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Autore: Serenity Moon    06/01/2015    6 recensioni
"Caro Babbo Natale,
sì, lo so, alla mia età non si scrivono le letterine con i desideri ma se tu mi permettessi di essere almeno un pochino egoista, ne avrei uno solo per me. È il più complicato di tutti, me ne rendo conto, per questo capirò se non riuscirai ad esaudirlo, però vorrei tu sapessi che è la cosa a cui tengo di più.
Ti prego, riporta indietro il mio Ryou...”.
Con tanti auguri di buone feste, ovviamente in ritardo in perfetto stile Serenity.
Baci, bacini, bacetti!
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Keiichiro Akasaka/Kyle, Ryo Shirogane/Ryan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A tutti voi, infiniti auguri di buone feste,

ovviamente in ritardo, in perfetto stile Serenity.

Spero che Babbo Natale vi abbia portato

ciò che avete chiesto.

Baci, bacini, bacetti, vostra

Serenity.

 

 

 

Dear Santa

 

"Caro Babbo Natale,

sì, lo so, alla mia età non si scrivono le letterine con i desideri, ma quest'anno è stato particolarmente movimentato e per certi versi difficile. Con questo non voglio giustificarmi e pretendere un regalo come pegno per quello che ho passato, forse è semplicemente un modo stupido per tornare bambina, a quando il problema più grande che avevo era come dire alla mamma che avevo stracciato i collant nuovi, poi chi lo sa, magari ti farò pena davvero e allora deciderai di esaudire i miei desideri, anche perché un pochino mi merito qualche regalo.

Non ti chiedo molto. Vorrei un pizzico di serenità per la mia famiglia e i miei amici. Minto, Purin, Zakuro e Retasu hanno combattuto duramente e mi sono state accanto senza mai abbandonarmi. Mi pare giusto pensare prima a loro stavolta. Se fosse possibile, vorrei che restassimo amiche per sempre, anche litigando ogni tanto, per carità, però fa' che non se ne vadano mai.

Un po' di pace pure per i miei genitori. Li ho fatti preoccupare così tanto! Sono la mamma e il papà migliori del mondo e mi sento immensamente fortunata ad averli al mio fianco.

Un pensiero dedicalo pure a Keiichiro, è così buono lui! Poi, se proprio dobbiamo dirlo, i biscotti che ti lascerò vicino a questa lettera li preparerà lui, quindi fai tu. Qualunque cosa gli riserverai, per favore, raddoppiala.

E poi... Se tu mi permettessi di essere almeno un pochino egoista, avrei solo un desiderio per me. È il più complicato di tutti, me ne rendo conto, per questo capirò se non riuscirai ad esaudirlo, però vorrei tu sapessi che è la cosa a cui tengo di più.

Ti prego, riporta indietro il mio Ryou...”.

 

Ad Ichigo il Natale piaceva. A dirla tutta, lo adorava proprio. Già da un mese prima cominciava a girare per casa saltellando come tarantolata, cambiava il colore dei suoi nastri per capelli, progettava come decorare ogni singola stanza e schiacciava il naso contro le vetrine che esponevano la merce natalizia.

Quell'anno si era pure fatta procurare da Keiichiro un costume da babbo natale che, almeno a lavoro, non si era più tolta dal momento che l'amico pasticcere glielo aveva consegnato.

La ragazza sgambettava a destra e a manca con la gonnellina di velluto rosso che le arrivava a metà coscia e un sorriso stampato in faccia a dimostrazione che si sentiva la persona più felice del mondo. I codini che spuntavano da sotto il cappello a punta non stavano un attimo fermi, tanto meno i pon pon bianchi che scendevano dalla giacchetta, anch'essa rossa e bianca.

Le sue amiche la osservavano sconcertate andare da una parte all'altra con vassoi pieni ora di dolci, ora di tazze da tè in equilibrio precario, a dispensare sorrisi e auguri a volte anche eccessivi, suscitando spesso le risate dei clienti, sorpresi e incuriositi da quella strana cameriera che sembrava uscita da un manga.

«Gingol beels, gingol beels, gingol ol de ueiiii!».

