Videogiochi > Danganronpa
Ricorda la storia  |      
Autore: Walpurgisnacht    31/12/2014    1 recensioni
Diretto sequel di Stessa Storia, Stesso Posto, Stesso Bar... ehm, Stessa Accademia.
-
L'incubo della Kibougamine è finito. E qualcuno, invero pochi, si ritrova a dover raccogliere i cocci.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aoi Asahina, Byakuya Togami, Sakura Oogami
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Mondo Oowada, Dominatore dell'Universo'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

People dying
for no reason at all
age is no difference
or if you're large or small


Attendo che Asahina e Oogami siano uscite, metto il naso dentro un’ultima volta per salutare la dottoressa Fujimoto e faccio per chiudere la porta.
“Mi raccomando Byakuya-chan, tu e le tue amiche dovete tornare la settimana prossima. La terapia è importante e...”.
Sbatto senza creanza. Se non fosse che è la mia analista da quando ho sette anni, adesso starei meditando un modo per farle togliere la licenza e buttarla in mezzo alla strada.
Nessuno può chiamarmi Byakuya-chan di fronte a terzi.
Mi volto verso quelle due, aspettandomi di vederle divertite... e invece sono maschere di cera.
Illuso. Come pretendevo che una simile bazzecola potesse cancellare tutto quello che ci è successo?
 
“Vedete, ci tocca annunciarvi che purtroppo si è consumata una terribile tragedia...”.
“Che cos’è successo, che cos’è successo!”.
Intervengo con una figurata spallata: “Niente che al momento vi riguardi, avvoltoi. Aspettatevi un comunicato stampa della Togami Zaibatsu in merito. E segnatevi queste mie parole: se vengo a sapere che voi iene avete avuto la brillante idea di andare ad assediare una di queste due ragazze sotto casa per estirpar loro informazioni... vi consiglio di ingoiare il vostro tesserino da giornalisti intero, che tanto diventerà carta straccia. Lascio alla vostra immaginazione le conseguenze di venire a disturbare me. Andiamo”.
Mi sento molto come quel profeta ebreo che stando alla tradizione avrebbe aperto le acque del Mar Rosso per portare il suo popolo alla Terra Promessa, perché dove passo la folla di gente che ci circonda si scosta per farci strada. Dietro di noi si sentono rumori di qualcuno, presumo poliziotti, che fa irruzione nella scuola.
Uh, è vero. Ho una cosa da fare. Gliela devo.
Mi rivolgo alle mie compagne e intimo loro di proseguire, che io devo tornare dentro.
“Per far cosa?” chiede Asahina, tremando.
“Non sono affari vostri” rispondo acido, sperando di troncare il discorso.
“Togami...”.
“Quel che sto per dire lascia di sasso me per primo, non credete. Ma fidatevi di me. Ho i miei motivi”.
Mi ci vuole qualche minuto ma alla fine riesco a rassicurarle e a farle smettere di ridire sulla mia scelta.
Rientro nella Kibougamine.
 
“Togami, ti dobbiamo ringraziare. Offrirti di pagare le spese per un intero ciclo di psicoterapia è stato un bel gesto. Non può che farci bene avere qualcuno con cui sfogarci, anche se disposto a farlo solo per la generosa parcella” dice Asahina proprio mentre stiamo salendo sull’ascensore.
“È mio compito, in quanto pilastro della società, assicurarmi che voi proletari rimaniate in condizioni quantomeno accettabili”.
“Davvero?” si intromette Oogami, le braccia conserte “Io pensavo che il tuo compito fosse quello di rimarcare in continuazione come tu, in quanto Togami, non voglia aver nulla da spartire con noi poveri comuni mortali. E invece eccoti qui, dopo che grazie al tuo ammirevole mecenatismo ci siamo assicurate un valido aiuto per superare la sindrome da stress post-traumatico che sicuramente ci farà compagnia per lunghe notti”.
“Lascia stare Sakura-chan, ultimamente ho dormito uno schifo...”.
“È normale, mia piccola Aoi. Abbiamo vissuto due settimane che definire da incubo è riduttivo”.
Beata te che hai dormito, Asahina. Per fortuna il mio fisico non pare soffrire troppo le conseguenze dell’insonnia, almeno per ora.
Ebbene sì, Byakuya Togami non riesce più ad addormentarsi neanche prendendo una dose di barbiturici da mammuth. Fastidi del genere tendono a capitarti quando, su tredici omicidi, hai assistito istante per istante ad almeno cinque di essi.
“Allora, Togami? Perché non mi insulti per le stupidaggini che ho detto su di te?” mi scuote dai miei pensieri Oogami. Adesso sì con un lieve sorriso in volto.
Maledetta montagna di muscoli.
