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Autore: charliesstrawberry    29/12/2014    5 recensioni
«Quali sono le tue certezze, Lena?».
Stringo i denti e socchiudo di poco le labbra, mentre una leggera brezza notturna mi sferza il viso e mi fa rabbrividire nella mia felpa gigantesca. Lo guardo più del solito, con i suoi occhi curiosi che brillano, con le sue mani intrecciate sul suo addome come se stesse per addormentarsi sulle mie gambe, con il suo respiro pesante che sa di alcool e di marijuana. Quali sono le tue certezze?
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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«Sicura che non sia troppo esagerato?»
Sorrido con gentilezza, poi scuto la testa nuovamente. «Sta' tranquillo, Yurim – dico, e accompagno le mie parole con un'amichevole pacca sulla spalla – è perfetto».
Il ragazzo assottiglia lo sguardo, soffermandosi un'ultima volta ad esaminare l'abito sostenuto dalla gruccia che aveva in mano. Si tratta di un completo costituito da giacca e pantaloni neri, più un papillon dello stesso colore: estremamente semplice, e per questo anche estremamente chic, forse tanto da far preoccupare il ragazzo di strafare.
«Il ballo scolastico è comunque qualcosa di elegante – dico – non devi preoccuparti di sembrare un idiota. Lo saranno un po' tutti» sorrido e lui si lascia scappare una leggera risata.
«Lo so, è che davvero non sono pratico di queste cose; e non vorrei far brutta figura con Taylor» nel sentirgli pronunciare l'ultimo nome scorgo un colorito più roseo sulle sue guance, e non posso fare a meno d'intenerirmi. Non ho mai avuto un vero e proprio rapporto d'amicizia con Yurim, o meglio non come quello che sono riuscita ad instaurare con Taylor, Jean e – anche se in maniera più controversa – Adam, un po' per via della sua età e un po' perché, nonostante sembri sempre aperto e disponibile con tutti, dalla battuta pronta, in fondo è un ragazzo molto timido. Per questo motivo non ho nascosto la mia sorpresa nel momento in cui mi ha chiesto di dargli una mano a scegliere il vestito da indossare al ballo scolastico di fine anno, al quale andrà con Taylor.
«Ma che dici – lo rassicuro, con un sorriso – La conosci Taylor, no? Non fa proprio caso a queste cose. Vuole solo trascorrere una bella serata insieme a te e divertirsi».
Annuisce. «Hai ragione. Allora prendo questo» solleva la gruccia che ha per le mani e, dopo aver richiamato l'attenzione del commesso, chiede di poter pagare.
«Grazie mille per tutto, Len – esordisce una decina di minuti più tardi, mentre camminiamo insieme sul marciapiede, lui con in mano una gigantesca busta contenente il vestito appena affittato – non sapevo proprio a chi altri chiedere. Sei l'unica persona di buon gusto che conosco».
Gli sorrido, lusingata. «Nessun disturbo. Anzi, mi ha fatto piacere accompagnarti» dico sincera.
«A dire il vero avevo pensato di chiedere ad Harry. Ma, a dire la verità, sono ancora un po' spaventato da lui» ridacchia, e io, gli occhi strabuzzati, lo seguo, divertita dall'ilarità della situazione.
«Non c'è da spaventarsi, sul serio – scuoto la testa seria, ma anche comprensiva, perché effettivamente Yurim non ha tutti i torti – ad Harry piace stare un po' sulle sue, ma sa anche essere gentile, a volte. In ogni caso non so quanto sarebbe potuto esserti d'aiuto nella scelta di un vestito per il ballo, considerato che questa non è esattamente la sua specialità».
A discapito del rapporto costruito (accidentato), non mi sento in grado di poter dire se, di fronte ad una richiesta del genere da parte di Yurim, Harry l'avrebbe aiutato di buon grado, o se piuttosto sarebbe rimasto il solito scorbutico annoiato, finendo col mandare a quel paese il povero ragazzo e il suo stupido ballo. Personalmente, mi piace pensare che negli ultimi mesi qualcosa sia cambiato, e che la sua reazione sarebbe stata la prima – se non altro, per merito dei numerosi sedativi con i quali è costretto ad imbottirsi ogni giorno.
Yurim aggrotta le sopracciglia. «Beh, Harry dovrà comunque affittare un vestito per sé, no?» chiede, ma io scuoto la testa prontamente. «Ne ha già uno?» domanda allora.
«Io e Harry non veniamo al ballo» dico, provocando una reazione di sorpresa inaspettata negli occhi del mio interlocutore.
«Sei sicura? È il vostro ultimo anno... davvero volete perdervelo?»
