Serie TV > Glee
Segui la storia  |      
Autore: Forge    30/12/2014    4 recensioni
Blaine Anderson è un abitudinario, vive a New York con la sua migliore amica Rachel, studia all'università e conduce una vita banale, forse fin troppo.
Sebastian Smythe è un'anima avventuriera, capace di attirare uomini e donne, amante delle scommesse e senza un tetto.
Così, quasi per divertimento, Rachel lascia con una scusa Blaine e Sebastian da soli nelle vacanze natalizie.
Sarà la fine del mondo o l'inizio di un mondo nuovo?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Finn Hudson, Rachel Berry, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Love changes everything




Blaine Anderson non era tipo da balli in maschera, non lo era mai stato.
Anzi, non era proprio quel genere di ragazzo a cui piaceva uscire la sera e basta, che fosse per un ballo, una serata in discoteca, una cena con sbronza o altro. Ballare poi, non era proprio nel suo stile, fin dai tempi del liceo. Non gli piaceva cenare al ristorante, preferiva cucinare a casa, tranquillo, ascoltando a tutto volume i Queen, e non avendo un "suo" bar, come ogni newyorkese che si rispetti, non usciva nemmeno per andare a bere qualcosa con qualcuno, anche perché non aveva nessun qualcuno, se non una petulante compagna di vita; ogni tanto, in situazioni particolari, gli piaceva andare a teatro, a vedere un musical o un'opera, per poi tornare a casa il più velocemente possibile, neanche avesse paura della notte.
In effetti andava sempre a dormire presto, o comunque non più tardi delle dieci e mezzo; una volta, sì, una volta era stato sveglio addirittura fino a mezzanotte, ma era capodanno e non voleva certo deludere i suoi amici. Quella fu l'unica volta e l'unico capodanno, perché tutti gli altri li aveva passati a dormire. Blaine non era nemmeno tipo da capodanno, proprio no, trovava insensato stare svegli fino a mezzanotte per aspettare un giorno come un'altro.
Ecco perché continuava a domandarsi per quale brutto, triste e assurdo scherzo del destino, si trovasse la notte del 31 Dicembre al centro di una pista da ballo, con una maschera che gli copriva il volto, un elastico che gli schiacciava i capelli acconciati con tubetti su tubetti di gel e il cuore che batteva più forte della musica rock di sottofondo.



Due settimane prima.




-Blaine, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, ti prego, dimmi che non è quello che penso.-

-Se pensi che io abbia appena rifiutato un invito a uscire per questa sera, allora non te lo dico, perché è proprio quello che pensi, Rachel.-

Rachel Barry era quasi certamente sicura che un giorno il suo migliore amico da quando ne aveva memoria, padre dei suoi futuri figli euro-asiatici, coinquilino della loro casa/loft/garage sgombro non meglio identificato, causa delle sue premature crisi di mezza età, nonché unico giovane del XXI secolo che non amasse le uscite notturne, un giorno le avrebbe procurato ben più di un ruga e lei lo avrebbe incolpato per sempre di aver stroncato la sua prematura carriera a Broadway.

-Blaine, ti prego, ti prego, ti prego, parliamone.-

Blaine fece un sorriso storto e appoggiò una mano sulla spalla dell'amica. -Se dici ancora una volta 'ti prego', la prossima volta che mi chiedi di portarti il più velocemente possibile a comprare gli assorbenti che ti sei dimenticata dall'ultimo giro di spesa, ti lascio al convento più vicino e non ti vengo più a riprendere.-

-È che tu sei così... Anormale. Insomma, siamo a New York e non hai nemmeno mai visto Times Square di notte, non sei mai salito sull'empire dopo le sette e mezzo di sera e certamente non hai avuto il piacere di conoscere la fantastica gioventù notturna che popola le strade della grande mela quando i bambini dormono e le zabette si chiudono in casa, lasciando a noi povere ragazze in cerca d'amore un po' meno concorrenza!- cercò di rincorrere Blaine, che si era prontamente rifugiato nella sua camera/zona delimitata a malapena con una tenda trasparente. -Dico solo che sei bello, giovane, intraprendente e ti comporti come un pensionato in attesa di morire!-

-Rachel, tu sei una persona squisita,- tentò Blaine, nonostante lei gli borbottasse dietro qualcosa di simile a "mica sono una torta al cioccolato", -ma io rimango io e, in quanto tale, stasera resto a casa, come tutte le sere.- Blaine era asociale, apatico e tanti altri aggettivi preceduti dall'alfa privativa all'inizio, ma era anche un testardo di prima categoria e se diceva no, era no. Il motivo di questo suo continuo rifiutarsi di uscire, Rachel proprio non lo capiva, ma era così esasperata che avrebbe tentato di tutto.