“Ci tenete a sentirmelo dire? Va bene, arrivati a questo punto non ha senso mantenere quella che per la maggior parte è diventata una maschera. Io sono un sopravvissuto di quell’eccidio, esattamente come voi, e non sono stati bravura o lignaggio a consentirmi di essere qui ora a farmi prendere in giro. Si è trattata di pura e semplice fortuna: Oowada ha sparato a Naegi e non a me per uno sfizio, una decisione estemporanea basata sul nulla. Abbiamo rischiato tutti di lasciarci la pelle là dentro. Simili esperienze ti cambiano, e non ho più la forza o la voglia di continuare a tenere in piedi la facciata del Super Erede galattico. Non dopo essermi reso realmente conto di cosa significa morire. Prima mi comportavo come un bambino esaltato dalla visione di Hokuto No Ken che fa finta di far esplodere le cervella dei suoi amichetti. Sono stanco di tutto questo, tanto stanco. E almeno di fronte alle mie compagne di sventura vorrei potermi mostrare debole se così mi sento. Se non altro sono sicuro che voi potete capirmi fino in fondo. Che quanto ho detto non esca da questo ascensore o...”.
GLOMP.
Che diavolo fate voi due? Soprattutto tu, Oogami. Se mi abbracci con tutta questa foga mi stritoli. Però, al contrario di quanto mi aspettassi, non provo repulsione per il repentino contatto.
Lo slancio è tale che quasi mi fanno finire contro la parete, e la cabina ha un leggero sussulto.
“Mi dispiace che si sia dovuti arrivare a una situazione così orribile per metterti un po’ di sale in zucca, ma quel che hai detto mi rende orgogliosa di conoscerti. Ci vuole tantissimo coraggio a mostrarsi nudi e vulnerabili di fronte a ciò che la vita ti scaglia addosso, e tu l’hai appena fatto. Molto più dignitoso e rispettoso di se stessi che ricoprirsi in un’armatura di finta superiorità. Questa esperienza non ti ha solo cambiato, Togami. Ti ha fatto maturare. Anche le sciagure hanno dei lati positivi”.
“Togami-kun! Ci siamo qui noi per aiutarti! Se vuoi posso portare a casa tua una coperta sotto cui rannicchiarci per tenerci al caldo! E tante ciambelle per ingozzarci!”.
...vorrei poter dire che sei gentile, Asahina, ma qualcosa nell’immagine che hai appena evocato me la fa trovare agghiacciante. E poi, per quanto mi piaccia pretendere di riuscire a ignorare certi istinti, io e te sotto una coperta... ecco, diciamo che una specifica parte del mio corpo avrebbe pretese maggiori.
Che volete? Anche impulsi simili ti ricordano che sei ancora vivo. Allo stato attuale persino sentirmi un animale eccitato è meglio di niente.
Finalmente l’ascensore arriva a destinazione. Riesco a scostarle, ignorando con uno certo sforzo le loro risatine.
Uscendo chiedo loro “Adesso cosa volete fare?”.
“Non so. Sakura-chan, tu hai qualche idea?”.
“Pensavo di andare a trovare Kenichiro-san”.
 
Speravo di non mettere più piede in questo posto nefasto.
Su Byakuya, devi farlo.
Inalo il tanfo di morte che stava quasi diventando familiare alle mie narici. Non mi sei mancato in quei cinque minuti di libertà.
Punto in direzione della palestra. Il luogo dove avevamo imbastito il processo a Kirigiri e dove Oowada ha svelato le proprie carte.
Lo trovo già pieno di gente: polizia con i nastri, giornalisti tenuti a bada da qualche solerte tutore dell’ordine... e parenti.
Non ho problemi a ottenere l’accesso. In qualità di superstite mi è dovuto.
I corpi sono così come li avevamo lasciati. Stesse pose, stessi occhi spalancati, stessa disperazione in chi li guarda.
Ho detto che fra gli altri ci sono i parenti perché riconosco Jin Kirigiri, il nostro preside, che osserva ammutolito il cadavere della figlia. E, accasciata su Naegi, c’è quella che penso possa essere... uhm. Ha una sorella, giusto? Una ragazzina dai capelli bruni a caschetto, vestita con una divisa scolastica e intenta a piangere come una fontana. Si sente sin da qui.
Vado da lui.
Gli tocco la spalla e solo al terzo tentativo ottengo la sua attenzione. Quando capisce chi ha davanti mi prende la faccia fra le mani: “Oh kamisama, Byakuya! Sei vivo! Almeno tu sei vivo!”.
...perché non mi togli le tue manacce di dosso, eh?
“Sì preside Kirigiri, sono vivo. E con me Asahina e Oogami”.
Si rabbuia: “S-Solo tre?”.
“Solo tre”.
“Non... non è possibile!” esclama afferrandosi i capelli con un gesto nervoso “Ma, ma... la classe 78 era composta... da sedici alunni...”.
