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Autore: fedetojen    29/12/2014    0 recensioni
Elena ama la serie Nikita e ama il personaggio di Birkhoff, cosa potrà accadere quando decide di visitare Boston, la città in cui vive l'attore che interpreta Birkhoff?
Ciao a tutti, prima one-shot su Nikita, spero vi piaccia!!!
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Seymour Birkhoff
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Angolo Scrittrice: ciao a tutti, questa è la prima one-shot che scrivo su Nikita, da premettere che amo la serie tv e in particolare Birkhoff *__* aspetto vostre recensioni e Buona Lettura!

Un incontro inaspettato


Da molto seguo la serie tv Nikita e mi ha davvero preso.
Le coppie che si sono venute a formare mi stanno anche bene, se non fosse per la coppia Sonya-Birkhoff, non so, ma lei non mi piace molto.

Così avendo messo da parte un po’ di soldi, ho deciso di andare a fare una piccola vacanza a Boston, posto dove proprio Aaron Stanford, aka Birkhoff, viveva. Sono curiosa di vedere in che luogo ha vissuto il mitico Birkhoff nei suoi anni precedenti.
Così decido di prendere la valigia e di buttarci dentro qualche indumento a caso, senza nemmeno scegliere, per come sono fatta, non avrei portato quasi niente.
Così prendo il primo volo per Boston e vado per la mia strada.
Una volta atterrata, mi reco in un hotel chiamato Seaport Boston Hotel, situato sullo storico lungomare di Boston.
Appena arrivo lascio le mie valigie nella camera e prendo borsa e l’occorrente, e mi faccio un giro accurato per la città.

Una volta arrivata a un ristorante/bar, il Boulud, mi siedo al primo tavolino libero in fondo alla sala e aspetto che qualcuno mi venga a chiedere cosa desidero.
Nel frattempo mi guardo intorno: una grande sala con tavoli messi uno di fronte all’altro con sedie divise tra i vari tavoli, così da dare quel po’ di privacy, vino su ogni tavolo e pulizia doc. Pareti chiare color panna, che stanno bene con il colore marrone non troppo scuro dei tavoli.

Mentre mi guardo intorno noto un volto familiare, lo analizzo: capelli con riga al centro e una ciocca portata verso la destra, barba non molto folta su gran parte del viso, labbra non troppo carnose ed orologio al polso sinistro.
Quella persona l’ho già vista.
Così mentre lo continuo a guardare mi siedo proprio di fronte a lui, alla sedia vuota.
Sta sorseggiando un caffè e appena mi siedo alza lo sguardo.

“Salve” dico timidamente abbozzando un sorriso.

“Salve” dice sicuro di se l’uomo di fronte a me, sorridendomi.

“Posso farle una domanda?” chiedo guardandomi intorno.

“Certo, faccia pure” dice lasciando il caffè ed osservandomi divertito.

“Ma lei per caso è…Birkhoff?” chiedo mentre appoggio le mani sul tavolo e le unisco, sperando di non aver fatto una figura pessima.

“Come?” dice lui ridendo sotto i baffi, si avvicina la mano alla bocca per coprirsi mentre ride, lo sapevo che non era lui.

“Scusi, mi sarò sbagliata!” dico di fretta e di furia, mentre mi alzo dalla sedia.

“No, scusi lei. Sono io quel ‘Birkhoff’ che dice” dice bloccandomi il polso e facendomi fermare a mezz’aria tra la sedia e il tavolo.
Mi sta sorridendo e così mi risiedo, mi aggiusto la maglia e poso la borsa affianco a me.

“Il mitico Shadow-Walker, il nerd della divisione” dico sorridente verso di lui.

“Sì, sono io il colpevole. Arrestatemi pure” dice alzando le mani in alto e sorridendomi.
Il suo sorriso mi strega, lo guardo mentre alza una mano e chiama un cameriere.

“Mi dica”, dice il cameriere vicino a Birkhoff.

“Prenda il suo ordine” dice indicandomi.

