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Autore: Passero della Neve    07/01/2015    1 recensioni
“Quando avrò la maggiore età non potrai impedirmi di andare via da qui, e finalmente la smetterai col tormentarmi!”
E se l'uscita di scena trionfante venisse anticipata?
Nelle mani screpolate dal freddo stringevo caramelle alla menta, un filo di inquietudine e qualche moneta: tutto ciò che al momento mi apparteneva. Io ed il mio grammo di ottimismo continuammo a camminare verso il binario quattro con la convinzione che ce l'avrei fatta, che in un modo o nell'altro sarei riuscita a cavarmela. In caso contrario, mi restava la soddisfazione di aver varcato la soglia della casa degli orrori prima che sarebbe stato troppo tardi anche solo per respirare.

1976, i Sex Pistols e i Clash regnano sovrani sulla scena punk rock della signora Londra.
In prima fila c'è un insolito, dolce amaro triangolo che racconta la storia nella storia.
Diffuso ovunque e da secoli, il triangolo è da sempre presente nei libri, nei film, nelle canzoni, nelle poesie e persino nei fumetti fino alla nausea.
Il triangolo di "Che razza di storia è questa!" sarà forse noioso, ma mai banale.
Resta a voi giudicare.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Johnny Rotten, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Capitolo quarto
100 CLUB

Johnny’s pov:

– Hey ragazzi, siete pronti? Abbiamo fatto il pieno di gente! – La voce di uno degli organizzatori parlò da dietro la porta, facendo ululare Steve come un imbecille. L’idiota era appena uscito dal bagno, e quell’urlo che lanciò mentre si tirava su i pantaloni era per lui come un atto scaramantico prima dell’esibizione. 
Il palco stava aspettando solo noi. 
Un boato di caos rimbombava nell’enorme sala, incrementando la mia voglia di cantare. Tra le persone dalle facce sballate che dimenandosi e saltando tentavano di guardare meglio sul palco, notai il viso impiastricciato di Vicki. Era già in prima fila, con il mio nome scritto sulla scollatura straripante: un altro patetico e inutile teatrino al fine di attirare l’attenzione su di sé. Recentemente mi aveva fatto promettere che quando avessi suonato al 100 Club avrei dovuto salutarla dal palco prima di iniziare a cantare: uno dei suoi capricci sciocchi che, ovviamente, una volta acceso il microfono non accontentai. Quando avevo acconsentito a quella scempiaggine ero ubriaco fradicio, e quando mi ubriacavo come un ossesso avevo gravi difficoltà a gestire ciò che dicevo. Qualche settimana prima avevo già respinto le penose avance di Nancy Spungen, non mi sarei fatto problemi a scollarmi di dosso anche Victoria Fitch e rispedirla nel circolo delle battone. Insomma, il fatto che ogni tanto mi lasciava l’ingresso libero alla passera non voleva dire che un giorno le avessi fatto la proposta di fidanzamento!
Prima che potessi anche solo rendermene conto, avevo completamente accantonato ogni pensiero frivolo, dedicandomi anima e corpo alla canzone. Ero carico, pronto a dare il meglio di me e vagamente di buon umore grazie al suono degli strumenti che mi trivellava il cervello. Era sempre la stessa sensazione elettrizzante, che ogni volta m’imballava lo stomaco arrivando diritto alla materia grigia e facendomi sentire invincibile, pieno di vita. Pura adrenalina, oserei dire. Non esisteva emozione paragonabile a quella che sentivo vibrare sotto la pelle, neanche il sesso. Ogni volta che guardavo quella folla scatenata come un mare in tempesta mi sentivo esplodere. C’era chi sniffava, chi se la sparava in vena, chi faceva un salto a testa in giù da una scogliera, a me bastava impugnare un microfono per sentirmi immortale.
Durante la breve pausa della prima canzone, vidi Steve e la sua Gibson allontanarsi dall’amplificatore e avvicinarsi a me. Per un momento temetti che volesse dirmi qualcosa del tipo “dobbiamo sloggiare” oppure “c’è un guasto alle casse”, ma quel suo sorrisino degenerato mi collocò a tutt’altro argomento. Come mi disse di fare, guardai in direzione della seconda fila a sinistra. Dopo una breve panoramica, tra quello sciame di punk riuscii a localizzare i capelli inconfondibili della Spungen. La bionda ossigenata era in compagnia delle sue amiche del Bromley, e con loro c’era qualcuno che non avrei mai creduto di poter rivedere ancora una volta. Ebbi l’assurda sensazione che la mascella inferiore stesse staccandosi dalla mia faccia per schiantarsi sul pavimento del soppalco. Solo Steve arrivò a scorgere quella metafora disegnata nei miei occhi, e ghignò in modo più maniaco del solito: era davvero strafatto. Il plettro della chitarra graffiò la prima nota della seconda canzone, preceduto dalle bacchette potenti di Cook, ed io non avevo ancora la forza di scollare gli occhi dall’ammessa fidanzata di Tony James.
Fidanzata o no, quel dettaglio non aveva alcuna importanza per me. Le avrei parlato quella sera stessa, in un modo o nell’altro. Questa volta non mi sarei tirato indietro, a costo di fare la figura dell’imbranato.