Nelle sue lunghe serate solitarie, Blaine aveva sviluppato più di una passione. Prima di tutto la lettura, segretamente amata fin da piccolo con la compagnia di una torcia sotto le coperte, mentre suo fratello maggiore Cooper russava al suo fianco, e poi la cucina, il karaoke su internet, i cartoni animati. Certamente Blaine Anderson non era un venticinquenne come tutti gli altri, glielo dicevano anche i suoi professori all'università, "Blaine, hai davvero un'anima particolare", "Anderson, studenti come te se ne vedono davvero pochi" e altro ancora. Infondo era difficile che gli studenti di lettere comparate fossero particolari, di solito erano ammuffiti dentro.

Mentre Blaine si crogiolava nei suoi solitari programmi per la serata, Rachel cercava uno stratagemma per farlo uscire, innamorare, sposare e magari fargli anche trovare il lavoro dei suoi sogni, insomma qualcosa di semplice e facile da organizzare. Così, mentre osservava le strade malfamate di Bushwick, Rachel ebbe l'illuminazione della sua vita e con un sorriso inquietante sul volto, sussurrò -Sai come si dice Blaine, se Maometto non va dalla montagna, la montagna viene da Maometto.- che poi non si dice così, ma quando Rachel si fissava diventava più aggressiva di "Tabitha mani di forbice".

*


-Quindi lui è tuo... Cugino di dodicesimo grado?- Blaine non era allibito, no. Lui non si scomponeva mai, al massimo ai alterava lievemente, tutto qui.

-Ehm, sì, non vedi che abbiamo lo stesso... Portamento?- per fortuna non aveva detto naso, Rachel stava decisamente per dire naso.

Era un tranquillo giovedì pomeriggio, tranquillo fino a quando Rachel non aveva fatto la sua entrata scenica nella 'camera' di Blaine urlandogli di alzarsi e di vestirsi perché avevano ospiti. Certo non aveva accennato al sensuale francese che Blaine si era trovato qualche minuto seduto comodamente nel loro salotto, come se fosse sempre stato lì. La scusa che Rachel, la più grande attrice di questo secolo, a suo dire, si era inventata di sana pianta per cercare di raggirare il suo migliore amico era che Sebastian Smythe, il francese appunto, era un suo lontano parente appena arrivato da Parigi, squattrinato, senza un'abitazione, una famiglia e nemmeno un'amico, solo insomma, e con bisogno d'aiuto. E così la tanto caritatevole Rachel Barry aveva deciso di compiere la sua opera di benevolenza annuale salvando l'ennesimo studente smarrito dalle strade di New York City.

-E tu devi partire?- chiese Blaine confuso a Rachel. Era pur sempre un giovedì pomeriggio di vacanza, qualche giorno prima di Natale, un po' di tatto anche per lui, insomma.

Rachel avvampò. -Sì, sì, esatto.- questa era l'altra parte del piano: lasciare Blaine e Sebastian, che non era affatto un suo cugino di dodicesimo grado ma un vecchio compagno di scuola del fratellastro del suo fidanzato, Finn Hudson, l'uomo più splendido dell'universo e blablabla, che aveva bisogno di una casa, e offrirgli il suo posto letto con la promessa di riuscire a far uscire Blaine di casa in un modo, o nell'altro. E sì, contava anche di farli innamorare ma una cosa alla volta, Rachel, una cosa alla volta. -Devo tornare a Lima, i miei papà hanno bisogno di me per il nuovo arredamento della casa.-

-Sono una coppia gay, che aiuto avranno bisogno da una che si veste con maglioni e calze lunghe?- intervenne Sebastian. Quelle, tra l'altro, erano le prime parole che pronunciava dopo "ciao, piacere, Sebastian Smythe". Rachel emise un risolino stridulo, abbassò gli occhi sulla sua gonna scozzese e chiese scusa, ritirandosi a fare i bagagli e lasciando i due piccioncini da soli.

