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Autore: B Rabbit    29/12/2014    1 recensioni
{ Laven | Accenni Yulina | Genere ignoto | Trama inesistente}
La figura di lui gli apparve nella mente, nitida come la sofferenza: sussurrava qualcosa con la sua voce vellutata, parole morbide e suadenti che gli pregavano di rallentare, di fermarsi in mezzo a quelle creature dalle braccia sottili che lo avrebbero stretto, graffiato ed imprigionato come in una di quelle favole antiche.
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Allen Walker, Rabi/Lavi | Coppie: Rabi/Allen
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Lost in the game




Saltò un tronco riverso a terra e ricominciò a correre, sentendo il terreno fangoso cedere lievemente sotto le sue scarpe imbrattate. Digrignò i denti; portò la mano sinistra alla fine del costato e si lamentò appena, avvertendo il dolore contrarsi e palpitare ad ogni passo.
Si chiese da quanti secondi, minuti, ore – possibile? – correva, da quando il tempo avesse la capacità di cristallizzarsi, di congelare come acqua e rimanere sospeso nell’aria, troppo minuscolo per essere scorto dai semplici occhi.
Il corpo decelerò lentamente contro la sua volontà, ed Allen avvertì i polpacci urlare stremati e soffrire ad ogni contatto con il terreno. Il ragazzino accennò qualche ripresa di velocità – lo avrebbe raggiunto, sentiva i suoi passi crescere orribilmente d’intensità –.
Cozzò la spalla destra contro l’albero e trattenne un’imprecazione tra i denti serrati; protesse la parte offesa con la mano e accennò delle falcate più ampie, zoppicanti e spossate.
Timoroso, volse il viso all’indietro e con piccolo sollievo notò solo la foresta inseguirlo; accelerò leggermente, boccheggiando. La figura di lui gli apparve nella mente, nitida come la sofferenza: sussurrava qualcosa con la sua voce vellutata, parole morbide e suadenti che gli pregavano di rallentare, di fermarsi in mezzo a quelle creature dalle braccia sottili che lo avrebbero stretto, graffiato ed imprigionato come in una di quelle favole antiche.
Un urlo raggelante tuonò nella foresta e vibrò nel corpo stanco di Allen, pietrificandolo all’istante.
«No… no…».
Gemette terrorizzato fra gli ansimi e scoccò intorno a sé sguardi saturi di paura come un animale braccato –lo era diventato, scappava come una preda amante della vita –.
«Linalee!» gridò fino a quando l’assenza d’ossigeno divenne insostenibile.
Ritornò sui propri passi per cercarla – stava bene, era soltanto caduta, ne era certo – e la chiamò più volte, esortandola a rispondere – «Non è il momento di giocare, Linalee!» –; il terreno cedette all’improvviso sotto il suo peso e Allen scivolò lungo il pendio – gemette ad ogni ramo o tronco che lo colpiva e cercò di arrestare la caduta, artigliando dolorosamente il terreno con le unghie –.
Sentì il suo nome rombare forte in un urlo sopra di lui. Digrignò i denti; allungò il braccio destro e riuscì ad aggrapparsi ad un arbusto vicino, fermando così la folle discesa.
Ansimò, bisognoso d’aria.
Il suo nome dilaniò un'altra volta la tranquillità della foresta e il giovane alzò lo sguardo alla ricerca della fonte.
«N-no, devo…» balbettò, assetato di ossigeno fresco. «Devo continuare…!» .
Afferrò un ramo basso e fece forza con le braccia, gemendo appena al dolore che lo fulminò nuovamente; si alzò, guardò il pendio addolcirsi piano dinanzi a sé e, lentamente, proseguì la discesa, chiedendo ai tronchi e ai rami vicini di essere i suoi fidati appigli.
Alle sue spalle, scricchiolii confusi annunciavano la discesa di un’altra figura, esortando il giovane a correre, a fuggire da essa con il terrore nel petto.
Balzò giù lungo la fine del pendio per guadagnare tempo prezioso, ma le gambe cedettero stremate ed Allen cadde rovinosamente a terra. Boccheggiò, assetato di ossigeno; cercò di alzarsi, ma un forte dolore avvolse la sua mente.
