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Autore: Banana_Mecha    01/01/2015    1 recensioni
"La signora Kim siede vicino alla vetrina, nella sua caffetteria.
La porta è stata chiusa dall'interno con una spessa catena allucchettata; eppure non è neanche il tramonto.
Dentro le luci sono accese, e diffondono un caldo bagliore arancione, ma adesso che questo locale è vuoto… Prima che scatti il coprifuoco c'è ancora chi si azzarda a venire a trovarla. Sono molte meno di prima, certo, però vengono quasi ogni giorno.
Le passano ancora le lettere. Alcune addirittura portano del cibo.
Le si avvicinano e le sussurrano: «Yesung sta bene?»
Gli occhi della signora Kim si riempiono di lacrime. Non lo so, vorrebbe rispondere, mi manca mio figlio e non so niente di lui da mesi. Però non dice niente. Annuisce, e cerca di sorridere."
Settembre 2013. E' bastata una notte, e nessuno poteva sospettare che sarebbe accaduto così. Il Nord ha attaccato il Sud e la capitale è in ginocchio. La musica viene bandita dalla legge.
Gli artisti vengono costretti a rifugiarsi e a combattere contro i traumi di una guerra crudele e la paura di essere trovati. Non saranno soli però. Presto nel sottosuolo di Seoul nascerà la ribellione.
SJ, SNSD, B1A4, B.A.P.
Genere: Generale, Guerra, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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WARNING! E’ tornata la vostra banana meccanica! Mi sono interrotta ancora per parecchio tempo, scusate.
Ho scritto il seguente capitolo un po’ per forza di inerzia perché DEVO finire questa maledetta fan fiction.
Forse lo modificherò presto, o forse no, voglio solo finirla alla svelta. xD
Vi ringrazio per tutto l’amore che mi dimostrate continuando a leggere e recensire. Ogni volta che vedo il numerino delle visualizzazioni o delle recensioni crescere il mio cuore salta un battito.
Voglio ringraziarvi poiché il prologo ha ad oggi raggiunto le 1042 visualizzazioni.
Buon anno di cuore a tutti.

3/1/15: Modifica sostanziale al capitolo. Un bacione a tutti voi. 

 
 
Hong e Bani hanno due lunghi cappotti neri da soldato; se li sono procurati la prima notte di perlustrazione in un  lampo di genio passando davanti a una camionetta parcheggiata.
Bani se la stringe addosso, pensando a quanto sia cambiata in poco meno di una settimana di perlustrazioni.
Anche Hong la guarda; ha lo sguardo preoccupato. Bani gli sorride, mentre le strade cominciano a tingersi di blu pallido.



Bani guardava Jinyoung, sempre.
Lo faceva di nascosto, quando lui parlava con qualcuno, quando mangiava.
Non lo fissava, certo, ma ogni tanto il suo sguardo scivolava sul suo viso perfetto e bianco; era come una calamita.
Non era tanto la bellezza sconvolgente di quel volto, né la morbida lucentezza dei suoi capelli neri, né la calma suadente della sua voce.
Jinyoung emanava un’aurea incredibilmente sola. Era come se la sua anima avesse mangiato ogni particella intorno a sé creando il vuoto, un abisso fra lui e il mondo.
Anche quando qualcuno lo sfiorava, lui non se ne accorgeva quasi.
Guardarlo circondato dalle persone o immaginarselo da solo in mezzo al niente era esattamente la stessa cosa.
E Bani aveva creduto per un attimo di aver trovato qualcuno come lei, qualcuno che potesse capire la sua solitudine e il suo senso di abbandono e si era ingenuamente innamorata di lui.
Ma più che passava il tempo, là sotto, nel silenzio e nella tremenda noia dei sotterranei della città, più iniziava ad avvertirlo distante, lontano. Assente.
Quel sentimento che per lei era stato la scintilla che aveva riacceso la vita nel suo cuore, per lui non c’era mai stato.
La loro affinità, che aveva tanto riscaldato il cuore di Bani, era rimbalzata sul guscio di Jinyoung e si era dispersa nell’aria.
Bani poteva solo guardare l’abisso crescere divorandosi Jinyoung un pezzetto alla volta, un sentimento alla volta.