Blaine non poteva certo negare che Sebastian fosse bello e affascinante, aveva quell'aria da stronzo che attirava tutti, uomini e donne senza distinzione. Il punto però era proprio quello, Sebastian Smythe era uno stronzo e a Blaine gli stronzi avevano sempre risvegliato un lato cattivo, assopito per tutto il resto dell'anno. Così stavano lì, a studiarsi, entrambi con aria di sufficienza, fino a quando Blaine non aveva trovato una scusa per filare da Rachel e dirle quattro parole.

-Tu non te ne vai.- le disse placcandola, lo sguardo cattivo, le braccia incrociate davanti al petto.

-Invece sì, il mio aereo parte tra poco.- Rachel stava cercando di chiudere una valigia decisamente più grande di lei, incurante dello sguardo di ghiaccio del suo migliore amico.

Tempo venti minuti, una valigia pesante e tanti sussurri da parte di Blaine e niente poteva più fermare Rachel, che con una sorprendente velocità aveva chiamato un taxi e si stava dirigendo all'aeroporto, o almeno così diceva lei.

In casa Blaine fissava ancora Sebastian e Sebastian fissava ancora Blaine.

-Quindi, eccoci qua, Blaine.-

-Eccoci qua, Sebastian.-

-Puoi chiamarmi Seb, se vuoi.-

-In realtà no, non voglio.-

Sebastian ghignò, soddisfatto. Quel Blaine era proprio un osso duro, ma a lui piacevano le sfide, lo eccitavano. -Meglio, non mi piace Seb.-

-Invece adori chiamarti come il granchio de 'La sirenetta', immagino- commentò ironico Blaine.

-Credo sia più imbarazzante che tu sappia come si chiami il personaggio di un cartone animato per bambini, piuttosto che il mio nome stesso.- la mascella di Blaine toccò il pavimento, e Sebastian non poté non sentirsi in qualche modo soddisfatto.

Il tempo passava e gli sguardi si facevano più attenti ma non meno resistenti. Blaine osservava la mandibola pronunciata di Sebastian, i suoi capelli così perfettamente in disordine, il suo profilo spigoloso; Sebastian non riusciva a capire di che colore fossero gli occhi di Blaine, appena sceglieva una sfumatura che gli sembrava appropriata, quella cambiava ancora, e poi era attratto dai suoi capelli, tenuti fermi da quantità spropositata di gel, che sembravano essere più compatti del cemento armato, oltre alle sue mani, le sue mani lo facevano impazzire, erano le mani di qualcuno che suonava il pianoforte, lo sapeva. Sembravano animali che studiavano le proprie prede, in attesa di mangiarle non appena commettevano un passo falso.

-Cosa facciamo per cena, usciamo?-

Lo sguardo di Blaine si assottigliò, come colto da un'idea improvvisa, un'insegna al neon con scritto sopra 'qui c'è lo zampino di Rachel', ma la spinse via in fretta, ricordandosi di recuperarla più tardi e di rifletterci con calma. -Possiamo cucinare qualcosa.-

-Cucinare?- una smorfia di orrore comparve sul volto di Sebastian. -Io non cucino!-

-Ma si da il caso che io lo faccia, e anche piuttosto bene, ad esser sinceri.-

-Sinceri ma non proprio modesti, eh?-

-Hai stampato in faccia un cartello con scritto "sono bello e lo so", non credo tu abbia diritto di parola.-

-Così,- cominciò Sebastian con una voce stranamente vellutata -mi trovi bello ed estremamente sexy?-

-In realtà no, nemmeno un po'.- mentì. Sebastian sembrò capirlo perché alzò le spalle, ammettendo in apparenza la sconfitta, e lanciandogli un'occhiata divertita prima di andare in cucina.



Davanti a un piatto di pasta al pomodoro ricominciò il gioco degli sguardi, in particolare Blaine era incantato da come Sebastian riuscisse a sembrare sexy anche mentre mangiava un piatto di spaghetti. Quello che non sapeva era che Sebastian lo stava osservando ancora più attentamente e non si stava certo lasciando sfuggire quel dettaglio.

