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Autore: LoveStoriesInMyHead    05/01/2015    2 recensioni
Due storie. Due coppie. Estremamente diverse ma legate dall'amicizia:
Erika era sempre stata una ragazza esuberante, spensierata e amichevole. La sua vita non poteva andare meglio: era contentissima di varcare la soglia della London High School, ma non sapeva che la sua felicità si sarebbe presto trasformata in qualcos'altro.
Conobbe Jason, un ragazzo a dir poco spaventoso e inquietante. Odiato da tutti e tenuto alla larga per il suo passato altrettanto oscuro.
Erika sarà l'unica in grado di avvicinarlo, capirlo, amarlo. Tenterà in tutti i modi di scoprire cosa si cela dietro quel misterioso ragazzo.
***
Samantha è la migliore amica di Erika. Hanno sempre condiviso tutto ed adesso si ritrovano a frequentare anche lo stesso liceo. Sam, come le piace farsi chiamare, è uno spirito libero e non ama molto stare alle regole. I suoi rapporti amorosi ne sono la prova. È innamorata perdutamente di Luke, un ragazzo che già frequenta l'università e che possiede una moto di tutto rispetto. Appartengono a due mondi separati, ma, proprio per questo, si completano. Intrighi, litigate, alcol e tante altre cose entreranno a fare parte della vita di Sam. Che esito avrà tutto ciò?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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“Sam credi che riuscirò a farmi degli amici?” chiesi alla mia migliore amica una volta raggiunta la London High School. Avevo faticato molto per andarci, i miei genitori erano molto contrari.

Qualche mese fa

“Mamma non puoi farmi questo!” le urlai.
“Tu partirai con noi e verrai in America. Ti piaccia o no!” ribatté.
“Papà dille qualcosa” chiesi aiuto.
“Piccolina ha ragione. Pensa a quanto sarà bello vivere lì. Farai tante amicizie ed andrai in una delle scuole più prestigiose di New York” provò a convincermi.
“Ma io non voglio andare. Io ho già Samantha e voglio andare nella sua stessa scuola!”
“Non se ne parla. Tu verrai” continuò decisa mia madre. “Tuo padre ha faticato molto per avere quell'aumento e adesso noi andremo con lui” disse indicando mio padre seduto sulla poltrona di velluto beige.
Ormai le lacrime avevano cominciato a bagnare le mie guance.
“Fatemi rimanere qui. Mi cercherò un appartamento vicino la scuola, uno di quelli per gli studenti. Farò la brava, prenderò ottimi voti a scuola, ma per favore, fatemi rimanere qui” tentai un’ultima volta.
“Tu sei pazza figlia mia” disse mia madre enfatizzando le sue parole con un gesto della mano.
“Isabella, ascoltami, Erika è molto responsabile. Sarà capace di cavarsela da sola. E poi c’è mio fratello a Londra. Potremo chiedere a lui di darle ogni tanto un’occhiata…”
Ah, era ora che qualcuno passasse dalla mia parte. Guardai con occhi pieni di speranza mia madre.
“Ti chiamerò ogni giorno e se combinerai qualche guaio verrò a prenderti personalmente”  disse mia madre continuando con il suo atteggiamento da dura.
“Grazie, grazie , grazie” le saltai addosso cominciando a baciarla sulle guance.

