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Autore: hiccup    31/12/2014    1 recensioni
“Anno nuovo, vita nuova, giusto?”
“Speriamo siano trecentosessantacinque giorni unici, emozionanti, miei. Non chiedo altro”
“Si inizia oggi; con questo sole aranciato e con questo sguardo stanco, ereditato dal passato.”
[365 poesie per 365 giorni]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Note:

Questa volta le note le scrivo prima della poesia perché è lunga quasi mille parole e forse molti di voi si stancheranno prima o verrà loro l’emicrania e quindi usciranno e probabilmente abbandoneranno tutto nel dimenticatoio – quindi a scanso di equivoci e per sicurezza le metto prima.
Alla fine siamo arrivati anche alla fine della raccolta e, non so da che parte cominciare ad essere sincera: vorrei dire tante, troppe, cose e non credo di essere in grado di dirne nemmeno la metà in modo coerente o sensato. È stato un percorso lungo un anno, lungo trecentosessantacinque giorni che mi ha portato a scrivere trecentosessantasei poesie e ancora non ci credo e non riesco a capacitarmene perché è un numero immenso e io sono una persona minuscola; è stata una raccolta sudata, sofferta e mi sono ritrovata a scrivere in tutti i momenti, i luoghi e le occasioni immaginabili; ho scritto prima di andare a dormire, appena sveglia, nel bel mezzo di uno studio più o meno disperato, nei momenti vuoti del campo scout, ho scritto col sorriso stampato in volto e ho scritto anche con le lacrime che gocciolavano in modo molto poco dignitoso sulla tastiera o sui fogli; mi ha stremato questa raccolta – e non mi vergogno ad ammetterlo: pensare di scrivere una poesia ogni giorno cercando di migliorarmi un pochino ogni giorno che passava, cercando di non suonare ripetitiva e ridondante, cercare di scrivere sempre qualcosa che fosse non solo mio, ma che potesse essere condiviso anche da altre persone mi ha buttato addosso un bel po’ di aspettative e di responsabilità nei confronti della mia vita stessa durante quest’anno.
Soggettivamente sono stati trecentosessantacinque giorni densi e ricchi di qualsiasi tipo di emozione e di esperienza e mi rendo conto di non essere sempre riuscita ad esprimermi al meglio o al massimo delle mie capacità; tuttavia vi assicuro di aver fatto sempre del mio meglio e, almeno per una volta, posso dire di aver concluso qualcosa, di aver concluso un progetto che a molti potrà sembrare banale (e probabilmente suoneranno banali persino queste parole), ma per me è un grande traguardo; un capolinea importante: ho imparato tanto, ho sbagliato, ho trovato uno stile nuovo e più personale, ho faticato a portarla a termine, questa raccolta, ho superato alcuni mesi nei quali non riuscivo a scrivere nemmeno un riga e preferivo lasciare passare le giornate trovandomi successivamente con una mole di poesie arretrate tale da soffocarmi giusto un po’. Ma alla fine sono arrivata fino a qui e sono contenta di quello che ho fatto; ho qualche rimorso perché non sono mai contenta del mio lavoro, ma ci sarà tempo per rivederla e sistemarla e migliorarla – nel frattempo ci tenevo a sottolineare che questa raccolta non sarebbe mai arrivata fino a qui, fino ad oggi, se non fosse stato per tutte le splendide persone che l’hanno seguita più o meno costantemente e recensita con parole di supporto e di critica costruttiva – non vi elenco tutti quanti perché siete davvero in troppi e finirei per dimenticarmi qualcuno e non voglio avere sulla coscienza nessuno – grazie davvero di cuore a chi ha seguito la raccolta dall’inizio e chi no; siete tutti preziosi e speciali e senza di voi non l’avrei mai portata a termine.
Com’è d’abitudine mi sento in dovere di ringraziare sempre le solite tre persone che ho ringraziato diverse volte durante tutto l’anno: grazie ad Anna che, anche se non leggerà mai, mi ha scosso più e più volte credendo più lei di me in tutti i miei sogni, che ieri mi ha trascinato in biblioteca solamente per farmi vedere il suo nuovo anellino stupendo – nonostante le fosse larghissimo e, quindi, abbia rischiato di perderlo una decina di volte; grazie a K per tutte le seratine e pomeriggi allegramente andanti trascorsi tra una battuta più squallida dell’altra e un tè-o-un-caffè-o-una-vellutata, per gli abbracci, per la comprensione e semplicemente per esserci sempre stato nei momenti un po’ grigi e un po’ bui – e per essersi sempre interessato a questa raccolta, per gli innumerevoli cogliona e per gli spunti costanti – poetici e non; grazie ad Ale – at last but not at leastperché, nonostante il disagio dilagante che permane ancora dopo un bel po’ di anni tra di noi, è la mia persona pregnante e plumbea e assolutamente vivida, ed è diventata una costante importante oltre ogni dire, perché mi scrive storie stupende e perché l’idea dalla quale partire per scrivere quest’ultima poesia in un certo senso me l’ha data lei.
Senza queste persone non stareste qui a leggere – se siete arrivati fin qui ovviamente – la fine della raccolta. Non nascondo di pensare che quest’ultima poesia sia potenzialmente la poesia più bella e più brutta che abbia mai scritto; deluderà molti di voi, quasi sicuramente, e alcuni l’ameranno e altri l’odieranno, ma ho cercato di metterci tutta me stessa per scriverla e per chiudere dignitosamente questo percorso. Spero comunque che vi piaccia almeno un pochino.
E metterci la parola fine fa incredibilmente male, davvero: ho pensato più e più volte al finale e non ho avuto l’occasione di scrivere il capitolo finale come mi ero immaginata e con chi avrei voluto, ma sono contenta lo stesso - l’importante è quello che rimane impresso sulla pagina, no? E sì, mi piange il cuore a pensare di averla finita, ma continuerò a scrivere, magari mi prenderò una pausa dal pubblicare, ma continuerò a scrivere e prima o poi tornerò in questa sezione.
Chiudo qui con le note perché altrimenti finisco per commuovermi e diventare melensa; un grazie immenso di nuovo a tutti quanti, grazie per il supporto e per avermi accompagnato fino a qui.
Vi auguro di passare delle Buone Feste e di concludere l’anno con le persone a cui volete bene e che amate – e che sia un nuovo anno ancora più bello,
 
