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Autore: radioactive    01/01/2015    4 recensioni
«Naruto-kun» lo chiamò piano, la sua voce era trasportata dal vento come un fiocco di neve, «mi stai guardando?».
Si accorse, assottigliando lo sguardo, che Hinata non arrossiva. Le sue mani posavano tranquille sulle ginocchia flesse e la sua postura rimaneva intatta, perfettamente in equilibrio, come se non fosse imbarazzata a sentirsi osservata. All’improvviso, Hinata gli sembrò fatta per vivere lì: sull’engawa di casa Hyuga, con quello yukata che mal la valorizzava, con la notte tra i capelli e la benda sugli occhi. Era quasi sicuro che, se i suoi occhi potessero vedere, si sarebbero soffermati sulla neve che prendeva quello strano colorito dorato, alla luce delle lanterne che illuminavano a tratti il giardino.
«Com’è?» iniziò Naruto, guardandosi le mani che chiedevano di essere piene di lei. Era un bisogno fisico che gli faceva prudere le dita, «essere ciechi, intendo».
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki | Coppie: Hinata/Naruto
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Naruto fece scorrere lo sguardo sulla figura di Hinata, seduta composta vicino a lui. Lo yukata invernale le disegnava le spalle con una severità che non le si addiceva, con quelle pieghe dritte e rigide. Nella semiluce provocata delle lanterne, il suo colorito pallido assomigliava a quello di un fantasma, evanescente – aveva l’impressione che, sforzando la vista, avrebbe potuto guardare oltre di lei. Gli occhi, fatti da cocci di luna, erano fasciati da una garza pulita e profumata con melissa e qualche altra erba medica, abilmente arrotolata attorno al capo.

«Naruto-kun»  lo chiamò piano, la sua voce era trasportata dal vento come un fiocco di neve, «mi stai guardando?».

Si accorse, assottigliando lo sguardo, che Hinata non arrossiva. Le sue mani posavano tranquille sulle ginocchia flesse e la sua postura rimaneva intatta, perfettamente in equilibrio, come se non fosse imbarazzata a sentirsi osservata. All’improvviso, Hinata gli sembrò fatta per vivere lì: sull’engawa di casa Hyuga, con quello yukata che mal la valorizzava, con la notte tra i capelli e la benda sugli occhi. Era quasi sicuro che, se i suoi occhi potessero vedere, si sarebbero soffermati sulla neve che prendeva quello strano colorito dorato, alla luce delle lanterne che illuminavano a tratti il giardino.

«Com’è?» iniziò Naruto, guardandosi le mani che chiedevano di essere piene di lei. Era un bisogno fisico che gli faceva prudere le dita, «essere ciechi, intendo».

La sentì sospirare. Come una magia, quando quel sospiro si levò in aria e sparì nel buio, piccoli fiocchi di neve presero a danzare nell’aria, posandosi sull’erba già coperta da uno strato bianco.

«Nevica» le disse, senza aspettare la risposta alla sua domanda. La osservò alzare il viso verso l’alto, accennare un sorriso, e una folata di vento le spostò i capelli sulla spalla e sul viso, costringendola a spostarli. Le sue dita ornate di piccole cicatrici gli sembrarono fate della neve che scendeva, fatte di cristalli di ghiaccio – leggere e gentili, fragili. La luce delle lanterne disegnava strane ombre su quei tagli, che ora facevano sembrare le dita della Hyuga come sul punto di frantumarsi. Erano composte da lastre di neve congelata che si accingevano a separarsi in mille cocci, come fossero di vetro. Spostò lo sguardo sul viso di lei, scoprendo con rammarico che anche sul suo volto si era creato lo stesso effetto a causa dei graffi dell’ultima missione.

