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Autore: _ayachan_    12/11/2008    5 recensioni
One-shot, threesome, incentrata sul rapporto che lega Ed, Al e Winry. Primo e forse ultimo esperimento con FullMetal Alchemist, ha "coraggiosamente" partecipato al contest sulle threesome indetto dalla gattide sul forum ormai più di un anno fa.
I fratelli Elric condividevano ben più di un quarto di sangue: erano l’uno la famiglia dell’altro, il sostegno, il patrimonio, ma anche il debito e il rimorso rimasti.
Ed doveva ad Al un corpo, Al doveva a Ed un braccio.
L’uno era causa e principio della vita dell’altro, perché da quando avevano contratto quel debito erano rinati, e avevano consacrato la loro esistenza alla sua estinzione.
Poi, c’era anche una persona che condividevano.
Qualcuno che come loro non aveva altri cui appigliarsi.
Qualcuno il cui nome significava
casa.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Winry Rockbell
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Elric
Elric



«Al… A te piace Winry?»

Una domanda.
Una sciocca, stupida domanda uscita per caso e per sbaglio.
Sdraiato sul letto della stanza d’albergo che avevano assegnato a lui e ad Al, Ed fissava il soffitto con la fronte corrugata. Perché si era lasciato sfuggire quelle parole?
Al, seduto sul letto con un libro di alchimia in mano, alzò la testa e puntò i suoi occhi vuoti su di lui, così privi di espressione e poveri di aiuto in momenti del genere. Ed non riusciva mai a capire cosa pensasse suo fratello, se lui riusciva a mascherare il tono della voce.
«Che domande sono, fratellone?» chiese sorpreso. «Certo che mi piace Winry. La conosciamo da sempre»
«No, io intendevo…»
Si bloccò.
Stupido, chiudi la bocca.
Ha frainteso, ti è andata bene. Non tentare oltre la fortuna.
«Mm… Okay» mormorò abbassando le palpebre. «Per te sarebbe un problema se andassimo a trovarla? Cioè, so che l’abbiamo vista di recente, e che l’altro giorno le abbiamo anche telefonato, però… mi chiedevo se stava bene; sai, giusto per esserne certi»
La voce del Comandante Supremo ancora gli riecheggiava nelle orecchie: Winry Rockbell. Proprio una cara e brava ragazza...
Una minaccia, se non nelle parole sicuramente nel tono. E considerato da chi proveniva, non poteva che essere terribilmente reale.
«Vuoi andare a Rush Valley?» chiese Al. «Il tuo auto-mail ha qualcosa che non va?»
«Mh...»
Menti, idiota, menti.
«Sì. Mi pare di sì» borbottò Ed.
«Ah, va bene. Per me non c’è nessun problema. Partiamo domani?»
«Sì»
Al guardò il fratello per un lungo istante, da dietro il casco vuoto. Poi abbassò di nuovo la testa e si immerse nel suo libro d’alchimia.
Ed riprese a fissare il soffitto.


Non ho frainteso.
Ho capito benissimo cosa volevi chiedermi, fratellone...
Il treno correva veloce sui binari lucenti, e il paesaggio fuori dai finestrini scivolava davanti ai suoi occhi vuoti senza quasi lasciare traccia.
Al era seduto composto accanto al finestrino, e osservava il panorama senza parlare.
Ed, davanti a lui, si rigirava tra le dita l’orologio d’argento che lo qualificava come cane dell’esercito. Il resto dello scompartimento era vuoto, l’unico rumore era il sussultare profondo del treno.
I fratelli Elric condividevano ben più di un quarto di sangue: erano l’uno la famiglia dell’altro, il sostegno, il patrimonio, ma anche il debito e il rimorso rimasti.
Ed doveva ad Al un corpo, Al doveva a Ed un braccio.
L’uno era causa e principio della vita dell’altro, perché da quando avevano contratto quel debito erano rinati, e avevano consacrato la loro esistenza alla sua estinzione.
Poi, c’era anche una persona che condividevano.
Qualcuno che come loro non aveva altri cui appigliarsi.
Qualcuno il cui nome significava casa.
Winry Rockbell, amica d’infanzia e meccanico personale di Ed e dei suoi auto-mail, era soltanto una ragazza come loro. Orfana, bionda e sola, era cresciuta con gli altrettanto orfani, biondi e soli fratelli.
E nella comune solitudine avevano trovato la salvezza.
Ma ora, la salvezza rischiava d’incrinarsi.
Al... A te piace Winry?”
Certo che mi piace, fratellone.
E non perché la conosciamo da sempre o perché siamo amici da tanto tempo; mi piace perché è lei.
Lei e nessun altra.
Mi piace anche quando urla, e ci insulta, e ci picchia... quando piange, e quando ride, e quando dorme.
Credo di esserne innamorato.
Perché lei, con te, fratellone, è l’unica che sappia vedere dentro quest’armatura vuota. L’unica che mi abbia conosciuto prima di ottenere questa pallida imitazione di corpo, l’unica che ancora mi consideri... normale. Vivo.
Credimi, ti sono infinitamente grato per avermi salvato, fratellone; non riesco neanche ad esprimere fino a che punto io sia felice di essere ancora qui, e, seppure nel rimorso, felice di doverti restituire un braccio.
Ma...
Mi manca la vita di un essere umano.
Gli sguardi che si posano su di me sono increduli, divertiti, spaventati. Per una volta vorrei attraversare una folla e passare inosservato, ragazzino come tanti tra milioni di persone.
Vorrei mangiare un gelato.
Inciampare e farmi male.
Baciare una ragazza.
Ma non posso.
Nessuna ragazza mi guarda come se fossi un ragazzo.
Nessuna... tranne lei.
Perdonami fratellone.
Ti prego, ti prego perdonami...
Perché non riesco a rinunciare a questo sentimento.
Non posso.
Mi aggrappo ad esso come alla vita stessa, lo stringo spasmodicamente al mio cuore immaginario e arranco, sperando in futuro di poterlo accostare a un muscolo pulsante.
Se smettessi di amarla, morirei.
Anche se so che tu la ami a tua volta.
Fratellone, sei la cosa più importante della mia vita. Ma questo sentimento lo è altrettanto.
Non posso abbandonarlo senza stramazzare al suolo, non posso andare avanti senza la mia illusione... non ce la faccio.
Fratellone.
Edward.
Non capirai mai come mi sento in questo corpo perennemente freddo, e io spero, spero davvero che tu non debba mai capirlo.
Perdonami se puoi”
«Che hai da fissarmi?»
Al quasi sussultò, accorgendosi all’improvviso dello sguardo di Ed puntato nel suo.
Non si era reso conto di aver smesso di osservare il panorama.
«Ah, s-scusa» balbettò, ringraziando di non avere un viso da far arrossire. «Mi sono incantato»
Ed sbuffò, appoggiando il mento al polso.
«Pensi a troppe cose, Al» disse secco. «Non devi sobbarcarti tutto il peso di questa situazione. Ricordati che siamo in due, eh»
Come se potessi dimenticarlo...
«Sì. Sì, scusami fratellone»


