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Autore: Laran    30/12/2014    12 recensioni
[...] A centoventuno in effetti, Beth si era voltata ed aveva posato gli occhi su Daryl, perdendosi nella linea del suo profilo duro e dei suoi occhi fissi sul cielo. L'aveva visto per la prima volta.
Centoventuno, ed aveva espresso tanti di quei desideri da poter riempire il mondo intero.
...
A Beth mancavano le stelle, ma più di ogni altra cosa, le mancava Daryl.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti. Dunque, non potevo scrivere niente. Anche se quella che segue non è un qualcosa che abbia molto senso – più che storia in sé, è meglio parlare di un insieme di flashfic indipendenti che hanno un unico filo conduttore – sono felice lo stesso di contribuire alla memoria di Beth e del pairing Beth/Daryl.
In realtà, ancora prima che morisse Beth, avevo buttato giù sogni e desideri, poi, dopo la puntata che ha frantumato le mie speranze, ho scritto Echi.
Solo oggi ho ripreso in mano queste due cose creando il resto. Non ha molto senso, lo ripeto. Sono solo pensieri alternati di Beth prima che muoia e di Daryl dopo la morte di questa (mi sono presa molte, moltissime libertà).
Spero piaccia, anche solo un pochino!
Buona lettura. Laran.
Ah, dimenticavo! Si accettano recensioni perché io adoro le recensioni, che siano negative o positive!

 
 



 
Sogni e desideri.
 
 


C'era un tempo in cui Beth Greene viveva di sogni e desideri, quando le persone ancora sentivano e non c'era la morte in giro per le strade.

 
Erano i tempi del chiacchiericcio confuso tra i banchi di scuola. Dei tuffi con la sorella Maggie nelle acque del lago vicino e delle corse spensierate, col vento che le accarezzava il viso ed il sole cocente che le batteva sul capo. O ancora, tempi del profumo del caffè che la svegliava la domenica mattina e della voce del padre, che le intimava di alzarsi perché la Parola del Signore era sacra ed era peccato mortale non ascoltarla.
 
C'era un tempo, in effetti, in cui Beth Greene era solo una stupida ragazzina di campagna che agognava fuggire da quell'isolata fattoria e andare a vivere in città – si sarebbe iscritta al college e, magari, avrebbe cantato la sera in qualche pub per mantenersi gli studi.
Quando guardava i campi assolati da dietro alla finestra della sua camera, immaginava poi di incontrare il ragazzo giusto, di fare l'amore per la prima volta sotto le stelle e sentire i battiti rincorrersi ed i cuori sussultare.
 
Ma Beth, in fin dei conti, era anche molto ingenua e non sapeva ancora cosa il destino avesse in serbo per lei.
 
Quando la vita si piegò alla morte e lei e gli altri diventarono solo cibo; quando la speranza soccombette alla paura ed i corpi affamati della madre e del fratello iniziarono a marcire nel buio di un fienile, Beth Greene iniziò a cercare, tra matasse di pensieri confusi, i sogni ed i desideri di quei giorni andati. Si accorse così, che sotto strati ed ancora strati, non era rimasto nulla.  Di quei sogni e desideri solo cenere. Solo frammenti appassiti.
 
Anni più tardi, non riuscì a ricordare bene quel che poi accadde. Tra tanti frammenti, poté solo rammentare il nascere di un pensiero malsano e sbagliato, un pensiero sporco, quello che accompagna i suicidi quando si mettono un cappio al collo o si buttano da un palazzo. Tra il nero della cenere,  poté intravedere solo l'argento della lama di un coltello ed il rosso del sangue sulle lenzuola bianche.
 
Poi la vita di nuovo. La speranza. Una nuova famiglia.

C'era un tempo in cui Beth Greene viveva di sogni e desideri, ma poi le persone non sentirono più e la morte andò in giro per le strade.
 
Diventò donna nel pulito quasi asettico di quel dannato ospedale.
 
 
 

 
                   Echi.
 

Era così.
Nel sogno c'era un cielo azzurro e limpido che non aveva fine, e c'era il lago con la superficie verde che il vento fendeva creando mille increspature.
Beth era seduta a riva con le gambe bianche a mollo nell'acqua, canticchiando una melodia che lui non conosceva. Lì, in quel sogno, indossava un vestito bianco da cui trasparivano il seno piccolo ed acerbo e la linea dei suoi fianchi stretti, e, sul capo, fiori rossi, che creavano contrasto con i capelli biondi e lunghi che arrivavano in vita. E rideva, rideva, rideva.

Era così. E c'era la pace in quel sogno – non la loro guerra – ed era bello, tutto così bello, che a Daryl quasi veniva da ridere e piangere insieme.

Poi, la terra tremava ed il cielo si scuriva e Beth si tuffava nel lago, allontanandosi sino a scomparire sotto la superficie nera dell'acqua. Non risaliva. E Daryl non poteva far altro che urlare, urlare, non riuscendo a muoversi.