Sollevo le spalle, noncurante. «Non ci teniamo poi così tanto... E poi questo potrebbe anche non essere il nostro ultimo anno, se non ci mettiamo sotto con lo studio» scherzo.
Yurim scuote la testa, incredulo. «Fammi capire: davvero state rinunciando a questa serata per... studiare? Andiamo, anche i peggiori secchioni della scuola verranno!»
«Tecnicamente dobbiamo anche lavorare – preciso io – abbiamo entrambi il turno alla libreria di sera perché la zia di Harry ha l'influenza, e dopo aver chiuso lì andiamo da me per studiare» spiego.
Ride piano. «Che serata interessante» commenta con fare ironico, mentre io mi stringo nelle spalle. «Sei sicura che quello che mi hai raccontato non sia piuttosto l'alibi di un programma più... piccante?» scherza, e stavolta è il mio turno di arrossire.
«Sicura» dico piuttosto imbarazzata, portandomi una ciocca di capelli all'indietro.
Sicura perché, e questo Yurim non lo sa, io e Harry non siamo mai andati oltre le carezze. Sicura perché, anche se sta migliorando e stiamo crescendo, lui sente comunque il peso del passato non appena ci spingiamo più in là, se, per istinto naturale o per abitudine, mi tocca in maniera meno casta del solito.
Sono una bambola di porcellana.
«Tu, piuttosto, trattami bene Taylor»
Lui annuisce e, in un sorriso imbarazzato, ammette: «Lei mi piace molto. So di essere più piccolo, però...»
Sbuffo con forza. «Ancora con questa storia? Te l'ho già detto, non hai di che preoccuparti. Ti fai troppe paranoie; e non dovresti, considerato che Taylor è già un tipo insicuro di suo».
Annuisce, abbassando lo sguardo verso l'asfalto. «A proposito... Sai che le prende ultimamente?» mi domanda, improvvisamente fattosi più serio. Gli rivolgo uno sguardo interrogativo, suggerendogli di continuare. «Non so... La vedo sempre inquieta, e mangia sempre meno. So che non si sente a suo agio con il proprio corpo, ma non credo sia questa la strada giusta; e non so cosa dirle. Non è che tu ne sai qualcosa?».
M'irrigidisco di scatto, gli occhi puntati sulla strada di fronte a noi. «No – biascico poco convinta, rivolgendomi verso di lui – non ne so proprio niente».



«Ciao principessa»
Sorrido alla cornetta al suono della voce familiare e a quel saluto che nonostante il tempo, nonostante tutto, è rimasto quello di anni fa.
«Ciao papà – lo saluto con calore, spostando il telefono dall'orecchio sinistro a quello destro, per poi buttarmi sul letto a peso morto – come stai?»
«Tutto bene. Un po' stanco, però» risponde la voce di mio padre dall'altra parte.
Annuisco, comprensiva. «Il lavoro?» chiedo.
«Sì, è un periodo molto pieno – spiega con una nota di stanchezza nella voce, poi sospira e, seppur dall'altra parte, sento il suo tono alleggerirsi da tutte le preoccupazioni e i pensieri che non riguardano questo momento – Ma non parliamo di me. Tu come stai, dolcezza?»
Sollevo le spalle. Come sto?
«Anche io un po' stanca» dico, credendo che quest'affermazione sia più o meno simile alla verità. La verità, ammetto tra me e me, è che ormai da un po' di tempo ho smesso di domandarmi come sto.
«Colpa della scuola?» ipotizza lui, e io sospiro.
«Anche – dico – devo recuperare alcune materie prima della fine, per cui ho tanto da studiare»
«Tranquilla, sono sicuro che riuscirai a riparare tutto. Sei sempre stata una studentessa modello – sorrido istintivamente alla sua affermazione: com'è palese che quest'ultimo anno l'abbiamo passato lontani – La mamma come sta?»
Resto qualche istante ad ascoltare il suo respiro regolare, mentre osservo il quadro appeso alla parete di fronte a me, il quale raffigura due ballerine in tutù intente ad esercitarsi in una sala da ballo, elegantissime. Ho sempre adorato quel quadro. «Bene, suppongo» dico infine, cercando di essere il più sincera possibile.
«Suppongo?» domanda lui a sua volta, con un tono a metà tra il curioso e l'apprensivo.
Sollevo le spalle. In realtà non c'è niente di cui preoccuparsi, gli rispondo normalmente. «Il fatto è che non ci vediamo spesso. Io non passo molto tempo in casa, e quando ci sono lei è sempre a lavoro, e la sera ogni tanto esce con quel tipo del supermercato» spiego.
«Tua madre si sta vedendo con qualcuno?»