-Dunque, chi è Blaine Anderson?- chiese all'improvviso Sebastian, posando la forchetta accanto al piatto vuoto, sfoderando un sorriso sensuale che avrebbe fatto cadere chiunque ai suoi piedi.

-Sono io.- rispose Blaine ingenuamente.

-Questo lo vedo. Ma chi sei veramente? Cosa studi? Cosa ti piace fare?- Eccola, "la mossa". Ogni essere umano alle prese con il rimorchio ne ha una. Per Sebastian consisteva nello sviscerare i segreti più segreti della sua preda, accompagnando il tutto con uno sguardo languido.

-Non ti sembra un tentativo di conoscenza un pelino aggressivo?- Peccato che Blaine non fosse un qualsiasi ragazzo sbronzo di un bar.

-Come prego?- Sebastian corrugò la fronte, infastidito dall'interruzione di Blaine e dalla sua mancata risposta.

-Sì dico, da quanto ci conosciamo, un paio d'ore? E tu mi chiedi chi sono! Praticamente sto ancora vivendo la mia crisi di identità adolescenziale e tu mi poni questa domanda come se in realtà volessi sapere il giorno del mio compleanno o che cosa mangio a colazione.-

-Direi che in confronto al tuo tatto, tutto è meglio, anche la mia aggressività.-

Quello fu il momento in cui le cose degenerarono. Cominciarono a litigare, poi a urlare, infine a lanciarsi addosso oggetti, e trovandosi in cucina non erano certamente oggetti leggeri. Riportarono numerose ferite da guerra, Blaine un poderoso bernoccolo all'attaccatura dei capelli, procuratogli da una padella, e Sebastian una, beh ecco, una forchetta nel braccio.

Così Blaine uscì per la prima volta di casa alle dieci di sera e non per andare a teatro, bensì per andare in ospedale. Per tutto il tragitto in macchina lui e Sebastian continuarono a battibeccare e a un certo punto Blaine avrebbe voluto estrargli a forza quella forchetta e infilargliela in bocca, per riuscire a zittirlo.

-È tutta colpa tua.- si stava lamentando Sebastian al pronto soccorso. -Questo braccio mi serve!-

-Come no, fare seghe nei bagni dei locali a perfetti sconosciuti con la mano sinistra sarebbe impossibile, giusto? Capisco le tue preoccupazioni.-

-Sei l'esserino più fastidioso di questo pianeta, dico sul serio.-

-E tu di esserini sei un gran esperto, quindi mi posso fidare.-

-Che cosa stai insinuando Anderson?-

-Oh niente, Smythe, hai quella forchetta conficcata del braccio perché sei il mio migliore amico!-

Furono buttati fuori dall'ospedale a calci.



*




Nei giorni seguenti non ci fu nessun miglioramento, Sebastian e Blaine si evitavano e se non riuscivano ad evitarsi litigavano per ore intere. Sebastian non frequentava nemmeno l'università, quando Blaine aveva cercato di sapere, con parole poco educate, il motivo di tale decisione, lui, con altrettante parole poco educate, gli aveva chiesto di chiudere il becco; quindi passava la giornata a poltrire o a uscire con ragazzi sconosciuti conosciuti in mille modi diversi. Blaine la sera continuava a rimanere chiuso in casa, in isolamento, cercando di distrarsi dagli imbarazzanti gemiti che arrivavano dalla parte di Sebastian e concentrandosi sulle sue attività. Rachel dall'Ohio/casa del suo fidanzato a quarantacinque minuti da Brooklyn, cercava in tutti i modi di convincere Sebastian a darsi da fare, spaventandolo non poco.

Per questo Sebastian, qualche pomeriggio prima di Natale aveva chiesto a Blaine con aria pacifica di accompagnarlo a comprare dei regali.

-Ok.- fu l'espansiva risposta di Blaine, che dieci minuti dopo indossava un imbarazzante papillon a pois verdi su sfondo rosso e stava aspettando che Sebastian uscisse dal bagno.

-Papillon?- esclamò Sebastian, ma al sopracciglio alzato di Blaine, segno dell'inizio imminente della guerra, decise di scrollare le spalle e uscire di casa.

-Quindi, che regali devi comprare?- gli chiese Blaine in ascensore, premendo il pulsante di piano terra.

-Preservativi.-

Inutile dire che non uscirono.

