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Autore: wiston87    03/01/2015    0 recensioni
Avete presente David Risiko, il grande magnate dell'industria telefonica mondiale? Adesso vi racconterò la storia di come si fece impiantare un telefono cellulare iper-tecnologico direttamente nel BUCO DEL CULO, su e ancora su fino all'ultimo attaccamento dell'intestino. O per meglio dire: la storia di come glielo installarono in seguito ad un grave equivoco.
Genere: Comico, Commedia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avete presente David Risiko, il grande magnate dell'industria telefonica mondiale? Adesso vi racconterò la storia di come si fece impiantare un telefono cellulare iper-tecnologico direttamente nel BUCO DEL CULO, su e ancora su fino all'ultimo attaccamento dell'intestino. O per meglio dire: la storia di come glielo installarono in seguito ad un grave equivoco.
Ecco come si erano svolti i fatti.
Un giorno di un anno e mezzo prima doveva farsi un operazione al retto a causa di alcuni fastidiosi problemi di secrezione. Allora aveva scritto su un foglietto di appunti alcuni accorgimenti suggeritigli da un chirurgo danese, amico da tempo immemore in forza delle comuni frequentazioni nei tornei di scala quaranta, il quale non poteva svolgere l’operazione in prima persona essendo specializzato in chirurgia plastica, ma aveva tuttavia la preparazione generale necessaria per poter dare consigli (ordini!) sui migliori materiali da utilizzare, ed il modo ottimale di svolgere l’operazione.
Sfortunatamente, negli stessi giorni David Risiko aveva orecchiato una fantastica barzelletta proveniente dal confessionale del reverendo McLoyd. Era infatti abitudine sua e di alcuni suoi compari, quella di registrare le conversazioni nei confessionali per mezzo di microspie in modo da poterle ascoltare dopo in gruppo e farsi delle gran sonore risate dinnanzi all’immane idiozia puerile della gente comune. Erano un gruppo esclusivo conosciuto solo da pochi eletti (chirurgo danese compreso, di qui la gran fiducia riposta da David nei suoi consigli), che tra di loro ne parlavano col nome in codice di “La Compagnia del fil di Ferro”. Le microspie venivano messe di nascosto da un complice, e quand’anche un parroco troppo scrupoloso se ne accorgeva, per farlo tacere era sufficiente sbandierare qualche banconota di grosso taglio, e se pure nel tal caso si dimostrava titubante (cosa che accadeva si e no una volta ogni morte di papa), allora si estraeva il grande archivio contenete i suoi cazzi personali e quello con un gran sorriso spianato iniziava a tacere. E se non aveva gravi peccati con cui essere ricattato? Non tutti ne avevano, effettivamente; specialmente un prete che rinuncia ad una gran mazzetta è facile che per sua natura non abbia scheletri nell’armadio.
Nulla di più semplice; gli si diceva qualcosa come: “non è forse una tua grave colpa quella di tener nascosta la microspia nel confessionale per poi vender le registrazioni ai servizi segreti o ai vecchi porci curiosoni/origliatori/pettegoli? Non mentire! Sappiamo che è li la microspia!”.
“Ma.. ma..” sbiascicava lui a sto punto, “siete stati voi a metterla, l’avete appena confermato, è proprio per questo che siamo qui a parlarne!”, coi due ricattatori del caso che lo fissano spioventi con un moto recitativo da oscar e le risa trattenute come galli matti e fritti in un pollaio: “noi? Lei è pazzo. La microspia è sua. Ed è una prova. La lasci al suo posto senza osare toccarla o la denunciamo. Siamo due testimoni contro uno!”.
Ebbene, in una di queste bizzarre spiate sparse (“meglio che andare al cinema!”, commentava sempre qualche membro della compagnia particolarmente appassionato), era entrato nel confessionale un uomo di mezza età, timido e con folti baffetti marrognoli, lo sguardo da buon allocco. “L’alter ego di Ned Flanders”, l’aveva definito la contessa Elisabeth di Lorena, che presenziava talvolta a quei singolari ritrovi aristocratici, per levarsi di dosso la noia di una ricchezza scandalosa. Questo appellativo era quanto mai azzeccato in quanto si dava il caso che costui, come il noto vicino di casa di Homer Simpson, fosse un fondamentalista religioso dai modi impacciati che usava dei vezzi linguistici assolutamente ridicoli per non rischiare di incorrere in scurrilità. Ad esempio: invece di dire porca troia/scrofa/puttana/merda, le sostituiva con briccola/paletta/puzzola e appellativi così assurdi da farlo sommergere dalle risate di chi gli stava attorno. Al ridicolo si aggiungevano poi difficoltà insormontabili, perché lui si era pure convinto, in seguito ad un attenta lettura della bibbia, che anche la ripetitività fosse uno dei peccati più gravi; così si era costretto ogni volta ad inventare nuovi termini per le sue quasi-imprecazioni. In ultimo, aspetto più grottesco tra tutti, per chi si chiedesse perché mai avesse bisogno d’imprecar tanto la risposta era presto detta: proprio a causa di quello stesso sistema teocratico-repressivo ove andava poi cercando rifugio e perdono per il flottare a grappoli di subcoscienti imprecazioni in direzione dell’altissimo.
Quel giorno se ne stava dunque rintanato nel confessionale ormai da tre quarti d’ora buoni, impegnato nel vivisezionare al microscopio tutti i peccati più piccoli e insignificanti. Il reverendo McLoyd, oramai stracolmo delle sue interminabili manfrine, si stava scartavetrando i pifferi come non mai. Da lì a poco avrebbe preferito un iniezione di acido muriatico direttamente nei testicoli piuttosto che continuare con quello scempio.
“Va bene figliuolo, ti assolvo da…”
“Aspetti, padre, ho ancora molti peccati da confessare!”
“Ed io ti assolvo ugualmente, anche da ciò che non hai menzionato! Nel nome del padre, del fig…”
“La prego, si fermi! La prego!”. Ma il prete stava già aprendo la porticina laterale, osservando la lunga fila di fedeli appresso. “La scongiuro, ascolti almeno l’ultimo, d’accordo? Un minuto soltanto!”.
Il reverendo McLoyd, che era di buon cuore e soprattutto non voleva subirsi i suoi piagnistei per le successive sei ore, aveva acconsentito. Il Ned Flanders di turno gli aveva allora narrato di come, ad una cena famigliare con presenti nipoti pronipoti e parenti vari, si fosse lasciato andare ad un linguaggio poco consono con una barzelletta a suo dire sporca.
 