“Già. Siamo vivi in tre. A tal proposito, volevo porgerle le mie condoglianze per Kyouko”.
Sono sincero. Non scoppio di dolore, lo ammetto, ma sono sincero.
Gli faccio cenno di allontanarsi un attimo. Quando siamo più in disparte comincio brevemente a riassumergli quanto è accaduto in questo mattatoio.
“Aspetta aspetta aspetta. Mi stai quindi dicendo che Mondo ha dato fuori di matto perché riteneva mia figlia e Makoto colpevoli dell’incidente di suo fratello Daiya... e voi loro complici?”.
“Questo è quanto mi è stato riferito dallo stesso Naegi. Evidentemente Oowada non ha resistito al cliché del cattivone che deve rivelare il suo piano agli eroi, o qualche scemenza del genere”.
“A me... a me sembrava si fosse ripreso da quella disgrazia...”.
“Sembrava a tutti noi. Nessuno poteva minimamente immaginare qualcosa di simile, non se ne crucci. E ora, se posso permettermi di chiederle una cosa...”.
“D-Dimmi”.
“Durante la nostra permanenza forzata all’interno dell’accademia, fra le varie cose successe Kirigiri... mettiamola così, aveva un ammiratore. Uno degli altri ragazzi si era... preso una cotta per lei, parole sue. Visto che è mancata prima di lui, ha chiesto espressamente di poterle dare una degna cerimonia funebre e una sepoltura onorevole. Vorrei solo assicurarmi che le sue ultime volontà vengano rispettate. Non intendo dubitare in qualche modo di lei, mi premeva solo farglielo presente”.
“Chi era?”.
“Non credo sia il caso di...”.
“Chi era, Byakuya?”.
Uff. Se avessi saputo di tutte queste complicazioni, mi sarei ben guardato dal rientrare.
Indico Naegi.
“Makoto. Makoto si era innamorato di Kyouko?”.
“Non saprei dirle se si trattava solo di un’infatuazione o di qualcosa di più”.
Il discorso si sta facendo spinoso e ho fatto il mio dovere, quindi mi accomiato lasciandolo alle sue questioni.
Sto per andarmene, che a rimanere qui dentro mi manca l’aria. Poi non posso evitarmi di tornare a guardare quella che credo sia la sorella di Naegi.
È un fiume in piena, come facilmente pronosticabile.
...
Sto diventando un mollaccione.
Ritorno sui miei passi e le sono accanto. Non pare essersi accorta di me.
Accovacciandomi metto di nuovo in pratica la tecnica già usata col preside per farmi notare. Alza la faccia, bagnata di lacrime da cima a fondo, e mi squadra con aria interrogativa.
No, non credo che mi conosca così come io non conosco lei.
“Tu sei la sorella di Naegi, per caso?”.
Sulle prime sembra intenzionata a bollarmi come un fastidioso moscerino che la sta distraendo, poi decide di darmi corda: “S-Sì *sniff*, sono Komaru Naegi...”.
“Mi presento: il mio nome è Byakuya Togami, sono un compagno di scuola di tuo fratello. Ero con lui quando... è stato ucciso”.
Questa notizia cambia radicalmente il suo atteggiamento, perché mi afferra per il bavero della giacca con tanta forza da sbattermi a terra.
Ecco. Una studentessa delle medie a cavalcioni su di me, con quel suo ridicolo ahoge che quasi mi entra negli occhi, è un’immagine abbastanza inquietante.
Poi, come un fulmine a ciel sereno...
SCIAFF.
Che... che cosa? Tu hai... hai dato uno schiaffo a me? Prima di questa storia avrei preteso la tua testa per lavare l’affronto.
“Perché non l’hai salvato, bastardo? Perché? PERCHÉ NON L’HAI SALVATO? BASTARDO! BASTARDO! BASTARDO!”. Prende a scuotermi, via via con sempre maggior violenza.
Batto la testa una volta. Due. Tre.
Ahio. Ahio. Ahio!
“Vuoi calmarti un attimo, piccola isterica, e lasciarmi parlare?”.
La convinco a smetterla, con gran sollievo della mia calotta cranica. Riesco persino a farla spostare da sopra la mia pancia. Sei un campione di diplomazia, caro mio.
Riguadagno la posizione eretta.
“Adesso vedi di giustificarti per bene, bastardo”.
“Ho un nome e te l’ho detto. Guardami. Ti sembro il tipo in grado di salvare chicchessia? Sono un ricco e viziato ereditiere, non un eroe da fumetto. È un mezzo miracolo se sono ancora tutto intero e senza nuovi buchi per l’aerazione”.
Lei, ancora inginocchiata, non mi toglie gli occhi di dosso.
Allungo una mano per aiutarla a rialzarsi. La accetta dopo aver tentennato per qualche secondo.
