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Autore: MuseDePandora    05/01/2015    4 recensioni
John ha un rapporto particolare con il suo coinquilino. Sa che la loro è un’amicizia complicata. E sì, sa che tutti pensano che lui abbia una relazione con Sherlock Holmes. Ma non ce l’ha. Ovviamente. John lo saprebbe. Giusto?
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Traduzione
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Ed eccomi a intasare anche questo fandom!
Ok, io in realtà sono pantarhei. Questa storia non è mia. L'autrice è straniera e mi ha molto gentilmente dato il permesso di tradurre la storia e pubblicarla. Ecco qui le prove :)
Qui, invece, ve la potete godere in lingua originale, che sicuramente è meglio.
Dato che non possiedo nemmeno i personaggi, quelli sono della BBC e di Conan Doyle, le uniche cose di mia produzione qui sono il banner e la traduzione. Ci tengo a specificare di non aver nessuno scopo di lucro. 
È la prima traduzione e anche la prima Johnlock in cui mi cimento, ma non vi chiedo di essere clementi :) Fatemi solo sapere cosa ne pensate!

 
 

of
 
 
 
(One)



John fece questa scoperta per caso. Era stata una giornata dura al lavoro, più per l’insopportabile monotonia che per altro. L’apice della sua giornata in ambulatorio era stato una giovane donna con una caviglia slogata, che si pensava potesse essere rotta. Quando gli restituirono le lastre, rimase piuttosto deluso.
Sherlock stava cambiando il suo modo di pensare più di quanto avesse fatto la guerra. A volte si rendeva conto che avrebbe dovuto preoccuparsi. Per la maggior parte del tempo, però, non riusciva a capire come avesse fatto a vivere per così tanto senza tutto questo. Come controllava la noia prima che arrivasse Sherlock?
Il lavoro era diventato una tale agonia perché sapeva che Sherlock era a casa a lavorare al primo caso interessante – parole di Sherlock, non di John – che fosse capitato loro in due settimane.
In qualche maniera lo stesso uomo era stato assassinato tre volte. La prima nel suo appartamento a Londra nel 1998. Ancora in Australia, nel 2003. E poi l’ultima volta appena due giorni prima, nel bagno di un club locale. Ogni volta c’era stato un corpo, identificato positivamente come quell’uomo. Scotland Yard era completamente sconcertata. Sherlock era euforico. John provava dolore fisico per non potersi permettere di saltare un altro turno al lavoro. Aveva arrancato per tutta la strada fino all’ambulatorio, certo che Sherlock avrebbe capito tutto mentre John non c’era e che sarebbe corso a risolvere il caso senza di lui. 
Sherlock continuò a inviargli messaggi per tutto il giorno, come per accertarsi che lui non se ne dimenticasse. Come se avesse potuto. Se non l’avesse conosciuto così bene, avrebbe detto che il suo amico lo stesse deridendo, punendolo per aver scelto l’ambulatorio e i conti non pagati al posto de Il Lavoro.  Ovviamente John lo conosceva bene e una cosa del genere sembrava proprio da Sherlock. Il bastardo.

"C'è una motivo se abbiamo alleggerito le nostre prigioni. SH"
“Come la Georgia. SH”
“Lo stato americano. Non la nazione. SH”
“È FINITA LA FORMALDEIDE. SH”
“Hai pianificato il tuo funerale? SH”
“Hai pianificato il mio? SH”
“NON LASCIARE CHE ANDERSON SI AVVICINI AL MIO CORPO. SH”
“Spara per uccidere, se devi. SH”
“Pensi che sarebbe emozionante essere assassinati? SH”
“LATTE. SANGUE DI MAIALE. CEROTTI. SH”