Alex’s pov:

Prima di allora non ero mai stata ad un concerto. Esclusa quella volta durante la sagra della birra nel parco di Bristol, con l’indesiderata compagnia della mia tutrice e il suo ex-coniuge.
“100 Club”: questo era il nome del night in cui mi avevano trascinata Stephanie e Nancy, dicendomi che si sarebbero esibiti amici di amici, una band del momento. Anche Grace ci avrebbe raggiunto, dopo il pomeriggio passato nella biblioteca in centro. Per convincermi, Nancy mi provocò dicendomi che se mi fossi divertita - al contrario di come avevo previsto - avrei dovuto scontare un pegno. Perciò accettai: ero fin troppo sicura di scamparla. Il punk rock era solo del baccano per me, altro che musica!
Eravamo già alla prima canzone, e l’orologio da polso appartenente a uno sconosciuto che mi stava accanto segnava le 8:30 pm. Ebbi l'occasione di guardare l'orario perché quel tipo dalla cresta ossigenata non faceva altro che urtarmi con la scusa di saltare per riuscire a guardare sul palco.
– Hey idiota, vedi di piantarla! – sbottò Stephanie al tizio dell'orologio, che stava infastidendo anche lei. – Oh mio dio Nancy, hai fatto una rapina al barman! – disse poi sarcastica, quando vide l’americana ritornare insieme ad un rifornimento di bevande stretto al petto. Come risposta Nancy allargò le labbra in un sorriso a trentatré denti. Probabilmente le uscite serali la mettevano di buon umore, perché Nancy Spungen raramente sorrideva in quel modo brioso. Mi porse la bottiglia più grande, facendomi l’occhietto: – Vodka? –
– No grazie, adesso non mi va – rifiutai gentilmente. Non ero mai stata particolarmente estasiata dall’alcol.
– Non mi dire, la nostra Gracie ti ha convinta con la storia della ragazza sobria che attira gli uomini? – insinuò la bionda.
– Certo, considerando che è stato provato statisticamente – ci istruì la stessa Grace.
– Statisticamente è stato provato anche che sei un’astemia rompicoglioni! – la punzecchiò sua cugina Stephanie, facendoci ridere.
– Zitte, zitte! Ecco che ricominciano! Wouh! – Nancy mi aveva traumatizzato l’orecchio con quell’urletto. Ero indecisa se perdere l'udito per via sua o per lo strazio che quella sera aveva deciso di propinarmi.
Quando un armadio davanti a me alto circa due metri decise di spostarsi altrove, mi lasciò una visuale più chiara dello spettacolo al quale stavo assistendo. Il cantante dalla chioma centrifugata sequestrò la mia attenzione più degli altri membri della band: quei capelli arancioni non mi erano nuovi, e un flashback molto recente riaffiorò nella mia mente: il Crunchy Frog! Il giorno prima me ne stavo seduta sulla moto di Tony James fuori dal pub quando un gruppetto di teppistelli mi passò davanti facendomi una radiografia dalla testa ai piedi. Fino a qui nulla di bizzarro se non fosse per il fatto che, quei tipi, adesso erano davanti ai miei occhi ad improvvisarsi concertisti. Meno uno, il bassista, che lo vedevo lì per la prima volta.