“T-Ti... ti prego di... scusarmi. Sono s-sconvolta...”.
“Pensa a come posso stare io, allora, che questo orrore l’ho vissuto in prima persona. Comunque volevo solo dirti che tuo fratello si è comportato con grande integrità e non si meritava una fine del genere. Nessuna delle persone che vedi stese per terra in questa palestra se la meritava, così come forse invece io me la meritavo... sicuramente più di loro. Ma qualcuno ha guardato giù e ha deciso che io posso ancora respirare. Se hai intenzione di farmene una colpa sei libera, non posso impedirtelo, ma sappi che non ho nulla da rimproverarmi per quel che è successo. L’unico, vero responsabile è quello stronzo con la ridicola capigliatura a banana. Lo vedi? Lo sto puntando col mio dito. È stato lui ad architettare questo schifo, pertanto se hai rabbia da buttar fuori non c’è bersaglio migliore. In tutto questo... mi dispiace per Naegi”.
Di nuovo, è il massimo che posso fare ma non sto mentendo.
“Lui... lui era fantastico... gli volevo un bene dell’anima... e adesso, pensare che un colpo di pistola l’ha portato via a me ed ai nostri genitori... non so come potrò dirglielo...”.
Che cosa?
“Dirglielo? Vuol dire che non lo sanno?”.
“I miei... sono entrambi via per lavoro, anche se non insieme... mi hanno incaricata... di tenerli informati su Makoto, era qualche giorno... che erano preoccupati per... per la mancanza di notizie...”. Ciò detto...
No, ma va bene. Ditelo che vi siete messi d’accordo per mandarmi fuori dalla grazia dei kami.
Si avventa su di me, cingendomi la vita in un abbraccio sin troppo vigoroso per una ragazzina tanto minuta. E riprende a piangere.
Piange. Piange. Piange.
Non ho idea di cosa devo fare. Per ora mi limito a sgranare gli occhi nella sua direzione.
Poi...
“Se vuoi... posso dirlo io ai tuoi genitori”.
Sento rumori smorzati venire dall’altezza della mia pancia.
“Gli ero accanto quando gli hanno sparato, e anche per lunghi tratti prima del fattaccio siamo stati insieme. Penso di essere la persona più adatta”. Sì, forse “lunghi tratti” è esagerato ma neanche poi così lontano dalla verità.
Però che non mi si chieda di fare più buone azioni in vita mia, che con l’accoppiata Kirigiri & Naegi ho superato me stesso.
 
*


Arrivederci, Kenichiro-san. È stato l’ormai usuale, doloroso piacere rivedere la foto sulla tua lapide che mi sorride.
Mi avvio verso l’uscita, una sensazione di malinconica consapevolezza ad avvolgermi. Fra la seduta con la psicologa di Togami e questa visita al cimitero, oggi la parola che è ricorsa maggiormente nei miei discorsi è stata morto o ucciso nelle diverse declinazioni e varianti.
La vita è fragile, inutile coprirsi le orecchie e fare pernacchie con la lingua per scacciare l’idea. Come posso pensare altrimenti, dopo ciò di cui ho avuto esperienza diretta sulla mia pelle? Mi è rimasta anche una sbiadita cicatrice sulla gamba, a imperitura memoria di quando Oowada mi ha sparato.
Va bene, ho avuto la mia dose di cinico realismo in abbondanza. Adesso vado a casa, mi stendo sul futon e...
“Sakura?”.
O forse no.
La voce è familiare, ma l’essere provata psicologicamente non mi aiuta a riconoscerla.
Mi volto nella direzione da cui proveniva, quindi dalle mie spalle.
Ohibò, è il preside Kirigiri.
“Signore. Che coincidenza particolare incrociarla qui”.
“Niente di strano, invece. Sono venuto a porgere un saluto a Kyouko, come faccio ormai ogni giorno”.
“Capisco”. In effetti il ritmo delle mie visite dovrebbe prendere esempio da quello delle sue.
“Ti scoccia se facciamo un pezzo di strada assieme?”.
“Affatto”.
Camminiamo in silenzio e siamo fuori dal camposanto.
“Sai, il consiglio di facoltà della Kibougamine deve ancora prendere in esame le richieste di trasferimento tue, di Aoi e di Byakuya...” esordisce dal nulla, probabilmente cercando un modo neutro per attaccare bottone.
“Non c’è alcuna fretta, la burocrazia può essere elefantiaca quanto le pare. Spero che lei capisca i motivi che ci hanno portato a farlo...”.
“Vorrai scherzare. Le mura di quel posto invocheranno in voi immagini che neanche voglio tentare di visualizzare. Comprendo benissimo perché preferiate cambiare aria, anzi mi sarei meravigliato del contrario”.
