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Autore: K anonima    25/12/2014    1 recensioni
“Dai, apri gli occhi”.
Volevo veramente che cominciasse un'altra giornata? Mi ponevo questa domanda ogni giorno, ma non riuscivo mai a trovare una risposta.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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“Dai, apri gli occhi”.

Volevo veramente che cominciasse un'altra giornata? Mi ponevo questa domanda ogni giorno, ma non riuscivo mai a trovare una risposta.

“Non è possibile”. Anche quella notte avevo dormito sul tappeto senza sapere il perché. Non ricordavo nulla riguardo la sera prima. Con un passo decisamente incerto mi trascinai in bagno. “Guardati”. L'ombretto nero ormai aveva vagato fino al collo. I capelli erano orribili. I vestiti del giorno prima avevano un odore che non assomigliava per niente al mio profumo. “Devi smettere di essere così”.

E così parte ogni settimana. -Potresti curarti di più, sembri il barbone che vive nel parco che c'è in città!- mi urlava mia madre quando uscivo di casa. Quel giorno portavo il maglione che avevo comprato nell'unico negozio vintage del mio paese, dei pantaloncini dalla taglia ignota, delle calze bucate e gli anfibi slacciati. “Ma vai al diavolo!” pensavo “Io sto così comoda, ma tu su quei tacchi vertiginosi cosa ne vuoi sapere”.

Camminavo sul marciapiede, le cuffie alle orecchie e le canzoni dei The Smiths a volume altissimo. Per un attimo mi sono sentita bene, quel benessere che solo la musica e i libri possono regalarti.

-Ehi idiota spostati!- due ragazzi in bicicletta, venendomi addosso, mi fecero cadere le cuffie e mi riportarono al mondo vero. A molti ragazzi piaceva il liceo, era il posto ideale per incontrare gli amici, affermare il proprio status sociale e imporre il proprio modo di essere. Io mi sentivo solo incastrata in mezzo ad un branco di persone superficiali. La spada di Damocle che percepivo sopra la mia testa era legata ad un filo sottilissimo, esattamente come la mia pazienza. A diciannove anni i miei coetanei perdevano la verginità e si prendevano le prime sbronze, cosa che io avevo superato da molto tempo. Per una ragazza che l'infanzia non sapeva nemmeno cosa fosse avrei dovuto sentirmi fortunata di essere arrivata fino a quel momento, ma proprio non ci riuscivo. Non c'era nulla di cui vantarsi, dopotutto sembrare più grandi non vuol dire esserlo veramente.

“Dai entra, tanto ormai hanno notato la tua presenza”. Respiravo piano, come se potesse servire a non farsi notare. Per i corridoi effettivamente nessuno prestava attenzione ad una ragazza bassa e vestita male. “Non vado di moda” e dopo questo pensiero per poco non scoppiavo a ridere. Il mio corpo non ha mai provato cosa fosse la moda e ne andavo molto fiera, non mi è mai piaciuta la notorietà per qualcosa di così futile. Mi complimentavo con me stessa ogni tanto per questo, una delle poche cose per cui ancora mi rispettavo.

“Eccolo lì, ma cosa caspita sta facendo?!”. Entrando in classe, come ogni giorno, appoggiato alla finestra stava Randal che giocava con i filtri per le sigarette. Erano mesi che comprava l'occorrente, ma non era mai riuscito a fare delle sigarette che rimanessero intatte fino alla fine. Mi faceva davvero sorridere quel ragazzo strano, non che io potessi definirmi normale, ma perché non gli importava dell'opinione di nessuno e per questo lo ammiravo. Era stato lui il primo a rivolgermi la parola... e anche l'unico a dire il vero. Non l'ho mai considerato un amico vero. Non abbiamo mai parlato di amicizia, ma penso che neanche lui mi considerasse tale.

-Non è che se fissi il tabacco si trasformerà in una sigaretta già fatta- glielo dicevo ogni mattina e lui, prontamente rispondeva -E tu non è che se continui a guardare le ragazze in minigonna con fare disgustato inizieranno a mettere i pantaloni-. Parlava in un modo diverso rispetto a tutti gli altri, nonostante fosse arrivato nella mia città da solo un anno dall'Inghilterra, coniugava meglio i verbi di quanto non facessi io a volte e la cosa un po' mi infastidiva.

