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Autore: miss_sutcliff    05/01/2015    1 recensioni
Troppi dubbi e troppe domande, chi sono io, dove mi trovo.
Solo un ricordo nella mia mente, tutto il resto è da scoprire, e un po mi fa paura...
Genere: Fantasy, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il silenzio di un inizio

Arashi, penso di chiamarmi così,
perché il significato è tempesta?
Una donna è il primo ricordo che ho, probabilmente mia madre, sorrideva e aveva uno sguardo compassionevole. Mi guardava e mi toccava dolcemente.
Nel mio animo ero in pace e serena.
Con questa sensazione mi lasciai andare tra le sue calde braccia addormentandomi.
Quando mi svegliai non capii se fosse stato solo un sogno e se veramente quella donna..
La chiamai, ma la mia voce non esisteva. Mi portai una mano alla bocca sconvolta e sentii una lacrima scendermi sulla guancia destra.
Ero seduta sopra un letto in una stanza buia, c’era un buon odore, lavanda.
Iniziai a muovermi e cercai di fare rumore.
Gattonavo sul letto, molto grande, e quando arrivai al bordo sporsi una gamba per arrivare al pavimento ma non lo sentii, mi allungai verso il basso tenendo gli avambracci sopra il letto.
Niente il pavimento non esisteva.
Mi girai e guardai sotto il letto lasciando cadere tutti i capelli.
Fu allora che una porta in fondo alla stanza si aprì lasciando filtrare un po’ di luce per la stanza.
Davanti alla porta c’era una figura che avanzava.
Mi rimisi sotto le coperte fingendo di dormire, salì sul letto con molta facilità, sbirciai con l’occhio sinistro; era un angelo! E mi sorrideva.
-ti sei svegliata finalmente sorellina-.
Si distese accanto a me e mi toccò i capelli, tremavo e avevo paura.
-Non avere paura di tuo fratello - sembrava come se sapesse cosa avessi voluto dire.
Mi alzai per guardarlo meglio, lo toccai sul viso, le spalle, posando lo sguardo sulle ali.
Seguendo il mio sguardo prese la mia mano e la condusse fino a toccarla, erano lisce, morbide, calde e resistenti.
Dopodiché mi prese in braccio e mi portò fuori. vidi per la prima volta la luce, fuori da camera mia c’erano due porte chiuse e una scala a chiocciola.
La luce arrivava dall’alto e non c’erano finestre.
Non poggiò mai i piedi su uno scalino, mi poggiò alla fine della scala dove sia i miei che i suoi toccarono le piastrelle.
Ci misi un po’ ad abituarmi alla luce e a rendermi conto di ciò che avevo intorno.
Sembrava una normale casa, a destra c’era la cucina e a sinistra il soggiorno.
In cucina era indaffarata una donna, alta, bionda, ma non aveva niente di simile a quella dei ieri sera.
C’erano parecchi rumori e un profumo di omelette.
Lui mi guardava e finalmente distinguevo i colori; aveva i capelli argentei corti sfumati di viola, gli occhi verdi, indossava vestiti leggeri e scuri, dello stesso colore delle ali.
Mi teneva la mano.
Io ero scalza e indossavo una veste bianca che era in contrasto con i lunghi capelli rossi e le sfumature argentee.
Ora che ci pensavo non sapevo neanche il suo nome.
- Kage – disse.
Lo guardai mentre mi sorrideva.
La donna si girò - siete qui finalmente-.
Fece due passi verso la cucina senza lasciarmi la mano ed io lo seguii.
Si avvicinò al tavolo spostandomi la sedia per farmi sedere.
- omelette al formaggio, spero vi piacciano – disse la donna ai fornelli.
Appoggiai le mani sul tavolo molto imbarazzata; avevo paura di aprire la bocca  perché quanto ci provassi non riuscivo a parlare.
Mi riempì il piatto e lo svuotai subito, era molto buono ma comunque non riuscivo a sentirmi sazia, mi mancava qualcosa.
Stavo immobile sulla sedia senza dire nulla.
La donna seduta alla mia destra si prese un'altra porzione
- siete molto silenziosi è successo qualcosa?-
Appena seduta Kage la fulmino con lo sguardo .
-scusate non era mia intenzione offendere-.
Abbassai lo sguardo, Kage lo aveva capito.
Mi alzai e scesi le scale da sola entrai nella mia stanza buia, chiusi la porta, lasciando che quei due alzassero la voce.
Mi sedetti nell’angolo più distante dalla porta e piansi.
Piansi per la mia sensazione di vuoto, di incompletezza.
C’era qualcosa che mancava e non capivo perché fosse colpa mia.
Ma quel pianto non riuscì a riempire il mio vuoto.
   
 
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