«Sai Oppa, hai fatto proprio bene a portarmi con te… Hong dice che sono un aiuto prezioso per lui, stanotte usciamo per procurarci provviste. Non lo trovi elettrizzante?», gli aveva detto intorno al terzo giorno che lei e il gruppo di Jinyoung erano nascosti in una stazione della metropolitana.
Jinyoung l’aveva guardata con calma e le aveva sorriso, un sorriso assente.
«Divertiti, mi raccomando», le aveva risposto lui con tono pacato, come sempre.
Nel petto di Bani si era aperta una voragine.
“Non mi hai ascoltata neppure, di’ la verità… che razza di risposta è questa? Dovresti dirmi di stare attenta o…”.
«Grazie, ci proverò».
Bani aveva sospirato ed era tornata a dedicarsi alle ultime pulizie.
L’unica spiegazione che riusciva a darsi era la foto della lapide, al cimitero.
Quella ragazza occupava ogni atomo di Jinyoung e lo trasportava con sé verso la dissolvenza.


Quella sera Hong era venuto a prenderla.
Bani lo trovava estremamente tranquillizzante; c’era qualcosa in quella figura così alta e dalle braccia lunghe che trasmetteva sicurezza, come un abbraccio sempre pronto.
Hong aveva uno sguardo serio, ma era uno sguardo intenso, forte, ribelle.
Anche i lineamenti appuntiti, gli zigomi delineati, le dita delle mani lunghe esprimevano una sorta di uragano interiore.
La prima volta che l’aveva visto gli aveva ricordato vagamente suo padre; inizialmente non capiva perché ma poi era giunta alla conclusione che Hong era quel tipo di persona.
Il tipo di persona che è disposta a credere negli altri. Il tipo di persona che può far sbocciare la vita degli altri se solo si ha abbastanza fede per aprirsi a lui.
Il solo fatto che tutte quelle persone fossero salve grazie a lui era il miracolo che solo certi esseri umani possono compiere.
Bani si era avvolta nel suo cappotto, aveva preso la sua torcia e un coltellino svizzero. Senza dirsi una parola lei e Hong avevano guardato un’ultima volta i componenti dei B1A4 intenti a chiacchierare a bassa voce, poi si erano diretti nel buio di una galleria.
«Siamo solo noi?», aveva domandato Bani dopo un po’ che camminavano immersi nel buio, solo due raggi di luce blu a illuminare le rotaie davanti a sé.
«I miei compagni si sono divisi altre zone della città, quindi sì, siamo solo io e te. Hai paura?», aveva risposto Hong sempre con il suo tono fermo.
Bani aveva ignorato la sua domanda; no, non aveva così tanta paura. Non più di lui. In fondo anche Hong aveva paura, non era un incosciente.
«Posso portarti lo zaino?», Bani si era limitata a cambiare discorso.
«Eh?!», Hong sembrava colto alla sprovvista per l’improvvisa richiesta all’apparenza così bizzarra.
«Sembra pesante, e tu sei gravemente ferito… non penserò che non sei un vero uomo se me lo lasci portare, ne hai tutto il diritto», aveva replicato Bani.
E così, non senza lottare, alla fine Hong aveva dovuto cederle la borsa.
Erano passati da un cunicolo della rete fognaria piuttosto breve, anche se non abbastanza perché Bani evitasse di sentire i conati di vomito, dopodiché erano sbucati in un grande parcheggio sotterraneo e buio. Qua e là macchine coperte da uno spesso strato di polvere parcheggiate da mesi riflettevano il bagliore azzurrognolo delle torce assumendo le fattezze di fantasmi.
I loro passi erano riecheggiati contro le volte del soffitto basso.
Avevano salito le scale, lentamente, finché non si erano trovati davanti a una grande porta di metallo con la serratura forzata.