Graffiò il terreno bagnato e si impose la calma totale; respirò a fondo, liberò piano l’aria dalle labbra leggermente schiuse.
«Devo muovermi…» ordinò a sé stesso. Si trascinò fino ad un alberello vicino, guardò i suoi rami bassi e ne afferrò saldamente uno – digrignò i denti per non gemere mentre si alzava e il ginocchio bruciava di sofferenza –.
Guardò dinanzi, continuando a reggersi all’albero – le gambe tremavano, le membra ardevano a causa della stanchezza e il cuore, con i suoi battiti forti, riecheggiava nelle tempie, stordendogli la mente –.
Accennò dei deboli passi in avanti, ma si fermò appena sentì un clangore orribilmente famigliare increspare l’aria.
«Ehi» suonò una voce vellutata.
Allen si voltò lentamente e fissò il ragazzo dinanzi a lui, lo scherno ammorbidito dal suo sorriso, l’innaturale sicurezza racchiusa nella vivida iride smeraldina; si morse con rabbia il labbro.
Lo aveva raggiunto.
«Mi chiedevo seriamente quando ti saresti fermato» proseguì lui, inclinando dolcemente il capo di lato senza smettere di sorridere.
Il giovane serrò le mani. «Linalee…» balbettò e maledisse la paura stillata in quelle poche lettere. «Cosa le avete fatto…?».
Il fulvo lo guardò per qualche secondo, colpito da quella domanda. «Non lo so» trillò allegro; si portò una mano socchiusa al mento e sembrò rimuginare sulla situazione. «Credo che ora si stia divertendo insieme a Yuu-chan» ed annuì con la testa.
«Tu, brutto…!».
«Ehi» disse l’altro nuovamente con tono suadente. «Adesso dovresti pensare a Lavi, no?».
Allen digrignò i denti e socchiuse gli occhi saturi di astio. «Cosa vuoi fare?» ringhiò, e le iridi scivolarono piano sulla mano dell’altro. Il ragazzo più grande capì l’origine del suo interesse e sollevò lentamente il braccio. «Hai paura?» gli chiese con dolcezza, puntando la pistola contro di lui.
Allen deglutì e mantenne lo sguardo alto, sicuro. «No».
Il guercio sorrise; avanzò verso di lui e continuò a guardarlo con occhi magnetici, impenetrabili, beandosi di quel terrore espresso nei suoi deboli passi all’indietro. «Hai paura?» domandò ancora, la voce roca e calda e morbida.
«N-no…» tentennò il più piccolo, percependo la corteccia ruvida dell’albero sfiorargli la schiena.
«Davvero?» mormorò lui dolce, riducendo al limite la loro distanza – erano vicinissimi, lo smeraldo che si bagnava nell’argento vivo, incatenando gli sguardi in un opprimente contatto visivo.
«Ho detto di no» soffiò piano Allen, rilassando le membra per parere al meglio tranquillo.
Lavi rise cristallino; lo guardò ammaliato, chinò il viso e alitò piano sul suo orecchio – sorrise, gustando quell’ostinatezza che gli sembrò dolce e fragile –. «Non ti preoccupare» sussurrò delicato, e il giovane sentì la conchiglia avvampare a quella voce bollente. «Ti libererò da questo mondo lercio».
Allen avvertì la canna premere glaciale sotto la mascella; trattenne malamente un singulto di terrore e serrò gli occhi con la speranza di estraniarsi da tutto. Il rosso osservò la nascita di piccole lacrime che, districandosi dalle ciglia candide, carezzavano limpide le guance pallide del giovane – sentì il proprio animo intenerirsi dinanzi a quell’espressione spaventata –.
«Bye bye…» lo salutò con un sussurro delicato e le labbra si incresparono in un sorriso freddo e fasullo.
Un urlo assordò nuovamente la foresta, seguito da un rumore.