«Qualcuno la fermi!». Minto si nascose il viso tra i palmi delle mani, mentre per l'ennesimo pomeriggio guardava Ichigo fluttuare su e giù per il locale nel suo sgargiante e imbarazzante vestitino. Si rifiutava di dire in giro di conoscere quella squinternata e aveva deciso di starle il più lontano possibile, seguita a ruota da Zakuro. Purin non se l'era fatto chiedere due volte e si era accodata all'amica dai capelli rossi. Retasu, invece, si dichiarava ancora indecisa, ma trovato il modo di superare la sua tipica timidezza, Ichigo e Purin l'avrebbero certamente avuta dalla loro parte.

I clienti, per conto loro, erano felici di tutta quell'atmosfera natalizia. Il caffè Mew Mew sembrava essersi trasformato nel covo, non più tanto segreto, di Babbo Natale, tempestato com'era di ghirlande e palline e decorazioni varie. Addirittura un grande, enorme boa scintillante avvolgeva il passamano delle scale che portavano al secondo piano, dove, ben al riparo da tutto quel falso luccichio, aveva trovato rifugio Ryou Shirogane.

Sì, per lui era tutto falso e gli bastava poco per dimostrarlo: scendere giù in sala, piazzarsi davanti a lei e aspettare. La sua espressione cambiava in meno di un secondo. Una linea dura sostituiva la curva del sorriso e gli occhi color del cioccolato iniziavano a lanciare saette furiose, tutte dedicate a lui. A completare il tutto, quella che ormai era diventata la frase preferita della ragazza: «Levati di mezzo, Shirogane!».

E si era pure eletta paladina del Natale...

Ryou guardò l'orologio. Le lancette segnavano le tredici. A quell'ora il locale, di solito, era vuoto e le ragazze in pausa pranzo. Tradotto: momento perfetto per sgattaiolare di sotto e riempirsi lo stomaco senza rischiare di essere visto da qualcuno, men che meno da Ichigo. Ma, arrivato all'ingresso della sala, si pentì di non aver saputo resistere ai morsi della fame.

Il caos regnava sovrano. Ichigo, Purin, Retasu e Keiichiro andavano avanti e indietro da una punta all'altra del locale, le braccia piene di decorazioni natalizie da sistemare solo loro sapevano dove, visto che non c'era più un angolo vuoto.

«Che diavolo sta succedendo?» chiese il biondo a Minto, i begli occhi azzurri spalancati per l'incredulità. La ragazza, che si stava godendo lo spettacolo con le gambe accavallate sotto a un tavolo in disparte, fece spallucce.

«Organizzano una festa di Natale» spiegò come se fosse la cosa più normale del mondo.

«Cosa? E chi avrebbe dato loro il permesso? Sono io il capo qui dentro e nessuno mi ha chiesto niente!».

«Se uscissi da camera tua più spesso, lo sapresti. Oh giusto, non vuoi vedere Ichigo...».

Ryou la fulminò con una delle sue occhiate senza perdono, ma su di lei non ebbe alcun effetto. Minto non era il tipo da farsi intimorire da così poco.

«E' lei che non vuole vedere me» si difese il ragazzo.

«Sai che novità!». Minto si portò alle labbra la tazza che stringeva delicatamente tra pollice e indice e bevve un sorso. «Che tu ci creda o no, ormai non importa più a nessuno chi non vuole vedere chi. Siete diventati monotoni».

«E' stata una sua idea, vero?». Ryou si affrettò a cambiare discorso sbuffando e col mento indicò Ichigo che, sicura di sé, stava dirigendo i lavori un po' più in là. «Ora vado a dirgliene quattro».

«Oh, ti prego, non ora! Ho finito le pastine da tè. Aspetta un attimo. Voglio godermi lo spettacolo come si deve. Purin!».

Il ragazzo sbuffò ancora e, ignorando quella che aveva appena perso il titolo di ragazza più intelligente del locale, si diresse a passi pesanti verso quella che secondo lui intelligente non c'era proprio mai stata.

«Che cosa stai facendo?». Ryou scandì bene ogni parola, a modo suo per rendersi più comprensibile e risparmiarsi il tempo che avrebbe perso nel ripeterle la domanda opportunamente non capita. Come si aspettava, Ichigo cambiò faccia, gli rivolse lo sguardo più sprezzante che aveva in repertorio e diede fiato alle trombe.