Come ogni lunedì la professoressa di matematica arrivava in classe preceduta dal suo profumo alla cannella mista puzza di fumo che mi portava alla nausea. Penso avesse più baffi lei di quanti non ne avesse mio padre, ma questo era scortese da dire mi avevano riferito. Al posto delle unghie aveva degli artigli sempre con dello smalto rosso fuoco. “Evviva, capissi qualcosa quando parla almeno avrei qualche chance”.

E le ore passavano così, notando ogni piccolezza e ogni difetto estetico di ogni professore che entrava. Randal pareva divertito dai miei sporadici commenti e dalle mie espressioni perplesse. Penso che capisse anche lui che qualcosa non andava nelle persone, ma si guardava bene da far notare la cosa.

Finalmente l'ultima campanella suonava e la mia mente poteva uscire da quello squallido corpo insieme al corpo. Fuori dal liceo mi aspettava Clary. O forse aspettava Randal, dato che la cotta che aveva per lui era abbastanza evidente, ma speravo che tirando le somme venisse anche per vedere me. Eravamo davvero diverse: io ero la persona più trasandata al mondo e lei era sempre curata, con le quelle trecce bionde sempre composte e il rossetto rosa sempre apposto. La sua ingenuità e il suo candore a volte mi stupivano, mi sembrava che non avesse mai conosciuto cosa fosse la cattiveria e anche se questo mi faceva sorridere mi preoccupava. Come facesse ad essere attratta da Randal era un mistero ancora più grande. Lei ordinata e solare, lui probabilmente tossico e malinconico. Incompatibili.

Tornavamo a casa tutti insieme ogni pomeriggio e la cosa mi piaceva, mi portava per mezz'ora a pensare di essere un'adolescente come tanti altri. Clary ci raccontava della sua mattinata con entusiasmo e ogni volta le era successo qualcosa che valeva la pena di raccontare. Io e quel povero ragazzo con più tabacco che sorrisi ascoltavamo vagamente interessati. Sapevamo che sarebbe arrivato il momento in cui lei ci avrebbe chiesto con aria felice -E voi oggi che cosa avete fatto di interessante?- e noi, come sempre avremmo risposto -Interessante? Proprio nulla-.

La prima casa della via quella di Randal che a mala pena salutava. Ogni tanto io dopo qualche passo mi voltavo e lo vedevo fermarsi davanti alla porta per rispondere al mio sguardo e sorridermi. Di questo nostro rito si era accorta anche Clary a cui ciò dava fastidio. Per me non c'era nulla di male, non mi pareva un'azione tanto particolare, ma quando lei mi chiedeva -Perché sorride a te e non a me?! Non gli piaccio?- non sapevo cosa rispondere. Non ero brava a decifrare questi comportamenti, io vedevo solo un'innocente sorriso.

Arrivavo finalmente a casa mia e salutavo quella bellissima ragazza bionda con sempre la stessa frase -Non c'è motivo per cui Randal non dovrebbe essere attratto da te, è solo troppo fumato per capire quello che fa. Fidati, quel sorriso era per te-. Non so se fosse vero, ma mi piaceva pensare di aver ragione. Per lei.

“Ah l'unico amore della mia vita... letto che ho fatto di male per non poter stare con te tutto il giorno!”. Un tale pensiero da asociale mi faceva ridere.
E come se non ci fosse tempo per fare nulla arrivava l'ora della cena e poi l'ora di andare a dormire.

Non mi era mai piaciuto dormire, era una perdita di tempo e l'orario in cui mi addormentavo era la prova che credevo veramente a questo.

Un routine continua e sempre uguale. L'eccessiva tranquillità di Randal, i patemi d'animo di Clary, le mie critiche ad ogni individuo che attirasse la mia attenzione e le serate di cui non ricordavo nulla. Stavo per impazzire.

Poi arrivò lui, in un giorno qualunque, stravolgendo ogni cosa.

   
 
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