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Autore: olicityintranslation    29/12/2014    5 recensioni
Il due maggio 2015 Felicity quasi muore (di nuovo), e Oliver quasi muore (hanno smesso di contare), e poi lui la bacia (questa è nuova). E forse è un po’ strano che sia solo quest’ultima cosa a farle tremare le ginocchia.
Olicity | Romantico, Drammatico, Introspettivo | Giallo | One-shot | Traduzione
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Felicity Smoak, John Diggle, Oliver Queen
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Titolo originale: Plus ça change
Introduzione: Il due maggio 2015 Felicity quasi muore (di nuovo), e Oliver quasi muore (hanno smesso di contare), e poi lui la bacia (questa è nuova). E forse è un po’ strano che sia solo quest’ultima cosa a farle tremare le ginocchia.
Storia in lingua originale: http://archiveofourown.org/works/1330318
Autrice:
  • su AO3, ash818 http://archiveofourown.org/users/ash818/pseuds/ash818
  • su fanfiction.net, Stardite Risen https://www.fanfiction.net/u/349479/
Traduzione a cura di: jaybree
Beta-reader in italiano: vannagio
Personaggi: Oliver Queen, Felicity Smoak, John Diggle
Generi: Romantico, Drammatico, Slice of life
Rating: Giallo
Capitoli: 1 – One Shot
 
 

plus ça change
di Startide Risen (ash818)
Il due maggio 2015 Felicity quasi muore (di nuovo), e Oliver quasi muore (hanno smesso di contare), e poi lui la bacia (questa è nuova). E forse è un po’ strano che sia solo quest’ultima cosa a farle tremare le ginocchia.
“Ho portato il Pontet Canet che volevi provare,” dice lui con voce roca, in piedi sull’uscio dell’appartamento di Felicity, con il rossetto di lei che gli imbratta la bocca.
Lei lo osserva. È in ritardo di circa tre secondi, sente ancora il calore della sua mano tra i capelli, la pressione della fibbia della cintura sul ventre e la consistenza delle sue labbra screpolate. Non era quello che si aspettava quando era andata ad aprire la porta.
“Felicity,” dice lui incerto.
“Entra pure,” spara lei, e si mette da parte, camminando su gambe di cui non è sicura di potersi fidare. “Scusa, entra pure. C’è un cavatappi sul tavolinetto. E c’è anche una bottiglia vuota, ma è di ieri sera, non ho ancora iniziato a bere stasera, frase che mi fa sembrare un’alcolista, no? Non ho finito un’intera bottiglia in una-“
Lui le sorride solo con lo sguardo, che è tutto quello di cui lei ha bisogno di questi tempi per scalare di marcia il motore che è la sua bocca.
“Prendo due bicchieri,” dice lei.
Quando lei torna dalla cucina, Oliver è seduto sul suo divano e sta liberando il tappo di sughero. Lei gli si siede accanto, lasciando abbastanza spazio tra di loro da far accucciare un alano. Lui versa due generosi bicchieri. Nel momento in cui posa la bottiglia, gli viene un altro attacco di tosse.
Lei gli posa un’inutile mano sulla schiena. “Stai bene?”
Lui annuisce. Il colpetto brusco si intensifica in un orribile, umido e catarroso colpo di tosse prima che finalmente passi. Come se non fosse accaduto, Oliver alza il suo bicchiere verso di lei in un brindisi silenzioso e beve un sorso.
Felicity annusa con attenzione il rosso francese prima di provarlo. Non è diventato il suo nuovo vino preferito, ma è gradevole. La notte del terremoto, Oliver si era presentato a casa sua con una bottiglia di Lafite Rothschild. Da quel giorno, non ha mai più speso tutti quei soldi per una bottiglia, ma le ha garantito una fornitura stabile di vino dannatamente buono.
