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Autore: Son of Jericho    28/12/2014    2 recensioni
Certe volte, senza saperlo, ci ritroviamo a tenere in mano il destino delle persone.
E anche se è molto più grande di te, è in quei momenti che devi chiederti se davvero hai la forza di fare la cosa giusta.
Perché nessuno ha mai detto che certe decisioni siano semplici o indolori.
[dal testo]
Quante volte avete sentito o letto la frase: "sembrava una mattina come tante, ma ancora non sapevo che sarebbe successo qualcosa che mi avrebbe sconvolto la vita"?
Tante, ne sono certo, eppure... quella fu davvero quel genere di mattina.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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III - Epilogo

 

Ricordo di essere ritornato verso l’ufficio, un’oretta dopo, con lo stomaco pieno e la testa sgombra. Quattro chiacchiere e otto risate (perché con loro non si limitavano mai a quattro) con i miei colleghi erano riusciti nell’impresa di allentare la tensione che si era venuta a creare e che rischiava di diventare davvero soffocante. Almeno per me, perché per quanto ne sapevo loro ignoravano completamente quello che era successo tra Mario e Arianna.

La pausa pranzo quel giorno fu una liberazione. Stare lontano dall’ufficio per quegli ormai canonici cinquanta/cinquantacinque minuti non aveva fatto altro che bene. Ero persino riuscito a scroccare qualcosa dal banchetto regale che Sandro era solito portarsi da casa, occupando di fatto metà tavola solo con le sue vettovaglie.

Mi sentivo più tranquillo e più rilassato mentre attraversavo il sentiero adiacente allo stabilimento, quasi senza neanche sentire il peso delle ore pomeridiane che ero consapevole avrei perso lì dentro; non che nuotassi nella voglia di lavorare, perché non era assolutamente vero, ma almeno era un inizio.

Prendevo distrattamente a calci la ghiaia, disseminata per il viottolo che conduceva al portellone di metallo, lasciando cavalcare liberamente quella manciata di pensieri che avevo in testa.

Ce n’era uno in particolare, però, che viaggiava più veloce di tutti gli altri e che continuava a superarli.
Ancora Mario e Arianna. La scena che avevo lasciato prima di staccare continuava a ritrasmettersi nella mia mente, dandomi come la sensazione che mancasse qualcosa, come in un puzzle di cui non si riesce a trovare l’ultimo pezzo.

Devo riconoscerlo, ero incredibilmente curioso di conoscere la fine della storia tra Mario e Arianna. O più precisamente, di conoscere il modo in cui lei lo aveva respinto.

Perché, escludendo che fossero ancora ibernati nella stessa posizione di fronte al mio computer da un’ora, ormai doveva averlo già fatto.

Aveva fatto una scenata, lo aveva allontanato con durezza e indifferenza, o aveva mantenuto la sua solita eleganza e dolcezza e lo aveva deluso con parole tenere e comprensive?

Nessuno dei due si era fatto vedere a pranzo, quindi per adesso non ne avevo idea, ma ero comunque sicuro che presto qualcosa sarebbe saltato fuori.

Non avevo dubbi che Arianna, magari già quel pomeriggio, si sarebbe confidata sulla faccenda con Lorena, con la quale nel tempo aveva sviluppato un buon rapporto d’amicizia. E Lorena, riservata come la più classica delle portinaie, non avrebbe resistito a tenersi dentro questo scoop e si sarebbe sentita in dovere di rivelarlo il prima possibile a tutti quelli che conosceva.

E di conseguenza, anche al sottoscritto.

Altrimenti, opzione che tuttavia preferivo di meno, potevo chiedere direttamente a Mario, sempre che non avesse deciso di spendere il pomeriggio spaccando lamiere a martellate. In quel caso, magari sarebbe stato meglio girargli alla larga.

Arrivai alla porta dell’ufficio, afferrai la fredda maniglia color argento con la stessa voglia di un marito che accompagna la moglie a fare shopping quando la domenica in tv trasmettono il campionato, la ruotai verso il basso e la tirai verso di me. Come attraversai la soglia di quel grande stanzone che ogni maledetta giornata ospitava lavoratori e computer, mi accorsi subito di essere solo. A quanto pareva ero un po’ in anticipo rispetto agli altri, che ancora non erano rientrati.

Meglio così. Ancora un po’ di pace.

Ma in mezzo alle riflessioni che stavo facendo e a tutte quelle domande che mi stavo ponendo da solo, di una cosa ero certo: il rapporto tra Arianna e Mario non sarebbe mai stato più lo stesso.

E fu mentre ripetevo a me stesso questa frase, che fui colto da un flashback che mi colpì come una scossa elettrica.

Inspiegabilmente mi tornarono in mente diverse scene risalenti a qualche tempo prima, dislocate in quasi tutto il periodo in cui avevo lavorato lì.

Per lo più momenti in cui Mario veniva in ufficio, apparentemente senza motivo, e si metteva a scherzare e a fare battute con tutti. Mettendo a fuoco, però, realizzai come cercasse sempre più Arianna, tentando di instaurare un maggior dialogo, una maggior confidenza, un maggior rapporto rispetto agli altri. E lei spesso stava al gioco, magari interpretando quegli approcci come quelli di un collega o al massimo di un amico.