“Vorrei un cappuccino e un cornetto al cioccolato bianco” dico mentre vedo che il cameriere appunta ciò che ho appena detto, sul suo taccuino.

“Subito” dice sparendo, il cameriere.

“Comunque piacere, sono Elena” dico alzando la mano per stringerla al mitico Birkhoff.

“Piacere Aaron” dice stringendomi la mano, la sua grande in confronto alla mia piccola ed esile, stringe la presa con forza e sicurezza, facendomi
dubitare ancora di più della mia presenza di fronte a lui.

“E dimmi, come mai qui? Non sei di queste parti” dice mentre continua a sorseggiare il suo caffè.

“No, sono di New York” dico sorridendo, mentre aspetto il mio cappuccino e il mio cornetto.

“Bella. New York intendo, ci sono stato l’anno scorso” dice appoggiando il caffè sul tavolino ed estraendo, il suo tecnologico Iphone 6 dalla tasca del giacchino marrone di pelle. Resto a guardarlo e penso a quanto sia reale: la sua voce è uguale a quella della serie tv quando la vedevo, i movimenti sono quasi simili a quelli della serie, in effetti, ho davanti a me Birkhoff, non qualcun altro.

“Ho qualcosa sul volto?” chiede mentre mi guarda toccandosi il mento e le guance.

“No, è che più la osservo e più sono sorpresa da quanto lei sia uguale a quando la guardavo nelle puntate di Nikita” dico imbarazzata.

“Ti prego non darmi del lei, mi fa sembrare ancora più vecchio” dice ridendo.

“Perché? È così tanto vecchio?” chiedo curiosa mentre vedo con la coda dell’occhio il cameriere, con il mio cornetto e il mio cappuccino arrivare e appoggiarli sul tavolo.

“Be si, ho 38 anni non sono mica pochi” dice sorridente, mentre con gli occhi seguo i movimenti del cameriere mentre appoggia davanti a me, ciò che ho ordinato.

“Wow, allora sei davvero vecchio!” dico mentre sorseggio il mio cappuccino, dolcissimo, come piace a me.

“E vediamo, Elena, tu quanti anni hai?” chiede divertito incrociando le braccia e appoggiandosi alla spalla della sedia che faceva ad angolo.

“Non si chiede mai l’età a una donna” dico mentre mordo il mio cornetto.

“Ah giusto”

“Scherzo, comunque ho 28 anni” dico mentre mi pulisco le labbra.

“Sembri più giovane” dice toccandosi la barda sul mento.

“Me lo dicono in tanti, peccato che non lo sono” dico sorridendo. Fa lo stesso e mentre vede che ho finito di fare colazione si alza e si aggiusta il giacchetto di pelle.

“Andiamo?” chiede, aspettando in piedi davanti al tavolino.

“Andiamo dove?” chiedo curiosa mentre anch’io mi alzo.

“A fare due passi nel parco” dice mentre usciamo dal bar.

Svoltiamo a destra e ci ritroviamo in un immenso parco, la via cementata era costeggiata da alberi e panchine.
Molto bello devo dire, mi guardavo sempre attorno, mentre osservavo felice la gente camminare, alcune sedute, che parlavano felici tra di loro.

“Dimmi, ti piace qui a Boston?” chiede attirando la mia attenzione Aaron.

“Si è davvero bello, c’è così tanto verde” dico felice verso Aaron che mi risponde con un sorriso.

“Se vuoi posso ospitarti. La mia casa è proprio qui di fronte. È quella vedi?” mi dice avvicinandosi al mio volto, quasi guancia contro guancia, e m’indica con la mano la casa: è grandissima, bianca, con piccoli balconcini con ringhiere in legno.

“Bellissima…ma non posso, davvero” dico allontanandomi da lui e mimando un no con le mani.

“Non chiederò mica a una ragazza bella come te, di pagare l’affitto” mi dice facendomi l’occhiolino.

“E questo che vuol dire scusa? Sono di New York, lavoro come barista, non in mezzo alla strada” dico sbottando come non mai.
Scatto in avanti, mentre cerco di stare da sola ma una mano mi blocca.