«Qualcuno è già passato di qui, vedo…».
Hong aveva ridacchiato, poi aveva spinto la maniglia.
Bani aveva sentito il vento sfiorarle il viso, l’odore dell’aria pulita e fresca, l’immenso silenzio della notte. Per qualche istante lei e Hong erano rimasti sulla soglia a contemplare il miracolo dell’aria che si muove animata di vita propria, poi erano usciti e avevano iniziato a percorrere le vie deserte della città.
Avevano scassinato un paio di botteghe – un centro commerciale sarebbe stato meglio, ma era troppo difficile entrarci, e troppo rischioso per via di alcune telecamere ancora in funzione – e avevano riempito di provviste vari sacchi che per praticità portavano nel parcheggio sotterraneo, in modo da muoversi meglio in caso fossero stati scoperti.
Mentre depredavano gli scaffali intanto chiacchieravano del più e del meno. Hong aveva una capacità strabiliante di mantenere i nervi saldi e una sopportazione del dolore notevole; lui non lo dava a vedere, ma Bani insisteva comunque per aiutarlo a portare i carichi più pesanti.
«Hong, perché ti hanno fatto tanto male?», aveva chiesto ad un tratto.
Lui aveva taciuto. Bani aveva illuminato il suo volto con la torcia, spinta dall’irrefrenabile voglia di vedere che genere di espressione avrebbe potuto causare una domanda del genere.
Ciò che aveva visto l’aveva fatta impallidire. Il viso del ragazzo era diventato una maschera d’odio; aveva serrato la mandibola e corrugato la fronte, e per un attimo il suo sguardo burrascoso si era perso, come se stesse guardando la scena di un film violento e insensato.
«Perché ho protetto un amico», aveva risposto.
Bani aveva abbassato la torcia; non avrebbe mai dovuto vedere quell’espressione.
Per un attimo il volto apatico di Jinyoung si era sovrapposto a quello di Hong, che rifletteva ogni emozione umana amplificandone l’intensità.
Qualcuno che odia così tanto è senz’altro capace di amare con la medesima forza, aveva constato. Un po’ come il dragone gentile della leggenda, che per salvare un villaggio dalle fiamme sacrifica il proprio orgoglio e accetta di perdere la gara.
Se dovesse dare un nome alla forza passionale e gentile che Hong sprigiona, un dragone non gli sembra un paragone poi così sbagliato.
Per un secondo pensa a Jinyoung, il suo Oppa, era stato completamente svuotato da qualsiasi sorta di sentimento.
Non l’avrebbe mai amata, questa era la verità.
«Andiamo, per oggi basta così».
La voce di Hong l’aveva riportata alla realtà.
Una volta usciti per strada però erano stati sorpresi da un rumore di pneumatici in lontananza. Hong l’aveva afferrata per un braccio e l’aveva trascinata di corsa dietro il colonnato di cemento del porticato di un condominio. L’aveva spinta contro uno dei larghi pilastri, si erano appiattiti, avevano trasformato i respiri in sussurri.
Bani aveva chiuso gli occhi, mentre con il volto schiacciato contro il petto di Hong sentiva finalmente l’irregolarità del suo respiro, spezzato dalle fitte al petto.
I fari del furgone avevano illuminato il porticato per un istante, poi erano passati oltre. Hong e Bani erano rimasti immobili finché il rumore di pneumatici non era completamente svanito.
Allora si erano staccati, piano, e con cautela avevano ripreso il cammino finché a un tratto non si erano nuovamente imbattuti nella camionetta.
Era vuota, e nessuna traccia di soldati attorno.