«Levati di mezzo, Shirogane».

Ryou non ci vide più.

«Levati di mezzo? Questo è il mio locale. Il MIO, Ichigo, non il tuo. Se c'è qualcuno che dovrebbe levarsi di mezzo, sei tu!».

«Dovevi pensarci prima». Ichigo lo scansò con un'eleganza che proprio non le apparteneva e continuò per la sua strada, lasciandolo senza parole. Era difficile che qualcuno spiazzasse Ryou Shirogane, eppure, negli ultimi tempi, Ichigo ci riusciva alla perfezione.

Il ragazzo scambiò un'occhiata sconvolta con Keiichiro, anche lui sorpreso dalla piega che stava prendendo il rapporto tra i due.

Li aveva visti litigare una marea di volte, non facevano altro a dirla tutta, ma mai avevano raggiunto certi livelli. Di solito facevano la pace subito dopo i loro battibecchi. Al massimo Ichigo teneva il muso a Ryou per un giorno, poi lui trovava sempre il modo di farsi perdonare. Stavolta non sembrava esserci via d'uscita. Ciò che il pasticcere non riusciva a spiegarsi era il motivo alla base di un simile astio.

Era Ichigo ad avercela con Ryou, su questo non c'erano dubbi. Aveva cominciato lei a evitarlo, negandogli pure il saluto dopo che il biondo aveva fatto ritorno da un breve viaggio negli Stati Uniti. Breve... Ryou era mancato per un paio di mesi, durante i quali non aveva più dato notizie di sé alle ragazze. Era partito con l'intenzione di non tornare più, ma poi, inaspettatamente era ricomparso sulla soglia del caffè Mew Mew, con gli occhiali scuri e le labbra contrite di chi non sa cosa c'è ad aspettarlo dietro il portone. Presto detto: tutto come lo aveva lasciato, l'amico di sempre ad attenderlo comprensivo, le ragazze pronte ad accoglierlo a braccia aperte. Tutte tranne una. Ichigo quando lo aveva visto si era voltata dall'altra parte e aveva continuato a lavorare come se il discorso non la riguardasse. Da lì in poi, se aveva parlato con il capo era stato solo per mandarlo a quel paese.

Keiichiro analizzò ancora una volta la situazione. Forse era giunto il momento di intervenire...

«Non ti azzardare». Ryou gli puntò contro l'indice, minaccioso. Gli era bastato guardarlo in faccia per scorgere chiaramente il pensiero che aveva occupato la mente dell'amico.

«Ci mancherebbe altro!» se ne uscì il pasticcere e, imbracciato uno scatolone dall'aria pesante, andò in cerca di Ichigo.

“Ora ve la faccio vedere io”.

 

Dopo la discussione, Ryou era sparito come richiesto da Ichigo e la ragazza aveva continuato il suo lavoro, canticchiando allegre canzoni natalizie.

«Ichigo, potresti venire qui un attimo, per piacere?».

La ragazza poggiò il vassoio con i piattini sporchi di crema al cioccolato e salsa ai lamponi sul bancone della cucina e trotterellando, si avvicinò a Keiichiro, impegnato ad appendere l'ennesima ghirlanda di pungitopo al muro. O almeno quelle sembravano le sue intenzioni. Da dieci minuti buoni provava e riprovava senza avere successo.

«Dimmi Akasaka-san». Ichigo, le dita intrecciate dietro la schiena, si curvò oltre la scala per vedere meglio cosa stesse combinando l'amico pasticcere.

«Che ne dici così?».

La ragazza emise un verso non del tutto convinto.

«E' storto» sentenziò.

«Hai ragione. Non riesco proprio a farlo cadere dritto. Puoi farmi un favore?». Keiichiro parve avere un'idea geniale e ne approfittò prima che l'illuminazione passasse. «In laboratorio, sotto l'armadio delle provette, dovrebbe esserci una vecchia cassetta degli attrezzi. Ti dispiacerebbe andarla a prendere?».