un abbraccio grande,
Giulia
 
 
 








 

Trentun dicembre: girasoli invernali.
 
 

Se i girasoli invernali esistessero
si coglierebbero con dita intirizzite
e intorpidite dal freddo, accogliendoli
nei palmi delicati e tiepidi;
se i girasoli invernali esistessero
si sottrarrebbero placidamente, ma
con gesti fermi e sicuri, dalla neve,
pregando con piccoli soffi silenziosi
i cristalli di ghiaccio di andarsene dalle
corolle, dai petali, dai pistilli;
se i girasoli invernali esistessero
alcune persone sarebbero felici
di coglierli, di regalarli, di vezzeggiarli
durante tutto l’anno – estate ed inverno.
Se i girasoli invernali esistessero
non ci sarebbe più nemmeno bisogno
di sognare le stelle in notti troppo fredde
e troppo abbandonate da Dio e dalle Ore.
 

Il mondo intero forse potrebbe sentirsi un po’ meno solo;
io potrei sentirmi un po’ meno sola forse e forse riuscirei
anche a sopportare, a tollerare, l’inesorabile scorrere
del tempo e dei giorni e delle stagioni e delle persone;
forse troverei un modo per ritrovare una volta per tutte la
mia voce e forse sarei in grado di tenerla stretta stretta al
petto - come i bambini stringono a sé un cucciolo per
timore che scappi, che li lasci. Ma se i girasoli invernali
esistessero davvero forse non sarei qui a scrivere:
chi scrive quando è felice? chiede qualcuno.
 

Si scrive quando si è tristi e si scrive anche quando
non si trova uno giusto sfogo, una catarsi abbastanza forte
a quella marea inesorabile di parole che s’infrange e s’infrange
di nuovo contro le tempie debole e convulse - ma l’intero
animo si trova a rabbrividire in uno stato di febbricitante
confusione esistenziale: ci si domanda chi sono cosa voglio
dove sono perché faccio questo e non faccio quello vorrei
forse farla quest’altra cosa sono rimorsi questi dovrei dire
quello che penso o cancellarlo dalla memoria ho fatto bene
a fare così ho preso le decisioni giuste ci sarà mai una fine
ci sarà mai anche un nuovo inizio migliore ci sarà mai?
 