Avevano rischiato grosso ad avvicinarvisi con quel buio senza una copertura ma Bani aveva insistito.
Si era rannicchiata tutta e era sgattaiolata fino alla portiera, aveva sbirciato dentro, aiutata dalla luce della luna.
Poi l’aveva aperta piano, aveva allungato la mano, aveva sfilato le giacche dai sedili.
Tre bastano?, - No prendine anche un altro paio, - Ce ne sono quattro e basta.
Bani era sgattaiolata di nuovo nell’ombra in cui era nascosto Hong, con in braccio quattro pesanti giacche nere.
«Quando si accorgeranno del furto credi ci daranno la caccia?», aveva bisbigliato Bani passando due delle pesanti giacche a Hong.
«Può darsi; ma cominceranno comunque a farlo se continuiamo a fare incursione di notte; inizieranno a sorvegliare negozi e strade», aveva risposto Hong. Era la sua più grande preoccupazione; dovevano trovare un metodo alternativo per procurarsi acqua e beni alimentari senza dare nell’occhio.
«Hong, sai che penso?», dalla bocca di Bani era uscita una nuvoletta di vapore. Il fatto che avesse nominato il suo nome gli aveva annebbiato la mente per un attimo, come se la nuvoletta scaturita dalle sue labbra avesse fatto una capriola e gi fosse entrata nell’orecchio.
«Cosa, Bani?»
«Concordo che dobbiamo smetterla con i furti di notte se non vogliamo che ci scoprano; ma nascondersi e basta non ha senso. Noi siamo potenti, Hong. Siamo giovani, siamo coraggiosi… noi abbiamo il dovere morale di fare qualcosa».
La voce di Bani vibrava del timbro del fuoco, e dei tamburi di Capodanno. Il sangue di Hong aveva iniziato a pulsare velocemente nelle arterie e la punta del naso si era tinta di rosso.
Bani emanava una luce potente mentre si frugava nelle tasche in cerca di qualcosa; aveva tirato fuori un taglierino piuttosto spesso, e i suoi occhi neri avevano scintillato.
Hong era stato capace solo di rimanere a fissarla, completamente assorbito dalla sua aurea. Bani aveva lasciato i cappotti a terra e si era diretta furtivamente verso la camionetta; con gesti rapidi e decisi aveva squarciato gli pneumatici anteriori sotto lo sguardo incredulo di Hong.
Poi aveva inciso qualcosa nella fiancata destra, qualcosa che Hong non riusciva a vedere.
Bani era ritornata; aveva il fiatone per la paura, ma ciò non era bastato a spegnere il fuoco nel suo sguardo.
Hong si era come risvegliato dal suo sonno; aveva ripreso lo zaino carico di provviste in spalla, afferrato i cappotti e con la mano libera aveva afferrato Bani per il polso e avevano iniziato a correre mentre in lontananza iniziavano a udire le voci dei soldati di ritorno dalla perlustrazione. Quanto ci avrebbero messo ad accorgersene? Sperava il tempo necessario per permettere a loro due di sgusciare di nuovo nel buio del parcheggio sotterraneo da cui erano usciti.
Avevano corso a perdifiato fino a dentro al parcheggio dopodiché si erano gettati a sedere contro una delle grandi colonne di cemento, col fiato corto. C’era buio pesto.
Hong aveva acceso la sua torcia e aveva illuminato Bani. Lei aveva tossicchiato un paio di volte, poi l’aveva guardato e aveva sorriso. Un secondo dopo i due erano scoppiati a ridere.
Hong non rideva da quanto ormai? Il suono della sua risata, che per un attimo gli era parso estraneo, ora gli sembrava non se ne fosse mai andato.
I due avevano riso così dal cuore che le loro anime erano uscite fuori dalle loro bocche rotolandosi e saltellando finchè non si erano scontrate ed erano ritornate rimbalzando dentro i loro corpi mentre le risate si spegnevano gentilmente.
«Posso chiederti solo una cosa? Che cosa hai inciso sulla fiancata?», aveva domandato Hong guardando Bani negli occhi. Lei aveva fatto un sorrisino furbo e Hong per un attimo era rimasto impigliato nella trama delle sue ciglia.
«Yong. La nostra firma, noi siamo i giovani Dragoni di Seul», aveva risposto Bani.
Yong, una sola sillaba tonda, perfetta, potente. Hong aveva pensato che non avrebbe potuto trovare nome migliore per una ribellione.
Aveva guardato ancora una volta il viso di Bani illuminato dalla luce bluastra della torcia; tre mesi fa non avrebbe resistito e avrebbe provato a baciarla. Ma ora non era più tempo per fare i ragazzini.
Da stanotte la libertà di una nazione dipendeva da loro.
Si erano alzati in piedi, avevano scostato la grata da cui erano usciti e si erano calati nelle fogne.