Di nuovo silenzio. Tentativo fallito, direi.
La giornata è piacevole, c’è un bel sole non troppo forte ma caldo al punto giusto. Si passeggia volentieri, anche in compagnia di colui che sta per diventare il mio ex-preside. Nonché papà di una delle vittime di quel dramma.
“Come ho detto prima” riprende senza preavviso “capisco perché abbiate deciso di andarvene. Questo mi fa venire in mente una cosa di segno completamente opposto, cioè il giorno in cui sulla mia scrivania è arrivata l'accettazione dell'invito alla frequenza da parte di mia figlia”.
Ecco dove volevi arrivare. Sono disposta a stare ad ascoltarlo? Da una parte indubbiamente sì, non sono crudele al punto di non prestare l’orecchio a un padre in piena fase di lutto; dall’altra, come dicevo prima, sono anche un po’ stufa di discorsi di questo tenore.
Però... sì, va bene. Non riesco a tirarmi indietro. Spero sia l’ultimo sforzo di oggi.
“Sarà stato felice di vederla”.
“Felice... sì, ero felice. Ma anche tanto dubbioso sulla reale causa che poteva averla spinta a fare quel passo”.
Eh? Dubbioso sulla reale causa?
“Scusi, non capisco perché dice così”.
“Vedi Sakura, il rapporto fra me e Kyouko era... complicato. La famiglia Kirigiri ha una lunga tradizione nel campo investigativo e da generazioni sforniamo alcuni fra i migliori detective sulla piazza. Quando è toccato a me... io ho declinato. Mi sono dissociato da tutta quella manfrina, al punto di venire diseredato da mio padre, e sono venuto a fare il preside della Kibougamine. Kyouko era molto piccola quando è successo, sua madre purtroppo è morta e da allora non ho più avuto il coraggio di rientrare nella sua vita, anche perché mio padre me l’avrebbe sicuramente impedito. Feh, mi avrebbe detto di star lontano dalla sua unica nipote ed erede e mi avrebbe accusato di corromperla con la mia presenza da blasfemo. Sì, i più fanatici di noi arrivano a prenderla come una setta. Quando ho visto quella risposta affermativa all'invito, mille domande si sono affollate nella mia mente: perché sei qui? Vieni a dirmi che mi odi? Che sono un padre degenere? Che hai deciso di seguire le orme di tuo nonno?”.
Lo lascio sfogare. Non immaginavo davvero tutti questi retroscena nel legame fra Kirigiri e suo padre.
“Io non ne avevo nessuna idea, mi dispiace...”.
“Non dispiacertene, come potevi saperlo? Kyouko ha ereditato da me la sua riservatezza e penso non fosse particolarmente propensa all’ubriacatura. Quel che volevo chiederti... lei ha mai fatto il mio nome, là dentro? Mi ha mai citato in qualche modo?”.
Riordino la memoria prima di rispondergli, perché ho intenzione di essere precisa e soprattutto onesta. Se poi mentissi, anche fosse a fin di bene... innanzitutto non riuscirei più a guardarmi allo specchio, e in secondo luogo credo che durerei non più di otto secondi.
“No signore, non mi pare di ricordare alcun episodio del genere”.
“Come sospettavo”.
L’enorme quantità di tristezza intrisa in quella frase mi porta a voltarmi nella sua direzione. Lo vedo mantenersi ritto, seppur con gli occhi lucidi, ma molte cose in lui mi portano a pensare che se potesse si lascerebbe andare a un pianto angosciato.
“E quindi... mia figlia è morta odiandomi...”.
“Signore, non sia tanto negativo! Io sono sicura che...”.
“Apprezzo il tentativo, Sakura, ma sono convinto sia andata così. Eppure io, nonostante tutto, la amavo come il primo giorno e non ho mai smesso di preoccuparmi per lei...”.
È davvero stoico nel mantenere il decoro, anche se ormai si capisce che gli argini sono a tanto così dallo spezzarsi. Dev’essere una cosa di famiglia, lo stoicismo esasperato.
Sono senza parole, devo proprio dirlo. Non credevo che ci potesse essere un simile muro fra genitore e figlio, soprattutto messo su da quest’ultimo.
“E tu, Sakura? Andavi d’accordo con Kyouko?”.
Uh? Perché questa domanda fuori dal cilindro?
“Voglio essere corretta, signor Kirigiri. Dire che io e lei andavamo d’accordo è forse un po’ esagerato, seppur il nostro rapporto fosse assolutamente civile. Questo perché... cavolo, mi imbarazza un po’ doverlo dire proprio a lei...”.
“Parla pure. Kyouko è morta odiandomi, non vedo cosa potrei sapere di peggiore di questo”.