La porta dell'appartamento sbattè violentemente dietro Blaine e, qualche secondo dopo, anche dietro Sebastian.

-Mi dici che problemi hai?- gli urlò in faccia Sebastian.

-Davvero Sebastian, credi che sia piacevole accompagnarti al negozio della Durex per comprare dei preservativi? Ma che diavolo hai in testa!-

-Mi sembra un regalo di Natale perfetto per i miei scopamici! E poi sono per il sesso sicuro.- sbottò, afflosciandosi poi sul divano. -Cielo, Blaine, sei peggio di una madre. Non esci mai di casa, ti rifiuti di comprare preservativi, quando in televisione qualcuno comincia a pomiciare cambi canale e scommetto che la sera ti metti i tappi nelle orecchie per non sentire i concerti che facciamo io e il mio compagno del momento. Sicuro di non essere nato vecchio?- Ecco, anche lui. Blaine non era vecchio, Blaine era era sensibile al pudore, tutto qua, fine della storia. Non è che lui e Rachel e chiunque lo conoscesse da più di dieci minuti dovesse scrivere una trilogia su Blaine Anderson e il suo pudore sull'argomento sesso. -Scommetto,- disse Sebastian in preda alla rabbia e alla frustrazione. -scommetto che non riusciresti nemmeno a rimorchiare entro la notte di capodanno!-

Il volto di Blaine si aprì in un sorriso. -Ci sto. E se vinco, te ne devi andare.-

Sebastian rimase interdetto per un paio di secondi, ma poi sorrise a sua volta. -Bene. Ma se vinco io, verrai a letto con me.-

-Cosa?- Blaine cercò in tutti i momenti di impedire alle sue guance di arrossarsi, ma il risolino che uscì dalla bocca di Sebastian fu un chiaro segno del suo insuccesso.

-Hai sentito bene: verrai a letto con me.- e gli tese una mano. Blaine esitò qualche secondo prima di stringergli la mano con vigore.

A tavola, quella sera, decisero di stabilire delle regole.

-Niente donne.- cominciò Sebastian. -Nè transessuali.-

-Tu non dovrai interferire in alcun modo.- rimarcò Blaine, guardandolo fisso.

-Blaine, offendi il mio spirito sportivo.- dopo giorni e giorni di litigi e battibecchi, sorrisero entrambi per la battuta. -E non sarebbe la prima volta che mi offendi.-

-Oh, sentiamo, quando ti avrei offeso?- chiese Blaine giocoso.

-Non mi hai mai chiesto se sono gay, l'hai dato per scontato.-

Un espressione stupita si fece strada sul volto di Blaine. -Mi sembrava... Ovvio.-

-Ovvio? Ci sono signore su signore che mi fanno la corte, Anderson!- il petto di Sebastian si gonfiò.

-Andiamo, il gayradar brillava al cento per cento. Ci sono modi infallibili per distinguere i gay.-

-Per esempio?- chiese Sebastian, che aveva lasciato da parte l'arroganza e l'offesa per lasciare spazio alla curiosità.

-La mano.-

-La mano?-

-Sì, tutti i gay fanno quella cosa con la mano... La muovono di qua e di là, la agitano, la lasciano morta, dai, si capisce.- Sebastian non capiva. -E quando sei arrivato? La prima cosa che hai fatto è stata guardarmi il culo.-

-Ed è stata una scelta saggia.- sogghignò Sebastian.

Blaine alzò gli occhi al cielo prima di continuare. -E non hai nemmeno degnato di un'occhiata Rachel. Sono stati segnali più che sufficienti, inoltre tu non mi hai mai smentito.-

-Mi hai infilato una forchetta in un braccio, sai com'è, ho anche cominciato a temere per la mia vita.-

Era la prima sera in cui scherzavano, ridevano e andavano a letto senza insultarsi da una parte all'altra dell'appartamento. Erano ormai le undici quando Blaine si infilò nel letto e a malapena se ne accorse; ma mentre si girava nel letto cercando di addormentarsi, non riusciva a smettere di pensare che Sebastian aveva davvero un bel sorriso.