- Mario, ho bisogno dei tuoi dati per farti questo documento. -
- Ti lascio la carta d'identità. -
- Non ti serve? -
- Ancora ricordo il mio cognome a memoria. -

Scambi come questo tornarono a galla quasi dal nulla, come a voler farmi capire che, forse, Mario poteva essere interessato ad Arianna da più di quanto avessi immaginato.

Segnali che avrei potuto comprendere molto prima.

Andai verso l’obliteratrice, cercando di mettere in disparte queste idee, e mentre mi accingevo a timbrare il cartellino, mi accorsi che, nonostante tutto, potevo dire di sentirmi fiducioso.

Fiducioso che tutto stesse andando per il verso giusto.

Fiducioso che le cose tra Mario e Arianna fossero andate come previsto.

Fiducioso che la giornata potesse finire bene, così come era iniziata.

Ma proprio quando la macchina emise lo stesso clac che fanno quelle degli autobus, udii qualcosa. Sembravano dei rumori simili a mobili spostati, movimenti scoordinati e passi generici, provenienti dall’ufficio del capo.

Un momento: dall’ufficio del capo?!

Doveva essere dall’altro lato del pianeta, non gli sarà mica venuta la brillante idea di tornare in anticipo e di farci una bella sorpresa di ritorno dalla pausa pranzo? No, perché un avvenimento del genere sarebbe stato capace di farci andare di traverso anche il pasto del giorno prima.

Perciò, vediamo di non fare scherzi.

Mi diressi verso la porta chiusa dell’ufficio più grande (neanche a dirlo) dello stabilimento per controllare, con passo felpato e il più in silenzio possibile, con quella strana agitazione di chi preferirebbe vedere il re degli inferi in persona, piuttosto che il proprio boss.

Come mi avvicinavo, i rumori si intensificavano.

Raggiunsi la soglia, e notai che la porta era stata solo socchiusa. Perfetto, avrei potuto dare un’occhiata all’interno senza farmi beccare. Anche perché farsi trovare a spiare il capo non è proprio tra le 10 cose che si raccomandano di fare sul posto di lavoro.

Scostai leggermente la porta di una ventina di centimetri, allargando un sufficiente spiraglio per poter vedere.

Ma fu quando scoprii cosa stava accadendo lì dentro, che mi bloccai completamente. Blackout mentale, corpo pietrificato, movimenti inibiti, impulsi inefficaci. Ero un computer in tilt.

Esiste nella vita di tutti un momento in cui ci si chiede se quello che abbiamo davanti agli occhi sia reale o se sia frutto della nostra immaginazione, ma nel mio caso, in quell’istante, il dubbio era se si trattasse di un sogno o di un incubo.

Probabilmente mi rifiutavo di crederci.

Nei pressi della scrivania, al centro della stanza, si muovevano sinuosi due corpi nudi e avvinghiati tra loro, sopraffatti da un travolgente impeto carnale a cui non avevano opposto alcuna resistenza. Due figure unite in un’armoniosa danza piena di lussuria e perdizione, a tratti perse nell’estasi del contatto.

I vestiti letteralmente scomparsi dal quadro: lui, completamente spogliato, tutt’altro che un adone; lei, con solo un sottile perizoma nero rimastole indosso, assomigliava ad un’incantevole musa greca. Era straordinariamente bella, tanto che avrebbe potuto calamitare lo sguardo di chiunque per ore. Eppure, nello shock del momento, non riuscivo a godermi appieno la sua magnificenza.

Vidi gli adunchi artigli di lui vagare sulla morbida pelle di lei, accarezzandone avidamente ogni centimetro, mentre il membro pendeva pericolosamente vicino al favoloso, rotondo e sodo fondoschiena della ragazza.

Entrambi in piedi, lei stava aggrappata con le mani al tavolo, lasciando che il suo aguzzino, minaccioso alle sue spalle, la conquistasse interamente secondo dopo secondo.

Cosa mi passò per la testa in quel frangente proprio non saprei spiegarlo.

Mi limitai a richiudere cautamente la porta, rimettendola nell’esatta posizione in cui l’avevo trovata, e nonostante avessi un’incredibile voglia di sbatterla più forte che potevo.

Basta. Non potevo più sopportare quella scena.

A conti fatti, sarebbe stato decisamente meglio trovarci il mio capo dentro quella stanza, invece di… Arianna e Mario.

Mi allontanai, voltando le spalle in maniera forse più simbolica che altro, e mi diressi, nella desolazione dell’ufficio ancora vuoto, verso la porta.

Con la disarmante consapevolezza che non c’era altro da fare, se non andarsene da lì.

Forse, se io non fossi stato così cieco e mi fossi accorto prima di quello che mi stava succedendo intorno, le cose avrebbero potuto andare diversamente. Ma se non l’avevano fatto, era stato anche, o soprattutto, per colpa mia.

E ormai, se mai fosse esistita anche una sola possibilità, era troppo tardi per me.

Perché la verità era che, anche se non avevo mai trovato il coraggio di dirlo, anch’io ero innamorato di Arianna.

   
 
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