E’ già il quinto giorno e le provviste iniziano a scarseggiare.
I due scivolano per le strade protetti dalla loro divisa militare, ma non per questo con meno prudenza.
«Allora, mi raccomando, se ti scoprono distruggi la lista», le raccomanda un’ultima volta Hong. Bani annuisce; non c’è paura sul suo volto. Hong per qualche ragione si sente fiero di lei.
«Voglio che parli di persona a ognuno di loro, niente messaggi scritti ok? Sono persone di cui mi fido immensamente e che non ci tradiranno».
Bani si sfila il cappotto nero e lo rende in mano a Hong. Lo guarda un’ultima volta.
«Ti ritroverò qui fuori all’ora prestabilita?», si limita a domandargli. Hong sa che qualsiasi sarà la sua risposta, avrà la valenza di un giuramento.
«Non ti lascerò sola, Bani». Ecco, è fatta. Mentre la guarda sparire inghiottita oltre i muri di cinta della scuola e il cielo inizia a dipingersi di un blu pallido, rimugina sul significato delle parole che ha appena detto.
Quel “non ti lascerò sola” è rimasto sospeso nell’aria; vuol dire “non ti lascerò sola finchè uno dei due non morirà”. E Hong sente il cuore stringersi nel petto, perché realizza quanto veramente le vite di ognuno, anche la sua, anche quella di Bani, ogni vita di quella città sia precaria e passeggera, di quanto nel giro di pochi istanti le persone possano essere spazzate via e rimangano solo le promesse come quella a tormentare i ricordi di chi rimane.
E allora desidera tornare indietro e cancellare le sue ultime parole, perché nessuno dei due possa sentirsi abbandonato dall’altro un giorno.
Ma ormai è troppo tardi. Perché ha commesso la sciocchezza di innamorarsi di una guerriera disposta a morire in battaglia.
Hong si cala nel tombino da cui è uscito mentre l’alba sorge sulla città distrutta.
 


Il soldato scelto Kim Eejung fa un po’ di tutto; a volte è di pattuglia, altre è incaricato di ispezionare le case.
La maggior parte del tempo però, lui fa il farmacista. Passa in rassegna, cataloga, distribuisce i medicinali, prepara infusi  e opera piccole medicazioni.
Lui era sempre stato il migliore della sua classe, tanto da aggiudicarsi un posto all’Università di Medicina.
Non è riuscito a laurearsi, la Guerra è scoppiata prima.
A ventitre anni ne dimostra già molti di più; è l’effetto del vivere sotto un regime che segretamente odia. Solo quando ride l’espressione accigliata si distende e riaffiora la sua vera età.
Negli ultimi giorni ha la mente assente.
Una notte che tornava a casa si è scontrato con una ragazza del Sud, che vagava per le strade dopo il coprifuoco. L’aveva salvata, e avevano parlato. Era stata la prima volta che aveva parlato a cuore aperto  con il nemico.
E aveva avuto la conferma di ciò che in cuor suo aveva sempre sospettato; il Regime poteva averli privati di tutto, fatto il lavaggio del cervello, costretti a commettere atti ignobili ma di fatto erano esseri umani. E gli esseri umani sono fatti per vivere insieme.
E’ un’idea folle e insensata credere di poterli separare dividendoli in gruppi diversi, in ideali diversi, sotto nomi diversi.
Perché quella notte non erano stati un Nordcoreano e una Sudcoreana, un soldato e il suo nemico… erano stati due giovani uniti dalla stessa solitudine.
 Il mattino dopo, come aveva sospettato, lei non c’era già più. Aveva lasciato un bigliettino nel suo taccuino delle poesie.
“All’essere umano Eejun, che scrive poesie per non morire dentro. Grazie di avermi salvato la vita e aperto il tuo cuore.
Grazie anche di avermi ricordato di ciò che mi fa vivere. Voglio ricominciare a ballare.
A presto.