– Ma quelli li ho già visti! – meditai ad alta voce.
– I Sex Pistols? Non mi dire, non si parla d'altro! – urlò Grace, cercando di sovrastare i suoni degli strumenti. Peccato che secondo la mia onesta opinione, quei Pistols, di sex non avevano proprio nulla.
– Il chitarrista è un depravato, vero? – le chiesi in confidenza, scrutando il soggetto: glielo si leggeva proprio in faccia. Grace rise alla mia domanda ironica, forse anche alla vista della mia espressione stomacata. Mi riferivo al complimento velato di malizia che ricevetti da quel ragazzo che adesso si dilettava con la chitarra, quando lo vidi in compagnia dei suoi amici strampalati. Ma nessuno, comprese le ragazze, era a conoscenza di quel casuale incontro.
– Si chiama Steve Jones – mi fece sapere la studentessa. – Il biondino alla batteria è il suo migliore amico: Paul Cook. Quello al basso mi pare si chiami Glen, non ci ho mai parlato. E il rosso col microfono si fa chiamare Rotten! –
... che sottospecie di soprannome!
– Ma non ce l'ha un nome normale? –
– Sì, Johnny. Lui è un tipo.. particolare, non sai mai se faccia sul serio o meno! –
Come non crederle! Con quella faccia da schiaffi che si ritrovava c'era da aspettarselo.
– Sembra pericoloso – commentai da pettegola, considerando come sgranava gli occhi.
Grace Campbell mi guardò come se avessi appena detto l’esatto contrario di ciò che pensavo, poi sorrise semplicemente. Quella ragazza era un tipo davvero attento, oltre che pignolo. Quella mattina, al mio risveglio, mi erano bastate poche chiacchiere per capire quanto fosse sensibile, dolce e con un sesto senso impeccabile. Grace era il classico tipo al quale non si poteva nascondere nulla. Aveva il potere della sensibilità e con essa ti leggeva dentro. Ed era così terribilmente annoiata che a momenti credevo si sarebbe rifugiata in qualche angolo a contarsi i capelli. Decisi quindi di smuovere le acque: afferrai i suoi fianchi simulando dei movimenti vagamente sexy e lei scoppiò a ridermi in faccia, forse per la sorpresa, o forse a causa dell'imbarazzo. Dopo una lunga insistenza da parte mia e di sua cugina, la timida Grace si decise a scatenarsi con noi. Adesso non era più un pezzo di ghiaccio incapace di sciogliersi, e anzi, dimostrò il meglio di sé arrivando persino a slegare i capelli raccolti accuratamente nel fermaglio a forma di fiore.
Da più di dieci minuti quella musica a momenti orecchiabile e a tratti rintronante andava avanti senza lunghe interruzioni. Il chitarrista emise un dolce e melodioso rutto che dal microfono fece eco in tutta la struttura. Quello doveva essere interpretato come un finale epico del brano? Mi resi conto che, quei Pistols, per quanto potessero apparire nel complesso … originali, un branco di cani rognosi sarebbe stata una compagnia decisamente più gradevole quella sera.
– Questa è "Liar", mi piace da matti! – tuonò Nancy ballando, o meglio, saltando accanto a me.