La stazione di Rush Valley era ancora una volta piena di vita e movimento; ovunque volgevano lo sguardo, Ed e Al vedevano gente. Gente ed auto-mail, naturalmente.
Winry aveva detto che sarebbe venuta a prenderli al loro arrivo, ma nonostante fossero fermi da dieci minuti accanto a un alto palo della luce, non si era ancora vista.
«Forse non ci trova» ipotizzò Al.
«Certo. In fondo sei alto solo due metri» ironizzò Ed. «Te lo dico io: la cretina si è dimenticata!»
Una chiave inglese urtò con un tintinnio inquietante poco sopra il suo orecchio destro, mandando a sbattere il sinistro contro il palo.
«La cretina è qui» ringhiò una voce irritata, mentre Ed si accasciava a terra privo di sensi.
«F-Fratellone!» esclamò Al, vagamente preoccupato.
«Ciao Al, com’è andato il viaggio?» chiese Winry melliflua, mentre Ed si riprendeva e, aggrappato al palo, tentava di rialzarsi.
«B...Bene» mormorò Al incerto. «Winry, forse il fratellone non sta tanto bene»
Ed, grondando sangue da una tempia, sollevò l’auto-mail che sostituiva il suo braccio sinistro. La mano rimase diritta per un istante, poi si piegò inerte.
«Mi sa che si è rotto» disse piatto.
«Lo hai rotto di nuovo?!» sbottò Winry furiosa.
«Ehi, sei stata tu!»
«Non scaricare la colpa su di me, sai?!»
«Ma lo hai rotto tu!»
«Insisti?!»
Al sospirò – metaforicamente parlando – mentre i toni si alzavano. La gente attorno a loro iniziò a guardarli stranita.
E lui si sentì irritato per la confidenza che Ed e Winry mostravano di avere ancora una volta.
«Basta così, fratellone» disse gentilmente, sollevando Ed per la collottola. «Stai ancora sanguinando, e non credo che tu voglia farti uccidere del tutto»
«Ma è stata colpa sua!» protestò lui, agitando le gambe in aria.
«Winry, scusaci» continuò Al, ignorandolo. «A quanto pare abbiamo bisogno del tuo aiuto per rimetterlo in sesto... di nuovo»
Winry sbuffò, le mani sui fianchi. «Bah. Suppongo di doverlo fare, visto che sono il migliore meccanico in circolazione» commentò con nessuna modestia. «E un inetto del suo stampo non potrebbe tirare avanti senza il meglio disponibile!»
«Cos’hai detto?! Nanetto?!» esplose Ed.
E’ un deficiente, pensò lei, dandogli le spalle. E, mentre incitava Al a seguirla, un sorriso le stirò le labbra, senza che i fratelli Elric potessero vederlo.
Sì, sei un deficiente... ma sono contenta che tu sia qui.

«Ohh, che piacere rivedervi!» gorgheggiò Garfiel, l’ambiguo meccanico da cui stava Winry, quando li vide. «Ed, il tuo auto-mail come sta?» chiese, avvicinandosi in maniera preoccupante.
«B-B-Bene» balbettò lui arretrando, blu in faccia.
«Bene un corno!» rettificò Winry, scoccandogli un’occhiata fulminante. «E’ riuscito a disintegrarlo appena ha messo piede giù dal treno! Così se prima aveva soltanto un difettuccio, ora è completamente da rifare!»
Al tappò la bocca di Ed prima che ribattesse.
Stai zitto, fratellone, che ti è andata bene: prima il tuo auto-mail non aveva niente di niente.
«Su, dai: vieni qui, che vediamo per bene cos’ha l’auto-mail» proseguì Winry, battendo una pacca energica sul lettino da lavoro del signor Garfiel.
Ed, mugugnando tra sé, si levò la giacca e obbedì.
Di fronte al suo petto nudo, il padrone di casa sembrò andare in brodo di giuggiole, al che Al, impietosito, decise che lo avrebbe distratto. Mentre si faceva controllare una giuntura che funzionava benissimo, gettò un’occhiata di striscio a Ed e Winry.
Lei gli stava esaminando il braccio con il solito occhio professionale, lui guardava altrove e borbottava ancora contro l’ingiustizia del mondo.
Tutto era come sempre, eppure c’era qualcosa di diverso.
«E’ da togliere» sbuffò Winry dopo una breve verifica. «Devi lasciarmelo qui almeno oggi, perché sei riuscito a danneggiare un componente interno particolarmente difficile da raggiungere»
«Tutto oggi?» insorse Ed.
«Certo: volevo provare a inserire una piccola percentuale di carbonio qui, dietro il gomito... penso che lo renderebbe più resistente, e...»
«Tu, sadica sperimentatrice folle! Non farmi perdere tempo per queste ca...»
«Queste cosa?»
Gli occhi di Winry si fecero improvvisamente minacciosi. Ma non avrebbero mai potuto essere più espliciti della pesante chiave inglese che era comparsa improvvisamente nella sua mano.
«Queste carinissime e importantissime cose» si affrettò a ritrattare Ed. «Hai tutto il tempo che vuoi, naturalmente»
Come se non ti facesse piacere restare un po’ di più..., si trovò a pensare Al.
Winry, sfoggiando tutt’a un tratto un sorriso deliziato, afferrò al volo gli attrezzi per staccare l’auto-mail, e iniziò a lavorare sulla spalla di Ed.
Lui, mentre lei non guardava, sbuffò piano.
Ma sì... va bene così.
Lei, convinta di non essere vista da nessuno, si lasciò andare a un piccolo sorriso.
Resterà qui tutto oggi, e anche domani, forse.
Al, che aveva gli occhi puntati su entrambi, si trovò a sentire una fastidiosa sensazione a livello dello stomaco, sebbene uno stomaco non l’avesse.
«Non vedo nulla che non va» se ne uscì Garfiel in quel momento, pulendosi le mani macchiate d’olio in una pezza sporca. «Sei sicuro di aver sentito quell’attrito?»
«Eh?» fece Al, riscuotendosi dai suoi pensieri. «Oh, p-potrei anche essermi sbagliato! Comunque grazie per il controllo»
«Ma ti pare?» sorrise l’uomo.
Per fortuna non sembrava affettuoso come con Ed.