K.H.”
Quel “a presto” sembrava sincero, ma al tempo stesso Eejun sapeva di non poterci credere. Perché per nessuno dei due aveva senso rivedersi in un mondo che li teneva separati e li costringeva a odiarsi.
Forse una volta morti entrambi ci ricongiungeremo in un posto in cui non saremo più divisi, aveva pensato.
Era trascorsa quasi una settimana dal fatto.
Eejun sta spingendo un carrello colmo di scatole di medicine confiscate fuori dalla caserma centrale finché qualcosa non lo costringe ad arrestarsi di colpo.
Un soldato semplice sta inscatolando degli oggetti di forma quadrata e piatta insieme a dei manifesti arrotolati. E’ stato proprio uno di quasi manifesti che il soldato arrotola ad aver catturato l’attenzione di Eejun. Glielo strappa di mano prima che il soldato se ne renda conto e lo srotola.
Cosa… non capisce, non ha senso. La ragazza del manifesto… è la stessa che l’altra sera dormiva nel suo salotto!
«Che diamine…»
«Chi è?», Eejun zittisce il soldato bruscamente.
«E che ne so, leggi in basso… sarà una cantante o che so io. Se vuoi il poster io te lo lascio anche, basta che non mi fai scoprire».
Eejun non si prende nemmeno la briga di ascoltarlo. Cerca il nome, che è scritto piccolo piccolo in basso: Kim Hyoyeon. K.H. 
«Aspetta un attimo… se state confiscando questa roba è illegale, giusto? E’ ricercata?», domanda con il cuore in gola.
«Certamente… l’hai per caso vista?», domanda il soldato.
Eejun si rende conto di essersi tradito… se ora negasse di averla vista risulterebbe troppo sospetto.
«Sì, l’ho vista un paio di settimane fa che passeggiava lungo il fiume Han con un cagnolino… mi erano rimasti impressi questi capelli biondi, avrei fatto meglio ad arrestarla…», si affretta a inventare.
«Non disperarti, compagno, la troveremo presto… e poi una ragazza così è innocua», gli aveva risposto il soldato semplice, prima di riavvolgere il manifesto e chiuderlo nello scatolone.
«Non preoccuparti compagno, sto uscendo, questo scatolone lo carico io sul camion», dice Eejun.
Uscendo dalla caserma però inforca subito la strada di casa, spingendo il carrello pesante; nessuno si prenderà la briga di verificare se tra tanti scatoloni di medicine c’è anche qualcos'altro.
E così si appropria dello scatolone, lo porta a casa e lo nasconde sotto il letto.