*




Blaine era un abitudinario. Ogni giorno si alzava, beveva una tazza di caffè, mangiava una brioche integrale e poi usciva, senza un direzione precisa; un giorno andava al supermercato, il giorno dopo in banca, quello dopo ancora dal dottore, l'importante era uscire e fare qualcosa durante le vacanze, per non ridursi a una massiccia sostanza senza muscoli adagiata pesantemente sul divano. Così quel giorno decise tastare il terreno di combattimento, così, per capire dove si doveva destreggiare. Controllò tutti i locali nei dintorni, logicamente chiusi, si annotò mentalmente i nomi che più gli piacevano e continuò il suo viaggio d'esplorazione. Si stava delineando un piano ben preciso nella testa gelatinata di Blaine e doveva ammettere che era divertente avere uno scopo, qualcosa per cui alzarsi il mattino più allegro del solito. Quando stava per scendere le scale della metropolitana, lo vide: un enorme manifesto blu notte, ricoperto da fiocchi di neve bianchi e frasi sdolcinate. Il sorriso ambiguo che si aprì sul volto di Blaine valeva più di mille parole.

Quando tornò a casa quel pomeriggio, Sebastian stava ancora dormendo, come sempre, e fu l'espressione trionfante di Blaine a svegliarlo del tutto.

-Cosa ti è capitato, principessa?- gli chiese versandosi un'abbondante tazza di caffè nero.

Blaine frugò nella sua sgualcita borsa di pelle, riempita con libri, creme, fazzoletti e altri oggetti inopportuni, e tirò fuori una busta. -Questi sono due biglietti per la notte bianca sulla 5th Avenue, la notte di Capodanno.-

-Emozionante. E me lo dici perché...-

-Perché a quella festa ci porterò il ragazzo che avrò rimorchiato!- concluse Blaine sottolineando l'ovvietà di tale affermazione.

-Trovalo il finocchio che vuole venire a quella festa.- rise Sebastian. -Per quei regali di Natale allora? Mi dai buca?-

Lo sguardo di Blaine si assottigliò. Aveva scommesso con un perfetto sconosciuto di riuscire a portare un altro perfetto sconosciuto a una festa di capodanno con la quindi evidente clausola di uscire e passare la notte fuori dal suo morbido, caldo e accogliente letto, forse era arrivato il momento di cambiare le proprie abitudini. -Muoviti, voglio tornare prima che faccia buio.- cambiare sì, ma senza esagerare.

Le strade di New York erano piene di gente in cerca degli ultimi regali di Natale, che correvano affannate da un negozio all'altro, attente al loro limitato budget. -Quindi, sei sicuro della tua scelta?- chiese Blaine mentre spalancavano le porte del negozio. Andiamo, un intero negozio di tre piani solo per dei preservativi? C'era da diventare matti.

-In realtà,- sogghignò Sebastian con un tono tutt'altro che promettente. -io non faccio regali a nessuno, figurati ai miei amici di scopate. Questo,- e si indicò con la mano tutto il corpo longineo -è un regalo più che sufficiente. Ma mi andava di portarti qui, sai, solo per vedere la tua espressione. E devo dire che mi sono appena fatto un regalo fantastico.-

Blaine si era congelato sul posto, la bocca leggermente aperta, gli occhi imbambolati, il cervello che non la smetteva di elaborare nuove informazioni. -Tu sei l'essere più stronzo,- lo colpì con un pugno sul braccio. -arrogante,- questa volta toccò alla spalla. -presuntuoso e indecente,- non gli colpì la faccia solo per pietà, ma il suo stomaco non lo ringraziò di certo. -di tutto questo universo.- Tuttavia c'era qualcosa di diverso dal solito, Blaine stava... Ridacchiando. Sì, i suoi occhi, solitamente così seri e chiusi quando litigava con Sebastian, adesso erano accesi e luminosi, le botte che aveva tentato di tirargli giocose e per niente violente.

-Andiamo Anderson! È come un parco giochi per adulti!- e trascinadoselo dietro gli mostrò tutti i reparti, le scatole più divertenti, i gusti più imprevedibili e gli angoli più assurdi del negozio.

Passarono più di quarantacinque minuti a ridere e scherzare, tra i corridoi di preservativi, e erano di nuovo in strada da qualche istante, diretti verso casa, quando Blaine notò una piccola caffetteria accogliente e con gli occhi a stellina convinse Sebastian a fermarsi per un caffè.