“Sai, ultimamente vado per i rossi spagnoli, ma forse ritornerò in fase Bordeaux. C’è un’iscrizione online per una degustazione di vini- ”
“Oggi ho creduto di averti persa,” dice Oliver. La sua voce ancora distrutta e roca.
Felicity sprofonda all’indietro nel divano. Vorrebbe che lui si togliesse quell’espressione dal viso. “Per un minuto là fuori, mi sono preoccupata anche io.”
Non riesce ad ottenere neanche la metà del sorriso che stava cercando, ma è qualcosa da cui iniziare.
“Mi dispiace che non siamo arrivati prima.”
“Non chiedere scusa.” Lei accorcia la distanza tra di loro – adesso forse è abbastanza per un Cocker spaniel. “Non hai il permesso di scusarti per il modo in cui mi hai salvato la vita, okay?”
Lui posa una mano sulla spalla di lei, il pollice le traccia la clavicola, e semplicemente la osserva. Oliver, di solito, è un bugiardo col ghiaccio nelle vene, senza rimorsi. Quando ti guarda con tanto d’occhi blu e sincerità ardente come ora, l’effetto è così forte che è difficile guardarlo in viso.
“Allora, quello era un bacio tra amici, del tipo ‘sono-felice-che-siamo-vivi’?” chiede lei al suo bicchiere di vino.
“Sono davvero, davvero,” e wow, Oliver sa veramente come piegare una parola in corsivo meglio di chiunque altro, “felice che tu sia viva. Ma no.”
“Non sembrava una cosa tra amici. Non che fosse ostile, voglio dire, hai osservato tutta l’etichetta appropriata tra lingua e denti. Ma gli altri miei amici non mi baciano così.”  Sbatte le palpebre. “Non mi baciano affatto.”
La mano di lui scivola lungo il braccio di Felicity. “Posso farlo di nuovo?”
Può. Per un sacco di tempo. Finché lei non si scioglie sul suo petto come miele su una focaccina calda. Il braccio di lui intorno alla sua vita la trattiene dallo sciogliersi completamente sul pavimento. Lui profuma di Oliver docciato di fresco, e lei conosce quel profumo, quando si piega avvicinandosi al suo computer per i loro obiettivi comuni. La bocca sa di menta (stava pianificando di baciarla mentre veniva qua, no?) e le piace questo mischiarsi di dolce familiarità e pungente novità.
E poi lui deve fermarsi e tossire.
“Mi dispiace, dovrei scrollarmi di dosso e lasciarti respirare,” dice lei, cercando di sedersi.
Lui la tira di nuovo giù contro il suo petto e le infila la testa sotto il mento. Se lui insiste, lei non protesta. Anzi, si rannicchia ancora più vicino.
“È da tantissimo tempo che avrei voluto farlo,” dice lui.
Lei sorride. “Con l’orecchio sul petto, sembra che ringhi e brontoli ancora di più.”
Lui ride, cosa che gli viene super brontolosa. Le braccia, che l’avvolgono stretta, la fanno sentire coraggiosa.
“Ti amo,” dice lei senza fanfare, “e credo che tu sia meraviglioso, indipendentemente da quello che provi per me.”
Lui smette di respirare. Nessun attacco di tosse imminente. Ma lei non teme il silenzio che segue, nemmeno per un secondo. Lei salta, lui la afferra; è questa la natura dell’universo. Quindi aspetta con pazienza finché lui dice, strozzato e un po’ umido, “Grazie”. Oliver è eccellente quando deve ringraziare; dice grazie con solennità, come fossero riti sacri. Questo caso non è diverso.
Non è “ti amo anch’io.” Non è neanche una scappatoia come, “Idem.” In ogni film che Felicity ha visto o libro che ha letto, il “Grazie” è il bacio della morte. Ma la sta stringendo così forte (il suo orecchio è strizzato contro il cuore di lui, tu-tu, tu-tu) da farle sentire il sentimento anziché le parole. Grazie per amarmi. È più di quello che merito.