Un giapponese un francese e un tedesco fanno una gita in barca. Parte una chiacchierata sulle innovazioni tecnologiche prodotte dai loro rispettivi paesi. Il giapponese dice: “noi abbiamo inventato il telefono cellulare installato nel palmo della mano. Si accende semplicemente distendendo il palmo e pronunciando una parola chiave! Una bella comodità, no? l’abbiamo sempre con noi e non possiamo dimenticarlo né tanto meno può esserci rubato!”. Il francese lo guarda con aria di spocchiosa superiorità e dice: “ma questo è niente! Noi abbiamo installato la connessione ad internet veloce direttamente nel cervello! In pratica possiamo comunicare con i nostri connazionali direttamente col pensiero e senza proferir parola! Per di più, per mezzo delle ricerche rapide, possiamo saper tutto istantaneamente!”. I due guardano il terzo spaurito che pende dalle loro labbra e si aspettano che anche lui dica qualcosa del genere ma questo, nell’imbarazzo della sua arretratezza, si lascia soltanto sfuggire un enorme scoreggia. Poi, con un lampo di genio improvviso esclama: “scusate.. mi stanno mandando un fax!”
 
Il reverendo domandò allora dove diamine fosse la scurrilità cui accennava e lui gli rispose che consisteva nel termine sco… sco… scoreggia. Faticava a dirlo, per quanto gli pesava. McLoyd non perse tempo in ulteriori diatribe e lo mandò a far penitenza, scongiurando il signore che non gli capitasse più d’averci a che fare per almeno il successivo quarto di secolo.
 
 
 
