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Autore: wiston87    03/01/2015    0 recensioni
Due tizi sono rinchiusi da un pazzo scatenato che ammazza trenta stronze davanti ai loro occhi.
Genere: Demenziale, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le pareti erano di ciottoli, creta impastata e mattoni a vista. Il portone d’ingresso, nonché l’unico di uscita, era un bestione di cinque centimetri di spessore. Acciaio temprato molibdeno che non si sarebbe sfaldato nemmeno con un razzo d’artiglieria, o con quintali di acido solforico.
Buk andò a prendere le trenta anime in pena rimaste di sopra e scavò un corridoio che conduceva alla finestrella accanto alla cella affinché loro potessero godere di tutto lo spettacolo. In una sola notte aveva fatto montare una rotella girevole simile a quella elettrica per grattugiare il formaggio, però cento volte più grande.
Raggiunse i due sposini e li obbligò a sporgersi alla finestrella inferriata sulla destra. Gli fece aprire per bene le ciglia in modo che non potessero sbatterle, costretti a guardare il tutto senza perdersi neanche un particolare, come il tristemente noto Alex Delarge di Arancia Meccanica durante la sua terapia riparativa contro l’ultra-violenza. Ma Buk non aveva alcuna intenzione di far riparazioni; solo di mostrar loro l’imminente destino che li attendeva il giorno seguente.
Alle scuole medie aveva visto un film in cui Leslie Nielsen annegava i due fidanzatini sotterrando l’uno e l’altro fino al collo sul ciglio della spiaggia, mentre l’alta marea avanzava imperturbabile; ma per rendere il piano diabolico ancora più interessante aveva montato una telecamera puntata su di lei di modo che il fidanzato potesse vederne la morte in diretta prima della propria. Non che avesse preso da lì l’idea, per carità, era sufficientemente pazzo dall’essere riuscito a trarla da se stesso soltanto. Però quell’associazione di situazioni sopita nella sua memoria gli si ridestò nel mentre appiccicava gli ami da pesca nelle ciglia dei due per tenerle aperte… e cosa non videro, non appena quella rotella grattuggiatrice cominciò a girare!
C’erano le ragazze in fila indiana che, stordite e quasi zombificate, si dirigevano ondeggianti in direzione della rotella di sotto. Il bordo dello slancio poteva apparire in tutto e per tutto come una piscina, e loro delle ballerine di danza sincronica. Buk aveva predisposto un trampolino azzurro cobalto in modo tale che le stronze avanzando ci salissero sopra per poi spiccare dei grandi salti acrobatici come tuffatrici. Ma quando sarebbero giunte sul fondo della piscina, non avrebbero trovato un muro d’acqua a far loro da sponda ma la rotella gigante che a velocità vorticosa le avrebbe smembrate in un battibaleno; al punto tale che chi avesse dovuto pulire infine, dopo il macello, avrebbe dovuto farlo non con badile e ruspa, ma con l’aspirapolvere per liquidi frullati.
David Risiko si domandò se le ragazze sapessero veramente dov’erano dirette oppure magari chi lo sa, erano talmente invischiate in una qualche forma di ipnosi o sballo traumatico del terzo tipo da credere che quella fosse veramente una piscina e loro delle saltatrici acrobatiche con tanto di controfiocchi e che l’ultimo salto della finale olimpionica andava sfruttato a dovere perché quei trulli imbroglioni e sfruttatori minorili dei giapponesi erano mezzo punto avanti. Oppure più semplicemente erano talmente oppresse che sceglievano un ponderato suicidio di massa piuttosto che continuare a vivere su questo errabondo pianeta malvagio capace di partorire simili individui; con quell’indebita universalizzazione di un rancore personalissimo che contraddistingue ogni visione filosofica del Male radicale. Non è forse vero? Possiamo studiare più e più volte il riepilogo sui campi di sterminio o sulle grandi ingiustizie della storia, per mezzo delle quali perirono milioni di innocenti, e non batter ciglio perché infine il male che percepiamo non è poi così grande: noi abbiamo cibo ed acqua e nessun vicino rumoroso o spione. Ma aspettate che qualcuno ci rompa un dito col grilletto della pistola spianato e questo sortirà su di noi un effetto mille volte peggiore di tutti i morti di un milione di olocausti bellici. Come dire: la necessaria relatività dell’esperienza vissuta; e la conseguente nullità delle conclusioni che se ne traggono.
Peccato solo che fosse tutto maledettamente sbagliato. Perché bastava guardare un poco più in là, appena dietro a quella lunga serpentina di ragazze spaurite, per vedere l’altra rotella gigante, solo lievemente più piccola della prima, che le spingeva in avanti alla velocità di circa un centimetro al secondo. Allora non poteva vederla perché era nascosta dall’angolatura. Come aveva potuto credere che su trenta non ve ne fosse nemmeno una consapevole dell’illusione allucinatoria?
Il resto è presto detto: una dopo l’altra caddero come pere mature spiaccicandosi in un ameba di poltiglia rossastra come ragù scaduto. Non un bello spettacolo per occhi discreti e abituati al bon ton, e infatti Clara iniziò a sentirsi male e a vomitare, non so se più per lo schifo della carne maciullata o per uno stato di tensione interna.
Si aprì la trasmissione dell’altoparlante, con Buk che squillava in uno stato di esaltazione euforica, quasi maniacale: “domani toccherà a voi, tanti auguri e buona notte!”.
Non avessero avuto gli occhi ben serrati con degli ami da pesca, sarebbero caduti in lacrime come bambini.