“Dunque, come cercare di essere chiara... proverò così. Durante la nostra prigionia quello che è stato ribattezzato mastermind, cioè Mondo Oowada, ci parlava tramite un orso meccanico chiamato Monokuma. Per qualche motivo strano che non saprei spiegarle, ha scelto di essere in mezzo a noi apparendo intrappolato come tutti gli altri. Sua figlia, di cui a questo punto capisco meglio le innegabili doti investigative, pareva aver subodorato la cosa e ha provveduto ad un’accusa pubblica. Ma la situazione era più complessa di così, perché si avevano perplessità diffuse su alcune persone... purtroppo inclusa Kyouko, con le sue abitudini e i suoi modi di muoversi che potevano dare adito a sospetti. E mi vergogno molto ad ammettere che per un po’ di tempo ho dubitato di lei. Quindi, pur ribadendo che le cose fra noi non sono mai precipitate...”.
Sospiro, stanca. Non è stato facile buttar fuori la verità.
“Però c’è una cosa che vorrei aggiungere, signor Kirigiri”.
“Cosa?”.
“Sua figlia era una brava persona. Lo si notava distintamente se ci si prendeva la briga di andare oltre la coltre di apparente freddezza. Forse difficile da prendere e delicata in certi momenti, ma di sicuro una brava persona. Se posso permettermi... io credo che Kyouko, anche se non gliel’ha mai manifestato, possa essere arrivata dentro di sé a una sorta di tregua nei suoi confronti. È il suo essere brava persona che mi porta a pensarlo. Può darsi che le ci sarebbe voluto del tempo per farsi avanti nei suoi confronti e portare a galla questa cosa, sempre che ci abbia azzeccato, ma se ho ragione non dubito che prima o poi avrebbe chiesto di parlarle. E non come studente e preside, ma come figlia e padre. Naturalmente io, non essendo una Kirigiri, non posso assicurare sull’efficacia delle mie deduzioni”.
Oh, che bello. Sono proprio soddisfatta di quanto ho affermato.
E altrettanto soddisfatta di vederlo mentre mi sorride, grato.
“Chissà Sakura, potresti aver ragione. Più facilmente no, ma almeno per adesso mi piace pensare di sì”.
Ora sono io a ridacchiare.
“Uh? Ho detto qualcosa di spiritoso, per caso?”.
“No, no. È che questa situazione mi ricorda il processo per Celes... ed è bizzarro che mi sia messa a ridere, vista la tragicità dell’avvenimento. Forse mi ha fatto ridere perché è stata una delle occasioni in cui mi sono convinta della mia buffa teoria sulla bontà di Kyouko. Se non fosse stato per le sue incredibili capacità deduttive e analitiche io non sarei qui ora, in quanto Oowada aveva stabilito che l’intera classe sarebbe stata giustiziata se non si fosse trovato il colpevole di un omicidio. E, un po’ come ho fatto io adesso, lei se n’è uscita con una ricostruzione dei fatti tutta sua... che però, per nostra fortuna, si è rivelata corretta. Avrebbe dovuto vederla, signor Kirigiri: era completamente immersa nel caso, scervellandosi assieme a quell’altro poveraccio di Naegi nel cercare di tirarci fuori da quella scomodissima impasse. Lei amava il suo lavoro, con tutta se stessa. Traspariva da momenti come questi, dove di fronte alla minaccia della morte incombente continuava a darsi da fare e intestardirsi. Io, Asahina e Togami siamo vivi e possiamo respirare solo grazie a lei... e di questo le sarò eternamente grata. Nulla, ero solo in vena di darle una prospettiva su sua figlia che forse le mancava”.
“Un po’ sì, non ero a conoscenza di questa cosa. O almeno, non l’avevo mai sentita esposta con tanta passione. Sakura, devo ringraziarti dal profondo del cuore. Hai messo in luce un lato di Kyouko che mi era rimasto colpevolmente oscuro e hai contribuito a rendere la mia perdita un pochino meno pesante da sopportare”.
Proseguiamo la camminata in silenzio, quasi sereni.
 
*


Sbuffo. Non sono abituata a restare sulle gradinate.
Con la testa appoggiata sulle mani e i gomiti sulle ginocchia, tento maldestramente di distogliere lo sguardo dalla piscina. Non riuscendoci per più di sei secondi consecutivi.
Mi manchi, stupida acqua. Eppure non posso più avvicinarmi a te.
Se solo mi azzardo a poggiare un piede in zona bordo vasca... pluff, ecco che dal nulla appaiono due masse nere e indefinite sul fondo.
La prima volta le ho riconosciute solo per la voluminosa capigliatura di Junko. Le volte successive è stato un processo automatico, sapevo ancora prima di vederle.
Già, ora come ora il mio vero elemento mi provoca un insormontabile blocco psicologico e mi rimanda con un calcio nel sedere al momento in cui Sakura-chan e quel... grrrr, meglio evitare definizioni troppo volgari... Oowada buttavano i pesi nell’olimpionica della Kibougamine facendole affogare.