“Scusa, non volevo alludere a niente. Era solo un pretesto per dire che sei bella, nient’altro” dice scusandosi, sembrando così sincero.

“Va bene” dico, e lascia il mio braccio e ritorna sereno come prima.

“Vieni” dice afferrandomi per mano e portandomi davanti alla bellissima porta della casa che mi ha appena indicato.
Traffica con la mano nella tasca del pantalone e finalmente esce delle chiavi.
Le infila nella serratura e si apre la porta.
Un corridoio mi fa strada costeggiato a destra da un muro con una scala che da su alcune porte chiuse della casa.

“Wow” dico esterrefatta da tanta bellezza.

“Jack!” mi grida nell’orecchio e mi spavento guardandolo incuriosita.

“Scusa, ma a volte Jack non sente” dice sorridendomi e levandosi il giacchettino e appoggiandolo all’appendiabito.

“E’ tuo figlio?” chiedo imbarazzata. Si gira di colpo e se la ride.

“Come? Mio figlio? Ahahah no, è solo il mio cane” dice sorridente. Sento rumore di zampette, così vedo arrivare di corsa un pastore tedesco.

“Jack seduto” dice Aaron verso il cane. Diligente, ubbidisce e con il capo e la lingua da fuori mi guarda.

“Lei è Elena. Puoi accarezzarlo” mi dice felice. Appena lo accarezzo, noto il suo pelo morbido e setoso.

“Ciao cucciolone” dico mentre lo accarezzo. Socchiude gli occhi e di colpo si butta a terra per altre coccole.

“Non ci far caso, fa sempre così. Ama le coccole” dice dirigendosi in cucina.

“Fai come se fossi a casa tua” dice mentre lo vedo che cerca qualcosa in cucina.

“Va bene” dico fermandomi di accarezzare Jack e mi dirigo nel salone di fronte alla cucina posta alla destra dell’entrata.

Un divano bianco di fronte al caminetto acceso, mi fa sorridere.
La casa è piena di mobili antichi e di fronte al divano c’è un tavolino il legno pregiato, chissà quanto lo abbia pagato.
Mi siedo sul divano e sprofondo per quanto è morbido. Vedo arrivare Aaron con due bicchieri da vino, e la bottiglia del vino nell’altra mano.
Si siede, stappa la bottiglia di vino e ne versa un po’ nei bicchieri porgendomene uno.

“Grazie” dico timidamente.

“E dimmi, vai all’università?” chiede curioso mentre gioca con il bicchiere e guarda il vino ondeggiare nel bicchiere.

“Veramente, appena ho finito la scuola, ho trovato subito lavoro in qualche bar, e cambiando ogni tanto bar, ho messo da parte un po’ di soldi, così eccomi qui a Boston” dico prima di sorseggiare il vino, è amaro con un retrogusto dolce una volta assaporato.

“Credevo andassi all’università, hai l’aria di una giovane studentessa dell'università” dice sorseggiando anche lui il vino.

“Posso farti un’altra domanda?” chiede lasciando il bicchiere e avvicinandosi a me, spostandosi dalla fine del divano fino a me.

“S-si” rispondo imbarazzata da quella vicinanza.
Lascio il bicchiere sul tavolino e lo guardo: i suoi occhi celesti, con qualche pizzico marrone al suo interno, mi stregano, facendomi sembrare quasi stupida in confronto.

“Volevo chiederti, hai un ragazzo?” chiede guardandomi con quei suoi occhi color oceano.

“No, perché?” chiedo curiosa, mentre vedo che alza una mano e mi accarezza la guancia.
La sua mano è calda e al contatto con il mio volto, mi fa quasi sobbalzare.

“Scusa, non dovevo accarezzarti” dice sorridendo e accorgendosi del mio imbarazzo, così stacca la mano dal mio volto e mi rassereno.

“Scusa tu, è che non sono abituata…” dico abbassando lo sguardo.

“Abituata a cosa? A essere corteggiata?” chiede e mentre alzo lo sguardo me lo ritrovo a pochi centimetri dal mio volto.

