Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: dierrevi    05/01/2015    2 recensioni
Troy appoggiò entrambe le mani aperte sul tavolo con un gesto solenne e guardò Coote.
«Lo uccidi tu, o lo uccido io?»
«Quindi tu hai passato un'ora a raccontarci di artigli di manticora e veleno di bestie indiane innominabili,» disse Coote a propria volta, «e stavi glissando sul fatto che non solo ti sei sposato, ma anche riprodotto?»
Potter fece un largo sorriso.
«La parte migliore la tenevo per ultima.»

Ma quale Potter potrebbe essere?
Un regalo per ferao per l'iniziativa "Caro Babbo Natale... Again!" di Pseudopolis Yard
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alastor Moody, James Potter
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Consigli paterni

Consigli paterni

Marcus McLane, il Capo del Dipartimento Auror, posò lo scritto cui aveva dato una rapida scorsa.
«Va bene, Moody, direi che questa noiosa faccenda siamo finalmente riusciti a chiuderla. Mi spiace averti tenuto incollato alla scrivania per tutti questi giorni, ma non c'era altro da fare.»
Il viso di Alastor tradiva un dispiacere ben maggiore di quello del suo superiore per essere stato tenuto incollato alle scartoffie per quasi due settimane, e per una faccenda tanto marginale, poi. Sarebbe stata più materia per l'Ufficio per l'Uso Improprio dei Manufatti Babbani, ma quelli erano riusciti a sbolognarla agli Auror nascondendosi dietro una complicata faccenda di competenze.
«Puoi archiviare il rapporto e fare una pausa. Boghart ha in programma un giretto a Notturn Alley, verso sera. Puoi andare con lui.»
Alastor ghignò, pregustando il ritorno al lavoro sul campo.
«Grazie, signore. Sarà un piacere,» disse prendendo il proprio rapporto e alzandosi per lasciare l'ufficio.
Infilò il rapporto in una cartella, lo portò in archivio, lo segnò nel registro di protocollo e lo abbandonò serenamente al suo insignificante destino dentro lo schedario dedicato al 1960, quindi si recò all'atrio comune dell'Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia, attinse al Bollitore Sempiterno, scelse una bustina e attese che il suo té fosse pronto.
L'atrio era il luogo di incontro di Auror e altri impiegati dell'Ufficio durante l'abituale pausa di metà mattina, ma ormai non mancava molto all'ora di pranzo e tutti erano al lavoro, così lui sorbì la bevanda in silenzio, rimuginando sulla sessione di allenamento che programmava per il fine settimana.
Fu distratto dai suoi pensieri quando un mago entrò dalla porta d'ingresso dell'Ufficio. Un tipo smilzo, sulla quarantina, vestiti eleganti e una quantità di brillantina sui capelli brizzolati. Mai visto prima, chiaramente non lavorava al Ministero, ma si diresse verso l'ufficio Auror senza nemmeno guardarsi attorno. Al posò la tazza.
«Mi scusi, posso aiutarla?»
«Grazie, non si disturbi, conosco la strada» rispose disinvolto il mago.
Alastor fece un passo avanti.
«Nessun disturbo, dica pure» insistette, con un tono che doveva comunicare “non-lasciamo-che-chiunque-vada-e-venga-dal-nostro-ufficio-signore”.
Il mago non si scompose.
«In questo caso, sto cercando gli Auror Coote o Troy, o magari Capo McLane. Sa se sono qui, al momento?»
Alastor si rilassò: solo gli Auror si riferivano in quel modo al proprio superiore; doveva essere un ex collega.
«Sono qui tutti e tre. Le faccio strada.»
Precedette il visitatore verso il grande stanzone affollato di scrivanie. Quella di Chase Coote stava sul lato più lontano dall'ingresso, mentre Thomas Troy aveva un proprio ufficio vicino a quello del Capo, ma casualmente si trovava in piedi lì accanto a Coote, che era intento (pure lui) ad affrontare una massa di scartoffie. Fu Troy a vederli avvicinare.
«Che mi venga un colpo! Guarda un po' chi c'è, Chase.»