È peraltro interessante notare come tra le trenta ormai maciullate compagne si sia assistito a scene intrise del più subdolo isterismo macabro.
Del tipo: l’ultima della fila che per paura della rotella che avanzava da dietro spingeva quella immediatamente davanti ad avanzare e per effetto consequenziale tutte le altre, rendendosi così colpevole dell’omicidio della prima; anche se poi sarebbe morta comunque solo cinque secondi dopo. Un'altra che avendo il timore di saltare dal trampolino, e non avendo d’altro canto la prima subito dietro lo spirito di spingerla giù di sotto, faceva compattare la fila dietro di sé rendendosi così colpevole della morte anticipata dell’ultima… che gridò come una scrofa facendola piombar nel più assoluto vuoto quando se ne rese conto, un attimo prima di spiccare il volo e mettere a tacere ogni senso di colpa.

David Risiko vide tutto questo e pensò, alimentato da un odio dirompente, che casomai fosse riuscito a fuggire gliel’avrebbe farà pagare molto cara, in qualsiasi modo possibile e immaginabile che gli fosse capitato sotto mano. 
Erano disperati. I ganci agli occhi erano stati tolti e potevano finalmente dar libero sfogo alle lacrime; ma non era quella gran consolazione. Lei piangeva e lui piangeva perché piangeva lei, lei piangeva il doppio perché piangeva lui. Chi aveva cominciato per primo? Era nato prima l’uovo o la gallina?
L’odore di sangue rappreso, a centinaia di litri con cartilagini ossa membra e cervella tritate proveniente dall’altra stanza, era insopportabile. Non solo perché emanava un puzzo che già di per sé intasava le vie respiratorie togliendo ossigeno come pesce marcio della peggior fatta, ma soprattutto per il vezzo di morte e martirio continuamente richiamato dalla mente ad ogni respiro, e tanto più pressante dal momento che sapevano che presto sarebbe giunto il loro turno.
Se è vero che l’uomo teme la morte perché conscio della sua ineludibilità, allora non c’è nulla di peggio di conoscerne il giorno e l’ora. In tal caso, inizia il conto alla rovescia dei minuti e dei secondi, come una tortura invisibile che non lascia posto ad altri pensieri. Eppure, proprio allora più che mai, era necessario indugiare a oltranza su ragionamenti longitudinali che conducessero all’idea geniale per una fuga teoricamente impossibile.
  
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