Il lato buono dei messaggi era che rassicuravano John sul fatto che Sherlock non stesse correndo in giro per Londra, risolvendo il caso senza di lui. Il lato cattivo era che facevano il loro lavoro e continuavano a ricordare a John che avrebbe preferito trovarsi da un’altra parte.
Dopo otto ore di ciò, decise di meritarsi un premio. Dopotutto, Sherlock non si trovava sull’orlo di una scoperta sensazionale e l’unica vittima di questa serie di omicidi era chiusa nell’obitorio della polizia. Non sarebbe morto nessuno se lui avesse impiegato dieci minuti in più per tornare a casa. In più, avrebbe infastidito Sherlock da morire. Gli piaceva farlo molto più di quanto avrebbe dovuto.
Avevano una relazione complicata.
Così John si fermò al supermercato e si prese mezzo chilo del più costoso gelato alla vaniglia che avevano.  Poiché sapeva che lì avevano sia sangue di maiale che cerotti alla nicotina – e questo la diceva lunga su di lui – già che c’era, prese anche il resto della lista della spesa. Sorrise tra sé e sé mentre pagava tutti gli articoli con la carta di credito di Sherlock.
Quando arrivò a casa, Sherlock giaceva sul divano in posizione di preghiera. John si divertì un po’ troppo nello sbattere il pacco di cerotti alla nicotina sulla testa del suo coinquilino. Ignorò lo sguardo arrabbiato di Sherlock e il rumore del pacco che veniva aperto di colpo. Dopo aver sistemato il contenitore di plastica del sangue di maiale nello scomparto di Sherlock del frigorifero, quello designato alla scienza, e posto il latte il più lontano possibile da quella mensola, John rivolse finalmente la propria attenzione al gelato.
Stranamente, Sherlock era di gran lunga meno loquace adesso che John era a casa. Non si stava nemmeno lamentando del ritardo. Doveva essere finalmente entrato nello stadio critico delle sue deduzioni: fino a quando non avrebbe risolto tutta la faccenda, Sherlock sarebbe stato lunatico e disconnesso socialmente. Beh, più del solito. Sicuramente non si sarebbe messo a mangiare. John era felice di non doversi nemmeno offrire, per semplice educazione, di preparare a Sherlock una vaschetta. 
Una volta che si fu servito, portò con sé la vaschetta in salotto, si sedette e iniziò a godersela. Dopo il tragitto fino a casa, il gelato era alla temperatura perfetta, freddo ma cremoso. Quel sottile sapore dolce e naturale di vaniglia gli si scioglieva sulla lingua, ricordandogli del sole rovente dell’Afghanistan e facendolo fantasticare su quella semplice lussuria. Con suo grande sgomento, dovette addirittura aver prodotto un suono di piacere, non un gemito ma proprio un soddisfatto “Mmm”.
Il divano cigolò.
Diede uno sguardo e trovò Sherlock che lo fissava. Capitava di frequente che il suo amico lo osservasse mentre mangiava. Era scontato, dato che così spesso John mangiava e Sherlock no. Ma stavolta c’era qualcosa di diverso. Forse era il ricordo di quel desiderio, che aveva tenuto occupato con la frustrazione di una lunga giornata lontano da Sherlock e il lavoro. Forse era il modo in cui John aveva colmato la sua brama fisica e il piacere di abbandonarsi a essa. Magari, era il fatto che John potesse vedere Sherlock deglutire dall’altra parte della stanza, con gli occhi fissi sul cucchiaio che usciva dalle sue labbra. Non importava quale fosse il motivo, si sentiva come se fosse stato colto nel bel mezzo di qualcosa di privato.
Rabbrividì e non a causa del freddo.
«Cos’è?» chiese Sherlock.
«Gelato.» John decise che non avrebbe smesso di mangiare solo perché il suo amico lo stava guardando. Prese di proposito  una grande quantità di gelato, di quelle che richiedono due tentativi per essere rimosse dal cucchiaio. Credendo che la conversazione fosse finita, si dedicò al primo assaggio.
«Che gusto?»
Si tolse il cucchiaio dalla bocca per rispondere. Eppure non riusciva a capire perché a Sherlock dovesse interessare. Gettando un’occhiata alla vaschetta, sperò che l’altro non stesse per dirgli che era stata usata per qualche esperimento, che comportava agenti chimici che reagivano letalmente con determinati gusti artificiali. Ma poi esisteva una cosa del genere? Non c’erano dubbi che, se ci fosse stata, Sherlock l’avrebbe saputo perché ci aveva fatto un esperimento. Si sperava non nella vaschetta di John. Era una vaschetta blu. Le vaschette blu erano per mangiare. Quelle bianche per gli esperimenti. Tuttavia, non sarebbe stata la prima volta che Sherlock commetteva un errore del genere.
«Vaniglia» rispose. Sherlock rotolò giù dal divano e dopo quattro lunghi passi – due dei quali sul tavolino da caffè, ovviamente – stava prendendo il cucchiaio dalla mano di John.
Qualsiasi suono di sdegno a proposito dello spazio personale gli morì in gola, quando vide il cucchiaio scomparire fra le labbra di Sherlock. Tutto quello cui riusciva a pensare era che un momento prima era stato nella sua bocca. E, nonostante Sherlock probabilmente non realizzasse quanto ciò potesse sembrare intimo, doveva per forza sapere quando fosse antigenico.
«Lo stavo usando» disse John. Sherlock girò il cucchiaio e gli diede ancora una leccata, prima di buttarlo di nuovo nella vaschetta con un suono metallico.
John deglutì nella sua gola secca.
«Ne prendo una porzione» gli comunicò Sherlock, mentre tornava furtivamente alla sua vecchia posizione drammatica sul divano. «Piccola» chiarì. «Molto piccola.»
Senza pensarci, John si alzò per prendergli una vaschetta, sentendosi un po’ come il cane di Pavlov. Ma una volta che il suo cervello sembrò essersi riavviato, gli venne in mente una cosa. «Aspetta, pensavo che non mangiassi durante un caso.»
Sherlock sospirò in stile film di serie B. «Ovviamente sto facendo un’eccezione.»
«Perché?»
«È gelato alla vaniglia.»


Sherlock non fu disposto a fare un’eccezione solo quella volta, ma John, sulla base di un’intuizione, sistemò un’altra piccola vaschetta sul grembo di Sherlock per colazione. Il suo amico era troppo distratto dal caso per guardarla o anche solo accorgersi che John l’avesse portata, ma la mangiò. Dopo parecchi ripetuti esperimenti, John scoprì che nonostante Sherlock potesse non dormire o mangiare durante un caso, il gelato alla vaniglia era sempre un’eccezione. Non era per niente salutare ma, quando Sherlock andava avanti per giorni senza mangiare, le calorie erano pur sempre calorie e John si preoccupava di questo genere di cose.
Si assicurava che ci fosse sempre una confezione nel freezer. Per entrambi.
   
 
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