Coote alzò la testa dalle carte.
«O-ho!» disse soltanto, alzandosi e venendo loro incontro.
Il visitatore fece un largo sorriso: «Signori...» disse, stringendo la mano a entrambi.
«Al,» disse Troy, «ti presento il signor Henry Walton Potter, l'unico Auror ad aver collezionato nella propria carriera tre encomi al Valore, una onoreficenza Babbana e una lista di ammonizioni per violazione dei regolamenti di rara lunghezza.»
Il detto Potter accennò un rapido inchino.
«Lui, invece,» continuò le presentazioni Troy, «è Alastor Moody, figlio del vecchio Nestor. Si sta facendo le ossa.»
Potter strinse la mano ad Alastor. «Se questi due dicono che ti stai facendo le ossa, significa che sei dentro da almeno tre o quattro anni,» ipotizzò.
«Circa cinque, in effetti» ammise Alastor. Potter gli sorrise.
«Tuo padre è stato uno dei miei istruttori. Mi è dispiaciuto molto non essere al suo funerale, ma in quel momento non ero qui in Gran Bretagna, e l'ho saputo solo con molto ritardo.»
«La ringrazio» rispose Alastor. Il funerale di suo padre era stato quasi nove anni prima.
«Ora ci piacerebbe sapere dove potevi essere finito per riuscire a perderti una tale notizia,» intervenne Coote, «e devi raccontarci un bel po' di altre cose, perché è davvero da parecchio che non degni i vecchi colleghi di una visita; che dico, di un semplice gufo!»
Potter assunse un'espressione leggermente colpevole.
«Una decina di anni, direi.»
Coote e Troy annuirono.
«Comincia col dirci» fece Coote, «cos'è questo bel vestito azzimato e cos'hai fatto ai capelli.»
«Devi sapere, Al,» spiegò Troy ad Alastor, «che il signor Potter, qui, aveva una vera passione per l'andare sempre in giro in tuta da lavoro come un operaio Babbano, e non lo abbiamo mai visto così ben pettinato come oggi.»
Potter si toccò a malapena i capelli imprigionati nella brillantina, diffidente.
«Non è colpa mia, dovevo vedere gente importante qui al Ministero,» cercò di discolparsi. «E gli abiti da operaio li usavo solo durante la guerra. Dovreste ricordarvelo; è passato troppo tempo o ve la ricordate, la guerra?»
Troy si mise a ridere.
«Se mi ricordo la guerra? Te la ricordi, Chase, la guerra?»
«Come no? L'estate del '40 me la ricordo bene. Tutte le dannate sere sui tetti a far evanescere le bombe che stavano cadendo sul Ministero e compagnia.»
«E su Diagon Alley no?»
«E su Diagon Alley anche peggio, perché è più estesa. E questo imboscato di Potter» disse Coote rivolgendosi ad Alastor, «era a spassarsela sul tetto del San Mungo, dove non ne è caduta una che fosse una, neanche per sbaglio.»
«Hei, non è vero! Ne sono cadute ben tre, vicino al San Mungo» protestò Potter in tono ilare. «E sono pure scoppiate.»
«Ed è anche orgoglioso di dirlo!» ribatté Troy, con l'aria tutt'altro che arrabbiata. Ad Alastor parve quasi un copione che si fosse già svolto altre volte. Sembrava un argomento sul quale i tre dovevano aver scherzato parecchio.
«E come mai sono cadute ed esplose tre bombe nel suo settore, Auror Potter?» chiese Troy, in tono esageratamente inquisitorio.
«Perché non ero io di turno» rispose candidamente quest'ultimo, e i tre scoppiarono a ridere.
«E ha avuto il coraggio di lamentarsi perché era un incarico periferico! Due mesi di riposo assoluto. Mezza Londra che andava a fuoco, e lui era l'unico tranquillo e riposato.»
«Guardate che stavo sveglio anch'io. Non è che dormivo solo perché non capitava niente.»
«Chissà che fatica facevi, a non addormentarti» disse Troy, provocatorio. Come per la domanda sulle bombe, ad Alastor sembrò che sapesse già dove si andava a parare.
