta.

Il volto di Dan venne avvolto da quella luce, dissolvendosi in un lampo bianco…

Gridò.

“NOOOO!!!!”

Nel buio della propria stanza, Mai si alzò di scatto e si ritrovò seduta sul letto. Le leggere coperte estive erano aggrovigliate in fondo al materasso. Un tenue chiarore filtrava tra le tende, appena mosse da un soffio di vento che entrava dalla finestra socchiusa.

Era stato un incubo. L’incubo che per intere notti l’aveva tormentata nel primo periodo, quello subito dopo il ritorno dal futuro. Era completamente sudata e, portandosi una mano al viso, sentì le guance rigate di lacrime. Era tanto tempo che non riviveva quell’incubo in modo così reale. Lentamente tornò a distendersi, cercando di rallentare il respiro affannato e allontanare la morsa di dolore e il senso di vuoto che le attanagliavano lo stomaco.

Non ricordava come quel sogno potesse farle così male. Mai si voltò sul fianco, affondando il viso nel cuscino. Chiuse gli occhi, tentando di ritrovare la serenità per tornare a dormire. Pochi istanti le bastarono per capire la causa di quell’incubo, proprio quella notte.

Era la notte che la separava dal 30 agosto 2014. Il quarto anniversario del loro ritorno dal futuro e della scomparsa di Dan.

Ogni anno, quel giorno, era impossibile non pensare a quello che era successo. E una vocina dentro di lei le ripeteva che, in realtà, lei non avesse mai realmente accettato quello che era successo. Forse era vero, pensò amaramente Mai. Anche se tre anni prima, dopo quel torneo e il risveglio di Yuuki, era riuscita a fare i conti con quello che era successo, quell’incubo tornava a perseguitarla ogni anno in quel periodo.

Era quasi l’ultimo ricordo del baratro di dolore in cui aveva rischiato di sprofondare dopo la loro avventura. Il solo fatto che per mesi non avesse più fatto un duello era indicativo.

Per lunghi minuti rimase immobile, in attesa che, come ogni volta, le lacrime si asciugassero e i singhiozzi si spegnessero. Mentre un pensiero si formava lentamente nella mente, la ragazza si passò il dorso della mano sulle guance e si risistemò i capelli arruffati dietro le orecchie. Li aveva fatti ricrescere dopo il giorno in cui Dan era scomparso, un modo simbolico per riempire il vuoto che le aveva lasciato.

Mai aggrottò la fronte, finalmente afferrando il pensiero che le ronzava nella mente. La prima parte del sogno… era la prima volta che lo faceva. Anche se, quella sensazione di essere chiamata, l’aveva già provata. Era iniziato tutto un paio di settimane prima. L’impressione che qualcuno la stesse chiamando, che voltandosi avrebbe visto qualcuno osservarla. Ora che ci pensava, era anche per quello che aveva deciso di organizzare quella nuova rimpatriata con Hideto, Yuuki e Kenzo. In fondo in fondo, sperava che anche loro avessero provato qualcosa del genere: per non cominciare a temere di essere impazzita e per sperare che fosse Magisa a provare a mettersi in contatto con loro. Dopo sei anni, non aveva ancora perso la speranza.

Un’ombra attraversò il suo sguardo, mentre si metteva a sedere. Non appena si abituò alla penombra, Mai rivolse gli occhi verso il comodino dove facevano bella vista due foto: quella con Dan e Clarky che aveva fatto nel futuro e quella con Yuuki, Hideto e Kenzo fatta pochi mesi prima. Sorrise tristemente: i Maestri della Luce finalmente riuniti…

E se l’incubo avesse ragione? Avrebbe esitato se le si fosse presentata la possibilità di andare di nuovo a Gran RoRo? Un fondo di verità c’era. Ogni luogo lì le avrebbe ricordato Dan. Tornarci l’avrebbe fatta soffrire moltissimo a causa della consapevolezza che Dan non sarebbe stato accanto a lei. Ma aveva fatto anche una promessa a tutti i suoi abitanti. Non poteva non andare.

Mai sospirò. Sarebbero stati veramente degli istanti sofferti. Non voleva neanche soffermarsi sul pensiero che, tornare a Gran RoRo, sarebbe significato trovare due nuovi Guerrieri.

La ragazza scosse la testa per scacciare quei pensieri e si rese conto solo in quel momento dell’ora: le 4:30.

Ormai consapevole che per quella notte non sarebbe più riuscita a dormire, la ragazza si alzò e si diresse verso la finestra che spalancò. L’aria fresca del mattino entrò nella stanza facendola rabbrividire. Lontano, verso est, si iniziava a percepire, più che intravedere il vago chiarore che preannunciava l’alba ancora lontana. Il cielo era di un intenso azzurro cupo, privo di una luce definita, palpitante dell’imminente luce solare e orfano della luce della stelle che cominciavano a sbiadire.

Mai chiuse gli occhi ed immaginò il mare, come doveva essere diverso dalle ore del giorno, affollato di bagnanti ed ombrelloni. Un vetro blu scuro mosso da piccolissime onde. Sorrise ed inspirò profondamente, riempiendosi i polmoni dell’aria fresca e riuscendo così a rasserenarsi completamente.