Si scrive quando l’alba è troppo accecante per essere guardata
negli occhi con sguardo chiaro ed insonne – ci si porta dietro
tutti gli incubi della notte quando sorge l’alba, sapete? – e
quando più nemmeno l’aroma forte del caffè riesce a scuotere con
rabbia i sogni più dolci ed intorpiditi; si scrive quando le cose
non vanno come sarebbero dovute andare e quando le parole
feriscono più di una pugnalata al cuore e quando improvvisamente
ti sorprendi di quanto sangue riesce a scorrere veloce, velocissimo, sulla
pagina nonostante non esista alcun pugnale reale - ed esce
a fiotti, sai? Esce dalle incisioni slabbrate lasciate da parole sfumate
ed eppure così definite; esce, esce, e non lo si ferma più – e quindi
che fare se non riversarlo tutto quanto su un foglio poroso, bianco,
immacolato?
 

(Finisci per imbrattare pure quel bianco – e un po’
vorresti sentirti un foglio bianco anche tu – ma l’inchiostro
purpureo dilaga e tu non puoi nulla. Finisci per sentirti sporca anche tu.)
 

Si scrive persino quando la follia e l’odio ti smantella tassello
per tassello e riesce a suggerti la determinazione e la gracile sicurezza
alla quale ti aggrappi con le nocche biancastre e sguardo disperato;
si scrive quando la pioggia scroscia sulla fronte, tra i vestiti e la carne;
si scrive quando la neve ed il freddo martoriano i sentimenti e le emozioni.
 
 
Ma non esistono i girasoli invernali e sì, devi riuscire a realizzarlo,
a metabolizzarlo e a superare anche questa; puoi farcela perché ti
dico che, nonostante non esistano i girasoli invernali nella noiosa realtà
universale, essi non racchiudono certo i piccoli segreti della felicità –
altrimenti non sarebbe forse troppo semplice?
 

La felicità non può rimanere rinchiusa in un singolo fiore, in un mucchio di petali:
è effimera, anche troppo effimera certe volte: un secondo prima c’è ed un battito
dopo si è volatilizzata –
 

Nonostante tutto questo si prende nuovamente in mano quella carta
immacolata e, invece di sporcarla di sangue e lacrime, la si decora
con i timidi sorrisi che spontanei sorgono sulle labbra tumide;
con il calore degli abbracci, con parole che questa volta non feriscono,
ma ti stringono le mani e le riscaldano, con parole che finiscono per
essere più dolci del miele denso, con parole che non sai come e non
sai nemmeno il perché ti tolgono tutto il fiato dai polmoni e ti spingono
in un baratro – qui,, però il cadere è suadente e perfetto e assolutamente
piacevole; si scrive anche quando il cuore corre, corre, e non si ferma
mai; si scrive anche quando la famiglia torna ad esserci ad esistere e
per un attimo, per un solo e singolo istante, riesci a tornare bambina e
ad afferrare quella semplicità e quella serenità che brami con tutta te stessa
ancora adesso che non credi più nelle favole e la notte è più oscura;
si scrive anche quando le persone ti stupiscono e, non ne capisci ancora
una volta il motivo, non vuoi fare altro che abbracciarle e baciarle
e dir loro quanti ti voglio bene ti passano per l’anticamera della mente.
Scrivi e scrivi e scrivi e finisci per vivere profondamente e perderti insieme.
 

Siamo quasi all’atto finale e per l’ennesima volta non so se sarò in grado
di vedere davvero con coraggio il sipario chiudersi e di godermi quello
scroscio d’applausi o anche di sopportare le urla di rifiuto e di delusione;
però so che posso contare bene sulle dita, che posso leggere sulla pelle chiara,
che posso vedere nelle iridi umide e lucide, tutte le cose belle e i fallimenti
e gli ostacoli nei quali ho incespicato con qualche singhiozzo e singulto;
posso solo ricordare tutti i gesti, tutte le date, tutti i volti, tutte le parole;
a dirla tutta forse riesco davvero solamente a ricordarmi le cose inutili e
a collezionare le cose più importanti – e prima o poi vacillerà anche la
memoria, il cassetto della mente dove tutto questo verrà riposto con
amorevole cura estrema verrà violentato e corroso; persino le carte e le lettere
finiranno in un mucchietto di cenere – ma domani sorgerà un nuovo sole
e la notte tornerà ad essere punteggiata da splendide stelle meravigliose
dalle mani nodose di un pittore dimenticato troppo presto; magari
tutto sarà così semplice e così maestoso insieme che non si dovranno
più trattenere i sorrisi e i sogni e i sospiri – e forse le parole risulteranno
fondamentali o forse anche no; tutto tornerà come prima, come ieri, come
oggi e come domani: ed in lontananza si udirà unicamente l’impetuoso
e l’indomabile scrosciare delle onde su un bagnasciuga cristallizzato di ricordi.
 


 
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