La ragazza si incamminò all'istante verso la sala segreta del locale, luogo indispensabile per le tante vittorie ottenute in passato. Da quando la guerra era finita, le ragazze ci andavano raramente, però restava sempre il punto di riferimento di Ryou e Keiichiro.

Il buio era rischiarato dalla luce timida di un monitor acceso sul quale si avvicendavano immagini che sembravano provenire da telecamere di sicurezza piazzate intorno per la città. Riconobbe l'ingresso della scuola media che aveva frequentato, l'affollata stazione e il fiume che scorreva per il parco cittadino. Evidentemente i ragazzi continuavano a tenere la zona sotto controllo, onde evitare di farsi trovare impreparati in caso di nuovi attacchi.

«L'armadio delle provette...» mormorò tra sé e sé la ragazza, facendo mente locale prima di dirigersi a sinistra. La cassetta degli attrezzi doveva essere sulla parete in fondo.

«Che ci fai qui?».

La voce profonda e riconoscibilissima di Ryou la fece trasalire e voltare di scatto. Di colpo, Ichigo contrasse la mascella e i lineamenti del suo viso si indurirono mentre gli occhi color cioccolato si posavano sulle iridi del bell'americano che il buio rendeva spettrali.

«Non sono affari tuoi» rispose soltanto la ragazza e continuò la sua ricerca, ma della cassetta non c'era traccia.

Il rumore di una chiave che girava più volte nella serratura fece focalizzare l'attenzione di entrambi sul portone a tenuta stagna del laboratorio.

Ichigo reagì troppo tardi per cercare di evitare quello che ormai era successo: qualcuno li aveva chiusi dentro.

«E' chiuso» sussurrò incredula. Provava a tirare il maniglione verso di sé, senza alcun risultato. Udì un tonfo dalla parte opposta e poggiò l'orecchio sulla parete gelata per capire se era vero o se se l'era solo immaginato.

«KEIICHIRO!».

Quel nome riecheggiò per tutto l'ambiente. A Ryou c'era voluto meno di mezzo secondo per fare due più due. Era assolutamente sicuro che dietro ci fosse lo zampino del suo migliore amico. Si ripromise di fargliela pagare nel peggiore dei modi una volta uscito dal laboratorio.

Il pasticcere non tardò a rivelarsi.

«Non uscirete da lì dentro fino a quando non vi sarete chiariti. Sono stufo di questa storia e ho intenzione di passare un Natale sereno».

«Se non apri questa dannata porta, il Natale non lo passi e basta!» lo minacciò Ryou, ma Keiichiro non se ne avvide. Ci voleva molto di più per spaventare uno come lui.

«Akasaka-san, per favore, apri. È buio qui e fa freddo». Ichigo provò con le suppliche, ma per quanto al ragazzo dall'altra parte potesse dispiacere, era fermamente deciso a mantenere il pugno duro con entrambi. Non potevano perdersi così. Non lo avrebbe perdonato a loro e men che meno a se stesso.

«Vi ho detto quali sono le mie condizioni. Vedete di muovervi, ho dei dolci da infornare».

Ichigo sbuffò e affondando le mani tra i capelli rossi, si allontanò dalla porta. Anche Ryou si spostò, coprendosi la fronte col palmo della mano. Cosa diavolo era saltato in mente a Keiichiro? Guardò Ichigo muoversi avanti e indietro per il laboratorio. Sembrava un'anima senza pace, quasi spaventata. Di cosa poi?

Era colpa sua dopotutto. Aveva cominciato lei quella storia. Lei l'aveva trasformata in farsa e infine in stupidaggine.

E Keiichiro guardava troppi film, questo era poco ma sicuro.

La ragazza si sedette per terra, accanto alla porta e si strinse le ginocchia al petto. Aveva scelto il punto più lontano da dove si era fermato Ryou con l'intenzione di evitarlo e aspettare che Keiichiro perdesse la pazienza e li liberasse. Sapeva però che sarebbe passato un bel pezzo. Il pasticcere non era famoso solo per la bontà dei suoi dolci.