“Ti chiederò scusa dopo, promesso” si avvicina velocemente al mio volto facendo aderire le sue labbra alle mie.

La barba del suo volto mi provoca un leggero prurito, posa una mano dietro alla nuca, sotto i miei capelli e intensifica il bacio, cercando la mia lingua. Lo accetto, così faccio lo stesso, le nostre lingue s’intrecciano in una danza nuova, quasi inaspettata per entrambi.
Alzo la mia mano e la infilo nei suoi folti capelli, quelli che ho sempre amato da quando ho visto la serie tv, e sono morbidi e lisci al contatto.
Le sue labbra sono delicate e calde, così appena quel bacio pieno di passione finisce, apro gli occhi e lo vedo osservarmi attraverso i suoi occhi quasi cristallini.

“Sei fantastica, in tutto” mi dice sorridendomi.

Gli sorrido e sposto il mio sguardo sulla sua felpa con un teschio sopra.
Lascio scivolare la mano dalla sua nuca e la riposiziono sulla mia gamba, cercando di far ritornare i battiti normali, ma più è vicino a me, più i miei battiti sono irregolari. Sento che piano toglie la sua mano da dietro la mia nuca, comprendendo che non vuole, che va contro il suo volere, ma lo fa lo stesso. Si allontana da me, sistemandosi alla posizione iniziale, lontano da me.
Di scatto mi alzo e lo guardo imbarazzata.

“Scusa ma è meglio che io vada” dico in fretta, mentre lo guardo e mi accorgo che lui non sta capendo, così mi giro e mi avvio verso l’appendiabito.

“Perché?” mi chiede fermando la mia mano a mezz’aria, a pochi centimetri dal mio cappotto.

“Perché tutto questo non era stato programmato” dico guardandolo imbarazzata.

“Tu programmi ogni giorno della tua vita?” mi chiede curioso.

“Quasi”

“Io non seguo nessuno schema e guarda come vivo. All’ordine del giorno, come va, va” dice lasciando la presa del mio polso.
La mia mano scivola al mio fianco, senza più forze.

“E’ che ero venuta qui, a Boston per vedere la città, e poi incontro te, bello come sempre che mi spiazzi ogni volta che ti guardo, e tutto questo mi scombussola, mi ha stravolto i piani, ma ho voluto rischiare e mi son detta: perché no, una volta può capitare di non seguire lo schema no? E poi è successo questo” dico senza prendere fiato.

“Scusa, forse ho sbagliato a baciarti, ma non sono riuscito a controllarmi. È dal bar, che appena ti ho visto entrare, il mio cuore ha sussultato, ho fatto finta di niente, ma appena ti sei avvicinata, mi son trattenuto dall’alzarmi e baciarti proprio li. Ma non credo avrebbe fatto un bell’effetto non credi?” mi dice mostrando il suo bellissimo sorriso.

“Devo andare davvero” dico prendendo il mio cappotto e aprendo la porta e chiudendola alle mie spalle.

Rimango appoggiata qualche secondo alla porta, ma dopo con passo deciso scendo le scale.
Appena sento che quella porta si riapre, mi giro di scatto e lo vedo correre verso di me e prendere il mio viso tra le mani.
Le ciocche libere dei suoi capelli davanti, toccano i lati del mio volto. Mi bacia senza fregarsene di chi ci sta guardando.
In quel bacio c’è speranza, coraggio, testardaggine.
Ma amo le sue labbra a contatto con le mie, e amo quando la sua barba mi provoca il solletico a ogni movimento delle sue labbra.

“Per favore, non andare” mi sussurra ad ogni bacio.

“Come faccio ad andare se amo già i tuoi baci?” chiedo mentre vedo che i suoi occhi che s’illuminano all’udire di quella mia frase.

Un ultimo bacio e ci dirigiamo di nuovo in casa.
È inutile dire che abbia passato una bella vacanza in compagnia di Aaron, ma poi tutto finì li, a Boston, salutandoci e dicendoci addio all’aeroporto­.


Ecco il bellissimo Aaron Stanford


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