L’auto-mail che gli avevano dato per quella giornata era scomodo e pesante, e funzionava molto peggio del suo. Ed mosse le tozze dita d’acciaio, cupo, e il signor Garfiel lo accarezzò con occhi amorevoli.
«Mi dispiace davvero tanto di doverti dare questa schifezza» si scusò tristemente. «Ma è quanto di meglio c’è in negozio»
«Di certo non compete con quelli di Winry» bofonchiò lui, avendo cura di non farsi sentire. «Va bene così» aggiunse poi, a voce più alta. «Se è solo per oggi, posso resistere»
Saltò giù dal lettino, cercando la maglia, e si rivestì in fretta e rabbrividendo; aveva la sgradevole sensazione di essere osservato... e il fatto che il signor Garfiel fosse lì accanto non lo rendeva affatto tranquillo.
«Al, andiamo a prenotare una stanza» disse rapido.
«Sì» annuì il fratello, pronto a partire. «Winry, noi torniamo dopo!» salutò, mentre Ed già si fiondava fuori dalla porta.
«Aha...» rispose lei senza guardarlo, già immersa nei complicati meccanismi dell’auto-mail che doveva sistemare, e lui uscì, rivolgendo un cenno esitante anche al signor Garfiel.
Quando si fu richiuso la porta alle spalle, Winry alzò la testa e fissò per qualche lungo istante il legno scuro che teneva lontani i rumori della strada.
Sospirò appena.