Non so perché sono venuta qui, uscita dallo studio della dottoressa Fujimoto. Ero certa che sarei rimasta bloccata sugli spalti, impossibilitata anche a farmi una nuotatina solitaria. Tsk, è pure vuota questa maledetta. E qual è il problema dell’essere vuota? Nessuno, anzi. In passato amavo fare nuotatine solitarie per riflettere se qualche problema si faceva pressante.
Ora che ne avrei un bisogno estremo sono nella posizione di non poterlo fare, nonostante le condizioni esterne siano ottimali. Sono quelle interne a non andare.
Sì, è stato poco furbo venire qui. E non so perché non me ne vado.
Afferro una ciambella dal sacchetto alla mia destra. Spero scioccamente di ricavarne un po’ di sollievo, quando in realtà l’unica cosa che mi possono dare sono calorie e grassi. Va beh, visto che assorbo tutto sul petto...
No, in realtà so perché non me ne vado: respiro aria di casa qui. Nonostante il trauma, sono pur sempre una nuotatrice che punta a Rio de Janeiro 2016 e ogni tanto fa bene tornare a visitare i posti che ti danno felicità. O forse è meglio dire davano. Perché finché questa cosa persiste sto sia benissimo, sia malissimo.
Facile capire perché, nonostante tutti gli spettacoli raccapriccianti succedutisi in quelle due settimane, sia rimasta particolarmente colpita dall’esecuzione delle gemelle Ikusaba: sono stata portata ad associare all’acqua, fino a quel momento l’unica cosa capace di trasmettermi gioia di vivere, immagini di terrore.
Povere Junko e Mukuro. Ovviamente non le sto incolpando di nulla, ci mancherebbe... ma chissà come si sentirebbero a scoprire che mi sono involontaria causa di questo disagio.
Ho deciso di non esporre il problema alla dottoressa. Un po’ perché non voglio rubare spazio a Togami e a Sakura-chan che ne hanno più bisogno -specialmente lei, fra l’aver terminato con le sue mani Oowada e il dover essersi prestata a fungere da boia per le uccisioni- e un po’ perché sono sedute di gruppo, approntate e studiate per tre soggetti e non solo per uno. Quindi sì, fondamentalmente il motivo è unico. Ma davvero, non intendo mettermi al centro dell’attenzione e reclamare più spazio quando dei tre superstiti della Kibougamine sono quella che tutto sommato ne è uscita meglio. Dopotutto io non ho cicatrici di proiettili dentro la gamba, né tanto meno sono stata la preda di un assurdo gioco di pari e dispari con pistola.
Sarebbero necessari dei colloqui singoli. Temo però di non poter permettermi la parcella della Fujimoto vendendo me stessa, mio fratello Yuta, i miei genitori, la mia casa e il mio gatto sul mercato nero. Nel nostro attuale stato finanziario non si può andare neanche da uno psicologo meno prestigioso, figurati.
Quindi... mi toccherà tenermi la grana. Serviranno un sacco di carboidrati, bibite proteiche, pensiero positivo e una spalla amica che mi possa sorreggere se dovessi svenire in caso di tentativo prematuro.
Addento la ciambella. Poi, sopraffatta da una specie di fame chimica, la finisco in un istante. Di solito non sono così vorace, me le gusto lentamente.
Mi sento... strana. Non posso definire in che cosa, ma lo sento.
Ignorando lo stimolo della fame, mi alzo e in pochi passi sono davanti alla sbarra che delimita la parte riservata agli spettatori. Senza un solo momento di esitazione la scavalco.
Terrei a precisare che queste ultime azioni le ho svolte senza averne l'intenzione.
Sono come intrappolata in me stessa.
Probabilmente, a un occhio esterno, devo apparire ipnotizzata o in trance. Se ci fosse qualche testimone di cui adesso non posso rendermi conto: tranquillo, sono cosciente anche se impossibilitata a comandare il mio stesso corpo.
Dato che mi hanno spinta sul sedile del passeggero, vediamo che succede.
Come pensavo mi vedo avvicinarmi al bordo della vasca.
Grazie tante, controllo razionale. Proprio adesso dovevi andare a fare la siesta?
“Ho percepito il richiamo” mi sento dire. A quanto pare pure le labbra fanno quel che hanno voglia.
Uh? Richiamo? C’era mica dell’LSD in quelle ciambelle?
Il mio sguardo è fisso verso il fondo, dove puntualmente stazionano le sagome scure di Junko e Mukuro. In un modo che non so per nulla spiegarmi, vedo quella identificabile come Mukuro muovere la bocca e rispondermi: “Ben arrivata, Aoi. Ti aspettavamo”.