Lei emette un sospiro profondo contro il petto di Oliver, che lui forse confonde con delusione, perché d’un tratto le sta spingendo il viso per guardarla negli occhi. “Sai quello che provo per te. Vero?”
“Sì,” sussurra lei.
Nelle ore scure di quel mattino, Arrow si era presentato disarmato alla porta di Ra’s al Ghul in cambio della sua esperta di informatica. Aveva aspettato che lei fosse al sicuro al fianco di John, e poi era volontariamente entrato in una piccola stanza, senza finestre e con una porta in acciaio rinforzato. A parte un tavolo inclinato, uno straccio e un ciotola d’acqua non c’era nulla in quella camera.
Qual era il suo piano nell’entrare là dentro? Felicity esigette di sapere mentre John la pressava per entrare in macchina.
Il suo piano era quello di tirarti fuori di là, replicò lui, la bocca stretta in una linea retta. Affondò sull’acceleratore e guidò verso l’alba.
“Sì, me lo hai detto stamattina.”
Arriverà un giorno in cui Felicity avrà bisogno di sentire le parole. Stanotte tira su col naso nella sua maglietta per un po’, poi si addormenta sul suo petto. Non sogna.
 
= = = = =
La notte successiva alla fonderia, John si concede esattamente un solo sorriso saputo. C’è una cellula di assassini da poco senza leader di cui devono occuparsi, e, per gran parte della serata, Felicity è al telefono con l’Agente Lance cercando di trovare un modo per coinvolgere le forze dell’ordine, ma non di coinvolgerle troppo, “che è come cercare di restare incinta, ma non troppo incinta, perché sono la polizia, Oliver. Sono impiccioni per mestiere!”
Sara le riscalda un cornetto ripieno di cioccolata, che la aiuta un po’. “Non sgridarlo. Sono sicura che si farà perdonare dopo,” dice, facendole l’occhiolino, che invece non l’aiuta affatto.
Finalmente, quella settimana d’inferno finisce su un tetto. Felicity ha tutte e quattro le voci negli auricolari – Sara, John, Roy e Oliver – e sente ogni soffio e ogni borbottio, ogni avviso e ogni ordine. Dopo vede le foto dell’SCPD di quello che John ha fatto al volto dell’ultimo assassino. La polizia è stupefatta dall’omicidio di questo John Doe e per i giornali “la morte per percosse di un uomo non identificato a Norcombe e Fulton Street” merita appena una menzione.
“Non l’ho picchiato a morte,” dice John, braccia raccolte. “È morto a causa della caduta.”
Felicity lo abbraccia, e per la prima volta da quando sono corsi via lasciando Oliver in quella stanzetta, la tensione gli lascia le spalle.
Roy scende giù con uno straccio del bar stretto sul braccio. “Mi è saltato qualche punto,” dice a John. “Potresti…”
“Seh.” Prima di lasciarla andare, John le bacia la testa. “Ci penso io a te”.
= = = = =
 
È straordinario come cambi poco dopo quella sera. Il Team Arrow, la macchina ben oleata, e il Team Esecutivo, la macchina un po’ meno oleata ma essenzialmente funzionale, continuano a lavorare come hanno fatto per i due anni precedenti.
È straordinario come tutto cambi.
“Adesso sorride,” dice Thea, sedendo nella poltrona di fronte alla scrivania di Felicity, mentre aspetta che Oliver esca da una riunione. “Ha sorriso a Roy ieri.”
“Gli sto mettendo degli eccitanti nel caffè,” le spiega Felicity.
“Come se gli facessi davvero il caffè,” Thea sbeffeggia. “Seriamente, ha incontrato qualcuno?”
Felicity non deve fingere di essere sorpresa a questa domanda. “Immagino dovresti chiederlo a lui.”
Dieci ore dopo, senza maglietta sul tavolo della sua cucina con Oliver che se ne sta tra le sue ginocchia, Felicity chiede, “Siamo un segreto?”