Ed attraversò la città a disagio; vedere tutta quella gente che si vantava dei suoi auto-mail non gli dava una bella sensazione. Cosa c’era di così entusiasmante nel perdere una parte di sé e sostituirla con freddo metallo?
Sotto i guanti, strinse la mano artificiale che gli avevano dato in sostituzione.
Quando Winry li aveva lasciati per l’ultima volta, a Central City, le aveva promesso che avrebbe recuperato il suo corpo e quello di Al, e che l’avrebbe fatta piangere di gioia... ma non le aveva fornito alcuna data.
Non ne aveva una nemmeno lui.
E poi...
Se Al avesse recuperato il suo corpo, cosa sarebbe successo?
«Fratellone, è quasi ora di pranzo; non hai fame?» domandò Al in quel momento, distogliendolo dai suoi pensieri. Il suo stomaco gorgogliò, risvegliandosi all’improvviso.
«Ah, già» borbottò, guardandosi attorno alla ricerca di un ristorante. «Andiamo dopo a cercare una stanza, va bene?»
Vide un’insegna, poco distante, che indicava una stradina laterale e annunciava ottima cucina e prezzi modici.
«Speriamo che sia un locale ampio» ghignò Ed, avviandosi a passo spedito.
Al lo seguì, incapace di ridere per la battuta, e si infilò in quello che era poco più di un vicolo sentendosi grosso come una montagna. Contrariamente ad ogni aspettativa, però, il locale all’interno era abbastanza grande da contenerlo comodamente.
«Siamo fortunati» commentò Ed, scostando la tendina e chiedendo permesso.
Al esitò per un istante, distratto da un rumore nel vicolo. Poi, dopo essersi accertato del silenzio più totale, lo seguì.
Come sempre, ordinarono per due e mangiò tutto Ed. Per fortuna essere un cane dell’esercito prevedeva anche un generoso stipendio, altrimenti avrebbero patito la fame ben presto... chi dei due poteva patirla, almeno.
Al termine del pranzo, il maggiore dei fratelli Elric si stravaccò sulla sedia, profondamente soddisfatto.
«Ahh, che mangiata» commentò felice. «E poi è un bel posto, vero Al?»
«Sì, fratellone» rispose lui in automatico.
Ed si accigliò appena.
«C’è qualcosa che non va?» chiese, improvvisamente sospettoso.
«Pe...Perché me lo chiedi?» ribatté l’altro, senza riuscire a mascherare il turbamento nella sua voce.
«Non so, mi sembri un po’ strano ultimamente... Ti ho già detto che siamo in due, mi pare; se hai un problema puoi parlarne con me, lo sai, no?»
Al strinse i suoi pugni di acciaio sotto il tavolo.
Posso parlarne con te? Come no!
«Fratellone...» si trovò a dire, con voce a malapena vibrante. «Tu non puoi risolvere tutto»
Ed rimase interdetto.
«Cosa stai cercando di dire?» chiese, sporgendosi verso di lui da sopra il tavolo.
Ahh, mi sono lasciato scappare troppo!, pensò Al amaramente.
«Niente, è il solito discorso» rispose sbrigativo.
Con “il solito discorso” si riferiva, ovviamente, alla sua condizione. Ed si incupì.
«Scusa» mormorò, per la milionesima volta.
Per un attimo aveva pensato che Al non fosse preoccupato per la sua armatura, ma per lei.
Il problema, invece, era sempre uno.
Al non poteva pensare a una ragazza con il corpo che si ritrovava.
Non poteva pensare a una vita normale senza soffrire.
Non poteva vivere come lui.
Però... c’era pur sempre qualcosa di strano, nel suo comportamento degli ultimi tempi.
Da quando alla stazione di Central City gli aveva detto, ironico, “Oh, l’amore! Che belle parole, fratellone!”, c’era stata una nota stonata nel loro rapporto.
Quella frase, quella voce divertita, erano sembrate forzate.
Da piccoli avevano litigato per decidere chi avrebbe sposato Winry. Ora ci ridevano sopra. Ma quanto era sincera la loro risata?
«Dai, andiamo a cercare una stanza per la notte» se ne uscì, alzandosi dalla sedia.
«Va bene, fratellone» mormorò Al, imitandolo.
Pagarono – e il negoziante gongolò nel presentare loro il conto – poi uscirono di nuovo nel vicolo stretto che tanto metteva a disagio Al. Ed andò avanti, il pensiero ancora rivolto alla conversazione tirata di poco prima, ma il minore dei fratelli Elric sentì di nuovo un rumore strano.
Si fermò, guardandosi alle spalle, e il fruscio si ripeté per la terza volta. Era un acciottolio sommesso, come di qualcosa che cerca di farsi strada in un mucchio di cianfrusaglie. E poi ci fu una specie di pigolio.
Al si fermò, e fece qualche passo indietro. A una certa distanza dalla porta del ristorante c’erano delle casse di legno vuote, che forse un tempo erano servite per trasportare del cibo; si chinò, grosso e cigolante com’era, e ne scostò una.
Lì sotto, c’era un gattino di non più di un mese, bianco e rosso.
Qualcosa dentro di lui si sciolse per l’ennesima volta: non sapeva resistere agli animaletti piccoli e morbidi.
«Ehi, piccolino... che ci fai qui tutto solo?» chiese in un sussurro, tendendo un dito freddo a sfiorare il naso roseo e umido del cucciolo.
Quello miagolò, con voce flebile come un pigolio, e tremante gli leccò il dito.
«Al? Che stai combinando?» chiamò Ed dal fondo del vicolo, cercando di vedere oltre la sua ampia schiena.
«Ah... io...» rispose lui, nel panico.
Accidenti! Non posso lasciare qui questo gattino! Ma se Ed scopre le mie intenzioni, è la volta buona che cancella il cerchio alchemico che mi tiene in vita!
Sentì i passi del fratello farsi più vicini, e, nel panico, prese il cucciolo per la collottola e se lo infilò nell’armatura.
«Mh?» fece Ed, raggiungendolo e sbirciando oltre la sua spalla. «Che c’è?»
«Ehm, mi era sembrato di sentire un rumore!» ribatté Al in fretta, decidendo che una mezza verità poteva sembrare più plausibile.
Il fratello sbuffò. «Devi smetterla di cercare randagi in tutte le città che visitiamo!»
«Non stavo cercando randagi!» si indignò Al.
«Beh, meglio. Perché dubito che ci siano alberghi che li ammettono. Forza, andiamo a cercare questa stanza»
Oh maledizione.
L’albergo!
Se ne era completamente scordato!
E, con la piccola palla di pelo calda che ballonzolava nella sua gamba destra, si avviò dietro a Ed ansiosamente.
Speriamo che nessuno se ne accorga!
Come no.
Il gattino ebbe la geniale pensata di ricominciare a miagolare, probabilmente per la fame, nemmeno dieci minuti dopo.
Nella strada ancora affollata, Ed si fermò per un attimo e tese l’orecchio.
«Al, senti qualcosa?» domandò al fratello, corrucciato.
«I-Io?» balbettò quello, nel panico. «No, fratellone, niente!»
«Mi sarò sbagliato»
Ripresero a camminare, e il cucciolo miagolò più forte, vedendosi inascoltato. Al simulò un accesso di tosse improvviso. Ed si fermò. Si girò. Lo fissò.
«Al, tu non hai polmoni»
«Ehm, ecco... io...» balbettò Al, arretrando leggermente.
«Cos’hai in quell’armatura?» lo interruppe Ed, facendosi più vicino.
«Niente!»
«E’ un niente molto rumoroso!»
«Fratellone, aspetta... posso spiegare!»
«Tiralo fuori»
«Fratellone...»
«Tiralo fuori! Non possiamo portarlo con noi, quanti milioni di volte te l’avrò detto? E’ un gatto, non lo faranno mai stare in un albergo!»
Al esitò, combattuto.
Ed aveva ragione, naturalmente. Ma lui non poteva... non voleva...
«T-Tanto non ho bisogno di dormire, io!» si sentì dire, quasi senza esserne conscio. «Non ho mai sonno, resto fuori con lui!»
Sulla fronte del fratello si gonfiò una vena. «E domani, eh?» chiese aspro. «Che te ne farai domani? E dopo? E il giorno dopo ancora?! Più resterà con te, più difficile sarà lasciarlo andare! Quindi liberatene adesso!»
«Non voglio!» gridò Al.
Era tutto il giorno che si sentiva nervoso, era tutto il giorno che il suo nervosismo veniva inconsciamente rivolto a Ed, ed era tutto il giorno che Ed lo trattava come se fosse stato il suo padrone, e non suo fratello!
«Trovati da solo la tua stanza!» esplose amaramente e, voltate le ampie spalle dell’armatura, si allontanò di corsa e rumorosamente. Parecchie teste si voltarono nella sua direzione, quando passò.
Ed sbuffò, e si passò una mano tra i capelli.
«Stupido Al!»