-Ecco una cosa che non capirò mai degli americani: l'amore passionale e costante per il caffè. Insomma, capisco che sia d'obbligo al risveglio, ma poi? Peggio degli italiani, a volte, almeno loro bevono delle tazzine, qua si va di due litri in due litri.- sbottò Sebastian a un certo punto, senza preavviso.

E con ancor meno preavviso Blaine si trovò a chiedere, -Com'era, la Francia?-

Sebastian sembrò pensarci su, soppesare le parole. -Sapeva sempre di pulito. Sai, come quando cambi le coperte e vai a dormire, senti subito un nauseante odore di ammorbidente e non riesci a dormire perché ti entra nel naso ed è fastidioso, ma d'altra parte ti senti comodo e sicuro nelle lenzuola pulite. La Francia era così, sapeva di casa ma aveva qualcosa di fastidioso, qualcosa che mi faceva sempre storcere il naso. Per questo me ne sono andato.-

-Così, all'improvviso? Io non ci riuscirei. Solo per trovare il coraggio di andare via da Lima ho impiegato gran parte della mia autostima.-

Ancora una volta Sebastian ci rifletté, concentrato. -Ho sempre pensato io a me stesso. Ho avuto un numero sconfinato di tate, maggiordomi e governanti ma erano più come dei carcerieri. Ho imparato che se volevo qualcosa, da un biscotto al cioccolato a un viaggio in America, dovevo procurarmela da solo.- alzò le spalle, come a confermare qualcosa che solo lui sapeva. -Andarmene è stato facile.-

Chiacchierarono distintamente minuti che si trasformarono in ore, fino a quando non stava per calare il buio e Blaine non spinse per tornare a casa.

-Cos'è questa storia che non esci mai di sera?- chiese allora Sebastian.

-Hai presente quando da piccolo ti dicono di tornare prima che faccia buio, di non parlare con gli sconosciuti e di cercare sempre la strada di casa? Diciamo che questa è ancora la mia filosofia.-

-Hai paura di uscire di notte?- Sebastian stava sghignazzando.

-Non è tutto così facile, Sebastian.- e senza aggiungere una parola, Blaine prese il suo cappotto, pagò la consumazione e corse a casa, inseguito dalle sue paure.



*



Da piccolo era un appassionato di Spiderman. Guardava il cartone animato, conosceva a memoria le battute del film e aveva un intero scaffale della libreria dedicato ai fumetti dell'uomo ragno. In realtà nutriva una grande ammirazione anche per Batman, Superman e gli altri, ma Spiderman aveva qualcosa di speciale. Ogni notte esprimeva il desiderio di diventare un supereroe e quando la mattina si trovava ad essere sempre il solito Blaine Anderson, 10 anni e 3/4, buffi capelli ricci, occhioni dorati e bersaglio preferito dei bulli, scoppiava a piangere tra le braccia di Cooper, che per consolarlo gli diceva "sai Blainey, per diventare un super eroe devi perdere qualcuno di caro, come lo zio Ben per Peter o i signori Wayne per Bruce, è questo che vuoi?" Quando a 12 anni sua madre una notte non tornò a casa, si pentì per tutta la vita del suo sogno. Non diventò un super eroe e sua madre non tornò mai a casa, investita da un ubriaco in autostrada.



*



-Nevica.- disse Blaine sbirciando dalla finestra del salotto. Sebastian era un cucina, la testa immersa in una tazza di caffè nero. -Non so se potremo uscire oggi.- lo scorso anno lui e Rachel avevano rischiato di passare la vigilia chiusi in un vagone della metropolitana.

-Poco male.- grugnì Sebastian. -Abbiamo tutto quello che ci serve: acqua, cibo, caffè, film, musica, alcool e preservativi.- Blaine alzò gli occhi al cielo, ormai quasi del tutto indifferente agli atteggiamenti dell'ospite.

Non avevano più parlato della sera precedente. Quando Sebastian era tornato a casa erano ormai le dieci di sera e Blaine si era rifugiato nella sua camera con l'unica compagnia di Tolstoj; Sebastian aveva urlato un 'buonanotte' e tutto era tornato all'incirca come era prima, sempre che prima ci fosse qualcosa.