«Non sarò cieca per sempre, Naruto-kun» gli disse, e la sua voce cristallizzò l’ansia crescente in Naruto, bloccando i suoi battiti cardiaci e facendoli ripartire secondo un ritmo più moderato, «mi sono solo affaticata durante la missione, tutto qui» e si girò verso di lui, tirando le labbra in un sorriso. Le crepe de suo viso scomparvero e i graffi ritornarono ad essere graffi, mentre le bende si confondevano con la sua carnagione.

«Lo so… è che…» borbottò, guardandosi le mani, iniziando a giocare con una pellicina dell’indice, «ho avuto paura» confessò. E ne ha avuta davvero, quando aveva saputo dall’Hokage che il team Kurenai era tornato da quella missione così lunga che si era rivelata anche pericolosa. Si era catapultato in ospedale e gli avevano detto che la signorina Hyuga sarebbe stata medicata presso la propria casa, con i medici del suo clan. E una volta arrivato lì Hiashi lo aveva cacciato, come un leone, ruggiva  per allontanare chiunque volesse avvicinarsi ai suoi cuccioli.

Non capiva perché se l’era presa così tanto, quel vecchio. Forse si trattava di Naruto o forse perché sua figlia – la sua primogenita – fosse stata ferita. Non riusciva a capire i sentimenti del capoclan nei confronti della ragazza: un minuto prima quasi la disereda, affermando pubblicamente che il clan sarebbe passato alla sorella minore, un minuto dopo quasi impazzisce perché la figlia, anche se non in fin di vita, era stata ferita in missione e aveva sforzato troppo il byakugan. Ma non l’aveva mai supportata, da quel che ne ricordava Naruto. Le aveva sempre reso le cose difficili, più di quello che erano già, come per metterla alla prova.

«La prima volta che mi è successo avevo tredici anni» gli disse, catturando la sua attenzione. Era di nuovo dritta, il viso rivolto verso quei arbusti di camelie bianche che si confondevano con la neve, «mi stavo allenando duramente e non sono potuta venire a vedere i fuochi d’artificio con te, ricordi?».

Naruto sorrise. Sapeva di cosa stava parlando, e ricordava perfettamente quando si era avventurato con Sakura e Neji per cercare quella tale pianta medica, che alla fine non avevano recuperato.

«Neji-niisan mi aveva aiutato molto, durante quel periodo» disse con un filo di voce. Le sue labbra si contrassero per un momento e le mani si strinsero attorno al lembo dello yukata scuro, «faceva in modo che non inciampassi nel gatto, o che non mi versassi l’acqua addosso»  continuò, ora, la sua bocca si distorceva più volte, facendo uscire le sillabe rotte, incrinate, «ma non diceva mai di essere lì. Stava in silenzio senza dire nulla, ma si prendeva cura di me».

La fiamma delle lanterne sopra le loro teste sembrarono diventare più forti, illuminarono il viso di Hinata, conferendole quel pallore ambrato, e fecero scintillare le lacrime che sfuggivano alla benda.

Gli mancava. Gli mancava terribilmente, lo vedeva nelle dita che torturavano lo yukata e nei capelli che fluttuavano nel vento, nelle labbra incastrate nei denti, rosse per lo sforzo di non lasciarsi sfuggire quel pianto che le opprimeva il petto. Nelle lacrime, che le rigavano le guance e scivolavano via dal mento, fluttuando come la neve per posarsi sui suoi palmi. Se ne stava lì, tremava per mantenere la postura, resisteva al peso opprimente che le gravava sulle spalle, come se stesse trasportando il cadavere del cugino sulla propria schiena.

«Hinata…» la chiamò piano, e bastò quel sussurro a far diventare il suo corpo di ghiaccio compatto e non più di fiocchi di neve. Rimase immobile, con le labbra socchiuse e le mani distese sulle ginocchia, la benda intorno al palmo prese a colorirsi di rosso – evidentemente un taglio si era riaperto, «sono sicuro che Neji sarebbe fiero di te». Gli sembrò la cosa migliore da dire, la cosa più giusta, più vera. Sapeva che era così, sapeva che Neji se n’era andato in pace, felice – sapeva che la forza di Hinata derivava anche dalla determinazione che lui aveva messo nell’allenarla.