 
«Mamma, un cadavere!».
Strilla di bambini, passi che si allontanano di fretta.
Non sono un cadavere, vorrebbe dire Heechul, ma sentirebbe di mentire. La verità è che magari è morto davvero, ma il suo spirito è rimasto attaccato al suo cadavere.
In tal caso sarebbe comunque felice. Meglio morire libero.
Non sa quanto ha camminato, strisciato, non sa da quanto è lì disteso, al freddo.
Sente passi pesanti che si avvicinano, qualcosa lo volta a pancia in su con estrema facilità. Heechul sbatte le palpebre, ma non mette a fuoco niente, solo immagini sfocate di un cielo plumbeo e un volte chinato su di lui.
Lo sconosciuto grida:«E’ vivo, presto!». E’ la voce di una giovane donna. Gli afferra un polso per contare i battiti. Ommioddio, bisbiglia sfilandosi la giacca per distendergliela addosso. Heechul non sente assolutamente niente, però, il freddo lo ha anestetizzato; meglio, la caviglia non fa male.
La sagoma sfocata si avvicina ancora un po’, gli scosta i capelli sporchi dalla faccia.
«Heechul?!», bisbiglia.
Sì, vorrebbe esclamare, mi chiamo Heechul!
La dolcezza con cui la sconosciuta ha pronunciato il suo nome non ha nulla a che vedere con la voce disgustosa della Dottoressa. Heechul vorrebbe alzarsi, ballare, abbracciarla, ma riesce solo a fare un sorriso simile a una smorfia.
«Oddio, sì, sei tu! Ora ti porto a casa,eh…», farfuglia la sconosciuta, poi con estrema facilità se lo carica in braccio.

Heechul riapre gli occhi, poi li richiude. Si trova in un letto – un letto vero. Al caldo. Gli gira la testa. Qualcuno gli sorregge la nuca e gli porta un bicchiere alle labbra; beve. L’acqua è zuccherata.
La testa gira tantissimo, e la gamba è tornata a fare male ma sente che non sta per morire.
«Heechul… come stai? Mi senti?».
Qualcuno gli posa una benda bagnata sulla fronte.
«A… sce…».
«Shh… sei ancora troppo debole… bevi un altro po’ d’acqua e zucchero»,la giovane gli porge nuovamente il bicchiere da cui Heechul beve un altro sorso d’acqua fresca.
«Grazie», riesce a biascicare a fatica. Una mano piccola gli accarezza i capelli.
«Ti preparo un bel frullato di verdure dell’orto… so che non è il massimo, ma sono buone e non dovrebbero farti troppo male, okay?».
La giovane si alza, Heechul socchiude gli occhi per guardarla uscire. Ha lineamenti dolci e rotondi, la sua voce è gentile. Se ripensa alla Dottoressa, non c’è paragone.
Sente qualcosa di molto simile alle lacrime pungergli gli occhi. E’ scappato ed è in buone mani.
Fuori dalla finestra non splende la luna bensì un sole pallido e debole.
Chiude gli occhi e per la prima volta si concede il lusso di immaginarsi i campi intorno alla casa, e le montagne con le vette già innevate, e i cimiteri di campagna, e le scuole di legno e la visione che si crea stende un velo di pace sul suo animo. Il mondo, quel mondo meraviglioso che gira incessantemente alternando il sole e la luna e le stagioni, ora è suo. E’ libero.

Heechul è come la Luna, che non può smettere di orbitare intorno alla Terra senza mai toccarla, poiché significherebbe distruggere entrambi.
Heechul è come la splendida Luna che può esistere solo se accetta la propria solitudine.
E non si è mai sentito così solo, ma è una solitudine felice perché questo è il suo modo di essere vivo.
E adesso gli sembra un prezzo dolce da pagare poiché ha visto la morte in faccia.

Levando la coppa, invito la pallida luna.

Ora siamo in due e, con la mia ombra,addirittura in tre.

La luna - è vero - non osa bere.


Ma, almeno per un poco ho trovato dei compagni: 
la luna, l'ombra,
disposti a fare allegria, per arrivare alla primavera.

Mi metto a cantare, e la luna tenta in modo maldestro qualche 
passo di danza.

Mi metto a ballare, e l'ombra si agita scompostamente.

Finché sono stato lucido, direi che ci siam fatti buona  compagnia.

Ma poi ho preso una bella sbronza, 
e ciascuno se n´è andato per conto suo.

Ormai legati per sempre, senza passioni,

ci diamo appuntamento, lontano, sul fiume delle nuvole.
- Tratto da “Bevendo da solo sotto la luna” di Li Bai.
 
  
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