Quando un altro brivido le percorse la schiena su cui era appiccicata la maglietta sudata per il caldo e l’incubo, Mai decise di rientrare. Per qualche istante, gli occhi faticarono ad abituarsi all’oscurità della stanza, ma presto la tenue luce le fu sufficiente per orientarsi tra i mobili racchiusi tra quelle quattro pareti.

Un’improvvisa e intensa ondata di malinconia le riempì il cuore e così, senza pensarci due volte, andò a sedersi alla scrivania dove accese il computer. Quando la luce azzurrina dello schermo illuminò il suo viso, Mai sorrise vedendo la foto sul suo desktop: lei e Kaoru durante la vacanza trascorsa in America il Natale precedente. Erano partiti, lei, Kaoru e Andrew, il giorno dopo di Natale festeggiato insieme agli altri a casa di Elisabeth.

Kaoru le mancava. Anche la sorella faceva spola tra America e Giappone ogni volta che poteva, ormai la sua vita si stava radicando lì. Andrew, fratello maggiore di Clarky e suo fidanzato da quasi cinque anni, lavorava lì in una base militare dell’aeronautica mentre lei, completati gli studi, stava cercando un lavoro.

Però, i due erano felici, in procinto o non di fare il fatidico passo, e questo le bastava. Era toccato a lei l’ingrato compito di comunicare ad Andrew la decisione di Clarky. Sapere che i due erano molto legati e il fatto che neppure lei avesse ancora superato quanto successo, non era stato d’aiuto. Come non era stato facile andare a parlare con la famiglia di Dan e spiegare ai due genitori che il figlio si era sacrificato per l’umanità di un futuro lontano.

Quei due incontri avevano spezzato la poca forza che era riuscita a racimolare nelle prime settimane. Tornata a casa era scoppiata a piangere. Poi, lentamente, aveva ricominciato a rialzarsi.

Una nuova ondata di malinconia per quei momenti trascorsi a Gran RoRo con gli amici tornò a far concentrare Mai sul motivo per cui si era seduta davanti al computer. Con pochi clic, aprì i file che contenevano gli immensi archivi del suo vecchio blog, “Parole Violette”. File in cui erano custoditi anche alcuni dei suoi ricordi più belli. I ricordi di Gran RoRo.

Estate del 2008. Sorridendo, tornò a rimmergersi nelle foto, illudendosi per qualche istante di essere di nuovo lì. Dove era cambiata e maturata, dove aveva scoperto una nuova e bellissima famiglia. Quell’esperienza fantastica e unica era paragonabile solo a quella nel futuro. Anche nel destino che avevano subito i Maestri della Luce.

Erano stati in sette a Gran RoRo, comprendendo anche Kajitsu, la Maestra del Nucleo Progenitore. Lentamente, poi, erano stati separati. Prima la dolce e coraggiosa Principessa Farfalla, poi il suo Dan. E infine Clarky, di cui non aveva più notizie da allora.

Erano rimasti solo in quattro. Hideto si era iscritto a medicina e in ogni momento possibile continuava i suoi viaggi per il mondo. Kenzo continuava i propri studi e sognava di diventare un giorno un grande scienziato. Yuuki, risvegliatosi dal coma tre anni prima, continuava a vivere in un mondo in cui, in poche parole, era creduto morto.

Anche loro si erano separati un po’. Erano stati tutti d’accordo che fosse la scelta migliore. Ognuno doveva riprendere il filo della propria vita, seguire la propria strada. Ma nonostante tutto avevano cercato di tenersi in contatto il più possibile, di incontrarsi ogni volta che potevano.

Non era stato facile. Lei alle prese con gli studi di ingegneria informatica, Kenzo che studiava per quattro persone, Hideto che, quando lo immaginavi all’università, era invece chissà dove in qualche sperduto angolo del mondo.

L’avevano fatto anche per paura di essere di nuovo attaccati. Anche se, in quei tre anni, non era successo. Ma forse solo perché la loro lenta azione non veniva ritenuta pericolosa.

Mai sospirò e dopo un attimo distolse lo sguardo dal computer, stiracchiandosi le braccia. Ormai la luce inondava la camera e presto anche i suoi genitori si sarebbero svegliati. Tanto valeva andarsi a fare una doccia per cancellare ogni traccia di quella notte passata in parte in bianco. Non voleva preoccuparli, non dopo che in quegli anni erano riusciti a recuperare il rapporto compromesso dalla loro battaglia. Avevano cercato di capirla, supportarla come prima non avevano fatto. L’unica frizione ancora tra loro era la ferma convinzione che aveva manifestato loro: se Gran RoRo avesse avuto di nuovo bisogno di loro, lei sarebbe tornata. Mai sorrise. Era incredibile come solo un sogno bastasse per instillare dei dubbi.

Mai sbadigliò e, prima di andare in bagno, controllò se c’era qualche nuovo messaggio nella casella di posta. Erano giorni che aspettava la risposta di Hideto. Quando organizzavano un incontro, il se e quando il Guerriero Blu sarebbe stato a Tokyo erano l’incognita maggiore. Ogni tanto lo accusava di passare più tempo in giro per  il mondo invece che in un’aula universitaria.