Le si avvicinò piano, colmando quei pochi centimetri che li dividevano, le passò le braccia sulla schiena e sotto le ginocchia flesse e se la portò sulle proprie gambe, stringendola a sé e cullandola piano, accarezzandole i capelli. Avrebbe voluto che tutto quel dolore liberasse il suo cuore, che il vuoto della perdita fosse colmato da neve e fiori e che lei potesse essere felice senza la paura che i fantasmi del passato la turbassero. La sentì chinarsi sulla sua spalla, le bende gli sfiorarono il collo e il respiro caldo di lei attraversò la sciarpa, accarezzandogli la pelle.

Rimasero così per minuti interi, Naruto si concentrò sui battiti del cuore di Hinata e le accarezzò la schiena fino a quando non li sentì rallentare e tornare regolare. Lei si strinse le braccia al petto, scaldandosi le mani nella nicchia creata dal suo corpo e da quello di Naruto.

«Naruto-kun» lo chiamò piano, girando il viso in modo da rivolgere le labbra verso il suo collo, «vuoi davvero sapere com’è essere ciechi?» gli chiese piano, appoggiando le mani sulle sue spalle, ritornando dritta, seduta sulle sue gambe. Una strana aurea aleggiava intorno ad Hinata, malinconica, distante. Naruto non rispose, si limitò a fissarle il viso, cercando di scorgere l’ombra dei suoi occhi oltre le bende, con scarsi risultati. «Chiudi gli occhi, non barare» gli disse, passando le dita infreddolite sulle palpebre di lui.

Naruto obbedì, lasciando che il buio lo avvolgesse. Un’iniziale sensazione di sconforto lo catturò, facendolo tremare appena. Gli sembrò di udire molti più suoni: il fruscio dello yukata di Hinata, una porta lontana che scorreva, anche i fiocchi di neve che si posavano sul manto bianco del giardino parevano fare un suono, simile ai passi di Hinata quando camminava lentamente, senza fretta. Poi, quelle stesse dita di ghiaccio gli sfiorarono la curva del naso, la fossetta sopra le labbra, il contorno della sua bocca, scendendo lungo la mandibola e poi gli zigomi. Al tocco di Hinata, sulla sua pelle sentiva strani arabeschi congelarsi e poi sciogliersi – erano come una carezza, una benedizione che lo ripagava da tutti gli sforzi compiuti durante quegli anni.

«Ci si accorge di tante cose, quando non ci si può affidare alla vista, Naruto-kun» gli sussurrò, continuando, timida, a sfiorargli il collo e il pomo d’Adamo, scendendo poi sulle spalle, «delle altre persone e di noi stessi» continuò, facendogli piegare le braccia, prese la mano sinistra e ne sfiorò ogni cellula con la delicatezza che si riserva ai vasi antichi, come se lui fosse una cosa preziosa. Passò anche alla protesi, e seguì tutte le linee della fasciatura, disegnò con le dita le vie dove scorreva il chakra, risalendo sulla spalla. Le dita di Hinata ritornarono, più sicure di sé, sul suo viso, sfiorandogli le labbra spaccate dal freddo, prendendogli il viso tra le mani, appoggiando la fronte contro la sua, «ci si accorge di quanto si ama una persona» gli sussurrò, e lui avrebbe tanto voluto aprire gli occhi, godere di quel rossore che era sicuro le stava imporporando le guance.

«Volevi davvero bene a Neji, non è vero?» le chiese, piano, alzando le mani, facendole vagare nel vuoto fino a quando non riuscì a trovare le braccia di lei, le percorse con la stessa premura che lei aveva riservato a lui, giungendo a mettere le mani su quelle di Hinata.