Lui si rimette dritto, guardandola con serietà. “No. Semplicemente non siamo affare di nessuno.”
“Siamo affare di Thea? Prima che usciste per pranzo, mi ha chiesto se avessi incontrato qualcuno. A lei è concesso conoscere la tua vita, giusto? Almeno la parte della tua vita che non avviene in pelle verde?”
“Va bene se glielo hai detto,” dice lui, tornando a giocare con il collo di lei.
“No!” Si contorce allontanandosi dalla sua bocca, perché quell’angolino sotto l’orecchio soffre il solletico, accidenti. “Glielo dici tu. È tua sorella. Parla con la tua famiglia, folle.”
“Non mi va di pensare alla mia famiglia ora, Felicity.” Se non riesce a farle un succhiotto sul collo, a quanto pare, il suo piano B consiste nel succhiarle il lobo dell’orecchio fino a farla fremere. Ben fatto, signore.
“Ok, ma-“
I baci sono il nuovo modo preferito di Oliver per zittirla.
Due giorni dopo, Felicity riceve una composizione di frutta incredibilmente gigante sulla scrivania, e quasi si sente male per gli spuntini alle fragole e all’ananas. Perché lo fai sorridere, dice il bigliettino. Che ne dici di un pranzo il prossimo Martedì?
Felicity inizia Thea ai Big Belly Burger, e Thea la inizia ad alcune delle foto più imbarazzanti dell’infanzia di Oliver.  Davvero, così vincono tutti.
= = = = =
Felicity non capisce quanto sia cambiato davvero fino a quando non finisce di nuovo quasi uccisa.
Doveva essere un colpo sicuro, dentro e fuori. Il rapinatore non sta neanche puntando a lei. Sta cercando di freddare Arrow con una pallottola, colpendo alla cieca tra i cubicoli nella speranza di beccare il colpo vincente.  Una pallottola vagante attraversa due muri nell’ufficio del vicepresidente. Il dolore sbatte Felicity a terra.
Sia John che Oliver urlano il suo nome. Anche nell’auricolare, la voce di Oliver la spaventa.
“Sto bene!” urla, quando John poggia il ginocchio accanto a lei. Tenta di sedersi, e John controlla che tutto sia a posto, rapido e metodico. “Sto bene, sì?”
John esamina il braccio insanguinato. “Ti ha solo sfiorato.”
“Portala fuori di qua,” Oliver ringhia.
“Stai usando la tua voce da assassino,” lo avvisa.
Silenzio.
“Oliver!”
“Via, andiamo a sistemarti,” dice John, aiutandola ad alzarsi in piedi. Chiude tutte le finestre che ha aperto sul computer del vicepresidente, distruggendo le prove della sua presenza, e arresta tutto il sistema prima di seguirlo fuori dalla stanza.
Di ritorno alla fonderia, John la aiuta a sedersi sul tavolo degli esami, il piede le penzola e lei lascia cadere a terra la ballerina. John le taglia la manica e lava via il sangue. Il taglio sembra quasi una bruciatura, tre pollici e mezzo tra una lentiggine e l’altra. Non può fare a meno di notare quanto John sia più gentile con lei rispetto a Oliver, Roy o Sara quando pulisce una ferita o mette a posto un cerotto a farfalla.
La porta stride mentre si apre e si chiude sbattendo. Oliver ha sceso appena tre gradini quando annuncia, “Niente più lavoro sul campo.”
“Lo hai ucciso?” chiede Felicity.
Lui non interrompe la sua falcata. “No.”
“Siamo più vicini a capire chi lo ha assunto?” dice John, intrecciando le braccia contro il petto.
“Sì, abbiamo un nome,” Oliver replica, passando accanto a lui. Si abbassa il cappuccio, strappa la maschera e incombe su Felicity. “Niente più lavoro sul campo.”
