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Autore: Melian    31/12/2014    8 recensioni
"La voce di Vera lo percosse come un piacevolissimo e letale brivido lungo la schiena.
Boldini non riuscì a parlare, l'estro del pittore – in quel momento supremo – aveva preso il sopravvento: la osservava come se fosse stata una ninfa, o come se lui stesso fosse stato un cavaliere davanti alla sua dama, musa, padrona, dea."
[Seconda classificata e vicintrice del premio "Back it up" per l'atmosfera al contest "Parla di noi donne, ma come un pittore", indetto da da pearlwaterfall e giudicato da Chloe R Pendragon sul forum di EFP]
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento, Il Novecento
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DIVA FATALE

 

 

«Devo averla.»
Giovanni Boldini rimase poggiato, le mani frementi, contro il parapetto del balconcino da cui, con una perfetta visuale, seguiva la vicenda che si svolgeva sul palco, tra le variopinte scenografie e i gesti enfatici degli attori avvolti in sontuosi costumi.
L'intero teatro dell'Opéra era avvolto nella piacevole penombra che accompagnava sempre la messa in scena degli spettacoli, ma rendeva informe il mare brulicante di spettatori laggiù, nella platea.
Eppure, gli occhi del pittore erano fermi sul palcoscenico, dove aveva preso vita l'opera di Leroux, l'Astartè, e dove si muoveva, signora della scena e con la grazia disinvolta di una donna conscia della propria bellezza, un'attrice alta e sinuosa, con le labbra rosse che risaltavano sul viso truccato e finemente incipriato.
Boldini era rimasto a mezza via tra la sedia, dorata e laccata di velluto rosso, e lo stare in piedi: piegato e teso in avanti, aveva abbozzato il sorriso incredibilmente eccitato.
«Chi è?»
Goupil, un uomo corpulento con le mani conserte sul suo panciotto e i baffi curati, lo guardò di sottecchi, senza risparmiarsi una bassissima risata di compiacimento.
«Ti avevo detto che era bella. Questa è la sua esibizione migliore, devo dire. Ha avuto piccole parti in altre opere, niente di che...»
«Sì, ma come si chiama?» insistette Boldini, ricadendo pesantemente sullo scranno, come un vinto, un guerriero appena capitolato in una battaglia.
Nei suoi occhi, c'era lo stesso scintillio di brama per cui Goupil aveva deciso di investire su di lui e la sua arte.
«Vera De Nemidoff.»
Boldini prese una sigaretta da un cofanetto laccato nella tasca interna della sua giacca e se la rigirò tra le dita, turbato. «Sì, devo averla.»