Il negozio era ancora chiuso per la pausa pranzo, e la gente ci passava davanti senza guardarlo. Ciò a cui le persone rivolgevano davvero gli occhi, invece, era la gigantesca armatura scintillante nel sole di mezzogiorno che fendeva la folla come una rompighiaccio fende la banchisa.
Curiosamente, il suo cigolio assomigliava a un fievole miagolio.
Al non era riuscito a pensare ad altri posti in cui rifugiarsi. Fermo davanti al negozio del signor Garfiel, tuttavia, esitava ancora.
Ed lo avrebbe sicuramente cercato lì, come prima cosa; rifugiarvisi significava farsi trovare subito.
Ma lì c’era anche Winry.
Bussò piano.
Nessuna risposta.
Ritentò, un po’ più forte, ma ancora non ottenne nulla.
Allora chiamò a voce alta, rischiando di buttare giù la porta con i grossi pugni di metallo, e finalmente sentì la serratura scattare.
«Aaal!» esclamò Garfiel quando lo vide, allungando la ‘a’ del suo nome per almeno tre secondi. «Non pensavamo di vedervi indietro così presto! E dov’è Ed?»
I suoi occhi ansiosi cercarono la familiare figura del fratello più minuto, senza trovarla.
«Lui... Lui non c’è» mormorò Al. «Posso vedere Winry?»
«Come? Winry?» ripeté Garfiel. «Ma Ed dov’è?» insisté poi, puntando a quello che era il suo vero interesse.
«Non lo so. Ah, avrebbe anche un goccio di latte?»
Al tese il ginocchio e staccò il polpaccio destro. In equilibrio sulla gamba sinistra, sollevò il pezzo di armatura ed estrasse il gattino miagolante. Sembrava abbastanza scombussolato, dopo la camminata.
«Che amore!» squittì Garfiel, vedendolo. «Vieni, entra! Ho tutto quello che serve!»

Dieci minuti dopo Winry li raggiunse in cucina, mentre entrambi erano in estatica contemplazione del micino che leccava avidamente del latte tiepido.
«Al!» esclamò lei, sorpresa, e poi le cadde l’occhio sul cucciolo. «Ahh, non dirmelo: l’hai rifatto»
«Ehm, i-io...» balbettò lui, ancora una volta lieto di non poter arrossire. «Non potevo lasciarlo lì!»
L’espressione esasperata di Winry si tramutò rapidamente in un sorriso rassegnato, mentre prendeva una sedia e si univa ai due al tavolo.
«Che carino!» commentò, studiando il gatto da tutte le angolazioni. «Avrà sì e no un mese... dite che si è perso?»
«Forse» Al si strinse nelle spalle sferragliando, ma i suoi occhi non erano puntati sul cucciolo.
Erano su Winry.
Lei era così dolce.
Anche se lui conosceva il suo lato più rude e mascolino, sapeva anche che c’erano momenti in cui era davvero bellissima. Non riusciva a definirla in altro modo.
Se chiudeva gli occhi poteva rivedere la sua espressione, mentre impugnava la pistola davanti a Scar. Così piena di rabbia, ma anche così fragile...
Se ne era andato, quella volta.
Per proteggerla, aveva allontanato Scar.
Chissà cosa le aveva detto Ed, per farle lasciare la pistola. ..
«Immagino che Ed non sia molto contento di lei» commentò Winry in quel momento.
«Lei?» fece Al senza capire.
«Sì; è una gattina, non vedi?»
«Oh, non ci avevo fatto caso»
«E’ per questo che Ed non c’è?» sorrise Winry, con l’espressione rassegnata che riservava ai litigi dei fratelli Elric.
Al strinse i pugni sotto il tavolo.
Sempre, sempre Ed...
«Lui è uno scemo» disse tagliente. «Non capisce niente!»
Winry non smise di sorridere. «Al. Tu sei una persona molto buona» mormorò.
Lui si sentì arrossire di piacere, sebbene sapesse che era solo un’illusione.
«Quello non è soltanto uno scemo: è un cretino integrale, infantile, arrogante, egocentrico, testardo e con un gigantesco complesso di inferiorità!» completò lei, con un cenno vago e una mezza risata.
«Ehi!» si indignò il signor Garfiel. «Per la sua altezza è perfettamente proporzionato!»
«Ah beh, se lo dice lei...»