Incrociò le dita  e aprì la casella. La sua pazienza sembrò essere premiata perché, finalmente, trovò l’email di Hideto. Ora il piccolo gruppo di Maestri della Luce era finalmente al completo.

“Scusa se non ti ho risposto prima. Non ti preoccupare, domani (o oggi, dipende quando leggi l’email) sarò a Tokyo.

A presto, Hideto.”

Tipico. Chissà in quale parte del mondo si trovava e quanti fusi orari avrebbe dovuto attraversare… una volta era stato così stanco da crollare sul divano della casa di Kenzo. Appena lo aveva conosciuto, non avrebbe mai pensato che lui avrebbe avuto una vita così vagabonda.

A quel punto, Mai si alzò per farsi la tanto agognata doccia. Recuperando accappatoio e vestiti, la ragazza organizzò mentalmente la giornata fino al primo pomeriggio in cui si sarebbe incontrata con gli altri.

Primo, avrebbe controllato il blog che aveva aperto due anni prima. Nulla ai livelli di Parole Violette, ma qualcosa di più discreto che le permetteva di comunicare con quella minoranza che aveva continuato a pensare con la propria testa, nonostante i giornali.

Poi, poteva andare qualche ora in spiaggia. Magari accettando finalmente l’invito di un paio di sue amiche di corso. Per studiare ci sarebbe stato tempo il giorno successivo.

Il pensiero della amiche del corso, costrinse la sua mente a soffermarsi su un altro dubbio instillato dall’incubo. In realtà era un dubbio che le affiorava alla mente ogni volta che smetteva di uscire con un ragazzo dopo il secondo appuntamento, per quanto piacevole e divertenti fossero stati. Non voleva che la speranza di rivedere Dan e l’amore che provava ancora per lui diventassero solo una scusa per non soffrire.

Devi seriamente pensarci, si ammonì guardando il proprio volto riflesso nello specchio. Per quanto fosse convinta che fosse proprio quello il volto della vera Mai Shinomiya, la vera Guerriero Viola, c’erano ancora alcune cose che doveva affrontare.

Come smettere di rimpiangere il fatto di non aver avuto prima il coraggio di rivelare i propri sentimenti a Dan. Ormai il passato era passato (o futuro nel suo caso, pensò sorridendo), doveva andare avanti. E soprattutto non usare l’amore di Dan come una scusa.

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La luce del sole che sorgeva illuminava il cielo di colori soffusi. Un’atmosfera di pace avvolgeva ogni cosa, soprattutto lì, in quel luogo. La patria del silenzio, un luogo lontano dai rumori della città che lentamente si risvegliava.

I vialetti erano completamenti deserti. Nessuno veniva lì, nel cimitero, a quell’ora. O meglio, quasi nessuno.

L’anziano custode, ormai, lo conosceva. Era diventata una consuetudine, puntuale ogni mattina, appena il sole sorgeva e l’uomo andava ad aprire il cancello. Arrivava alle prime luci dell’alba e scompariva prima che un qualche altro visitatore arrivasse. Negli anni, aveva imparato a conoscere la sua presenza silenziosa. Si salutavano con un cenno del capo e poi lui andava vicino all’unica lapide sempre piena di fiori.

L’anziano custode alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo, verso il punto lontano dove sapeva che sarebbe riuscito a scorgerlo. Ed infatti era lì, inginocchiato come ogni giorno. Era quasi commovente vedere l’assiduità e la costanza con cui veniva a trovare la persona cara che era lì seppellita.

Sorrise tristemente e tornò a posare lo sguardo sulle scritte nere della pagina, riconcedendo di nuovo una riservatezza totale al dolore del ragazzo, avente il pieno diritto di essere solo con chi amava. Consapevole che, come altre mattine, la solitudine del ragazzo sarebbe presto stata timidamente interrotta.

Ed era proprio come aveva immaginato il custode. Yuuki, come ogni mattina, era inginocchiato davanti alla lapide marmorea su cui era incastonata la foto di Kajitsu. Un mazzo di rose fresche era posato accanto ai fiori dei giorni precedenti.

Lentamente alzò la mano per sfiorare la foto, ma appena l’ebbe accarezzata, la scostò bruscamente. Il ragazzo si alzò in piedi, continuando a fissare la lapide. Seguitando a guardare il volto sorridente della sua amata sorella.

Un rumore di passi lo fece voltare alla sua destra. Il suo sguardo incrociò quello di una ragazza ferma in piedi a pochi metri di distanza, sorridente. Rimasero in silenzio per lunghi minuti, poi fu lei la prima a parlare.

“Non volevo disturbarti. Fai pure con comodo. Non ho nessuna fretta.”

Yuuki sospirò, accennando un sorriso, ben consapevole che niente, che lui avesse potuto dire, avrebbe convinto la ragazza davanti a lui.

“Non c’era bisogno che tu venissi, Elisabeth. Sarei tornato a piedi come sono venuto.”

L’interpellata sorrise e scosse la testa. “Non è un problema per me. Mi fa piacere.”