Sollevo le spalle. «Si chiama Julian, credo. Sembra una brava persona, anche se secondo me è un po' troppo giovane per lei»
«Lena» mio padre mi ammonisce, notando il tono piccato nella mia voce. «Non state ancora litigando, vero?»
Sospiro, giocherellando con una ciocca dei miei capelli. «No... litigando no. Semplicemente non ci parliamo» preciso.
Dall'altra parte, avverto il suo respiro farsi più pesante «Lena-»
«Papà – gli impedisco di continuare, perché conosco già a memoria ciò che segue – lo so che ognuno reagisce a modo proprio. So anche che sia tu che mamma mi volete bene incondizionatamente, e che entrambi state ancora soffrendo molto, anche se in modi diversi. Solo che... è difficile con lei».
«Lo capisco, tesoro».
«Io credo che abbiamo entrambe bisogno di una pausa, l'una dall'altra. Se andiamo avanti così non faremo altro che farci del male a vicenda. Ma io le voglio bene, davvero. Solo... sento la necessità di una tregua».
«Che intendi dire?» chiede, curioso.
Chiudo gli occhi un istante, prima di prendere un lungo respiro. «Vorrei fare domanda per entrare all'università di Dover – resto un attimo in silenzio, ascoltando il suo respiro che, da regolare, si blocca all'improvviso – Voglio venire a vivere con te, papà».



«Puoi spiegarmi la ragione per cui quest'idiota dovrebbe scrivere un libro di cucina? E, soprattuto, per quale assurdo motivo mia zia deve venderlo qui dentro?»
Nel sistemare l'ultimo volume sullo scaffale, mi lascio andare ad un lungo sospiro. Osservo con soddisfazione gli scatoloni vuoti ai miei piedi e li prendo, per poi dirigermi nella stanza successiva, dove un Harry seduto per terra a gambe incrociate è intento a sfogliare con aria disgustata uno dei tanti libri.
«Forse perché questa è una libreria... e qui si vendono libri» dico divertita, abbandonando gli scatoloni vuoti da una parte, per poi chinarmi su quelli ancora pieni di Harry.
Quest'ultimo, distratto dal mio arrivo, fa vagare il suo sguardo da me, agli scatoloni vuoti che ho depositato poco fa lontano da lui, ai suoi ancora stracolmi di merce. «Ehi, come hai fatto a finire così in fretta?»
Roteo gli occhi al cielo. «Io non mi trastullo come invece fai tu» dico prendendo il libro che mi sta passando, per poi allinearlo con gli altri sullo scaffale.
Osservo la sua espressione annoiata. «Se ti dessi una mossa potremmo anche chiudere prima e metterci a studiare» gli ricordo, provocando in lui una smorfia disgustata.
«Possiamo almeno fare storia? Biologia mi dà seriamente la nausea» propone, e io annuisco con fare accondiscendente.
Gli ultimi giorni si assomigliano moltissimo, tra di loro. Tutto quello che io ed Harry facciamo è andare a scuola, poi in libreria insieme – eccetto quando uno dei due ha una seduta da Wilson – e infine da qualche parte a studiare una delle tante materie che dobbiamo recuperare.
Si potrebbe dire che giornate del genere siano noiose, ma la verità è che, in questo momento, ho bisogno solo di questo.
«Harry?» domando, mentre rientra in libreria, dopo aver gettato gli scatoloni ormai vuoti nel cassonetto di fronte.
«Mhm?» è la sua risposta distratta, mentre si siede al computer per digitare qualcosa. Mi appoggio con i gomiti al suo tavolo, e per un po' lo osservo lavorare in silenzio, prima di parlare.
«Avresti voluto andare al ballo della scuola, questa sera?»
«Eh?» chiede, restando però concentrato sullo schermo del computer.
Sospiro, sollevando un angolo delle labbra in un mezzo sorriso. «Stasera volevi andare al ballo?» ripeto, con più enfasi nella voce.
Lui stavolta solleva il capo e mi rivolge il proprio sguardo, curioso, prima di inarcare un sopracciglio. «Perché questa domanda?» chiede, prima di chiudere una finestra con il mouse e alzarsi dalla sua postazione. Fa il giro in modo da essermi vicino, e si appoggia alla scrivania con il bacino, le braccia incrociate al petto.
Sollevo le spalle, osservando la superficie liscia del tavolo al quale sono appoggiata. «Non so, dato che non ne abbiamo parlato... Io ho dato per scontato che tu non volessi andare, visto che neanche a me interessava. Non volevo fare la despota e decidere per te, solo che-»
Il mio discorso viene interrotto dalla sua risata, ed io sollevo lo sguardo, per poi vederlo, i ricci schiacciati sotto al suo solito beanie grigio topo, che ride di gusto.
«Che c'è?» chiedo, piccata.