*Fine flashback*

E così ero riuscita a trovare un appartamento abbastanza vicino alla scuola. I miei genitori mi mandavano ogni mese un assegno per poter pagare le rette della scuola e l’affitto, mentre il resto andava a me per fare la spesa o comprarmi vestiti e scarpe, la mia più grande passione.
“Io penso che ci riuscirai Erika” mi rispose sorridendomi.
“Lo spero” dissi camminando all'indietro verso il cancello dell’imponente scuola.
Un secondo dopo mi ritrovai a terra.
“Dove guardi idiota!” mi urlò un ragazzo mentre si rialzava da terra. Lo guardai per un attimo. Cavolo metteva paura. Aveva i capelli neri come la pece e gli occhi, del medesimo colore, iniettati di sangue. Potevo vedere un’aura oscura attorno a lui. Era spaventoso, ma estremamente bello.
“Sc-scusami. Non ti avevo visto” dissi cercando di mantenere la calma.
“Sta’ più attenta. Non so se sarò così gentile la prossima volta” disse fulminandomi con lo sguardo e andando via.
Un brivido percosse il mio esile corpo.
“Erika tutto bene?” mi chiese preoccupata Sam mentre mi tendeva una mano per aiutarmi ad alzarmi.
“Si, sto bene” mi massaggiai il sedere per la forte botta.
“Dai entriamo” disse tirandomi verso la scuola.
“Purtroppo siamo in classi diverse, dobbiamo separarci. Ci vediamo dopo” mi salutò allontanandosi.
“Si, ciao” la salutai con un gesto della mano.
Adesso ero sola, Sam era andata via e la cosa più importante da fare era farmi altre amiche. Ce la metterò tutta pensai motivata mentre aprivo la porta della mia classe.
“Piacere! Io sono Erika Brown” dissi entusiasta, ma nessuno ci fece molto caso.
La cosa mi demoralizzò leggermente, ma non mi buttai giù. Decisi di instaurare una conversazione con la mia vicina di banco.
“Ciao, io sono Erika” mi presentai mettendo su uno dei migliori sorrisi che riuscissi a fare.
“Ciao Erika. Il mio nome è Chanel” ricambiò la ragazza sorridendo. Wow è davvero bella! Pensai non appena la vidi voltarsi verso di me. Aveva i capelli mori e gli occhi azzurri. Aveva un portamento regale, sembrava una principessa. Io, a confronto, sembravo una delle sue serve. Era vestita molto bene. Indossava una camicetta bianca e una gonna a fantasia celeste, le stavano veramente bene quei vestiti.
“Ehi, ci sei?” mi chiese agitando la mano di fronte al mio viso.
“Scusami, mi ero distratta” dissi portandomi una mano dietro la testa.
“Ti avevo chiesto se eri di Londra” disse lei ridendo.
“Oh, si. Sono nata qui”  risposi imbarazzata.
“Sei buffa. Mi piaci” mi spiazzò con quelle parole.
L’unica persona che mi aveva mai detto quelle cose era Sam, finalmente avevo trovato un’altra ragazza che la pensasse come lei.
“Anche tu mi piaci” ricambiai sorridendo.

All'improvviso tutto il brusio in classe si bloccò di colpo. Smisi di parlare e mi voltai verso il resto dei miei compagni di classe. Notai che guardavano tutti impauriti verso la porta. Curiosa  mi misi a guardare anch'io. Fece il suo ingresso un ragazzo, molto alto e con il cappuccio della felpa sulla testa, dal quale fuoriuscivano qualche ciocca di capelli ai lati.
“Guarda! Quello è Jason Evans” sentivo bisbigliare da alcune mie compagne. “Oddio fa paura, ma è così figo!” continuavano altre. Inspiegabilmente, il cuore cominciò a battermi forte in petto. Mi era familiare, così attesi che si sedette per osservarlo meglio. Si tolse il cappuccio e rivolse uno sguardo all'intera classe.
“Chiudete la bocca!” urlò aggrottando le sopracciglia.
Lo riconobbi all'istante. Era quel misterioso ragazzo con il quale mi ero scontrata quella mattina.
“Cosa hai da guardare ragazzina?” mi sputò in faccia. Cavolo, mi ero imbambolata a pensare un’altra volta!
“Cosa? Tu lo conosci?” mi chiese Chanel.
“In un certo senso, ma non so molto di lui” dicci giocando con le mie mani per l’imbarazzo.
“Io gli ero amica una volta” disse mentre continuava a limarsi le unghie.
“Davvero? Raccontami di lui” la incitai eccitata.
“Non è sempre stato così, un anno fa era uno dei ragazzi più popolari della scuola e aveva molte ragazze che gli andavano dietro. Ma un giorno cambiò, cominciò a marinare la scuola e a prendere brutti voti, con la conseguenza che fu bocciato” mi spiegò.
“Eh? È più grande di noi?” chiesi sorpresa.
“Già.”
“E tu come fai a conoscerlo?” la mia curiosità aumentava sempre di più.
“Era il migliore amico di mio fratello” mi rispose alzando le spalle. “Come mai sei così interessata all’ ‘Angelo nero’?” chiese rivolgendomi un sorriso malizioso.
“Niente di particolare” risposi tornando seria.