Il ragazzo annuì in silenzio e tornò a voltarsi verso la lapide, subito imitato dalla ragazza. Non che sperasse veramente che la ragazza un giorno si arrendesse, ma lui continuava a persistere. Nei lunghi minuti in cui rimasero così, ciascuno immerso nei propri pensieri, Elisabeth si ritrovò a pensare ancora una volta all’enorme enigma che Yuuki Momose costituiva per lei. Negli anni erano diventati amici, ma lei non era mai riuscita a capirlo veramente. Le sembrava tanto uno di quei personaggi tristi e coraggiosi di cui erano piene le favole, sia quelle giapponesi che quelle occidentali che sua madre le raccontava da bambina. O quei personaggi tormentati che aveva letto negli anni successivi in molti romanzi europei. Allo stesso tempo triste e fiero, forte e fragile, gentile e misterioso.

Ad un certo punto, aveva creduto di provare qualcosa per lui, di considerarlo più di un fratello acquisito. Per un po’ di tempo aveva sperato che lui avrebbe ricambiato, ma le era bastato poco per capire che il cuore dell’ex-Guerriero Bianco era racchiuso da una barriera più invalicabile di quelle che creava con le sue carte. Una barriera che né lei, né forse nessun’altra, avrebbe mai potuto superare. Quella consapevolezza non aveva intaccato la loro amicizia, sopravvissuta al suo breve infatuamento, ma le aveva posto una domanda a cui non aveva mai trovato risposta: era una barriera creata per non soffrire ancora? O per impedire che il mondo esterno intaccasse qualcosa che vi era custodito?

Aveva sperato che un giorno si sarebbe aperto con lei e ciò che le avrebbe raccontato del suo passato l’avrebbe aiutata a capire. Le aveva parlato vagamente della sua difficile infanzia, della sua vita a Gran RoRo e soprattutto le aveva parlato delle avventure vissute da lui e dai Maestri della Luce. Kajitsu, in un certo senso, era presente in ogni sua parola, anche quando non la nominava. Vedeva ancora nelle iridi ambrate di Yuuki il rimorso e il senso di colpa per non averla salvata. Sempre presente come la sofferenza per non poter più fare nulla per la battaglia di Gran RoRo e la verità. Ma vedeva anche una timida luce nel suo sguardo ogni volta che la nominava.

Sentiva sempre che c’era qualcosa di importante che le taceva, un tassello del suo passato che non le avrebbe mai rivelato. Quando stava accanto a lui, nonostante fosse vicino a lei, lo sentiva stranamente distante.

Come in quell’istante, chiuso nel suo mondo di ricordi. Quasi estraneo al mondo in cui, nonostante tutto, continuava a vivere. Eppure sapeva che Yuuki aveva un profondo ed incrollabile desiderio di non lasciarsi andare.

Un improvviso desiderio di sapere la colse e, sull’onda di quei pensieri, si voltò verso di lui.

“Yuuki, posso farti una domanda?”

Il ragazzo la guardò per un istante prima di annuire. Elisabeth prese un profondo respiro per racimolare tutto il tempo possibile per scegliere bene le parole. Non era la prima volta che succedeva. I primi tempi aveva insistito che lui si sfogasse. Ogni volta, però, l’aveva ringraziata facendole capire che era qualcosa che doveva affrontare da solo.

“Perché non vuoi che le persone ti aiutino a superare i tuoi sensi di colpa?”

Yuuki la guardò sorpreso per qualche istante, mentre Elisabeth continuava a fissarlo un po’ preoccupata e un po’ imbarazzata per avergli rivolto una domanda così personale in modo tanto brusco. Senza contare che, magari, avrebbe potuto pensare che una domanda simile dopo tre anni che si conoscevano fosse un po’ stupida.

Il Guerriero Bianco si ritrovò a sorridere nel constatare quanto tenesse a lui quella ragazza, entrata nella sua vita così all’improvviso e negli anni diventata quasi una sorella per lui. Era anche grazie a lei, oltre che ai Maestri della Luce, se era riuscito a superare il primo periodo dopo il risveglio dal coma. Ma il senso di colpa era qualcosa che non avrebbe mai potuto abbandonarlo, soprattutto a causa della vita separata dal resto del mondo in cui era costretto a vivere. Il problema era che aveva fin troppo tempo per restare da solo con i propri pensieri. Yuuki tornò a voltarsi verso la lapide. Dopo tutto quello che aveva fatto per lui, le doveva almeno una risposta.

“Io e Kajitsu abbiamo sempre dovuto lottare, fin da quando siamo nati.”

Elisabeth annuì lentamente. Le aveva già vagamente parlato di ciò, ma ogni volta le dispiaceva pensare a due bambini soli contro il mondo.

“Questo mondo ci aveva emarginato a causa dei nostri poteri… siamo sempre stati soli. Crescendo abbiamo quasi sempre potuto contare solo l’uno sull’altra. Credevamo che Gran RoRo sarebbe potuta essere per noi la casa che non avevamo mai avuto. Ci siamo illusi per tanto tempo che fosse così, fingendo di non sapere che avremmo dovuto affrontare di nuovo il nostro destino.”

