Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: coldmackerel    31/12/2014    9 recensioni
Levi/Eren | Hospital AU
Una commedia sull'essere morti.
Levi, finalmente, torna a lavorare come infermiere dopo essersi ripreso da un incidente d'auto che l'aveva quasi ucciso. Non c'è niente di meglio a darti il 'bentornato' quanto il realizzare di aver perso la testa e riuscire a vedere gli spiriti dei pazienti comatosi del reparto sei. Così, si trova, controvoglia, ad aiutarli a imparare a vivere da morti. Eren, l'ultimo paziente dell'ala sei, ha sei mesi per imparare ad essere morto. Buona fortuna, ragazzo.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Rivaille, Un po' tutti
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti! Qui Seth, la traduttrice, che forse qualcuno ricorderà per 'The Little Titan Café' anche se ormai sono passati sei mesi buoni. Non molto da dire a parte che è ormai un anno e più che desideravo tradurre questa storia e che, in realtà, LTC era una prova per vedere se ero in grado di gestire qualcosa di più complesso, come in questo caso. Volevo iniziare prima ma stavo aspettando di mettere a posto i miei casini per fare in modo di aggiornare settimanalmente, anche perchè sono quasi 30 capitoli e sarà una cosa lunga xD. Non vi faccio la lista dei motivi per cui dovreste leggere questa fic, ma vi dico solo che è letteralmente straordinaria e sicuramente la migliore fanfic che abbia letto in vita mia. Vi consiglio vivamente di dargli un'opportunità, e ancora di più se vi piace la coppia ma, soprattutto, il personaggio di Levi... come sempre i commenti verrano tradotti e riportati all'autrice. Buona lettura!
SULLA TRADUZIONE: ci saranno millemila errori di battitura come al mio solito, mi dispiace. Non è detto che tutti conoscano il sesto senso, dunque nel caso in cui non lo sappiate Haley Joel Osment è il bambino che vede i morti nel film, e Bruce Willis è il tipo che è morto ma non sa di esserlo.


The 6th ward
CAPITOLO 1: Un nuovo turno

6 mesi, 0 giorni

C’è un qualcosa di indiscutibilmente ironico sul celebrare la propria guarigione ritornando all’ospedale dal quale sei appena stato dimesso. ‘Congratulazioni per il congedo, non vediamo l’ora di vederti di nuovo qui, tra una settimana.’ L’unica differenza è che al posto di avere il culo che spunta da una camicia da notte d’ospedale, ora lo aveva ficcato ordinatamente in un’uniforme da infermiere.

Comunque, complessivamente, si sentiva abbastanza bene. O, perlomeno, quanto bene ti possa sentire due mesi dopo un incidente mortale. Il che era incredibilmente bene. E mentre timbrava il cartellino e entrava nello sterile atrio dell’ospedale di San Trost, non poté fare a meno di trovare rinvigorenti i muri di un bianco immacolato e l’avvolgente odore di disinfettante.

Le sue fantasticherie furono interrotte bruscamente da un amichevole, ma abbastanza violento, colpo di karate sulla sua schiena. Facendo un suono che ricordava vagamente la gomma di una bicicletta appena bucata, si girò immediatamente verso la donna che stava ridendo fragorosamente alla sua inevitabile rabbia. “Levi, vecchio diavolo. Chi non muore si rivede! Ma guarda un po’, fatti guardare bene mio piccolo sopravvissuto!”

“Hanji – ” iniziò Levi, ma la donna strinse le mani con eccitazione e forza sulle sue guance. Lui cercò di apparire intimidatorio, ma per chiunque avesse la faccia schiacciata da una presa ferrea era un’impresa scoraggiante quella di far paura ad topolino indifeso, figurarsi ad una persona. E non aiutava di certo il fatto che Levi a stento arrivava alle spalle di Hanji, in altezza.

“Sei tornato a lavoro così presto,” disse lei enfaticamente, dandogli del colpetti affettuosi sulle guance. “Non crederai mai a cosa è successo l’altro giorno. Mike stava cercando di portare il pranzo nella sala delle infermiere ma quando ci ha chiamati…”

Hanji continuò a cianciare, enfatizzando i punti focali del suo discorso usando diverse pressioni sulle sue guance. Levi la fissava con disinteresse da sotto le palpebre semichiuse, tenendo le braccia incrociate. Lasciò che i suoi occhi vagassero sul viavai dell’ospedale, sulle infermiere che correvano da una stanza all’altra con le cartelle e pacchetti di vario tipo tra le mani, sui dottori incollati ai telefoni che camminavano audacemente in mezzo al traffico, avendo fin troppa fiducia nel fatto che tutti avrebbero avuto la prontezza di schivare il loro andazzo noncurante.