Ichigo tirò un sospiro e si sfregò le braccia con le mani. Faceva davvero freddo là sotto e il vestitino da babbo natale, per quanto fosse carino, non la riscaldava per niente. Nel giro di pochi minuti, la ragazza cominciò a battere i denti. Il rumore attirò l'attenzione di Ryou che smise di digitare sulla tastiera del computer con cui stava lavorando e si voltò verso la rossa, talmente raggomitolata da poter entrare in una valigia.

«Ichigo!».

Il giovane si catapultò

«Non ti avvicinare» gli intimò lei alzando l'indice nella sua direzione. Si tirò in piedi e mosse qualche passo verso la parte opposta rispetto a quella del ragazzo, neanche avesse avuto davanti il suo peggior nemico.

Ryou non ne poté più. Quella situazione aveva raggiunto e oltrepassato il limite di ogni sopportazione.

«Ichigo, si può sapere cosa diavolo ti prende?» sbuffò risentito.

Alla rossa sfuggì un singhiozzo, che tra le pareti vuote del laboratorio rimbombò violentemente tanto da spaventare pure Ryou. Il giovane americano stava seriamente iniziando a preoccuparsi che lei finisse per sentirsi male. La vedeva tremare mentre si stringeva le braccia attorno al busto e le lacrime avevano cominciato a rigarle il volto reso pallido dalle luci al neon, o almeno Ryou sperò che fosse quello il motivo.

«Spiegami, per favore».

Il biondo si ritrovò a supplicare per la prima volta nella sua vita. D'altronde, con Ichigo, era sempre stato così. Lei lo aveva reso capace di fare cose che prima nemmeno sognava. Era pure arrivato a scappare per causa sua e di quegli stupidi codini. Aveva fatto le valigie e preso il primo aereo per andare lontano da lei, dai suoi occhi che si perdevano in iridi troppo scure per essere le sue, dalle sue dita affusolate che si attorcigliavano attorno a quelle dell'uomo sbagliato, dalle sue labbra che... No, a quello non riusciva proprio a pensare. Strisciare la carta di credito in un POS era stato molto più facile.

Tornare, per far felice Keiichiro, le ragazze, per rivedere lei, capire se le era mancato, questo era stato un po' più complicato, ma come in tante altre cose, anche per quella, Ichigo l'aveva avuta vinta.

Lo scenario che si aspettava però era totalmente diverso da quello che aveva trovato una volta varcata la soglia del Caffè Mew Mew. Sì, Keiichiro e le ragazze gli avevano fatto una vera e propria festa, Ichigo invece lo aveva guardato per un solo istante prima di voltarsi stizzita verso la parete e andarsene via senza neanche degnarlo di un saluto. Ryou aveva pensato che l'arrabbiatura sarebbe passata e invece li aveva portati, a pochi giorni dal Natale, a essere rinchiusi nello scantinato.

Ryou ritentò.

«Ichigo, te lo chiedo per favore. Fammi capire cosa succede. Andava tutto bene prima che partissi».

Fu come accendere la miccia di una bomba. Bastò quella parola e la smorfia che si dipinse sul viso della rossa per far capire a Ryou quello che fino ad allora gli era sfuggito. La partenza.

«Ichigo...». Gli si spezzò pure la voce, rendendolo incapace di completare quel pensiero.

 

Babbo Natale, lui è partito. Non so il perché. Aveva detto che non lo avrebbe fatto, invece mi sono svegliata un giorno e non l'ho trovato più. Mi ha detto una bugia. Il mio Ryou non dice le bugie, non a me.

Poi è tornato, ma non è più lui. Non riesco a guardarlo, a parlargli. Non riesco a perdonarlo. So che sembra sciocco, ma mi sento tradita. Eppure mi manca così tanto. Mi sento incompleta senza di lui. Non lo so che cos'è. So che la mia vita non può più essere la stessa se Ryou non ne fa parte. Vorrei che fosse questo il mio regalo: rendimi abbastanza forte da potermi buttare alle spalle i giorni passati senza di lui. Rendimi capace di fidarmi delle sue parole, ma prima ancora dammi la volontà di ascoltarlo, di riaccoglierlo. Ridammi il mio Ryou”.

 

«Sei tu che te ne sei andato!» urlò la ragazza, il petto scosso dal forte pianto. «Mi avevi promesso che saresti rimasto e invece te ne sei andato senza neanche salutare! Mi hai lasciata sola!» lo rimproverò.