«Oh, no, era facile. Mi aiutava Suzanne Twicross,» replicò infatti Potter, sempre sorridendo.
«Un'altra cosa che devi sapere, Al,» spiegò nuovamente Troy, «è che il signor Potter è sempre stato un donnaiolo impenitente.»
«Non ho mai promesso nulla che non abbia poi mantenuto,» si difese quest'ultimo.
«Passino i vestiti,» intervenne Coote, riportando la discussione sui vecchi binari, «ma spiegami questi capelli. Vuoi dirmi che adesso vai in giro sempre così impomatato?»
«Ma te l'ho detto,» rispose Potter, di nuovo toccandosi diffidente i capelli, «avevo degli appuntamenti importanti e mia moglie mi ha obbligato a mettermi in testa questa roba.»
«Quali appu- tua moglie?»
«Potter! Nella stanza interrogatori!» intervenne Troy. «Abbiamo parecchie cose da farti sputare.»
Potter alzò entrambe le mani.
«Sentite, perché non andiamo a parlarne a pranzo? Facciamo un salto al Paiolo, offro io. Se il Capo permette.»
«Permetterà, vado ad avvisarlo» rispose Troy, avviandosi verso l'ufficio del Capo.
Coote si rivolse ad Alastor.
«Al, puoi fare tu la guardia al fortino? Potrebbe essere una faccenda lunga.»
«Sicuro.»
Non lo entusiasmava l'idea di altro lavoro d'ufficio, ma Coote era uno di quelli che gli avevano insegnato ciò che sapeva, ed era anche uno che sapeva ricambiare i favori.
“Certo, però,” pensò Alastor, “portarsi una ragazza a un turno di guardia...”
Troy tornò dall'ufficio del Capo segnalando che era tutto a posto, Potter strinse nuovamente la mano ad Alastor e i tre maghi si avviarono fuori dall'ufficio.


«Allora, cominciamo dalle cose importanti: dove diavolo sei finito per dieci anni?» chiese Troy, dopo che si furono accomodati a un tavolo d'angolo nella sala del Paiolo Magico. Al che, l'ex Auror Henry Potter si mise a raccontare, incalzato dalle domande dei colleghi, il suo nuovo lavoro di cacciatore di ingredienti magici rari e preziosi in giro per ogni angolo del globo terracqueo, cosa che prese, da sola, buona parte del pranzo.
«E rende anche parecchio bene, devo dire,» disse Potter, concludendo il racconto. «Comunque non posso restare fuori ancora molto a lungo. Devo occuparmi della casa e del bambino, Miriam si stanca ancora facilmente e...»
Troy appoggiò entrambe le mani aperte sul tavolo con un gesto solenne e guardò Coote.
«Lo uccidi tu, o lo uccido io?»
«Quindi tu hai passato un'ora a raccontarci di artigli di manticora e veleno di bestie indiane innominabili,» disse Coote a propria volta, «e stavi glissando sul fatto che non solo ti sei sposato, ma anche riprodotto?»
Potter fece un largo sorriso.
«La parte migliore la tenevo per ultima.»
I due Auror ancora in servizio si guardarono di sottecchi.
«Ricominciamo da capo, Potter» fece Troy. «Partiamo da questa Miriam, e vedi di non essere reticente.»
Venne fuori che la signora Potter altri non era che Miriam Peverly, ex cacciatrice delle Vespe di Wimbourne, e che Henry l'aveva conosciuta proprio il giorno in cui chiudeva la sua carriera, poco meno di due anni prima.
«Ma a te non è mai importato un accidente del Quidditch!» interruppe Coote.
«Né mi importa adesso. Senti che storia: ero tornato in Inghilterra per consegnare del sangue di Petardo Cinese a un cliente. Questo qui doveva essere ammanicato con la squadra: aveva i biglietti gratis, mi ha portato a vedere la partita e poi a conoscere i giocatori a una cena dopo l'incontro. Avevano fatto tutti un gran casino perché era l'ultima partita di questa Miriam dopo dieci anni con le Vespe, così, sapendo che sarebbe stata libera, le ho chiesto se non avrebbe voluto fare un viaggetto in India, dato che dovevo andarci di lì a poco. È andata meglio di quanto sperassi: ci siamo sposati otto mesi dopo.»