Lei non rispose, e lui non aveva bisogno che lei lo facesse. Lui era lì, quando era successo, e ricordava le proprie parole quando aveva chiamato soccorsi, quando nessuno era arrivato ad aiutare Neji.

«Hinata» la chiamò, sentendola sussultare appena, «mi sono accorto di una cosa» le disse, accarezzandole la benda che le fasciava il palmo e le vecchie cicatrici. Si allungò in avanti e sfiorò il proprio naso con il suo, «mi sono accorto di quanto amo una certa persona» le sussurrò e, impaziente, aprì gli occhi, solo per un secondo, solo per godere di quel rosso che sbocciava nella neve delle sue guance, come quelle camelie porpora che si alternavano a quelle bianche.

La strinse a sé, baciandola come se fosse neve che lui non voleva sciogliere. La sentì vibrare sotto il suo tocco, sotto le dita di Naruto che sia avventuravano sotto la seta nera dei suoi capelli e le accarezzavano il collo e l’attaccatura di quei fili di notte che tanto gli piaceva toccare.

Si staccò piano, alzando le palpebre per guardarla, ammirarla ancora come l’aveva ammirata quando sembrava fatta di vetro sul punto di spaccarsi, le sfiorò la guancia, passando il pollice su un graffio, nella speranza di cancellarlo. «Non essere triste» le sussurrò, e lei annuì, prima di ritornare abbracciata a lui, nascondendosi dell’incavo del suo collo.

All’entrata della stanza che portava all’engava, Hiashi li osservava nel silenzio della penombra.

 

 

 

 

• note d’autrice

Ammetto di non essere molto felice di fare queste note, perché in realtà questa fan fiction nemmeno volevo pubblicarla.
Tuttavia, un po’ perché mi dispiace non dare la possibilità ad un mio lavoro di non vedere la luce, un po’ perché – forse – qualcuno ci tiene a leggere i miei scarabocchi, l’ho pubblicata.
Come la naruhina che ho pubblicato prima di questa, non ha molte pretese, anzi, forse ancora di meno, dato che è stata scritta con il disimpegno più assoluto e immaginabile. Ho aperto word e, con l’idea di scrivere un po’ di angst di Naruto e Hinata (dato che non ne trovo mai), ho scritto questa… cosa. Il titolo, forse, è l’unica cosa che mi piace. Ma non ne sono sicura.
Comunque, la storia di Hinata temporaneamente cieca è stato oggetto di una puntata della serie, penso fosse un filler ma non sono sicura, in cui ho abbandonato il mio cuore e la mia anima, che poi sono morte definitivamente con la morte di Neji (;3;). Questa fan fiction è un po’ per ricordare anche lui, che è sempre stato messo da parte dai fans ma che, quando è morto, improvvisamente è stato ricordato da tutti.
Nejino, io ti amavo da subito, davvero. ♥
Inoltre, temo che Hinata possa essere un po’ OOC, e sto pensando di mettere l’avviso a riguardo (ditemi voi) – data la sua… serietà? Compostezza? Soprattutto durante la prima parte del racconto e l’ultima, quando fa chiudere gli occhi a Naruto. Ma ho pensato che, per come è fatta lei, abbia imparato qualcosa anche da quell’esperienza, quando le è capitato la prima volta, e abbia imparato qualcosa su Neji quel giorno. La sua filosofia, invece, accorgersi di tante cose su di sé e sugli altri e di quanto si ami una persona quando si è ciechi, è un po’ il mio pensiero, che ho voluto trasmettere a lei, maturato dopo aver creato un paio di personaggi ciechi e di aver amato uno che, nella sua opera stessa, non aveva la vista (Toph Beifong docet ♥).
Le camelie, sì. Alcune camelie fioriscono in inverno e possono essere sia bianche che rosse, ho controllato (e potete farlo anche voi, se desiderate) – e sono un fiore che allego molto ad Hinata sotto vari punti di vista.
Grazie per aver letto.

radioactive,

   
 
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