Salve
a
tutti, cari Whovians.
La
prima
cosa che voglio dirvi è che, questa, è la prima
OS che scrivo su Doctor Who,
per cui non mi scannate.
Non
so
perché, ma pur essendo Whovian da molto tempo, non ho mai
trovato l’occasione giusta
per scrivere una
cosuccia su questo fandom. [Notata l’attinenza col titolo?
Quanto sono simpy…]
Eppure,
oggi, sono qui. *evviva*
Vi
consiglio, se volete, di leggere ascoltando la bellissima “My
Immortal”, degli
Evanescence.
Secondo
me,
ascoltare musica mentre si legge aiuta molto.
Bene,
che
dire… spero che questa piccola OS vi piaccia e vi auguro un
buon anno nuovo in
cui poter sclerare per la nona stagione di DW. [Forza Capaldi!]
~ Cruel Heart.
Era
una mezzanotte
freddissima, quella di quel 31 Dicembre nel piccolo parco di Powell
Estate, a
Londra.
Soffici
fiocchi di neve
cadevano sul suolo mentre, dalle palazzine circostanti, provenivano
ovattate
grida di giubilo per l’arrivo imminente dell’anno
nuovo.
Eppure,
in tutto quell’equilibrio,
caratterizzato da allegria e speranza, c’era una nota
dissonante, che rompeva l’armonia
di quella notte.
Infatti,
situata accanto
agli alberi, nel parco, vi era una panchina verde, piuttosto vecchiotta
e piena
di scritte e, seduta su di essa, una donna.
Si
trattava di una signora
anziana: profonde rughe solcavano il suo viso, come lacrime amare, ed i
leggeri
fiocchi di neve si confondevano tra i suoi capelli bianchi.
Quella
che era stata la
sua chioma bionda, di cui era sempre andata tanto fiera, oramai,
sembrava
essere solo un lontano ricordo.
I segni inequivocabili
dell’avanzare del tempo, avrebbe commentato qualcuno.
I segni inequivocabili
dell’avanzare del dolore, pensava, invece, lei.
Era
strano pensare a quale
surreale rapporto avesse avuto lei, col tempo.
Tutte
le altre persone si
lamentavano della sua scarsa durata, ma lei, beh… lei no.
Lei
amava tutta quella wibbly-wobbly timey-wimey
stuff.
No,
si disse, non doveva
più pensare a quelle parole.
Perché,
proprio quelle
parole, che sembravano essere messe così, a caso, senza
alcun collegamento
logico tra di loro, le facevano ricordare qualcosa: una
cabina blu della polizia.
E,
soprattutto, le
facevano ritornare in mente qualcuno: un
uomo pazzo.
Un
uomo talmente pazzo,
che aveva viaggiato nel tempo con lei e le aveva mostrato quanto
l’intero
universo potesse essere diverso da come lei lo immaginava.
Un
uomo talmente pazzo,
che le aveva espressamente chiesto di andare avanti con la sua vita,
senza di
lui.
Come se non fosse mai esistito.
La
donna si accoccolò
nella sua vestaglia di plaid a quadrettini verdi e rossi e sorrise
appena.
Come se questo fosse mai
possibile, Dottore, si disse.
Poi,
però, ripensò a quei
capelli sempre spettinati, a quegli occhi stanchi nonostante il suo
viso ancora
giovane, ed il suo flebile sorriso si spense.
Il
suo Dottore, il suo
Dottore umano con un cuore solo, non c’era più.
E,
questa volta, non era
volato via con la sua fedele cabina blu su un altro pianeta, no:
semplicemente,
era volato in alto, ancora più in alto delle stelle e lei
non aveva più potuto
raggiungerlo.
Era
bastato un forte
dolore al petto, solo pochi secondi, ed il suo unico cuore, orfano del
suo
gemello, non aveva più retto.
Ed ecco come il suo Dottore,
il suo uomo pazzo con
la cabina blu, se n’era andato e, questa volta, per sempre.
Ma,
per fortuna, la donna
non era completamente sola.
«Nonna,
nonna!»,
si
sentì chiamare. «Nonna Rose!»
Si
girò nella
direzione da cui proveniva la voce. «Oh,
ciao,
piccolo Mickey.»
E, come se
fosse appena successo, rivide davanti a sé la smorfia che il
Dottore fece sei
anni fa, quando gli comunicarono quale sarebbe stato il nome del nipote.
«Che
ci fai qui fuori? Fa troppo freddo per te.»
«Lo
so, ma mamma mi ha mandato a chiamarti, perché
papà e zio Tony
stanno litigando ancora su chi ha mangiato più Roast Beef
stasera e io voglio
solo andare a dormire, uffa.»
disse il bambino, stropicciandosi l’occhio destro.
Era inutile,
suo figlio e suo fratello non sarebbero cresciuti mai.
La
nonna sorrise e, alzandosi da quella panchina, abbracciò il
piccolo
Mickey e lo rincuorò.
«Va
bene, andiamo a vedere cosa stanno combinando quei due e li conciamo
per le feste, okay?»
Mickey
annuì
prontamente. «Grazie
nonna, tu sei la più
fantastica tra tutte le nonne fantastiche!»
E poi, suo
nipote corse via, felice di aver compiuto il suo dovere.
Ma, prima che
rientrasse in casa, l’anziana donna si fermò,
completamente immobile, mentre i
fiocchi continuavano a cadere.
Si era
ricordata di un altro viso: un volto molto diverso, con degli occhi
chiari e
due grandi orecchie a sventola.
La donna
scacciò un’improvvisa lacrima che era scesa sulla
sua guancia e, subito dopo,
fece la cosa più inaspettata: sorrise.
Ed ora tu,
ignaro lettore che stai leggendo questa storia, non chiederti il motivo
di quel
sorriso, perché io, da quassù, con il mio unico
cuore che non batte più, ormai,
lo so già: sono pur sempre il più grande genio
idiota che sia mai esistito.
In quel
momento, Rose Tyler, la mia Rose, sorrise.
E lo aveva
fatto, perché aveva finalmente capito che, quando le dicevo
che era stata fantastica, in
realtà, le stavo
confessando un’altra cosa.
Una cosa per
cui, da Signore del Tempo, non avevo mai avuto l’occasione
giusta di
dirglielo: che l’amavo.