Si svegliava di soprassalto sul pavimento sudicio e fatiscente su cui si era addormentato, rimanendo desto ore ed ore perché non riusciva a prender sonno: stavano gli echi di quello sparo a fargli compagnia, prosciugandolo e mozzandogli il respiro.

Era così, e quando quegli echi cessavano, era già un nuovo giorno.
 
 
 


Centoventuno.
 
 
A Beth mancavano le stelle. L'ultima volta che le aveva viste era sdraiata su un telone di plastica blu srotolato sulla terra brulla, con la pancia vuota che gorgogliava ed una voragine in petto. C'erano l'intenso odore di muschio che le pizzicava il naso ed il freddo che permeava l'aria. E c'era Daryl. E anche Daryl guardava le stelle.

Quando Beth si soffermava su quel ricordo un po' sbiadito, le pareva di sentire, nel silenzio vuoto dell'ospedale, il respiro un po' pesante dell'uomo ed il rumore della sigaretta che tra le sue dita ruvide e sporche si consumava lenta.

Quella era stata la volta in cui aveva provato a contare le stelle: erano stati così tanti i pensieri aventi affollato la sua testa, che aveva preferito solo perdersi nella volta sopra di lei.
Beth ricordava che arrivata a novantasei, aveva visto una stella screziare il cielo. Novantasei, ed il suo pensiero era volato al papà morto ed alla sorella Maggie, lontana chissà dove.

Beth lo ricordava, così come ricordava che a centoventuno ne aveva vista un'altra. Inarrestabile. Inavvicinabile.
 A centoventuno in effetti, Beth si era voltata ed aveva posato gli occhi su Daryl, perdendosi  nella linea del suo profilo duro e dei suoi occhi fissi sul cielo. L'aveva visto per la prima volta. Centoventuno, ed aveva espresso tanti di quei desideri da poter riempire il mondo intero.
 
A Beth mancavano le stelle, ma più di ogni altra cosa, le mancava Daryl.
 
 
 
 

Buchi neri.
 

All'inizio, non ci fu altro che il tempo per il dolore.
 
Daryl al suono di quello sparo, poté sentire solamente la terra franare sotto ai piedi e, dopo, la terribile ed angosciante caduta nel vuoto.
 
Daryl non era mai stato un bravo studente. Se solo avesse portato a casa un buon voto, Merle l'avrebbe preso in giro tutto il tempo, ed inoltre, i buoni voti non aiutavano con le frustate di un padre ubriaco. I suoi anni di scuola superiore trascorsero tra fughe, risse ed vagabondaggi con suo fratello, rubando macchine e fumando erba sulle scalinate decadenti delle palazzine popolari. Ciò nonostante, quando a casa non c'era nessuno ed il rischio di Merle che piombasse in salotto non esisteva, accendeva la televisione e guardava di nascosto i servizi di scienze che facevano ogni lunedì sera.

 Non era mai stato un bravo studente, ma Daryl era sempre stato un tipo curioso.

Ricordava bene un video sull'universo e sui buchi neri. Ecco, se c'era una cosa che aveva impressionato Daryl tra tutte quelle cazzate, erano stati proprio i buchi neri: regioni nello spazio con un campo gravitazionale così forte ed intenso che nulla al suo interno poteva sfuggire ed uscire fuori.
Quando la testa di Beth fu trapassata da un proiettile, solo questo pensò. Buchi neri. Adesso capiva cosa significasse cadere nel vuoto e di come il vuoto potesse inghiottirti, non facendoti trovare una via di fuga.
 
Dunque, all'inizio, non ci fu altro che il tempo per il dolore, ma dopo il dolore, non ci fu che il tempo per il rimpianto.
 
Daryl avrebbe voluto dirle tante cose. Avrebbe voluto fare tante cose tipo... proteggerla, ecco, perché Beth era cosa preziosa e bella; era come quei fiori rari e luminosi che crescono nel cemento trovando spazio nella bruttura del mondo. Beth era anche cosa pura e intonsa e lui non l'aveva protetta. Si ripeteva che non l'aveva protetta, ed il senso di colpa non dava tregua agli assassini come lui.
 
All'inizio, non ci fu altro che il tempo per il dolore e per il rimpianto, ma quando questi andarono ad affievolirsi un po', fu solo il tempo dell'odio.
 
Daryl iniziò ad odiare con tutto se stesso Beth.

Daryl odiava Beth e forse anche Beth aveva odiato Daryl e gli altri, perché non c'erano spiegazioni per quell'atto sconsiderato.
 
Daryl odiava Beth, ed avrebbe voluto urlarle addosso tutta la frustrazione ed il suo dolore, rimproverarla, magari anche schiaffeggiarla. Solo che non l'avrebbe mai potuto fare, e, quindi, la odiava – sul serio – la odiava.

Era stata egoista e malvagia come una goccia d'acqua sulla lingua di un assetato nei giorni di siccità, una briciola di pane nella bocca di un affamato nei giorni di carestia.
 
Beth era stata troppo ed allo stesso tempo, troppo poco.
  