Il suono giunge ovattato, come se davvero uscisse dall’acqua. E mi rendo conto che le onde sonore non si propagano sott’acqua e che quindi non dovrei sentir nulla, ma così è.
“Voi non siete Junko e Mukuro, giusto?”.
“Giusto. Quelle due povere vittime riposano in pace nelle loro urne. Noi siamo solo ombre della paura che la loro esecuzione ha suscitato in te”.
“Io amo l’acqua. Se potessi farei come Ariel de La Sirenetta però al contrario, baratterei le mie gambe per una coda di pesce. Ma da quel giorno...”.
“...l’acqua è diventata sinonimo di morte. Sono tutte cose che già sai, te le sei ripetute con molta lucidità. Un ostacolo del genere non lo superi rimuginando sulle sue ragioni, lo sfondi a spallate. Vieni, vieni da noi”.
Uoh uoh uoh, con calma! Non sono padrona di me stessa! Chi mi assicura che non andrò giù come un sasso?
Pare dovrò scoprirlo da me, visto che faccio due passi indietro e mi tuffo a peso morto.
Muovetevi, braccia! Andate, gambe! Non voglio fare la loro fine!
E invece scendo, anche se in maniera quasi... dolce.
I finti cadaveri delle mie compagne morte mi fanno segno di andar da loro. Ora che le vedo meglio sono nere come la pece, vaghe, prive di tratti distintivi.
Prima di farlo, cioè prima di andare da loro, qualunque sia la cosa che in questo momento decide per me mi fa prendere una sederata sul fondo della piscina.
Ahio.
Mi... ehi! Non sto nuotando, sto camminando!
Siamo sicuri che non sono morta e non sto sognando tutto? Magari ho bevuto ettolitri d’acqua e sono affogata, proprio come quelle due. È che è così realistico, così... vero.
“Sono finalmente giunta da voi”.
“E sei ancora viva, come puoi vedere”.
“La mia parte razionale ha dei dubbi in merito, pensa che in realtà potrei essere annegata come coloro che rappresentate”.
“Dille di farsi un giro e di tornare a show concluso. Stai benissimo, Aoi. E sei qui per superare quello shock e poter tornare a fare ciò che prediligi”.
“Come posso farlo?”.
“...l’hai già fatto”.
Come? L’unica cosa che sto facendo è continuare a dubitare del contenuto di quelle ciambelle. Se c’era il peyote al posto dell’LSD cambiava mica niente.
“La mia parte razionale continua a sproloquiare su droghe e stati di alterazione. Io invece voglio capirvi meglio”.
“C’è poco da capire, Aoi: hai avuto uno slancio emotivo, anche se grazie al nostro modesto aiuto, e ti sei tuffata. Da te. Senza pesi attorno al collo. L’hai fatto perché volevi farlo e perché sapevi che saresti stata divinamente una volta in pieno contatto col tuo vero elemento, come tu stessa l’hai definito. L’acqua è vitale per te, e non scopri nulla di nuovo. Purtroppo la nostra presenza te l’aveva fatto momentaneamente dimenticare”.
“Come sempre mia sorella è più saggia di me e ha detto tutto” si intromette un attimo la voce dell’ombra Junko. Il risolino è inconfondibile. Insomma ragazze, siete loro o no? Prima mi dite di no, poi vi comportate come se lo foste. Mi mandate in confusione.
“Per questo ci scusiamo, Aoi, anche se non dovremmo. I morti non devono ostacolare i vivi, per nessun motivo”.
“Sai che non ce l’ho con voi, Mukuro. L’unica persona che veramente odio... è morta a sua volta”.
“Siamo in tre a condividere la poca simpatia per il signor Oowada, non preoccuparti”.
“Quindi... sono guarita?”.
“Forse guarita no, ma hai di sicuro smosso la maggior parte del masso che si frapponeva fra te e la realizzazione dei tuoi sogni. E adesso vai, è tempo di tornare alla consapevolezza”.
SPUT GLACK SPUT.
Mi sveglio di soprassalto.
Sono fradicia ma viva. Ho un battito cardiaco, respiro, mi bruciano gli occhi, sento i capelli appiccicati sulla faccia.
Non sono dentro la piscina. Credo... credo di essere a bordo vasca.
Provo a tirarmi assieme, scivolando un paio di volte e rischiando di fratturarmi parecchie ossa. Ma no, tutto bene.
Cosa... di cosa ho appena avuto esperienza? Ho visto e sentito parlare gli spettri di due mie compagne di classe morte, ho camminato sott’acqua, ho parlato sott’acqua...
Catalogherò l’incidente come cibo avariato. Se però servirà a rimuovere il mio blocco... beh, ben vengano anche le ciambelle allucinogene.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Danganronpa / Vai alla pagina dell'autore: Walpurgisnacht