Storie originali > Introspettivo
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Autore: NienorDur    25/12/2014    0 recensioni
Un luogo in un universo alternativo, un luogo dentro la nostra mente, un luogo dentro la nostra anima.
L'intreccio tra le persone, tra i sentimenti, tra i pensieri, dove non devi perderti, non devi isolarti.
Un sistema dove devi rimanere in contatto per non appassire.
La guida è tornata, per aiutare, per condannare.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La stanza
 
 
 
 
La mia stanza, quella dove io vivrò.
È bianca, il soffitto è luminoso, caldo, sento del calore, mi sento bene, sorrido.
Mi guardo bene attorno, vedo dei cassetti, prima c’erano?
Non mi sembrava ci fossero…
Li apro: semi, semi di tutti i tipi, fiori, alberi, rampicanti, ortaggi.
Una scelta vastissima, dove avrei potuto piantarli?
Perché darmi tutti questi semi in una stanza vuota e sterile?
Li accarezzo con le dita con una specie di malinconia e richiudo i cassetti.
Mi giro, forse c’era un’uscita, forse potrei trovare un posto con della terra.
Eccola. Comparsa dal nulla, terra, terra dentro contenitori di forme e dimensioni diverse, ognuna adatta a un tipo di pianta.
Mi sento pervadere da un senso di gioia, si poteva definire gioia? Quella sensazione che ti pervade, portandoti calore dentro il corpo e che ti costringe a sollevare le gote fino a far mostrare i tuoi denti, da adesso assocerò questa sensazione a quella parola.
Come ho trovato quella parola? Dove l’ho sentita? Chi me l’ha suggerita?
Passi, sento dei passi che si allontanano ma qui ci sono solo io.
Sarà stata la mia immaginazione.
 
Dedico tutto il mio tempo a ogni singola pianta, annaffiandole, con l’acqua di un piccolo ruscello che si era venuto a creare quando mi resi conto che avevano bisogno di acqua, parlandogli, non volevo farle sentire sole, riparandole dal sole cocente e dalle piogge che provenivano dall’alto, il soffitto non esisteva più come prima, adesso inizio a scandire giorno e notte, luce e tenebre.
Alcune piante non riesco proprio a coltivarle, nonostante io ci metta tutto me stesso, la cosa mi fa stare male, quel lato di giardino è triste, forse dovrei rinnovarlo, magari con quelle piante che riesco a far crescere così bene o con quelle con cui ho possibilità di migliorare.
Sarebbe bello poter vedere altri giardini, magari, osservandoli riuscirò a capire cosa sbaglio con quelle piante.
Durante questo periodo ho sentito più volte i passi, ma non mi sono mai allontanato dalle mie creature, dal mio tesoro, dal me stesso espresso attraverso le piante.
Doveva essere uguale a me, anzi, doveva essere migliore, se mai qualcuno venisse nel mio giardino, deve vedere il meglio di me e anche di più, deve rimanerne affascinato, deve piacergli, devo piacergli.
 
Passi, ancora quel suono, questa volta era più vicino, mi volto, guardo intorno a me, frugo tra le piante, per poi intravedere in lontananza la causa di quei passi.
Lo seguo, lo seguo perché voglio sapere cosa vuole da me, perché mi ha spiato.
Muovo le mie gambe sempre più velocemente, corro, respiro affannosamente, entro in un corridoio, poi in un altro, giro, scendo, salgo, seguo la sua scia, mi sto perdendo, lo sento, non tornerò mai più nel mio giardino e questo morirà senza di me.
Mi guardo indietro e vedo il mio giardino, è lì, come se non mi fossi mosso, com’è possibile?
I passi sono cessati, adesso c’è un altro rumore, sento dell’acqua, ma non l’acqua tranquilla del mio giardino, dell’acqua irrequieta, che s’infrange contro gli oggetti.
Sarà un altro giardino?
Vorrebbe dire che non sono solo, che posso esplorare nuovi giardini e che altri possono esplorare il mio.
Vado, vado verso quel suono così familiare quanto estraneo.
Vedo un altro giardino, un molto più bello, con tante varietà di piante, rigogliose e imponenti, mi guardo attorno alla ricerca del giardiniere, non lo vedo, lo cerco, cerco tra le piante, tra i vasi, tra l’acqua irrequieta, finalmente lo trovo, ma sarà lui? O è un’altra persona che si è persa come me?
Mi avvicino lentamente, lo osservo, una sagoma nera, anonima, il volto sono due punti bianchi e una sottile striscia dello stesso colore, concava, come fosse un sorriso, magari anche il mio volto è così, infondo non l’ho mai visto.
Si gira verso di me, mi vede, inarca ancora di più quella che dovrebbe essere una bocca.
Si alza, mi viene in contro, mi porge una mano, la afferro.
 
Vedo il suo giardino, lo vedo prima bianco, lo vedo crescere, morire e rifiorire, vedo il giardiniere che si occupa delle sue piante con amore, una alla volta, senza farne nascere più di una alla volta, vedo le sue lacrime quando vedeva morire una sua pianta, sento la sua gioia quando riesce a farle vivere a lungo.
Vuoto, sono immerso nel vuoto, penso, ho sbagliato tutto con le mie piante, non sono stato un buon giardiniere.
Tristezza, delusione, solo questo riesco a sentire.
 
Cado, sono per terra, davanti a me l’altro giardiniere, mi guarda, la sua espressione non lascia trapelare alcun sentimento, forse è normale vedere il giardino dell’altro attraverso il tocco della mano.
Rifletto, lui ha visto il mio giardino, ha visto come me ne sono occupato, ha visto i miei fallimenti, ha visto tutti i miei errori, ha capito che non sono un bravo giardiniere, lo sa e non sa come comportarsi con me, ha pietà di me, sente che sono un incapace, lo so, riesco a capirlo, lo capisco.
Da cosa? Da cosa lo capisco?
Lo so e basta, chiunque penserebbe queste cose.
 
Corro via, corro verso il mio giardino, lo raggiungo, lo distruggo, distruggo ciò che non potrà mai piacere a nessuno.
 
Distruggo il mio giardino.
 
 
Distruggo la mia creazione.
 
 
 
Distruggo la mia passione.
 
 
 
 
Distruggo me stesso.
 
 
 
 
 
 
La stanza è di nuovo bianca, pulita come prima, il soffitto, però emana una luce fredda, i cassetti non ci sono, la terra non c’è, il ruscello è secco.
Tutto è sparito, sparito come ciò che avevo dentro.
Che cosa faccio adesso?
Non ho più nulla.
Passi, gli stessi passi di tanto tempo fa, non li avevo più sentiti, qualcosa di familiare, mi scalda dentro.
Apro gli occhi.
Il coniglio nero.
 
 
 
   
 
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