Lavi sbarrò gli occhi e si voltò, trovando un corpo riverso a terra. Anche Allen gettò uno sguardo dietro il ragazzo più grande e tentò di celare la propria ilarità, ma una risata si librò cristallina dalle sue labbra – sorrise a quel suono limpido, Lavi –.
«Scusate tanto, ma…» biascicò Johnny mentre cercava di alzarsi. «Non mi sono accorto di quel sasso e sono caduto».
Il fulvo sghignazzò, ricevendo una gomitata nel costato da parte del più piccolo.
«La telecamera si è rotta?» domandò l’altro con la gentilezza che lo caratterizzava, ignorando le lamentele che animavano l’aria – «Alleeen, mi hai fatto male! Ascoltami!» –.
«Mmh… no, tranquillo» rassicurò lui con un grande sorriso. «Ma cosa è successo a Linalee?».
«È caduta come Allen ~» cinguettò allegro il fulvo, ricevendo un colpo allo stomaco come ammonimento. «K-Kanda è corso da lei…».
«Oh… beh, vado da loro» dichiarò Johnny e, telecamera in mano, prese ad arrampicarsi lungo il pendio.
Allen sospirò. «Stupido di un Lavi» soffiò irritato, scoccando un’occhiataccia al citato, che subito rise.
«Che ho fatto?».
«Non mi sono divertito a cadere» rispose lui, incrociando le braccia al petto.
Lavi sorrise e gli si avvicinò maggiormente. «Lo so…» sussurrò debole e scrutò le sue iridi terse. Il ragazzino distorse subito lo sguardo e celò il lieve imbarazzo dietro un broncio – adorabile, secondo Lavi, dolce come tutto il suo essere –.
Il fulvo gli prese delicatamente il mento fra le dita ed incatenò ancora il suo sguardo al proprio; arcuò affettuosamente le labbra e con l’altra mano gli carezzò la guancia.
«Quando ti ho visto cadere ho gridato il tuo nome…».
«Avevo sentito…» ammise l’altro e sentì nuovamente l’angoscia di quell’urlo avvelenargli il cuore. «Il terreno era morbido a causa della pioggia di ieri».
«Sì… ero preoccupato» e, lentamente, suggellò le loro labbra in un morbido bacio, allietando la stanchezza che il più piccolo provava.
«Dobbiamo andare… Linalee si sarà fatta male» sussurrò il ragazzino. Il rosso annuì.
«Ti do una mano» ma il compagno sfuggì dalla sua presa delicata.
«No… faccio da solo».
«Allen» lo chiamò, indurendo appena la voce. «Ti sei fatto male al ginocchio, prima. Non negarlo».
Udito un borbottio come risposta, il più grande sorrise delicatamente ed ammorbidì subito il tono. «Posso aiutarti?».
Allen lo fissò per qualche istante. Sospirò. «Va bene… ma non prendermi in braccio, altrimenti…».
Il ragazzo rise a quella minaccia velata e, passandosi il suo braccio intorno alle spalle, gli diede un bacio sfuggevole sulla guancia. «Bravo il mio ragazzo ~».
L’altro rispose con sguardo raggelante. «Se non mi stessi aiutando, ti avrei già colpito».
«Menomale allora ~» cinguettò allegro e, passandogli un braccio sui fianchi per sorreggerlo meglio, prese a camminare di fianco al pendio alla ricerca di un’altra strada, evitando di incrociare il suo sguardo.
Senza accennare nulla sul fatto di quanto Allen fosse adorabile con le guance imporporare.
Senza dire alcunché sull’evidenza di quando quel viso fosse fertile per il timido imbarazzo.

















Ehm… non so cosa dire °°”
*si spalma su un Timcanpy obeso*
Buon Natale in ritardo e buon 2015 in anticipo! Ho trovato qualcosa!

Non ho idea di cosa io abbia scritto.
È successo tutto perché mi sono accorta che alcune mie storie iniziano bene ma finisco uno schifo, quindi mi son detta “Perché non fare il contrario?”.
Ho chiarito tutto.
Grazie per aver letto questa schifezza e tanti auguri ancora.
Bye bye :3

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