“Ehi, Levi!” Il tono di Hanji si fece perentorio e Levi si girò a guardarla in viso. “Che stai facendo ancora qui quando dovresti stare a controllare le funzioni vitali dei pazienti comatosi del reparto sei? Muoversi infermiere!” sorrise lei, dandogli un’ultima pacca sulla schiena, prima correre via e scontrarsi con uno dei medici distratti, facendo volare carte ovunque.

Levi fece una smorfia nella sua direzione prima di girare i tacchi e dirigersi all’ala sei.

Anche se sembrava premuroso che i supervisori gli avessero assegnato un compito tanto facile per sei mesi di seguito, avrebbe preferito qualsiasi altro posto. A parte essere intensamente noioso, l’atmosfera del reparto comatosi non era certamente invitante: nessuno di quei pazienti si sarebbe mai svegliato e l’infermiere del reparto era solo un babysitter per morti. L’unica differenza tra la corsia sei e un funerale era che, per qualche inspiegabile ragione, i cuori dei corpi che giacevano addormentati nel reparto battevano ancora. Ma non è il battito che fa una persona.

Dopo essere stato quasi in coma anche lui, per l’incidente d’auto, Levi pensava che avrebbe avuto un’opinione più romantica del reparto sei e dei suoi abitanti, ma un morto rimaneva un morto.

E fu sorpreso di scoprire che, quel giorno, la corsia sei aveva un’ospite.

Mentre entrava nel reparto, vide un nuovo letto con due persone sedute intorno. Le spalle larghe, i capelli biondi ordinatamente pettinati e il camice del dottor Smith erano facilmente identificabili, ma la donna con i capelli neri e lisci al suo fianco era sconosciuta agli occhi di Levi. Un visitatore, si disse.

Il dottor Smith aveva il suo solito tono da mi-dispiace-per-la-sua-perdita e stava parlando lentamente e profondamente. “… quindi non mi aspetto molto a questo stadio. Non sono un uomo abbastanza crudele da dare false speranze e non voglio che lei si faccia delle idee sbagliate. Eren è in stato di morte cerebrale e non c’è nulla che possiamo fare.” La donna sulla sedia stava annuendo passivamente, il suo volto di un bianco mortale. “Ora, questo è quello che suggerisco alla maggior parte delle famiglie con un parente in queste condizioni. Di solito diamo sei mesi al paziente: lasceremo Eren attaccato alle macchine e ne avremo cura per sei mesi e, se non troviamo nessun cambiamento nella sua attività cerebrale, noi – ah, intendo lei, staccherà la spina.” terminò l’uomo in un sussurro.

“Ah diamine no, non far avvicinare nessuno alla spina!”

Levi si girò, andando a sbattere contro lo scaffale e la macchina di lettura della pressione sanguigna. Un giovane alto, con una massa di capelli castani e arruffati e uno sguardo terrorizzato negli occhi verdi, stava gesticolando animatamente il suo dissenso. “Nessuno staccherà nulla!” insisté il tipo.

Per tutta confusione di Levi, il dottor Smith continuò a parlare sopra al giovane, e la donna seduta vicino al letto continuò ad annuire passivamente alle raccomandazioni del medico di donare gli organi.

“Non farai un cazzo con le mie spine dottor Ken. E nemmeno tu Mikasa.” disse il ragazzo. Stava agitando le sue mani con così tanto spirito che Levi temette che qualche areo avrebbe tentato erroneamente di atterrare su di loro.

Levi guardò di sfuggita tra il ragazzo e il piccolo raduno di gente attorno al letto, e ogni cosa tornò al suo posto nonostante la situazione fosse al di là di ogni possibile previsione. “Tu sei…” la voce gli si affievolì. “Come…” e così, Levi si trovò in un raro stato di inabilità a formulare pensieri coerenti.

Il ragazzo si girò un momento ad osservare Levi, poi guardò di nuovo le persone vicino al letto e poi tornò a guardare Levi mentre i loro occhi si incrociavano. Lo fissò apertamente. “Fissare è maleducato alle mie parti.” Levi disse seccamente.

“Be’ ora puoi chiamarmi credente,” affermò alla fine il giovane, unendo le mani in preghiera. “Grazie Gesù, Maria, Giuseppe, Tom Cruise o chiunque dovrei ringraziare,” disse. “Tu mi puoi vedere. Grazie a Dio.” continuò, passandosi una mano tra i capelli.

“Sì, la vista è stata un’invenzione veramente incredibile.” rispose Levi.