«Poco più di un anno fa, no? Ma non abbiamo visto neanche un trafiletto sul Profeta,» intervenne Troy, stavolta. «Di solito danno un minimo di avviso dei matrimoni, specie di gente con qualche fama, come la tua Miriam.»
Potter alzò le spalle.
«È stata una decisione nata un po' all'improvviso. Non eravamo in Gran Bretagna: ci trovavamo nel sud del Cile, stavo dando la caccia a uno strano verme andino... Abbiamo dovuto fare la cerimonia in spagnolo, ma è stata una cosa divertente.»
I due Auror si guardarono di nuovo di sottecchi. “Non è cambiato e non cambierà mai...”
«Sicché sei passato dall'essere Henry Non-Mi-Interessa-Il-Quidditch-Ma-Cambio-Ragazza-Ogni-Mese Potter a padre di famiglia sposato con una ex giocatrice nel giro di un anno, sì e no. Stupefacente, lasciatelo dire.»
Potter scrollò di nuovo le spalle e sorrise.
«L'età che avanza. Non è più una ragazzina nemmeno lei, quindi è stata un po' una catena di “adesso o mai più”.»
I due Auror annuirono controvoglia. Nemmeno loro erano più i giovani scavezzacollo che gli Auror anziani dovevano tenere d'occhio. Anzi, era proprio il contrario.
«E allora possiamo venire al pargolo. Racconta, Potter: cos'hai combinato?»
Potter sorrise di nuovo.
«Adesso ha circa quattro mesi; ha inizito a scalpitare tre mesi prima di nascere e non ha ancora smesso. Un tipetto irrequieto, si direbbe. L'abbiamo chiamato James.»
«Qualche nonno?» chiese Coote.
«No, come il capitano Cook. Quando l'abbiamo -ehm- iniziato, eravamo in Australia.»
Coote e Troy sghignazzarono di cuore.
«E quindi adesso pannolini, biberon e tornare presto la sera» disse Troy, punzecchiando l'amico.
«Eh, sì. Mi ha fatto proprio mettere la testa a posto. Non c'è riuscita Miriam, ma lui sì. Ma pagherà tutto a suo tempo, quando sarò io a dirgli di non fare tardi la sera.»
Coote e Troy sghignazzarono di nuovo.
«Comunque sembra che prometta bene, se dici che già non sta mai fermo. Ti darà da fare.»
Potter annuì. «Tutto suo padre.»
«E dalla mamma ha preso niente?»
Potter annuì di nuovo.
«Mio suocero gli ha già regalato un boccino giocattolo (in quella famiglia sono malati di Quidditch). Glielo abbiamo appeso sopra la culla; ci credete che è già riuscito a catturarlo un paio di volte? Sicuramente è un mago, e sicuramente gli piace acchiappare le cose.»
Coote e Troy si godettero l'espressione soddisfatta sul viso dell'amico.
«Vedrai che alla fine faranno piacere il Quidditch anche a te.»
«E io gli farò piacere la caccia alle bestie indiane innominabili, così saremo pari.»
«E allora cosa dici che verrà fuori? Un altro Auror o un campioncino di Quidditch?»
Potter alzò entrambe le mani. «Ha quattro mesi, cosa vuoi che ne sappia? So sì e no di che colore avrà i capelli. Farà quel che vuole, basta che lo faccia bene.»


Henry uscì dal camino nel soggiorno di casa propria e trovò la moglie seduta sul divano, che lo accolse con un sospiro sollevato.
«Finalmente! Questo peperino non vuol saperne di dormire, e io invece non riesco a tenere gli occhi aperti.»
Henry prese il figlio in braccio e Miriam salì verso la loro camera per andare a riposare. Lui invece camminò per la stanza cullando il piccolo.
«Sai, James, oggi babbo ha incontrato delle persone molto molto importanti del Ministero che gli daranno parecchio lavoro qui in Inghilterra, così babbo dovrà andare un po' meno in giro per il mondo e potrà restare a casa con te e la mamma.»