Yuuki, a quel punto, posò un’ultima volta lo sguardo sulla lapide per poi incamminarsi attraverso i vialetti deserti. Elisabeth lo affiancò, in attesa che continuasse a parlare. Sentiva quanto difficile fosse per lui. Probabilmente parlarne, era come rivivere tutto quello.

“Successe tutto in un attimo. Eravamo nel Giardino delle Rose e, un attimo dopo, davanti al nostro peggior nemico. Avrei voluto dare il tempo a Kajitsu di scappare, di fare in modo che almeno lei si mettesse al sicuro insieme agli altri. Il Re del Mondo Altrove me lo impedì e lei non mi volle lasciare indietro.”

Yuuki si fermò, la mascella contratta. La ragazza gli posò una mano sul braccio per fargli sentire la sua vicinanza. Avrebbe voluto fare di più, ma non sapeva cosa. Non le aveva mai parlato, in quei tre anni, di quello che era successo in quei pochi minuti.

“Usò tutti i suoi poteri, indifferente a qualsiasi rischio… ma era solo quello che voleva lui. E quando lei cadde tra le mie braccia, capii che avevamo perso. Anche se non lo volevo ammettere, stavo per perderla e non riuscivo a sopportarlo. L’unico scopo della mia vita era stato proteggerla, vederla felice. E ho fallito. Liberarla dal Nucleo Progenitore ha preteso un costo che io non sarei mai voluto essere costretto a pagare.”

Il ragazzo si voltò e il suo sguardo cercò tra tutte quelle lapide la sorella. Elisabeth avrebbe voluto dire qualcosa, ma Yuuki riprese a parlare prima che potesse farlo.

“La stringevo a me, illudendomi che sarebbe bastato per farla restare con me. Non volevo perderla di nuovo, ma dovetti farlo. Rimasi impotente a vederla dissolversi davanti ai miei occhi.”

Yuuki deglutì e proseguì, con amara rassegnazione.

“Kajitsu aveva sempre solo desiderato vivere una vita normale. Io non sono stato in grado di aiutarla. Non ho neppure ripristinato il suo nome. È per questo che nessuno può aiutarmi a superare i miei rimorsi. Non potrò mai perdonarmi per quanto è successo.”

La durezza di quelle parole, fece capire ad Elisabeth quanto era stata stupida ed egoista. Per il suo desiderio di sapere, non si era resa conto di quanto fragile fosse l’equilibrio tra Yuuki e il suo dolore. Quella domanda era solo servita a minare tutto quello che lui aveva fatto in quei tre anni. Come poteva immaginare una ferita ancora così fresca dopo tutto quel tempo?

“Yuuki, basta… ti prego.”

Il ragazzo sembrò riprendere consapevolezza della presenza dell’amica accanto a lui e si voltò verso di lei che con gli occhi lucidi lo fissava colpevole.

“Scusami, sono stata una stupida. Non avrei dovuto chiederti niente.”

Il Guerriero Bianco scosse la testa. “Non è colpa tua.”

Elisabeth annuì poco convinta. “Non erano affari che mi riguardavano. Però so che Kajitsu non avrebbe mai voluto che tu vivessi nei sensi di colpa. Sono certa che lei non ti incolperebbe mai di quanto successo, neanche se fosse veramente colpa tua.”

Yuuki non rispose e tornò a pensare al sogno che aveva avuto poco prima di risvegliarsi dal coma. Kajitsu avrebbe avuto qualcosa da recriminargli, il fatto di non riuscire ancora, dopo tre anni, a staccarsi dal senso di colpa. Come si era liberato, allora, di ciò che gli impediva di risvegliarsi.

“Lei ti voleva bene Yuuki. Hai mai pensato che anche lei avrebbe voluto vederti felice?”

Il ragazzo la guardò per qualche istante. Elisabeth gli stava ricordando qualcosa che già gli altri Maestri della Luce avevano cercato di dirgli. Qualcosa che molto spesso il dolore gli impediva di vedere. Kajitsu non voleva che si arrendesse e lui non poteva farlo o non sarebbe più stato degno di lei.

“Grazie.”

Elisabeth, a quella parola, tornò a sorridere. Decisa a tirar su di morale anche lui, lo prese a braccetto e si incamminò con lui verso il cancello.

“Forza torniamo a casa. Facciamo colazione e poi voglio sfidarti a Battle Spirits! Sento che questa volta riuscirò finalmente a sconfiggerti!”

Yuuki sorrise, grato a quella ragazza che lo spronava come un tempo aveva fatto Dan. Era la speranza di rivederla, un giorno, che in quegli anni gli aveva impedito di soccombere al dolore. Ora sapeva che cosa fare, quando avrebbe rivisto gli altri quel pomeriggio. Doveva raccontare loro come Kajitsu lo avesse aiutato a risvegliarsi dal coma.