Ripensai al suo soprannome: Angelo nero. La cosa mi fece ridere, gli s'addiceva proprio, era perfetto per lui.
Ben presto cominciarono le prime ore di lezione e la ricreazione non tardò ad arrivare.
Dopo il suono della campanella afferrai il mio zaino e tirai fuori la mia merenda. Appoggiai i due cupcake sul banco e richiusi lo zaino appendendolo sullo schienale della mia sedia. Le mie compagne di classe erano già uscite fuori dalla classe, io ero rimasta dentro. Avrei mangiato e dopo sarei andata da Sam a chiederle come aveva trascorso la mattinata. Ero da sola, beh non proprio, con me c’era l’Angelo nero, non che fosse una grande compagnia, ma era pur sempre un essere umano, credo.
Notai che non aveva mangiato niente. Possibile che abbia dimenticato la merenda? Così mi avvicinai a lui e gli porsi uno dei miei dolcetti. Non so cosa mi portò a farlo, un gesto impulso, non avevo pensato seriamente di offrirgliene uno, semplicemente ne avevo voglia.
“No grazie. Non mi piacciono le cose dolci” mi liquidò subito. Feci il giro del tavolo e mi misi di fianco a lui.
“Perché no? Sono buonissimi. Non ne vuoi assaggiare uno?” gli dissi avvicinando un cupcake alla sua bocca.
Mi afferrò il polso e lo allontanò dal suo viso. “Ti ho detto di no!” disse a denti stretti irrigidendo la mascella.
“Scusami” dissi alzando le mani in senso di arresa.  “Lo lascio qui nel caso ci ripensassi” dissi poggiando il dolce sul suo banco. Uscii dalla classe e mi nascosi dietro la porta.
Si guardava intorno, di sicuro voleva accertarsi che me ne fossi andata. Afferrò il cupcake e lo addentò. Mi scappò una risata. Mi portai le mani alla bocca, non dovevo farmi scoprire. Faceva tanto il duro, ma alla fine era un ragazzo come tutti gli altri.
“Erika che fai?” mi interruppe la mia migliore amica.
“Sam mi sei mancata!” le dissi gettandole le braccia al collo.
“Come sei esagerata” cominciò a ridere.
“Siete rumorose. Date fastidio agli altri con i vostri schiamazzi da ochette” ci ammonì Jason passandoci vicino.
“Che ha quel ragazzo che non va?” chiese Sam infastidita.
“Niente, lascialo perdere” continuai a ridere.
***
Al suono della campanella, io e Sam, ci dirigemmo verso casa. La sua era molto vicina al mio appartamento, così ogni giorno percorrevamo la strada assieme. Era divertente passeggiare con lei, ogni sua parola suonava come battuta alle mie orecchie. Non riuscivo a trattenere le risate con Sam.
“Wow! La mia prima giornata da liceale è stata magnifica” dissi sbadigliando.
“Hai fatto amicizia?” sorrise Sam.
“Certo. Ho conosciuto Chanel, è davvero una tipa simpatica” la informai.
“Sono molto contenta” si congratulò baciandomi sulla guancia destra.
“E tu?”
“Ho parlato con un paio di ragazze della mia classe, sembrano tipe a posto.”
“Sam, io devo andare di qua. Ci vediamo domani!” le dissi indicando una piccola via.
“Okay, ciao” disse ricambiando, salutandomi con la mano.
Continuavo a saltellare, ero troppo contenta. La mia nuova e strabiliante vita mi aspettava ed io volevo raggiungerla a tutti i costi. Presto avrei trovato un fidanzato con il quale trascorrere i pomeriggi in giro per la città, o fare un giro sulla London Eye. Volevo godermi ogni singolo attimo della mia vita da teenager.  
Il fatto di vivere da sola mi elettrizzava, non avevo orari, potevo fare quello che volevo, come una festa o un pigiama party con tutte le mie amiche. Certo, i miei genitori mi mancavano, ma col tempo ci feci l’abitudine.