 
 
 
L'ultimo rimpianto.
 
 
Beth quella notte avrebbe voluto accendere tante candele per quanti erano stati i morti: una candela per la mamma, una candela per Jim, per Otis, per Hershel, per Lori, per Andrea... erano così tanti i suoi morti che a volte le risultava difficile elencarli tutti.
Avrebbe voluto piangere per loro, ma il pensiero dei vivi che affollavano la sua testa ed il pensiero di Carol che giaceva sul letto nella stanza accanto, non davano tempo alla memoria di coloro che non ce l'avevano fatta.
 
Se c'era una cosa che aveva imparato nei suoi giorni di prigionia, era che il tempo del pianto non esisteva più, ed i sopravvissuti come lei non potevano permettersi il lusso di sognare o sperare troppo.
 
In realtà, Beth non si permetteva nemmeno più il lusso di sperare poco.
 
Dawn non capiva che mai nessuno sarebbe arrivato per cambiare la situazione; che il mondo non sarebbe più tornato allo splendore di una volta. Quella lordura non sarebbe mai finita e non avrebbe dato adito ai sogni della gente.
Beth lo sapeva, perché era stata sognatrice una volta, ed aveva piantato tanti di quei semi di desideri da non riuscire più a tenerne il conto.
Aveva desiderato che lei e la sua famiglia avessero sempre un tetto sulla testa, perché sapeva cosa significasse vivere senza un letto sicuro su cui poggiare il capo. Aveva desiderato che suo padre morisse in pace, ma non c'era stata pace nel colpo di spada del Governatore, ed ancora, di non restare mai sola, eppure in quell'ospedale si era sentita così sola da non trovare quasi più il respiro.
Nei suoi ultimi giorni di luce e libertà poi, col cadere di una stella, aveva espresso cose che nemmeno con la fantasia più fervida avrebbe potuto esprimere quando era stata una semplice ragazza di campagna.
 
Ma quei semi di desideri non avevano mai trovato il luogo ed il tempo per germogliare e, molto probabilmente, non l'avrebbero trovato mai...
 
Nell'ultima notte della sua vita, Beth si alzò dal letto e si avvicinò alla finestra della sua stanza, si sedette sul davanzale e poggiò la testa contro il vetro.
Fuori, la notte aveva mascherato l'orrore della città e non c'era altro che l'enorme nero che non dava tregua. Anche la luna non faceva capolino tra le nuvole, quasi a volersi nascondere perché troppo bella per un mondo dimenticato da Dio.
 
Beth, quella notte, avrebbe voluto pregare, ma aveva imparato che anche il tempo delle preghiere era finito, perché queste portavano speranza, e la speranza poteva far vivere la gente, ma allo stesso tempo, poteva anche ucciderla. Le speranze infrante erano peggio di coltellate inflitte al petto e Beth era  già fin troppo satura di ferite. Dopotutto, oltre ad esser stata sognatrice, era stata tanto speranzosa un tempo.
 
Solo perdendo i sogni e le speranze, era riuscita a diventare forte abbastanza da andare avanti e resistere ancora.
Non ci credeva.
Non aveva mai creduto, in realtà, potesse esserci un posto per un'inutile come lei in quel mondo; che pur non essendo Carol, Michonne o Maggie, si era guadagnata il diritto di sopravvivere.
 
Nonostante questo, però, Beth era sempre stata consapevole di quanto alla morte piacesse nascondersi dietro l'angolo per piombarti addosso all'improvviso. Non era più una stupida ed ingenua ragazzina e sapeva che prima o poi sarebbe toccata a lei. Davvero, lo sapeva.
 
Quando quest'idea le baluginava in testa, non aveva paura. Forse, ad essere sinceri, alla prospettiva della morte aveva solo rimpianti, ma era normale per qualcuno che fosse stato orfano della possibilità di fare tante cose nella sua breve vita.

Ad esempio, sarebbe voluta andare al ballo di fine anno indossando un vestito rosso come era stato rosso il vestito della mamma, fare il gioco io non ho mai con i suoi amici di classe e marinare la scuola.
Avrebbe voluto seppellire il padre piantando sul cumulo di terra un fiore, toccare il futuro figlio di Maggie e Glenn e cullarlo tutta la notte.

Stringere a sé Judith con la fragranza di innocenza e latte ad avvolgerla; mangiare barrette di cioccolato con Carl ed indossare per la seconda volta il cappello da sceriffo di Rick.
 

...Avrebbe voluto rivedere Daryl, con lo sguardo perso nel cielo. Udire il suo respiro un po' pesante nel silenzio della notte.
Poggiare per la seconda volta il viso sulla sua schiena e respirare l'odore della sua pelle. Sudore, fumo, terra, casa. Tutto.
 
Poter rispondere a quel "lo sai" che Daryl le sussurrò negli ultimi minuti dei suoi ultimi giorni di gloria.

Fra tutte, questa era la cosa che, forse, avrebbe rimpianto di più.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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