Il ‘perfettamente proporzionato’ fece la sua comparsa in negozio soltanto molte ore dopo, quando ormai si era quasi al tramonto. Facendo il minor rumore possibile, sgusciò all’interno e si guardò attorno con circospezione.
«Non c’è» gli disse la familiare voce di Winry, facendolo trasalire.
«W-W-Winry!» balbettò lui, appiattendosi contro il muro.
«E’ sul retro, con il gatto» continuò lei, le braccia incrociate sul petto, e poi sospirò. «Sapevo che saresti tornato»
Ed bofonchiò qualcosa, guardando altrove. «Sono qua solo per il mio auto-mail» puntualizzò poi, in tono sostenuto.
«Che non è ancora pronto. Hai trovato una stanza per la notte?»
«Sì. Una singola»
Gli arrivò un pugno in testa.
«Ahia, perché cavolo...?!» sbottò lui, ma Winry lo zittì con un’occhiataccia.
«E’ inutile che fai l’arrogante, sappiamo tutti e due che Al è sempre in quella tua testaccia bacata» spiegò secca. «Quindi vai di là e chiedigli scusa»
«No» grugnì Ed. «Ha sbagliato, e lo sa. Gliel’ho detto mille volte che non può raccogliere tutti i randagi che trova! Poi ci si affeziona, lo sappiamo, e noi non possiamo portarci dietro nessuno
Winry si incupì appena.
«Ed, questo lo sa anche lui» disse piano.
Ed distolse lo sguardo.
«Non li raccoglie per tenerseli. Li raccoglie perché non può lasciarli lì; perché li vede totalmente abbandonati, e sa cosa vuol dire; perché vorrebbe che qualcuno, un giorno, raccogliesse anche voi...»
«Noi ce la possiamo cavare da soli» la interruppe lui. «Mi occupo io di tutto, non abbiamo bisogno di nessuno»
Neanche di quell’uomo.
Winry sospirò di nuovo, profondamente.
«Voi non siete soli» mormorò con voce bassa e lievemente incrinata. «Perché se foste soli... non sareste con me. E anche io sarei sola»
Ed rialzò lo sguardo, turbato.
«Scusa» disse piano. «Hai ragione»
Lei gli rivolse un mezzo sorriso.
Lì, nell’ingresso del negozio, con il sole che tingeva d’arancio l’ovest, rimasero fermi per un lungo istante. Poi Ed le voltò le spalle, dirigendosi verso l’uscita.
Sulla soglia si fermò, la mano sana a stringere lo stipite.
«Torno domani» disse. «Per l’auto-mail... e per Al»
Winry sorrise.
«Va bene»

Notte fonda.
Un grillo friniva da qualche parte, nel buio, e le stelle punteggiavano freddamente il cielo. Non c’era luna.
Al era seduto sul retro del negozio, a terra, con la schiena appoggiata alla parete.
Di notte si annoiava. Tutti dormivano, soltanto lui no.
Stupido fratellone, si trovò a pensare. Non potevo lasciarla lì...
Avrebbe tanto voluto sospirare. Non gli piaceva stare solo, al buio; ma la cosa che meno gli piaceva in assoluto era stare senza Ed.
Ed era tutto ciò che gli era rimasto: la sua famiglia, il suo sostegno, il rimorso; il principio e la fine. E senza il suo onnipotente fratello, senza la presenza che era sempre stata nella sua vita, mancava qualcosa. Un pezzo fondamentale.
Stupido fratellone!
Se la prendeva sempre con lui per i gatti!
Non ci arrivava?
Non capiva perché li raccoglieva?
Quasi richiamato dai suoi pensieri, un fievole miagolio giunse dalla porta socchiusa al suo fianco. Abbassando lo sguardo, Al vide il muso della gattina spuntare dallo stipite, esitante.
L’aveva lasciata che dormiva in una cesta preparata da Winry, ma evidentemente aveva ancora fame, o forse si sentiva sola. Tese una mano, quella mano di gelido ferro che non sopportava, che allontanava molte persone e che ne avrebbe spaventate molte altre, ma quel cucciolo ingenuo non sembrava averne paura. Si avvicinò, instabile sulle gambette storte, e la leccò di nuovo, come quel pomeriggio. Provò ad arrampicarcisi sopra, ma le sue unghie scivolarono con uno stridio, e ricadde immediatamente.
Al la raccolse e la tenne tra le braccia, vicino al suo corpo freddo.
Avrebbe voluto scaldarla.
Avrebbe voluto un corpo caldo.
Avrebbe voluto suo fratello accanto...
La porta cigolò appena aprendosi di più, e Winry fece la sua comparsa con uno sbadiglio.
«Ciao Al» salutò, sedendosi al suo fianco, ancora in pigiama.
«Che ci fai sveglia?» le chiese lui sorpreso.
«L’ho sentita miagolare» rispose lei, accennando alla gattina. «E ho pensato che ti avrebbe cercato»
«Credo che abbia fame»
«No, le ho lasciato del latte e lo ha fatto fuori; penso piuttosto che si senta sola»
«Oh...»
Al guardò la gattina, acciambellata tra le sue braccia fredde, e la sentì fare delle fusa impercettibili.
Forse è per questo che ha cercato proprio me, non poté fare a meno di pensare. Perché siamo simili.
«Io non potevo lasciarla là» disse di nuovo, come se fosse stato davvero importante.
«Lo so» rispose lei semplicemente.
«Ed non capisce» continuò lui, ormai compreso nel ruolo e deciso a sfogarsi. «Per lui è tutto facile: ha una missione, sa sempre cosa deve fare e non si lascia distrarre. Non ha bisogno di nessuno. Ma io ho bisogno di tante cose, sono debole, e... mi sento sempre in colpa: per salvarmi ha donato il suo stesso braccio. Mi ha creato un corpo freddo e che odio, ma lo ha fatto senza esitare nemmeno un istante a sacrificare una parte di sé. Cosa posso fare io, di fronte a un fratello simile? Posso sforzarmi di imitarlo, ma non sarò mai come lui!» strinse la gattina un po’ troppo forte, e quella miagolò appena. «Scusa...» borbottò Al. «A lui sono rimasto solo io, e a me è rimasto solo lui» proseguì poi, amaro. «Nostra madre è morta, nostro padre ci ha abbandonato, e nessuno può accompagnarci mentre cerchiamo di recuperare i nostri corpi! Eppure... eppure io vorrei che ci fosse qualcuno! Vorrei che non fossimo completamente soli! E’ per questo che quando vedo chi è stato abbandonato lo voglio aiutare! Perché devo, non posso farne a meno!»
Winry lasciò che parlasse, che dicesse tutto. Le ginocchia raccolte contro il petto, il capo appoggiato alle braccia, lo guardò mentre si sfogava e le confessava ogni cosa.
Alla fine, sorrise tristemente.
«Al, tu vuoi molto bene a Ed, vero?» chiese. Al non rispose, e lei proseguì. «Anche lui te ne vuole. Siete sempre stati voi due, lo sai. Anche io... non sono davvero parte del gruppo. In fondo sono sempre stata fuori»
«No, questo non è vero!» insorse Al. «Tu sei sempre stata una parte fondamentale, Winry!»
Lei gli rivolse un sorriso mesto. «Grazie; ma sappiamo tutti e due che in cima alla lista dei pensieri di voi fratelli Elric ci sono solo i fratelli Elric»
«Non è vero! Tu sei...!»
Al si bloccò di scatto.
Oddio, cosa stava per dire?
«Io sono?» ripeté Winry, interrogativa.
«Tu sei... molto importante per noi» ritrattò Al in fretta. «Davvero. Il fratellone non aveva niente al braccio quando ti ha chiamata, era soltanto preoccupato per te!»
Winry si sentì arrossire, e sperò che nel buio non si vedesse.
«P-Per me?» balbettò, guardando altrove. Il suo battito cardiaco aveva accelerato all’improvviso.
«Sì. Dopo tutto quello che è successo...» mormorò Al, sentendosi inspiegabilmente depresso. «E anche io ero preoccupato» aggiunse dopo un’esitazione.
Winry sorrise. «Non dovevate... io sto bene, davvero. Ve l’ho detto: ce la farò»
Fu qualcosa al di là della sua capacità di controllo.
Probabilmente, se avesse dovuto farlo coscientemente, Al non sarebbe mai stato in grado di trovare il coraggio necessario... e invece riuscì a parlare. E disse qualcosa di così audace che non si sarebbe mai aspettato di sentirlo uscire dalla sua bocca.
«Un giorno riprenderò il mio corpo. E poi tornerò qui, Winry»
Non alzò lo sguardo neanche una volta, ma rimase a fissare la gattina acciambellata tra le sue braccia che ronfava piano.
«Tu mi aspetterai?»
Winry gli lanciò un’occhiata interrogativa.
Lui trovò la forza di guardarla negli occhi, e la fissò per un lungo istante.
«Quel giorno... dovrò dirti una cosa»
E lei capì.
La sua prima reazione fu un rossore diffuso, che si affrettò a nascondere dietro ai capelli, e la seconda il cuore che schizzava su per la gola.
«Al, io...» mormorò nervosamente.
Io sono innamorata di Ed.
«Non dire nulla adesso» la interruppe lui. «Quando riavrò il mio corpo ne parleremo»
Calò il silenzio, un silenzio greve e carico di imbarazzo.
Al non era uno sciocco, né un cieco.
Aveva gli occhi per capire che Ed amava Winry, e l’orribile sensazione che anche lei ricambiasse.
Ma non si sarebbe arreso.
Avrebbe riacquistato il suo corpo, e quel giorno avrebbe anche trovato il coraggio di farsi avanti.
Fratellone, io ti voglio un gran bene... ma non ho intenzione di lasciarti vincere senza lottare. Non con lei.