E doveva raccontare loro le strane sensazioni provate nei mesi precedenti, successivi al loro ultimo incontro. Ora che aveva parlato con Elisabeth, sentiva che non erano solo sue illusioni…

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 Il primo pensiero coerente che Hideto riuscì a formulare era che qualcuno gli stava delicatamente scuotendo la spalla. Poi si accorse di non sentire più il rumore dei motori e neppure il chiacchiericcio degli altri passeggeri. Hideto aprì quindi gli occhi lentamente, rendendosi finalmente conto che, nonostante la prima impressione che aveva avuto dopo il decollo, alla fine era crollato dal sonno. Confusi sprazzi di sogno si mescolarono ai ricordi del viaggio e ai pensieri della sera prima.

Stava camminando per il deserto dell’Australia in una zona che conosceva molto bene. Si fermò vicino ad una roccia e si tolse con il dorso della mano il sudore dalla fronte. Improvvisamente un strana sensazione lo avvolse e si voltò di scatto. Una voce lo stava chiamando.

“Hideto.”

Ma non c’era nessuno. Stava per riprendere il cammino quando, a diversi metri da lui, l’aria vibrò e dopo un istante uno strano bagliore sembrò squarciarla. Con gli occhi sgranati, Hideto vide materializzarsi dietro quello squarcio il paesaggio di Gran RoRo. Non si sarebbe mai potuto sbagliare.

“Guerriero Blu.”

“Mi scusi, l’aereo è atterrato. Deve scendere, signore.”

Hideto si riscosse, lasciando ricadere la memoria del sogno nel fondo della sua mente. Quando si voltò, vide il volto di una hostess. La ragazza gli stava sorridendo.

“L’aereo…”

Il ragazzo annuì, avendo ormai colto in pieno ciò che l’hostess voleva dirgli. “Sì, scusi.”

Si slacciò la cintura e percorse velocemente il corridoio fino alla porta di imbarco dove un’altra hostess lo aspettava sorridente. Era uno degli ultimi ad uscire. Hideto si fece velocemente largò tra la folla fino al luogo dove si dovette fermare in attesa dello zaino.

Solo allora tornò a ripensare allo strano sogno. Che cosa significava? Perché all’improvviso sentiva quella strana sensazione di trepidante attesa? Chi era che lo stava chiamando? E perché?

Non credeva certo fosse un caso. Per settimane aveva avuto la sensazione di essere chiamato. E ora quel sogno. Poteva significare che finalmente avevano una possibilità di tornare a Gran RoRo?

Il ragazzo allungò il braccio per afferrare lo zaino e poi si bloccò. Ma se i Maestri della Luce servivano di nuovo a Gran RoRo…. significava che ci sarebbero dovuto essere un nuovo Guerriero Rosso e un nuovo Guerriero Giallo. Supponendo che tutti loro non fossero stati “sostituiti” (come spiegare altrimenti il sogno e il resto?), Dan e Clarky non era più lì con loro.

Non ci voleva pensare. Non che fosse andato subito d’accordo con i due, questo era vero. Ma con il passare degli anni erano diventati grandi amici. Non riusciva ad immaginare altre due persone prendere il loro posto.

“Potrebbe sbrigarsi? Non è l’unico che deve ritirare il bagaglio!”

La voce irritata dell’altro viaggiatore, riscosse Hideto dai suoi pensieri. Il ragazzo prese lo zaino e si allontanò verso le porte dell’aeroporto, senza badare ulteriormente all’occhiataccia che l’uomo gli aveva lanciato.

Mentre attraversava le porte scorrevoli dell’edificio e si ritrovava nel confusionario via vai di persone che entravano e uscivano dall’aeroporto, Hideto si rese conto di essere grato a Mai di non aver rinunciato alla loro tradizione neppure quell’anno.

Se c’era una possibilità di capire qualcosa sulle cose strane che gli erano successe in quelle settimane e quella notte, loro insieme ci sarebbero riusciti. E se anche gli altri avevano avuto le stesse impressioni o fatto lo stesso sogno, significava che Gran RoRo e Magisa stavano veramente cercando di mettersi in contatto con loro.

Hideto, finalmente riabituato alla luce intensa del giorno e al caldo (che fino a quel momento non aveva percepito per via dell’aria condizionata), si avviò verso la fermata dell’autobus. Mancavano ancora un paio d’ore al loro incontro. Se era fortunato riusciva a fare in tempo a tornare a casa per farsi una doccia e cambiarsi. Magari faceva anche un duello con suo nonno. Ormai gli anni si facevano sentire e l’anziano passava la maggior parte del suo tempo a rimirare il giardino e crogiolarsi nella propria tranquillità. Ma non rinunciava mai ad un duello con lui.

Hideto sorrise. Era felice di aver recuperato il rapporto con la propria famiglia. Era stato difficile, soprattutto con la sua drastica decisione. Scappare di casa per girare il mondo non era una decisione facile da accettare per due genitori. Ma piano piano erano riusciti a capire il perché della sua scelta e da quel momento non si erano più opposti al suo desiderio di esplorare ogni parte del pianeta. Erano stati orgogliosi di vedere come il proprio figlio fosse diventato indipendente e sicuro di sé.

Quello che, però, gli aveva resi ancora più orgogliosi era stata la sua decisione di iscriversi alla facoltà di medicina. Era felice che, nonostante tutto, chi aveva tramato contro di loro non fosse riuscito a strappare loro tutti gli affetti.