«Non eri sola. Tu avevi Masaya» la corresse lui, cercando un qualche tipo di giustificazione, sebbene fosse consapevole che qualunque cosa avesse detto avrebbe suonato come una scusa

«Non importa chi avevo. Era di te che avevo bisogno!».

Ryou rimase impietrito, travolto dal peso di quello che aveva fatto e dai sensi di colpa che ne scaturivano. L'aveva abbandonata, era questo che lei gli stava dicendo.

«Io...».

Ancora una volta, Ichigo non gli diede modo di parlare. Gli voltò le spalle e si diresse verso la porta sulla quale cominciò a sbattere i pugni, uno dopo l'altro, col pericolo di ferirsi le mani. A gran voce supplicava perché aprissero anche solo uno spiraglio che le permettesse di uscire e di scappare il più lontano possibile, ma da fuori non arrivava nessuno.

«Mi dispiace».

Quelle parole, le ultime che si aspettava di sentire pronunciate da quella voce, la fecero girare di botto, sbalordita e sorpresa. Ryou non aveva mai chiesto scusa a nessuno che lei sapesse.

«Perdonami» continuò il biondo. «Ho pensato solo a me stesso, al dolore che avrei provato io se avessi continuato a vederti con Masaya e non ho pensato al male che avrei inferto a te. Mi dispiace, Ichigo».

Il contatto inaspettato del suo petto contro la propria schiena fece sussultare Ichigo più forte di quanto i singhiozzi non avessero fatto fino ad allora. Di botto sentì caldo, le guance avvamparono ma non di imbarazzo. Si era dimenticata quanto fossero belli gli abbracci di Ryou. Non erano gesti, ma luoghi, in cui abitare e sentirsi al sicuro, al riparo da qualunque dolore o pericolo. Ed era lì che era stata in quel periodo lontana da lui, in perenne pericolo. Adesso invece tutto sembrava aver ritrovato il suo posto, secondo l'armonia dell'universo.

Ryou strinse un po' più forte quando sentì le mani di Ichigo scorrere sui suoi avambracci e nascose il viso nell'incavo profumato del suo collo.

«Non ti lascerò più» sussurrò. «Te lo prometto. Ti resterò accanto fino a quando tu vorrai».

Ichigo intrecciò le sue dita a quelle di Ryou. Il freddo, quello che aveva provato dentro di sé e che sembrava averle gelato pure il cuore, era finalmente scomparso, sostituito dal lieve tepore che solo qualcuno di importante sa donare.

«Mi sei mancato» confessò.

«Non succederà più».

 

Keiichiro aprì la pesante porta del laboratorio per sbirciare. Lo strano silenzio che era calato lì dentro lo aveva un po' preoccupato e così il pasticcere era accorso per controllare che la situazione non fosse degenerata e che non avrebbe passato l'antivigilia natalizia a pulire sangue.

Con suo immenso stupore e piacere trovò Ryou ed Ichigo abbracciati, sui loro visi l'espressione beata di chi ha finalmente trovato la pace.

Si sentì quasi in colpa a dover rovinare quel momento, così lasciò la porta aperta e tornò in cucina a finire di preparare l'ennesima leccornia.

Li rivide poco dopo attraversare il salone centrale del Caffè Mew Mew. Ryou teneva Ichigo stretta sotto il braccio come se davvero non volesse più lasciarla andare, la mano di lei delicatamente poggiata sul petto di Ryou. Bisbigliavano tra di loro parole che filtravano attraverso i sorrisi.

«Che farai domani?».

«Pensavo di andare a comprare i regali per mamma e papà».

«Ti va se ti accompagno?».

Un altro sorriso e la risposta era stata più che scontata.

«Ichigo, a te che regalo piacerebbe ricevere per Natale?».

Lei lo aveva guardato con un'intensità tale che per la prima volta Ryou aveva capito cosa provocava lui alla gente con i suoi occhi di cristallo.

«Ho già avuto il mio regalo».

E tutto lasciava intendere che fosse formato da una sola sillaba: tu.

 

Caro Babbo Natale,

grazie, grazie, grazie”.

 

   
 
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