Lui mi sorride. «Davvero credi che mi potesse interessare una stronzata del genere? Mi diverto molto di più da solo con te e la rivoluzione industriale, piuttosto che in mezzo a quel branco di pecore a ballare canzoni melense e noiose». A queste ultime parole mi prende per mano e, con una manovra poco elegante, mi costringe a fare una piroetta alquanto goffa, per poi avvicinarmi a sé. 
«Che gran ballerino» commento ironica, prima di lasciare che le nostre labbra s'incontrino con tenerezza.
«Te l'ho detto» ride piano sollevando le spalle e mi abbraccia, lasciando che appoggi la testa sul suo petto. Mi stringo a lui, tra le sue braccia comode, beandomi del ritmo del suo cuore contro la mia guancia.
Credo che siano proprio questi momenti, quelli che fanno sì che ne valga la pena. Rinunciare al ballo, restare serate intere a impilare libri su libri, tenerci per mano solo quando è strettamente necessario, studiare fino a tardi formule che tra qualche mese non riconosceremo più, seduti sul mio letto con la sola lampada da studio accesa, e parlare piano per non svegliare mia madre che, nella stanza accanto, dorme già da qualche ora. Ne vale la pena, essere quelli che «E chi lo avrebbe mai detto?», trovare l'equilibrio millimetrico perfetto al vertice di un triangolo, e tenerci stretti perché, se cadiamo, tanto vale cadere insieme.
La paura, i rimpianti, e i dolorosi se sono sopportabili quando alla fine possiamo ritrovarci così, silenziosi ad ascoltare la musica dei nostri respiri.
Il rumore di una breve suoneria interrompe la quiete che regna nella stanza. Lui, senza sciogliere l'abbraccio, con una mano recupera il cellulare dalla scrivania per leggere il messaggio ricevuto. E, proprio mentre mi sento cullata dal suo corpo, quest'ultimo si irrigidisce.
Sollevo lo sguardo con fare indagatorio, per incontrare il suo, un po' perso.
«Harry? – lo richiamo, le sopracciglia aggrottate e l'aria confusa – Che succede?»
Resto in attesa, mentre il suo petto si gonfia in un respiro teso. «È il mio avvocato – spiega – dice che devo andare a Manchester, giovedì»
«E per quale motivo?» chiedo, accigliata.
Solleva le spalle, prima di parlare con estrema lentezza, una mano sulla nuca e un respiro bloccato. «Adesso che sono maggiorenne, i servizi sociali smetteranno di farmi visita ogni due mesi. Devo andare a firmare gli ultimi documenti».
Spalanco gli occhi. «Ma è fantastico, no? – sorrido, stringendolo di più dalla vita – dopo questo sarai libero».
Abbozza un sorriso, mentre mi guarda. «Suppongo di sì – dice, lasciandosi andare ad un sospiro leggero – è solo che... è sempre un po' difficile tornare lì».
«Voglio venire con te» dico, di punto in bianco.
«Cosa? – aggrotta le sopracciglia, poi scuote la testa – Non è necessario, devo solo firmare qualche documento».
Sollevo le spalle, poi gli sorrido debolmente. Per qualche motivo, non sembra essere contento quanto me di quella che, in fin dei conti, è proprio una bella notizia; e qualcosa mi dice che ha bisogno di un supporto. «Voglio esserci, quando firmerai. Ci pensi? È l'ultimo sforzo Harry, l'ultimo e dopo non dovrai più preoccuparti».
Resta in silenzio, mentre mi guarda parlare. Alla fine non si oppone, non ribatte, semplicemente si avvicina e mi bacia.

 




Note.
Salve! Immagino che a questo punto sia inutile trovare giustificazioni e spiegarvi che la colpa dell'immenso ritardo è da attribuire a scuola/patente/progetti vari/niente ispirazione; più che altro mi scuso con tutti voi per avervi fatto aspettare così tanto. Non voglio fare promesse vane, piuttosto mi impegno a finire la storia il più presto possibile, impegni e ispirazione permettendo, ovviamente! Dopo questo, mancano soltanto altri due capitoli più l'epilogo alla fine della storia.
Volevo ringraziarvi tantissimo, perché mi dimostrate in tutti i modi che questa storia continua a piacervi, tramite fb o ask, e questa cosa mi fa davvero tanto tanto piacere. 
Sul capitolo: è un po' un capitolo di passaggio, i prossimi saranno sicuramente più intensi, però c'è un elemento molto importante. Lena ha preso una decisione definitiva circa l'università, anche se ancora l'unico a saperlo è suo padre.
Spero che, nonostante tutto, il capitolo vi sia piaciuto, e che stiate trascorrendo delle buone feste con i vostri cari.
Un bacio
Carla
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