Se solo anche Dan e Clarky, e la piccola Kajitsu, fossero stati con loro tutto sarebbe stato perfetto. E il fatto che la loro rinnovata battaglia non stesse dando i frutti sperati (conseguenza non troppo inattesa, data la loro scelta di non affrontare di petto la situazione come l’ultima volta) non sarebbe stato tanto difficile da accettare.

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Kenzo fissava i libri davanti a lui senza vederli. Ogni tanto spostava lo sguardo verso il computer acceso, giusto per sembrare impegnato. Ma non riusciva a concentrarsi. Continuava a ripetersi che era colpa del caldo, ma sapeva che non era così.

Il ragazzino alzò lo sguardo e guardò il gruppetto di compagni di classe con cui si era incontrato per preparare la ricerca che era stata loro affidata. Decisamente gli altri non erano distratti come lui. Kenzo si mosse sulla sedia frustrato: avrebbe voluto colpirsi con un libro in testa.

Ma come faceva a concentrarsi sulla ricerca, quando la sua mente continuava ad arrovellarsi sulle inspiegabili sensazioni che aveva provato nelle settimane precedenti? E non aiutava il fatto che, l’unica soluzione razionale che fosse riuscito a dare, presupponesse che Magisa stesse cercando di farli tornare a Gran RoRo. Faticava a crederci, si era quasi convinto che le sue fossero soltanto suggestioni… almeno fino a quella notte.

Aveva fatto il sogno più strano che si rammentasse. Quando si era svegliato, gli era sembrato strano non trovarsi a Gran RoRo. Non ricordava molto del sogno: una voce che lo chiamava più volte con il proprio nome e il titolo di Guerriero Verde, l’impressione che da qualche parte attorno a lui ci fosse il varco per Gran RoRo.

La cosa più strana di tutta quella vicenda era che tutto era iniziato solo da poche settimane. Così all’improvviso. Aveva pensato più volte di parlarne con gli altri, ma poi aveva deciso di voler fare prima chiarezza da solo. Senza ottenere nessun risultato.

Kenzo prese la penna che aveva posato sul quaderno e iniziò a giocherellarci. Poteva essere che Gran RoRo fosse di nuovo in pericolo?

Sembrava così strano dopo così pochi anni, ma di sicuro non era perché finalmente l’umanità aveva smesso di temere gli abitanti del Mondo Altrove. Come era possibile che Magisa non si fosse accorta subito di un pericolo così vicino? Non riusciva a dare una spiegazione razionale.

E chi avrebbe preso il posto dei due Maestri della Luce mancanti? Non riusciva a vedere qualcuno al posto di Dan e Clarky. Sostituire i due sarebbe stato un peso che non avrebbe mai voluto avere di persona. Il legame tra i Maestri della Luce era molto forte, nonostante tutto. I due nuovi non avrebbero certo avuto vita facile: avrebbero rischiato di essere sempre paragonati ai loro due amici.

Ma erano possibilità a cui non voleva pensare. Dan e Clarky erano il Guerriero Rosso e il Guerriero Giallo. Punto. O venivano sostituiti tutti (un po’ come Julian Fines) o non veniva sostituto nessuno. Ma se anche Magisa avesse potuto aprire un varco per il futuro, Clarky sarebbe tornato lasciando la vita che si era costruito lì? E come avrebbe potuto riportare da loro Dan? Ricordava cosa Clarky aveva detto loro dopo lo scontro, era fermamente convinto che la presenza del Nucleo Progenitore fosse un segno che Dan fosse ancora vivo da qualche parte. Lui, però, non sapeva che cosa credere.

Una parte di lui voleva crederci, ma l’altra parte (quella più scientifica e razionale) gli impediva di sperare in qualcosa di cui non avevano la minima prova. Anche se a Gran RoRo ne aveva viste di cose incredibili, ben oltre la scienza conosciuta da loro. Bastava solo pensare al Nucleo Progenitore… o al sistema dei nuclei ad esso collegato.

Tornare a Gran RoRo avrebbe potuto dare risposta anche a quelle loro domande. Ma aveva anche paura di ricevere una risposta. Scoprire che Dan non sarebbe potuto tornare, per esempio, non avrebbe spezzato soltanto Mai.

Però doveva parlarne con loro quel pomeriggio. Magari erano solo sensazioni sue e si sarebbe potuto mettere il cuore in pace. Se anche gli altri avevano avuto gli stessi sogni… beh, quella era un’altra storia.

Come poteva tirare fuori quel discorso? Ragazzi, sapete, per un qualche strano motivo sono convinto che Magisa stia cercando di mettersi in contatto con noi… o con me almeno. Voi che dite?

Kenzo sospirò e cercò per l’ennesima volta di indirizzare i propri pensieri verso la ricerca. Rimase per alcuni lunghi minuti a fissare i vari articoli e libri da cui stava raccogliendo il materiale, ma la sua mente non voleva in alcun modo collaborare.