Oliver ha venti centimetri e trenta chili in più di lei, e il sangue a schizzi di qualcun altro si sta ancora asciugando sul suo viso. Ma Felicity ricambia l’occhiataccia, dura come il ghiaccio e paziente, e dice, “È un ordine? Perché sembrava un ordine. John, tu diresti che era un ordine?”
“Hey, le cose vanno male qualche volta,” John risponde con calma. “Era solo un graffio. Abbiamo quello che stavamo cercando, e tutti sono tornati a casa sani e salvi.”
“Quindici centimetri più a destra,” Oliver sbraita, “e sarebbero stati cartellini per l’alluce anziché cerotti per il braccio.”
“Il ramo in cui lavoriamo è pericoloso per definizione,” dice Felicity, scivolando via con imbarazzo dal tavolo per posizionarsi direttamente di fronte a lui. “Tu corri questo tipo di rischi ogni giorno. Chi ti da il diritto di ordinare a me se posso o non posso farlo anch’io?
Se non fosse al cento per cento, solido come una roccia, sicura che questo uomo non le farebbe mai, mai del male, l’espressione sul suo viso le farebbe davvero paura ora. “È diverso con te, e lo sai!”
“Oliver, posso farcela.”
“Io no!”
Silenzio.
Oliver è un bugiardo  con il ghiaccio nelle vene, senza rimorsi, ma di tanto in tanto dice qualcosa di così sorprendentemente sincero, da farla barcollare. Si appoggia sul tavolo degli esami. Lui fa un passo indietro, i pugni stretti inutilmente. Tira un paio di respiri profondi, consultando brevemente il soffitto come guida.
“Io vado su a bere un po’,” dice John tranquillo. Si ferma solo per posare una mano sulla spalla di Oliver. È come se lo avesse collegato a un parafulmini, un po’ della tensione rantola via.
Quando la porta si chiude dietro John, Felicity cerca di risolvere tutto in una volta: l’intero casino risolto in uno solo respiro. “Sto bene. Davvero, sto bene. Voglio dire, il dolore non è divertente, ma solo perché mi ha sfiorato in una parte in cui il livello di tessuto è ricco di nervi, e allora fa più male rispetto al danno effettivo. John dice che guarirà presto, e sarò come nuova. Tu sopporti e trascuri con regolarità molto peggio di questo, e siamo riusciti a fare quello che eravamo andati a fare, quindi – ”
“È diverso,” ripete lui, e non è spaventoso per nulla adesso.
“Oliver,” sospira lei. “Ascoltami.”
Lui la guarda dritto negli occhi, concedendole tutto il peso, completo e impressionante, della sua attenzione. Felicity non ha mai incontrato nessun’altro con questa capacità di concentrazione, così disciplinata e totale, tanto da farle sentire che le prossime parole che dirà sono l’unica cosa che sta accadendo nell’intero universo.
“Se io posso seguire John, mentre esco da un edificio in cui sono piuttosto sicura che ti stanno per torturare ed uccidere,” dice lei con calma, avvicinandosi e cercando di afferrare le sue mani, “allora tu puoi sopportare questo.”
Lui ignora le sue mani e la avvolge tra le braccia. “Ok,” mormora lui. Poi la sua bocca preme contro i capelli di lei, così delle successive tre sillabe che pronuncia, tutto quello che Felicity riesce a carpire sono vocali vaganti e una m. Lei tira comunque fuori l’Han Solo che c’è in lei.
“Lo so.”
 

NdT: Grazie mille per aver letto fino alla fine, spero che la storia sia stata di vostro gradimento! Quando ho ricevuto risposta da Startide Risen sono rimasta sorpresissima, avevo quasi scordato di averle fatto richiesta, ma mi ha reso incredibilmente felice poter tradurre questa storia per voi in questo periodo natalizio. Spero abbiate passato finora delle meravigliose vacanze e vi auguro un altrettanto serena continuazione e… buon anno nuovo!
Sempre vostra
Jay

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