“Spiegalo a loro,” disse il ragazzo indicando la giovane donna e il dottore con il pollice. Poi, fece qualche passo verso Levi, abbassando inutilmente la voce in un sussurro. “Sono in un cazzo di coma.” sibilò, gesticolando animatamente verso il suo letto.

Levi fissò il ragazzo terrorizzato, e solo dopo due minuti buoni di incredulità, si schiarì la gola: “Ehm.” si annunciò goffamente al gruppetto vicino al letto.

Il dottor Smith si girò lentamente e alzò un sopracciglio con aria poco convinta. “Levi?” lo riconobbe.

“Ah, ehm. Sai se quello è… lui è…?” Levi si fermò, indicando cautamente l’uomo in piedi al suo fianco.

Il dottor Smith mosse lievemente il capo. “Scusami?”

“Lui è, ehm,” Levi cercò di cambiare strategia. “Il nuovo residente del reparto?” terminò mortificato.

“Eren Jaeger,” rispose sospettosamente il dottor Smith. “Ecco la sua cartella clinica se ne hai bisogno subito.”

A quel punto gli occhi di Levi si spostarono ansiosamente dal ragazzo al dottor Smith. Si avvicinò cautamente al letto e, proprio come sospettava, il giovane alzato al suo fianco era la stessa persona stesa nel letto e connessa a una serie di respiratori, monitor e macchine. Dio, quanto odiava aver ragione. A Levi piaceva considerarsi una persona razione, difficile da stupire e veloce a rifiutare le idiozie, ma la vista del doppio uomo, fece fluire via il colore dal suo volto e lo lasciò stranamente balbuziente. “Io ah… Io ho bisogno di… aria… pranzo – ” borbottò, afferrando la cartella clinica e fuggendo dal reparto.

Levi andò dritto dritto verso la sala delle infermiere dove trovò Hanji che cercava di bilanciare un termometro. Afferrando il collo della sua divisa, costrinse la donna ad abbassarsi alla sua altezza e sussurrò in panico: “Hanji questa è merda da sesto senso.”

Hanji guardò tristemente il termometro che, cadendo a terra, si era rotto. Poi strinse gli occhi, valutando la sua espressione ostile e preoccupata.

“Hanji io – ” Levi abbassò la voce in un sussurro a stento udibile. “Hanji credo di vedere la gente morta o qualche cosa simile.” poi lasciò la presa sulla sua camicia e fece un passo indietro, piegando le braccia come se si aspettasse che lei avesse una soluzione immediata al problema.

Invece Hanji annuì lentamente, alzando un sopracciglio. Dopo un minuto di valutazioni, il suo volto divenne pensieroso. “Quindi sei Haley Joel Osment?” chiese lei scetticamente. “O sono io Haley Joel Osment, e tu sei Bruce Willis. Voglio dire, perché forse se tu sei morto e io vedo la gente morta però tu non sai che sei morto.” Difficile giudicare se Hanji era seria.

“Sono sicuramente Haley Joel Osment.” affermò Levi.

“Voglio essere io Haley Joel Osment.” rispose Hanji.

“Nessuno vuole essere Haley Joel Osment! L’apice della sua carriera è stato quando aveva, tipo, dieci anni.”

“No, ha recitato in Forrest Gump e sono quasi sicura che ha prestato la voce per qualche videogame famoso.” rispose lei.

“Forrest Gump viene prima del Sesto Senso.” disse Levi, poco convinto.

“Gesù Cristo, allora qual è il problema per cui non vuoi essere Bruce Willis?”

“Bruce Willis era il morto, Hanji! Io non sono morto!” praticamente urlò Levi.

A questo punto, Hanji stava ridendo di gusto. La sua risata aveva iniziato ad attrarre l’attenzione delle altre infermiere, dunque Levi l’afferrò di nuovo per portarla alla sua altezza e le mise una mano sulla bocca. “Ascoltami, maledetta iena,” ringhiò. “Ero nell’ala sei e c’è un nuovo dannatissimo tizio e io l’ho visto in piedi di fianco al suo corpo quasi morto. Nessuno poteva vederlo. Stava andando in panico e merda simile e io era l’unico stramaledettissimo stronzo che sapeva che lui era lì.” Levi si mise a balbettare. Lui odiava balbettare. “Era lì, nel dannato letto, quasi morto, ma era anche in piedi al mio fianco a dirmi che nessuno aveva il permesso di staccare nessuna spina.” ormai stava ansimando, arrabbiato come non mai.

Gli occhi di Hanji brillarono con consapevolezza. “Ah, quindi è lui Bruce Willis.”