Il fatto era che Blaine si stava silenziosamente adattando alla presenza di Sebastian e doveva ammettere che, beh, non gli dispiaceva più di tanto, bastava chiudere le orecchie quando se ne usciva con qualche battuta sconcia. Cioè per la maggior parte dei suoi discorsi.

-Ti va di perdere contro di me a Cluedo?- propose Blaine staccandosi dalla finestra.

-Che proposta allettante, hai bisogno di una lezione, Anderson: io non perdo mai.- e con un ghigno si alzò dal divano.

Erano entrambi stranamente concentrati sul gioco, forse per distrarsi l'uno dall'altro, forse per dimostrarsi qualcosa a vicenda, sembravano prendere tutto sul serio, fin troppo. Si sentivano come Sherlock Holmes nel pieno di un mistero, i Poirot del XXI secolo, due scapoli alle prese con un omicidio. Si lanciavano occhiate, stavano attenti ai bluff e sorridevano per confondere il nemico.

-Blaine,- erano passati una ventina di minuti dall'inizio del gioco e Sebastian sentiva di avere la vittoria in pugno, ma stranamente gli premeva di più parlare con il suo avversario, piuttosto che umiliarlo pubblicamente. -Perchè non esci mai la sera?-

Blaine alzò gli occhi e invece di trovarsi davanti uno sguardo divertito e strafottente, vide Sebastian per quello che era, curioso, preoccupato e, incredibilmente, interessato a lui. Non parlava facilmente dei suoi problemi, dei suoi complessi interiori. -Le storie brutte non sono belle da raccontare.-

-È vero,- ammise il francese. -ma spesso raccontare può aiutare a capire.-

Così dopo un attimo di incertezza, Blaine cominciò a tornare indietro nella memoria, qualcosa dentro di lui si era mosso. Raccontò dei sorrisi di sua madre, delle sue carezze, dei regali di Natale, descrisse minuziosamente la sua camera, i vestiti che trovava nel suo armadio, le collane, gli orecchini, gli anelli sparsi sulla toilette; parlò di Spiderman, di Cooper, della scuola elementare e del suo pigiama con i porcellini d'India. Lasciò che tutti i ricordi assopiti dentro di lui si svegliassero lentamente, regalandoli tutti a Sebastian che ascoltava, concentrato, seguendo i movimenti dolci delle labbra di Blaine, guardando le sue mani che prendevano vita, i suoi occhi che si illuminavano; venne a conoscenza di tutti i pensieri di Blaine prima e dopo la morte di Helen, delle sue reazioni, del suo dolore. Della colpa che si attribuiva ogni giorno.

-Blaine.- sussurrò infine Sebastian, poco abile nel consolare la gente. -Non puoi davvero pensare che sia colpa tua.- gli prese la mano, di scatto, senza pensarci, e la strinse tra le sue. Era morbida e liscia, poteva sentire i polpastrelli più duri dove erano abituati a pizzicare le corde della chitarra; i loro occhi si incontrarono e Blaine sussultò, si accorse dove si trovava e con chi. Alzandosi di scatto e balbettando qualche parola si allontanò, rintana dosi in bagno.

Mentre Sebastian fissava il punto esatto in cui Blaine era scomparso, la tasca dei suoi pantaloni suonò l'ultima canzone di Passenger. -Pronto?- rispose in automatico.

-Sebastian? Sono Rachel. Come sta andando? Sei riuscito a farlo uscire di casa? Ha conosciuto qualche avvenente ragazzo?- la voce squillante di Rachel spezzò l'incantesimo che si era creato.

-Ci sto lavorando.- e senza aggiungere altro, chiuse la chiamata.








Dunque, eccoci qui!
È l'una di notte, al piano di sopra qualche bambino non meglio identificato piange e io sono costretta a pubblicare dal mio iphone, perché qualsiasi altro aggeggio tecnologico è bandito quassù in montagna.
Che posso dire, mi spiace per l'html che forse non è dei meglio riusciti (in ogni caso non sono mai stata capace). Questa storia è rimasta lì per un anno esatto e adesso mi sono decisa a rispolverarla e pubblicarla.
Il secondo e ultimo capitolo arriverà al più presto!
Nel frattempo aspetto le vostre recensioni e vi saluto augurandovi di cuore buone feste.

Baci baci e tante caramelle,

Forge
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: Forge