 Canticchiavo per la strada, mentre con la mano sinistra facevo roteare lo zaino. Londra era una città incredibile, con i suoi monumenti  riusciva sempre ad affascinarmi. In un batter d’occhio arrivai dinanzi il portone del mio palazzo.
Inserii la grossa chiave, il portone si aprii e strisciai i piedi sullo zerbino, la signora Betty odiava se sporcavamo l’ingresso.
La signora Betty era l’amministratrice del condominio. Era una donna molto gentile e simpatica, ma dava molta importanza alla pulizia. Guai a chi entrava con le scarpe imbrattate di fango! L’ultimo che ebbe la sfortuna di non accorgersene era sparito. Chissà che fine abbia fatto. Sospirai e cominciai a salire le scale. L’ascensore era di nuovo rotto e a me toccava salire le scale per ben cinque piani, una cosa da niente insomma. Con il fiatone finalmente arrivai davanti il mio portoncino. Presi il mio mazzo di chiavi e cominciai a provarle a casaccio nella speranza di trovare quella che potesse aprire la porta. Non riuscivo  mai a riconoscerla, tutte le chiavi erano dannatamente uguali, avevo pensato parecchie volte di differenziarle, ma finivo sempre per dimenticarmene.
Aprii la porta ed entrai. Posai le chiavi sul mobile accanto ad essa e tolsi la giacca. Percossi lo stretto corridoio ed andai in camera mia. Il letto era ancora disfatto e i vestiti erano sparpagliati in giro per la stanza, come se una bomba fosse esplosa all'interno del mio armadio.
Cercai di riordinare, a modo mio. Raccolsi tutti gli abiti e li rigettai nell'armadio così come li avevo presi da terra. Non sono mai stata una ragazza ordinata. Io nel caos ci trovavo la pace, stavo bene in mezzo al casino, al disordine. Sam mi prendeva per pazza. Come fai a vivere qui? Sembra una discarica mi disse una volta che venne a vedere casa mia. Sorrisi a quel pensiero.
Andai in bagno e mi sciacquai il viso, legai i miei capelli biondi in una coda ed andai in cucina. Almeno quella era in perfetto ordine. Il lavandino spendente, il piano cottura sempre ordinato e pulito e il frigorifero pieno dei miei cibi preferiti ordinati per tipo. La cucina era l’unico luogo in tutta la casa impeccabile e perfetto, sembrava quasi una di quelle che si vedono nei giornaletti che si trovano da IKEA.
Aprii il frigorifero e afferrai un piatto coperto con della carta stagnola. Mi avvicinai al forno a microonde e impostai il tempo sufficiente per riscaldare il pollo che avevo cucinato la sera precedente.
“Non è possibile!” sentii urlare dall'altro appartamento.
Le pareti erano molto sottili, quindi non era difficile ascoltare le conversazioni degli altri. Ogni tanto era una cosa positiva, nei pomeriggi d’estate, quando mi annoiavo mi mettevo ad origliare le conversazioni stravaganti della mia vicina, una donna single, che ogni sera portava a casa un uomo diverso per divertirsi, credo che abbiate capito il perché non sia sempre piacevole ascoltarla.
Ma quella volta non fu una voce femminile a parlare, bensì un ragazzo.
“A quest’ora i supermercati saranno già chiusi” lo sentii una seconda volta.
Guardai l’orologio, effettivamente erano già le otto di sera, come vola il tempo quando cominciavo a pensare. Le lancette andavano avanti, ma io rimanevo ferma lì, in quell'universo parallelo, dove niente poteva ferirmi.