“Potresti chiudere quella boccaccia, tu e Bruce Willis?” disse Levi, prima di ripensarci. “Sì, intendo dire che sì, è lui Bruce Willis.”

“Maledizione, questo quindi fa di me la mamma di Haley Joel Osment nel film?” chiese Hanji tristemente.

“Credo che fosse Toni Collette.” rifletté Levi.

“Maledizione.” si lamentò Hanji.

“No-ma, cazzo Hanji. Sto impazzendo?” Hanji si aggiustò gli occhiali con disagio, guardando oltre Levi come se il muro della sala infermiere potesse darle qualche risposta. “Forse sono tornato a lavoro troppo presto.” Levi pensò a voce alta.

“Questa è merda fantascientifica di alto livello,” disse Hanji, riacquistando entusiasmo. “Forse quando eri in quel rottame di un’auto hai tipo… aperto qualche portale per l’aldilà. E ora vedi le persone che sono tipo mezze morte, più o meno.”

Si stava divertendo troppo con questa cosa. Anche se pure Levi era capace di apprezzare le cose divertenti, seppur non troppo spesso, questa situazione era l’opposto di divertente.

“Dunque, dunque. Perché non vai a parlare con il nostro Bruce Willis in coma? Dobbiamo capire che sta succedendo.” propose lei con un po’ troppa eccitazione per i gusti di Levi. Sembrava quasi che Hanji stesse per trascinare lui e sé stessa nel reparto sei, per parlare con il nuovo paziente in coma, quando vide la caposala che camminava verso di lei con uno sguardo irato. “Merda, devo dileguarmi in fretta Levi,” disse la donna. “Sto nella merda fino al collo con la caposala. Ci vediamo, ma tu, intanto, faresti bene ad andare a parlare con Bruce Willis.” scappò via, ma quando aveva ormai percorso quasi tutto il corridoio, si girò per urlare: “Non l’attore!” e andò a sbattere con lo stesso medico distratto con cui si era scontrata prima.





In piedi fuori dal reparto, Levi sapeva bene che doveva affrontare la cosa con delicatezza. Il ragazzo era probabilmente più terrorizzato di lui e lui non voleva peggiorare la situazione. Un parte di sé sperava che fosse un’allucinazione dovuta allo stress e che non avrebbe più visto il disperato giovane. Entrando nel reparto, però, dovette rinunciare a qualsiasi speranza. Il paziente, o chiunque egli fosse, stava camminando nervosamente avanti e indietro, di fronte al suo letto, su cui era seduta la ragazza bruna che stava stringendo silenziosamente la mano del suo corpo senza vita. Levi cercò disperatamente di ricordarsi il nome del ragazzo. Eren, pensò. Irving. Qualcosa.

Eren-o-Irving-o-qualcosa lo vide non appena entrò nella stanza e Levi lo invitò discretamente a seguirlo nel corridoio deserto.

Levi si ripeté mentalmente che doveva affrontare la situazione con calma e cercare di non spaventare il ragazzo. Stai calmo.

Questi si chiuse la porta alle spalle e si voltò a guardare Levi, che lo afferrò per la maglia e lo strattonò in avanti bruscamente, dicendo in un tono non intenzionalmente minaccioso. “Ascoltami bene stronzetto.”

Grandioso.

“Stronz-etto?” farfugliò il ragazzo con indignazione. Apparentemente l’affettuoso soprannome ‘stronzo’ era in qualche modo meno offensivo dell’accusa di non essere abbastanza alto. “Molto bene, mini wrestler vestito da infermiera…” iniziò in tono litigioso.

Levi decise, anche se con molta difficoltà, di ignorare il commento sulla sua bassa statura. Lasciò la maglietta del ragazzo con riluttanza e fece un passo indietro. “Riproviamo,” sospirò, prima di presentarsi brevemente, allungando una mano: “Levi.”

“Eren.” rispose sospettoso il giovane, stringendo la sua mano. Quella di Eren era incredibilmente fredda. Ci fu un momento di silenzio pesante prima che Eren parlasse di nuovo. “Sono morto?”

Perlomeno non aveva girato intorno alla cosa. L’istinto di Levi fu di confermare i sospetti di Eren, ma alla fine vacillò un pochino. C’era un certo peso nel modo in cui le spalle del ragazzo erano abbassate, e Levi non poté fare a meno di sentirsi almeno un po’ dispiaciuto per lui. “Vuoi una risposta dal punto di vista medico?” chiese Levi con freddezza.

Eren ci pensò un attimo. “Voglio la tua risposta.”

Levi sospirò. “Sei morto.”

“Il mio cuore batte ancora.” suggerì Eren ragionevolmente.