Il sole sorse all’alba tingendo di un rosa intenso l’oriente. Anche quella sarebbe stata una bella giornata, l’ideale per viaggiare.
Ed si presentò al negozio molto presto, nervoso e sfoggiando profonde occhiaie. Aveva dormito ben poco quella notte, a causa del senso di colpa e della rabbia, e alla fine si era rassegnato ad alzarsi all’alba pur di non rotolarsi ancora in quel maledetto letto d’albergo.
Bussò piano alla porta, con scarse speranze di trovare qualcuno sveglio – e soprattutto molto nervoso all’idea di trovarsi davanti Al – ma con sua grande sorpresa gli fu aperto subito.
«Sapevo che saresti venuto presto» disse Winry sulla soglia, rivolgendogli un sorriso luminoso. «Il tuo auto-mail è pronto»
«Ah, grazie» fece lui sbattendo le palpebre.
L’auto-mail, giusto.
Se ne era quasi dimenticato. Quasi.
Entrò alle sue spalle, e si trovò nella penombra del negozio ancora chiuso. Una lampada era accesa sul tavolo da lavoro, e il suo auto-mail era posato su un panno in tutto il suo luccicante splendore.
«Devo toglierti quello che ti abbiamo dato, siediti» disse Winry accennando al lettino.
Ed obbedì, e, dopo essersi levato di nuovo la giacca, si sedette come il giorno prima.
Lei si mise a lavorare in silenzio.
Il luogo era lo stesso, la situazione pure... ma c’era qualcosa di diverso dall’ultima volta.
Forse era la penombra, o forse che erano soli. Fatto è che c’era una strana intimità.
Il rumore metallico delle viti e il tintinnio degli attrezzi di Winry erano gli unici suoni nella penombra, il loro respiro era calmo e impercettibile. Lei deglutì.
«Questa notte ho parlato con Al» disse all’improvviso, per sciogliere una tensione che si era fatta troppo alta. «La gattina resterà qui, non devi preoccuparti»
Ovviamente tralasciò i dettagli della conversazione.
«Ah, era una femmina?» commentò Ed, a disagio.
«Sì. Ma non le abbiamo ancora dato un nome»
«Ah»
Silenzio.
Di nuovo il pesante, imbarazzato silenzio di sempre.
Winry tolse l’auto-mail sostitutivo, e iniziò a montare quello ufficiale.
Idiota che non sono altro, si disse Ed. Ho insistito tanto per venire a trovarla, senza che ce ne fosse bisogno, e poi non so dirle niente. Volevo solo accertarmi che stesse bene, certo, ma già che c’ero...
Ancora tintinnii lievi, e il fruscio di Winry che si muoveva.
Nell’aria aleggiava un buon profumo, insieme all’odore dell’olio e del ferro. Ed abbassò le palpebre, e inspirò a fondo.
«Rosa» mormorò piano.
«Come?» fece lei alzando lo sguardo.
«C’è profumo di rosa»
«Ah sì, lo usa sempre il signor Garfiel»
Ed rischiò un conato di vomito.
«Che hai?» gli chiese Winry preoccupata. «Ho sbagliato qualcosa?»
«No, tu no» bofonchiò lui pallido. «Allora, sono a posto?»
Lei avvitò un’ultima vite, e poi annuì. «Sì, come nuovo. Ah, e ho migliorato la resistenza del gomito, senza comprometterne l’agilità»
Ed testò il nuovo auto-mail, corrucciato, e alla fine sorrise. «Sì, va bene così»
«Ottimo. Vedi di non distruggerlo più!» commentò Winry, voltandogli le spalle alla ricerca di una pezza per pulirsi le mani.
«Ehi, sei stata tu a farlo fuori!» protestò Ed.
«Lo so» rispose lei, a sorpresa, sempre volgendogli le spalle. «So che prima non aveva niente»
Ed si immobilizzò all’improvviso. «Eh? C-Che stai dicendo?» balbettò nervosamente.
Winry sorrise tra sé, le guance leggermente colorite di rosa. Al era più adulto del fratello, per certe cose.
«Questo è molto più resistente del precedente!» esclamò convinta, tornando a guardarlo con il sacro fuoco del meccanico nello sguardo. «Non sarà facile fargli del male! E tu non gliene farai, vero?» minacciò.
«N-No!» balbettò Ed arretrando sul lettino.
«Bene! Allora potete ripartire e andare a recuperare quei maledetti corpi che cercate!»
Ed la fissò con tanto d’occhi.
Cos’era quell’entusiasmo smisurato?
Da quando vederli partire la rendeva così felice?
Ma il sorriso di Winry si smorzò appena, mentre prendeva delicatamente la mano d’acciaio di Ed.
«E quando tornerete di nuovo...» disse piano, sfiorando le dita fredde. «...questa mano sarà calda»
Alzò gli occhi azzurri, a incontrare quelli dorati di lui.
«Siamo d’accordo?»
Ed distolse lo sguardo in fretta.
«Sì» grugnì, arrossendo.