James girava lo sguardo di qua e di là, con gli occhi spalancati come se cercasse di vedere contemporaneamente più cose possibili. Henry gli fece un po' di solletico e il bimbo ridacchiò e sembrò concentrarsi sul suo viso.
«Poi ho incontrato due vecchi amici che non vedevo da un sacco di tempo. Li conoscerai.» Quindi aggiunse sussurrando. «Non dirlo a tua madre, ma io e quei due ne abbiamo combinate parecchie, assieme. Vedrai, ti faranno ridere un sacco.»
Poi sembrò colto da un pensiero improvviso.
«Forse non è il caso che tu li conosca tanto presto, dopotutto. Sei già troppo bene avviato a diventare un combinaguai.»
Parlando aveva avvicinato il viso a quello del bimbo, e James ne approfittò per allungare una manina e cercare di afferrare gli occhiali.
«Ecco, cos'ho appena detto?» fece Henry, evitando l'attacco. «Mi hanno chiesto se diventerai un giocatore di Quidditch, sai? Beh, la mamma potrebbe darti un sacco di dritte, ma tu pensaci bene, eh! Ci sono un sacco di altre cose che si possono fare. Ma sappi, figliolo, che qualunque cosa tu decida di fare, l'importante e che tu faccia sul serio. Dico davvero, fa quel che vuoi, ma non metterti a ciondolare come un perdigiorno, guarda che davvero-»
James sbadigliò e gli occhi cominciarono a chiuderglisi.
«Oh! Ti sto annoiando?» sussurrò Henry. Si diresse verso la culla che tenevano nel soggiorno e vi adagiò delicatamente il piccolo. Sì, se reagiva così a una piccola dose di consigli paterni, decisamente era bene avviato a diventare un combinaguai. Ma poteva sempre essere una buona strategia per farlo dormire.
Come avesse letto nei suoi pensieri, James fece un altro sbadiglio, poi agitò le manine e cominciò a protendersi verso il finto boccino appeso sulla culla, sveglio come prima.
Henry non nascose un istante di disappunto.
«Ah, è così?» fece. «E io allora ricomincio: vedi di prendermi dei buoni voti, a scuola, e se proprio devi giocare a Quidditch, voglio vedertici sudare, su quella scopa. Fai quello che vuoi, ma fai sul serio. Dacci dentro e fa' sul serio. Dacci-dentro-e-fa'-sul-serio, dacci-dentro-e-fa'-sul-serio...» si mise a cantilenare, sorridendo.
Il bimbo rideva di rimando a quella cascata di suoni buffi, poi si interruppe, si agitò, e cominciò a piangere a pieni polmoni.
Henry indovinò in fretta la verità, sollevò il figlio dalla culla e lo portò al fasciatoio. Gli slacciò il pannolino, ne considerò il contenuto, poi fissò il piccolo James e gli parlò in tono serio.
«Figliolo, lo so che ho appena detto che in quello che fai devi darci dentro, ma, ragazzo, capiamoci, non devi prendere tutto così alla lettera, d'accordo?»

Spazio Autore:
Storia nata (più o meno) sotto la spinta dell'iniziativa "Caro Babbo Natale… again!" indetta su Pseudopolis Yard. Spero risponda alla letterina scritta da Ferao che diceva "mi piacciono molto le storie che parlino di rapporti padre/figlio. Non ne trovo spesso e mi piacerebbe leggerne di più. Magari ambientate negli universi di GoT, Harry Potter o Sherlock, dai". Padri e figli ci sono; fera, fammi sapere se ci ho preso.
La prima parte l'avevo abbozzata parecchio tempo fa, all'interno di una storia che probabilmente pubblicherò nel duemilaeMAI, ma mi sembrava potesse fare al caso mio per l'occasione, quindi le ho aggiunto la seconda parte. In pratica, fera, è un regalo riciclato. Vedila così, ho evitato di buttarla via :-D.

Mi sembra sia tutto. Buona Befana!

  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: dierrevi