Una fitta al cuore bloccò il mio respiro per un attimo. Scossi la testa, come per mandare via quei brutti pensieri. Mi diressi verso la porta ed uscii di casa. Mi ritrovai davanti l’appartamento di quella donna e bussai. Solo dopo averlo fatto mi resi conto dell’assurdità del mio gesto. Mi avrebbe presa sicuramente per un’impicciona. Oh beh, ormai il danno è fatto. Non posso mica scappare come quando si fa tra bambini. Attesi all'ingresso nervosa.
La maniglia si mosse e la porta si aprì. Rimasi sconvolta alla vista del viso del ragazzo. 
Quante probabilità c’erano che proprio nel mio stesso condominio ci abitasse lui? E quante probabilità c’erano che fosse proprio il mio vicino di casa? Non molte, ma forse era il mio giorno fortunato, si fa per dire, ovvio.
“T-tu sei l’Angelo n-nero” balbettai pietrificata dinanzi a lui.
“Ancora tu! Ma cosa sei una stalker?” sbuffò fissandomi con i suoi bellissimi occhi neri.
“No ti sbagli. Sono solo venuta a vedere se stai bene” cominciai a dirgli. Il suo sguardo era troppo intenso, non riuscivo a guardarlo negli occhi.
“Va’ via!” disse chiudendo la porta.
“Ho sentito che non hai cibo. Vuoi venire a cena da me?” dissi tutto di un fiato bloccando la porta con un piede.
Smise di fare pressione sulla porta ed uscì di casa.
Mi ricomposi e gli feci strada verso il mio appartamento.
“Siediti pure dove vuoi” lo invitai ad entrare.
Aprii un cassetto della cucina, tirando fuori una tovaglia, ed apparecchiai la tavola. Ogni mio spostamento, ogni mio movimento, ogni singolo gesto era seguito dai suoi occhi. Era piuttosto imbarazzante con un ragazzo del genere anche solo portarmi una ciocca di capelli, sfuggita all'elastico, dietro l’orecchio.
Il pollo era già fumante sulla tavola, così gli porsi le posate e cominciò a mangiare.
Mi sedetti di fronte a lui e gli chiesi “Da quant'è che non mangiavi qualcosa?”
“Da stamattina. Tu non mangi?”
Ripensai a quel cupcake, probabilmente si riferiva a quello.
“No, non ho molta fame” risposi. “Come mai vivi da solo?” mi azzardai a chiedere.
“Fatti miei” mi disse alzando la testa dal piatto per incenerirmi con lo sguardo.
Viva la simpatia! Decisi di rimanere in silenzio, da quel poco che avevo capito non era un tipo chiacchierone. Meglio così, non era che avessi molta voglia di parlare con lui, non si era ancora scusato per esser stato così scorbutico quella mattina. Il generoso e altruista gesto che feci nei suoi confronti fu solo per dimostrargli che ero una brava ragazza, tutto qua, non volevo mica passare più tempo con lui.
Finì di mangiare e si alzò, dirigendosi verso la porta. Una ragazza ti offre una cena e tu neanche ringrazi? Ma in che mondo vivi? Pensai vedendolo andare via. Feci per dirgliene quattro, ma di colpo si voltò.
“Questa mattina il cupcake non era male, ma continuo a preferire le cose salate. La prossima volta preparami un panino. Sarà di certo più gradito” disse con un sorriso.
Cosa era quello? Un sorriso? Da quella specie di demone? Avrò sicuramente visto male.
“Torna pure quando vuoi” gli urlai prima che chiudesse la porta. Ma che cavolo dico? ‘Torna pure quando vuoi’ penserà che ci stia provando con lui. Spero che non abbia frainteso pensai mettendomi le mani tra i capelli.
Avevo un brutto presentimento.
 
   
 
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