Dall’altra parte della microspia in venticinque avevano ascoltato con le risa sgranate a fior di pelle; non tanto per la barzelletta ma per l’idiota effeminatezza di quel disperato che confessava preoccupatissimo simili inezie.
Anche David Risico rideva come non ci fosse stato un domani. Su di lui però, era la barzelletta ad aver sortito un effetto particolarmente esilarante, perché stava a capo di fabbriche di telefoni e simili marchingegni adibiti alle comunicazione di massa. Insomma, se uno fa la parte seria in un settore tanto più possono divertirlo in modo del tutto speciale le sue parodie. Allora decise di segnarsi la barzelletta su di un foglietto così da non dimenticarla; la sua memoria era ottima per immagazzinare nozionistica inerente il lavoro ma non per simili frivolezze, non essendone solitamente avvezzo. Era sua intenzione raccontarla al successivo convegno internazionale per far ridere un po’ gli azionisti. Era convinto che una barzelletta ed un sorriso regalato valessero più di mille promesse ed espliciti vantaggi economici, per il volgo. Infondevano fiducia nei confronti del leader mostrandolo più alla mano.
Lasciò quel foglietto sul tavolino accanto a quello con i consigli del chirurgo danese, ma a causa di un imprevisto che volle la servitù spazzolare il tavolo infischiandosene bellamente dell’ordine dei foglietti, vennero levati e rimessi al loro posto invertiti. Non che si sia trattato di un grave errore da parte della cameriera, intendiamoci; era naturale dare per scontato che il capo fosse sufficientemente accorto da legger il contenuto prima di prenderne uno e non si basasse invece sulla sola collocazione spaziale.
Chiunque di noi l’avrebbe pensato.
Quando però David Risiko dovette partire verso l’intervento chirurgico era già in ritardo catastrofico a causa del traffico, dato che è in arrivo da una conferenza da Stoccarda. Senza pensarci due volte prese il foglietto sbagliato senza prestare neanche un poco di attenzione all’altro, convinto com’era di essere sulla retta via.
Risultato: il gran chirurgo massimo dell’ospedale privato di Castelvania che si vide arrivare quel foglietto con il paziente già addormentato rimase alquanto interdetto dal suo contenuto.
Una barzelletta? Ma che diavolo significa?
Ci riflette un po’ tra lo stranito e lo stralunato; poi, come per un illuminazione dall’alto, d’improvviso capì.
(Credé di capire)
È chiaro che il qui presente vuol farsi trapiantare un bel telefono fax su per il culo come ciliegina sulla torta durante l’intervento per il riassestamento del retto; una cosa del tipo: “ho fatto trenta facciamo trentuno”.
Questa richiesta, che in circostanze normali poteva apparire strana se non addirittura decisamente folle, era invece da intendersi soltanto una semplice raffinatezza una volta che si fosse prestata la dovuta a colui che l’aveva posta. Che il capo della più grande azienda telefonica/multimediale del mondo volesse un telefono sul suo corpo non era poi tanto più strano del fatto che Bill Gates si tatuasse il logo della Microsoft sul torace o si marchiasse a fuoco la bandiera di Windows sulla schiena.
Ciò era perfettamente coerente con la cosiddetta Filosofia del Superuomo Vip, secondo cui l’uomo famoso stabiliva, col suo solo comportamento, le linee generali del bene e del male universali. Del tipo: l’uomo comune è pazzo, il vip è originale. L’uomo comune è finocchio, il vip è sofisticato. L’uomo comune è un drogato, il vip è un gran viaggiatore che non si esime di far fruttar la mente in tutte le sue angolature. Ma soprattutto: l’uomo comune che vuole un telefono nel culo è da internare; David Risiko è invece un fottuto genio lungimirante, proiettato nel futuro di almeno un secolo.
Si, ma posto tutto questo, che tipo di fax telefonico vuole questo caro signore? Sul foglietto non c’è scritto maledizione di quella vacca impestata dai pidocchi! È chiaro che tacendo questo particolare è presupposto come ovvio che voglia un telefono della sua azienda, e nell’imbarazzo della scelta quale potrebbe essergli più adatto dell’ultimo modello?
Il chirurgo se lo immaginò infervorato sul palco di una conferenza nel mentre tirava un peto micidiale e subito si guardava attorno imbarazzato (proprio come scritto nella storiella sul foglietto), concludendo con la battuta topica: “scusate.. mi sta arrivando un fax!”; con gli scrosci di risate e applausi della folla che lo sommergono. Quale miglior modo per sponsorizzare il primo passo verso l’uomo-cyborg?
Come poi David Risiko si sia accorto dell’equivoco va anche questo annoverato sotto il più folto pelo della tragicommedia, che solo la fortuna più sfacciata volle non far straripare in figuraccia cosmica.
Si trovava ad una cena elettorale con un gruppo di vecchi artiglieri nostalgici e trac, all’improvviso gli partì la suoneria polifonica al posteriore. Cercò il cellulare ma quando lo estrasse dal taschino si avvide che, inspiegabilmente, non era quello che stava suonando. Sospettò che qualcosa non andava e scappò in bagno per poter investigare senza dar nell’occhio; una volta intuita la mezza verità (che per qualche minuto lo fece sentire morto e già all’inferno o già completamente pazzo da legare), salutò la compagnia alla veloce e si recò dal bel chirurgo per chiedere spiegazioni. Costui si mostrò imbarazzatissimo, come logico che fosse, però gli fece notare che l’errore era partito da lui perché aveva portato il foglietto sbagliato.
Diagnosi: il telefono non poteva esser tolto senza scorticare metà dell’intestino, il che equivaleva a dire che tanto gli conveniva tenerselo.
“Perché poi in fondo”, gli disse il chirurgo, suadente e con un sorriso ipocrita atto a sdrammatizzare, “che fastidio le da? Potrebbe pure rivelarsi utile in futuro!”.
Ecco, appunto.
  
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