Ma come gli era venuta in mente l’idea di accettare di incontrarsi con i compagni di classe proprio quella mattina? Poteva solo sperare che il tempo passasse in fretta. Dovevano incontrarsi nel primo pomeriggio e per quello aveva deciso di passare la mattinata e pranzare con gli amici. Avevano già mangiato e ora si erano rimessi a lavorare…

Improvvisamente Kenzo alzò lo sguardo sull’orologio e si rese conto di un piccolo e insignificante dettaglio. Il tempo era passato molto più velocemente di quanto avesse previsto. E doveva anche riportare a casa tutti i libri e i quaderni! Come avrebbe fatto a trovarsi neanche un’ora dopo all’appuntamento?!?

Il ragazzino si alzò di scatto e iniziò a raccattare alla meglio tutto il suo materiale, cercando di ricordare quali libri gli amici gli avevano chiesto di lasciare loro.

“Scusate ragazzi, mi sono completamente dimenticato dell’ora… sono già in ritardo per un ritrovo con dei miei amici!”

Gli altri tre lo guardarono per qualche istante perplessi dal suo comportamento e poi annuirono e lo salutarono.

Kenzo si mise in spalla lo zaino riempito in modo quasi casuale con il suo materiale e corse fuori dall’aula in cui si erano riuniti. Proprio con quel caldo doveva dimenticarsi di guardare l’orologio!

E per fortuna che aveva detto ai genitori di non preoccuparsi, che non c’era bisogno che mandassero nessuno ad accompagnarlo! Con il senno di poi avrebbe fatto meglio ad accettare. Lui non era una persona particolarmente sportiva. Doveva solo sperare che l’autobus non arrivasse in anticipo o in ritardo… anche prendendo tutte le coincidenze sarebbe stato un miracolo arrivare in tempo. Forse era meglio ripiegare sulla metropolitana: incrociando le dita ci sarebbe stato un treno che potesse prendere per arrivare nella zona di casa sua. Poi poteva lasciare lo zaino a Shizuko e correre a prendere l’autobus per andare alla spiaggia vicino alla quale aveva deciso di incontrarsi.

Ci poteva riuscire, bastava solo avere tanta ma tanta fortuna. L’unico lato positivo di quella corsa era che, finalmente, ora non si stava più arrovellando su i se e i ma delle strane sensazioni e del sogno. Sarebbe tornato a pensarci una volta riunito con gli altri. E, magari, insieme sarebbero riusciti a dare una spiegazione.

Salve a tutti! ^-^ Rieccoci di nuovo qui, finalmente con il primo episodio della nuova avventura dei Maestri della Luce. Sì, lo so questo capitolo è molto statico ma si deve iniziare piano no? Questo capitolo funge un po’ da introduzione. Tengo comunque a scusarmi per avervi fatto di nuovo attendere così tanto… e non perdo tempo a voler indicare questa o quest’altra scusante. Vi chiedo scusa e basta.

Inoltre, prima di ogni cosa una piccola premessa. Come avrete capito la storia inizia nel 2014, ovvero 6 anni dopo “Dan il Guerriero Rosso”, 4 anni dopo la fine di “Brave” e 3 anni da quanto raccontato nell’EPISODIO 0. Quindi, giusto per avere un quadro preciso vi do le età dei nostri Maestri della Luce: MAI 20 anni, HIDETO 19 anni, KENZO 15 anni e YUUKI 23 anni. Voi direte… mamma mia, che grandi! ^-^ Beh, non potevamo per sempre tenere piccoli i nostri eroi… (e poi odio quegli anime dove i personaggi non crescono o se lo fanno non sembra neppure un po’) … soprattutto nell’ipotesi di legami un po’ più solidi e stabili dei nostri cari Maestri della Luce. E comunque in generale per proseguire sulla maturità già mostrata in Brave (senza esagerare… le storie di questa serie saranno sempre rating verde o al massimo giallo). Spero di riuscire a mostrare al meglio questa loro nuova “maturità”: fatemi sapere che ne pensate.

Detto questo, spero che il capitolo vi sia piaciuto: aspetto i vostri commenti. Ringrazio fin da subito chi leggerà e chi, se vorrà, recensirà.

Ricordo ovviamente che queste serie sono frutto di una collaborazione tra me (idee e stesura) e mio fratello (idee e duelli).

Vi do quindi appuntamento al prossimo capitolo… eh, sì da oggi in poi dentro agli episodi niente più anticipazioni! XD Non voglio certo rubare la scena a chi nell’ultimo capitolo vi darà le anticipazioni… beh, solo per questa volta, una cosa ve la dico: nel prossimo capitolo il VARCO di Gran RoRo tornerà ad aprirsi! ^-^

Uno per tutti e tutti per uno, Hikari/D’Artagnan

P.S. voglio fare un piccolo gioco con voi. Si sa, nelle due serie televisive il primo duello sul vero campo di battaglia era fatto da Dan. Questa volta Dan, però, non c’è… chi secondo voi sarà il fortunato ad affrontare questo tipo di duello per primo? Si accettano scommesse e tenete in considerazione che può essere chiunque ma proprio chiunque! XD

Non so se lo leggerete oggi, ma in ogni caso io e mio fratello vogliamo…

Augurarvi un felice e sereno Natale!

  
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