«Mademoiselle De Nemidoff, è un onore ricevervi nel mio modesto studio.»
Giovanni Boldini fece strada alla giovane donna attraverso l'anticamera del suo appartamento di place Pigalle, un ambiente caldo ricoperto di pannelli di legno scuro e stucchi in pieno stile barocco. Su una parete, c'era un ampio specchio imprigionato in una cornice color bronzo e – qua e là – lampade ad olio che rischiaravano il breve corridoio.
L'attrice mise piede nello studio con passo svagato, noncurante. Si sfilò la pelliccia, lasciandola scivolare lungo le spalle con un morbido gesto delle braccia, il movimento lento e sapiente di una seduttrice, mentre – con un sorriso disarmante – rispondeva al suo ospite con un voce bassa e calda: «Credetemi, monsieur Boldini, è stato un vero piacere farvi visita. Non avrei potuto dire di no, dopo il meraviglioso dono che mi avete inviato: splendide rose rosse, davvero. Tutte le mie colleghe ne sono state gelose.»
«Ho assistito alla prima dell'Astartè e ho voluto farvi sapere quanto io sia il vostro...», Boldini si chinò davanti alla ragazza e le tese la mano, offrendosi in un galante baciamano quando Vera gli concesse la sua mano inguantata, «Più devoto ammiratore.»
«Della mia arte o della mia bellezza?» chiese subito Vera con un accenno di disinibito acume e un sorriso ancor più ampio, sapido di una furbizia maliziosa. Ritrasse la mano e si sfilò i lunghi guanti di seta senza fretta.
«Entrambe.» confessò Boldini, divertito.
Le fece cenno di accomodarsi su una delle poltrone che impreziosivano lo studio, ampio e luminoso, dove regnava sovrana la presenza di diversi cavalletti e tele immacolate delle più disparate dimensioni; qua e là – sotto sottili teli di lino – si poteva persino intuire la presenza di qualche quadro ancora in corso. L'odore delle tempere, degli stucchi, persino della miscela per pulire le setole dei pennelli, impregnava l'aria e si mesceva a quella dei fiori poggiati sul tavolino apparecchiato con l'occorrente per il tè. Il fuoco di un camino caracollava gentile, riscaldando la sala.
Vera De Nemidoff, però, rimase in piedi. Si imponeva contro lo sfondo delle pareti come una improvvisa pennellata di colore bianco: aveva la pelle candida, pura come una porcellana giapponese.
Nel gesto discinto e leggerissimo con cui tratteneva la stola che scivolava sul pavimento, Boldini scoprì l'attrazione che provava per lei, fortissima. L'artista non riusciva a non guardarla con avidità e, in ogni sguardo, scopriva un nuovo particolare che ne catturava attenzione e ne torturava la fantasia: l'elaborata acconciatura che tratteneva i suoi capelli scuri e, tuttavia, aveva l'indubbio pregio di esaltarne i lineamenti, il collo sottile, l'audace scollatura che bandiva la volgarità per accogliere la femminilità divina, la linea perfetta delle spalle scoperte. Il vestito nero, adorabile e in perfetto stile bohémien, le fasciava perfettamente la sinuosa silhouette con le sue trasparenze e le soffici piume.
Boldini rimase a fissarla con la luce proiettata dal camino alle proprie spalle e la mano tesa, come folgorato.
«Mosieur
La voce di Vera lo percosse come un piacevolissimo e letale brivido lungo la schiena.
Boldini non riuscì a parlare, l'estro del pittore – in quel momento supremo – aveva preso il sopravvento: la osservava come se fosse stata una ninfa, o come se lui stesso fosse stato un cavaliere davanti alla sua dama, musa, padrona, dea.
«Vi prego, mademoiselle, non muovetevi. Voglio ritrarvi così.»
Annunciò il pittore con un soffio di voce, mentre – muovendosi in punta di piedi, timoroso di rompere l'idillio in cui era scivolato e in cui indugiava con evidente godimento intimo – si circondava dei suoi colori, della tavolozza, dei pennelli e della tela.
Vera rimase ad osservarlo, rapita, prima di piegare lievemente il capo di lato e sollevare la mano sinistra in un movimento aggraziato: le dita affusolare rimasero ferme a dispensare un cenno accomodante, mentre il sottile gioiello che le ornava il braccio mandò un riflesso improvviso.
Giovanni Boldini l'avrebbe ritratta così: bella e giovane, una donna volitiva e fiera, ammantata del fascino delle creature seducenti e forti, del languore enigmatico che la accompagnava come un velo e il sorriso distante ed etereo di una sfinge.
Vera possedeva l'eleganza disinibita di una donna che conosce l'indipendenza del cuore e della mente e governa se stessa senza costrizione alcuna, libera: un'autentica diva fatale.





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Note dell'autrice

Questa storia è stata scritta per il contest: “Parla di noi donne, ma come un pittore”, indetto da pearlwaterfall (emsugar su EFP) sul forum di EFP.
Il contest richiedeva di scrivere una storia che avesse come protagonista una donna ritratta in uno dei dipinti-prompt. La mia scelta è ricaduta sul “Ritratto di Mademoiselle De Nemidoff” di Giovanni Boldini.

Alla fine, ho scelto di creare una breve one-shot che avesse come protagonisti il pittore e la sua musa e dove risaltasse la personalità magnetica di Vera che si impone su Boldini, il desiderio stesso del pittore, il suo estro. Insomma, ho provato a dare una mia versione sul come sarebbe nato questo splendido e poetico ritratto, sullo sfondo della Parigi bohèmien.
Ho cercato di documentarmi almeno un po', quindi, sul periodo storico, ma anche sulla vita di Boldini e di Vera. E' stato un po' difficile trovare delle informazioni sulla seconda, mentre su Boldini ho romanzato un po', tenendo però fede alle notizie che – all'epoca della realizzazione del dipinto – lo volevano a Parigi, a contatto con gli ambienti artistici dell'Opéra.
Goupil, infatti, da che ho letto, era davvero il mercante d'arte con cui lui fece affari, uno dei più importanti dell'epoca.
Ho citato place Pigalle come indirizzo dello studio per lo stesso motivo: ho letto che Boldini aveva aperto uno studio all' avenue Frochol e poi in quella piazza.

Questa storia non ha nessuna pretesa, ma l'ho scritta di getto, assecondando un po' una vena dannunziana, fatta più che altro di bellezza, di sensi, di passioni, perché è questo che mi suscita il dipinto di Boldini e, in generale, la sua pittura.



Melian

   
 
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