L’incontro con Al fu meno traumatico del previsto.
Si videro, si guardarono, e annuirono.
«Sei pronto?» chiese il maggiore dei fratelli Elric.
«Pronto» rispose il minore.
Era passata una notte soltanto, ed erano cambiate un po’ di cose.
Ma non tra loro.
No, non ancora tra loro.
Erano fratelli. Sangue dello stesso sangue. Dove iniziava la vita dell’uno, aveva inizio anche quella dell’altro.
Erano rinati insieme,
e sarebbero tornati a una vita vera insieme.
I problemi erano superabili, i disaccordi minuscoli, ciò che importava era qualcosa di molto, molto più grande...
Lo sapevano bene.
«Allora lasci qui quella bestia?» chiese Ed, accennando alla gattina in braccio a Winry.
«Sì» rispose Al annuendo. «Si è affezionata a Winry»
La gattina sembrò dare il suo assenso con un miao sottile, accompagnato da fusa leggere. Ed si scoprì a guardarla con invidia, mentre strusciava la testolina sul seno di Winry.
«Beh, allora noi andiamo!» annunciò risoluto, distogliendo lo sguardo e sentendosi vagamente in imbarazzo.
«Ciao Winry» salutò Al educatamente. «Arrivederci signor Garfiel»
«Tornate presto a trovarci!» gorgheggiò quest’ultimo, approfittando del momento per avvolgere Ed in un abbraccio che sapeva di rosa in maniera nauseante. Lui rischiò di svenire. O vomitare.
Riuscì a liberarsi solo con un grande sforzo di volontà, e a quel punto guadagnò l’uscita in fretta e furia. Al fece un cenno e si affrettò a seguirlo, chiedendogli di aspettarlo.
Il signor Garfiel sospirò, portando un fazzoletto ricamato agli occhi lucidi. «Spero davvero che tornino presto»
Winry sorrise, accarezzando la gattina.
Tornate tutti e due sani e salvi. Questo mi basta.
«Oh, ma non abbiamo ancora dato un nome a questa creatura!» realizzò il signor Garfiel in quel momento, guardando il cucciolo tra le sue braccia.
Winry abbassò lo sguardo, e incrociò gli occhi della micina.
Si diede della stupida.
Come aveva potuto non accorgersi di quello sguardo straordinario?
L’occhio destro era azzurro, di un celeste tenue e vellutato, mentre quello sinistro era dorato, un castano caldo e denso di riflessi.
Sorrise. Quegli occhi, il modo in cui quel gatto cercava il suo affetto, e anche il piacevole tepore che provava a tenerlo tra le braccia... le ricordavano qualcuno.
«Elric» mormorò. «Chiamiamola Elric»
«Ne sei sicura, tesoro?» chiese il signor Garfiel, scettico. «Non vuoi un nome un po’ più aggraziato? Che so, Charlotte, o Mimì?»
«No. Lei si chiama Elric»
Mi aiuterà a tollerare la vostra mancanza... almeno un po’.
Un miagolio flebile si sollevò nell’aria... e poi soltanto fusa.









Fine

* * *








Questo era imprevisto.
Non avrei mai voluto pubblicare la shot che avete appena letto, ma per oscure et misteriose ragioni oggi mi sono aggirata per il fandom di FullMetal Alchemist e ho avuto questa flashata (?) di postarvela.
Fic che risale a un anno e qualche giorno fa, leggermente rimaneggiata. La versione originale ha partecipato al contest sulle threesome indetto dalla gattide (volete i dettagli? Cercate nel forum, in data ottobre 2007), ma francamente non ho mai capito come si fosse qualificata! XD Ho cambiato un paio di inezie stilistiche, come per esempio la mostruosa e monumentale quantità di puntini di sospensione e qualche vaga ripetizione, ma la sostanza è sempre la stessa.
Rileggendola, mi ha fatto meno schifo di quanto ricordassi... chissà che ne pensate voi?

Nota: primo e forse ultimo esperimento con FullMetal Alchemist. Mi piacerebbe davvero scrivere altro, ma non ho più familiarità con i personaggi! ;_;
  
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