“Non ti sveglierai.” insisté Levi, forse un po’ troppo schiettamente.

Eren sembrò prenderla ragionevolmente bene. Stava annuendo pensieroso, anche se con uno sguardo decisamente esausto negli occhi. Se Eren non fosse stato già mezzo morto, Levi lo avrebbe avvertito che l’intensità con cui si stava passando distrattamente una mano tra i capelli lo avrebbe fatto diventare calvo molto presto. “Come mai mi riesci a vedere?”

Levi fece spallucce. “Non ne ho idea.”

“Questa merda è da sesto senso.” Rifletté a voce alta Eren.

Avendo le palle quasi completamente piene di menzioni riguardo il sesto senso, Levi iniziò a protestare ma fu interrotto –

“Yu-huuuuuu.” Una voce si intromise nella loro conversazione dal fondo del corridoio.

“Non ci possono sentire.” disse una ragazza con scetticismo.

“No, guarda, quel tizio indossa i nostri stessi vestiti da fantasmi mezzi morti.” rispose l’altra voce.

Una ragazza con dei lunghi capelli castani legati in una coda e uno sguardo timido, insieme ad un giovane più basso di lei, con la testa rasata e un sorriso a trentadue denti, si avvicinarono a loro. “Hey ragazzo,” il tipo chiamò Eren, ignorando completamente Levi. “Vedo che anche tu hai l’abbigliamento casual da morto.” gesticolò per indicare sé stesso e la ragazza. Tutti e tre indossavano dei pantaloni e una t-shirt bianchi e una cintura nera. “Benvenuto al reparto sei. Vedo che già ti sei messo l’uniforme.” scherzò, “Mi chiedo ancora perché i tizi dei piani alti hanno pensato che la divisa da pittore di muri andasse bene per le persone che non sono riuscite a morire come si deve. Personalmente, credo che l’arte figurativa religiosa sia un po’ sopravvalutata, ma cosa ci possiamo fare.” Poi tese una mano ad Eren. “Connie,” si presentò calorosamente, “E’ un piacere conoscerti anche se mi dispiace di doverlo fare qui.”

Eren lanciò uno sguardo a Levi prima di stringere la mano di Connie. “Eren.” rispose.

“Sasha,” la ragazza che era arrivata con Connie aprì bocca, alzando la mano per farsi riconoscere. “Anche io quasi morta, direi.”

“Questa giornata va di bene in meglio.” commentò Levi amaramente.

Connie e Sasha di girarono a guardare Levi a bocca aperta. Sasha si mise persino a sventolare una mano davanti alla sua faccia, dimenando le dita per avere una qualche reazione prima che Levi la guardasse male, facendola nascondere dietro Connie.

“Oh merda.” riuscì a dire Connie, riuscendo finalmente a muovere la mascella. “Anche tu sei morto?”

“Cazzo, ovvio che no.” borbottò Levi.

“Però riesci a vederci,” disse Sasha incredula. Lo stava guardando con un profondo stupore, che sembrava quasi adorazione. “Ci puoi vedere.” ripeté a voce bassa.

“Sfortunatamente.” rispose Levi. Lo stavano fissando tutti e Levi desiderò disperatamente di aver fatto finta di non poter vedere Eren. Ma aveva aperto la sua dannata bocca, e l’unica cosa buona di tutta quella situazione era che il reparto sei era deserto praticamente sempre.

“E’ una cosa ‘normale’ allora?” interruppe Eren. “Tipo tutti i pazienti in coma hanno questa sorta di esperienza ultra-corporale?”

Connie fece spallucce. “Da quel che ne so. Ma devo dirlo, i telefilm di fantascienza lo fanno sembrare molto più fico. La realtà è un po’ diversa, invece. Onestamente è una noia mortale.”

“Da quanto tempo stai così?” Eren sembrava a disagio.

“Be’,” Connie fece una pausa, facendo qualche calcolo veloce a mente, “Direi che io e Sasha siamo qui da circa due mesi. Alcuni degli altri stanno da più tempo. Il tempo passa in un modo strano da queste parti, e quando non sei veramente sicuro se vuoi che il tuo tempo vada avanti o indietro, questo inizia a non muoversi per nulla. E poi un giorno ti svegli e noti che le cose non sono come avevi pensato che fossero.”

Eren cercò di annuire come se avesse capito, ma riuscì solo a fare una faccia da uno con un gran mal di stomaco, e la cosa fece pensare a Levi che il ragazzo sembrava più incline a vomitare sulle sue scarpe di un bianco immacolato che altro.

Lui l’avrebbe semplicemente seguito a ruota.

   
 
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