Now I wanna know, now I wanna know why you never look me in the face, broke a confidence just to please your ego, should've realised you know what I know, you're in sunspension! You're liar! 
"Sei bugiardo!" cantava il rosso, o strillava. Cantilenava con voce a tratti roca in modo lamentoso, quasi come se il microfono gli stesse strappando con forza le parole dalla gola. Povere le sue corde vocali! Ero sicura che avessero bisogno di una botta d'olio al termine della performance. Lo vidi scrutarmi da lontano con i suoi occhi sgranati da scienziato pazzo. Mi guardava come se le sue stupide strofe fossero indirizzate a me soltanto. Maledetta Nancy, maledetta lei e le sue conoscenze. Era proprio necessario sostare adiacente al palco? Ero così vicina a quel tale che, anche se mi sforzavo di non notarlo, potevo ben percepire il suo sguardo ostinato appiccicato alla pelle. I suoi occhi puntati addosso furono capaci di causarmi un senso di disagio. Riuscii a reprimere quella sensazione, e mi concentrai sulla canzone che tutto sommato si rivelò orecchiabile proprio come avevano detto le mie amiche. Il pezzo con la chitarra elettrica protagonista mi fece venir voglia di saltare ancora, ma non lo feci. Sapevo che lo sguardo di qualcuno stesse vagando ancora dalle mie parti, e non avevo alcuna intenzione di dare altro spettacolo.

Nancy aveva i piedi doloranti, colpa di quei tacchi che si ostinava ad indossare. Io e le altre la seguimmo a destra del palco alla ricerca di una sedia sulla quale avrebbe potuto sedersi. Mano nella mano con Grace, mi ritrovai nel retro, lontano dalla folla, dove i suoni degli strumenti erano meno amplificati e le persone non erano ammassate tra loro come bestie in un gregge. Chi in piedi, chi seduto su delle cassapanche, c’era chi parlottava tra loro ascoltando il concerto da lontano. Conobbi un gruppo di ragazzi del Bromley, il noto sobborgo dove vi era il nostro appartamento. Conobbi anche Siouxsie, una ragazza dall’aspetto eccentrico, un tipo dai capelli rasati di cui non avevo capito il nome, e Linda, intima amica di Stephanie e lesbica di professione che prima di me divideva l’abitazione con le ragazze. Grace mi confidò che dopo un’animata lite con Nancy, Linda decise di trasferirsi nell’appartamento di quel Rotten, con il quale andava molto più d’accordo.
Il concerto era appena terminato e di Paul Simonon nemmeno l’ombra.
Ero quasi morta dalle risate a causa delle battute stupide di un certo Sid, detto “Vicious”, uno spilungone dai capelli scuri come la notte e dalla risata facile che continuava ad inveire su Linda. Mentre ero presa dalle sue istruzioni su come rollare uno spinello perfetto, una voce squillante sovrastò il suono di quella di Sid, pacata e trascinata: – Hey Nancy! –
Quella voce nuova si rivelò appartenere ad una ragazza dalla capigliatura corvina, riccia e cotonata. I suoi piccoli occhi azzurri, che spiccavano perfettamente sulla pelle olivastra, mi guardarono di sottecchi come se fossi un bersaglio in lontananza, qualcosa da studiare prima di colpire. Nancy non le rispose, si limitò a sfoggiare un sorriso costretto. Non doveva esserle molto simpatica.
– Sid, dov’è Johnny? – chiese allora la ragazza, ignorando il disinteresse della bionda.
– Non lo so, sarà qui intorno.. – bofonchiò quello, vago.
Vicki non si trattenne ancora e sparì oltre la tenda che ci divideva dal palco, improvvisando una camminata da modella.
– Dove si saranno spacciate quelle due?! – sbuffò Nancy insieme al fumo della sigaretta. Proprio come se l’avesse previsto, le due cugine fecero ritorno portando con loro delle lattine di birra.
 – Cosa ci fa qui Victoria? – domandò Stephanie che aveva visto il soggetto allontanarsi. – Credevo fosse al pub a sbavare dietro ai Clash – si rivolse poi a Sid. Lui scrollò le spalle, strafottente, ed io avevo appena scoperto dove si trovasse Paul Simonon.
– Forse la stronza avrà saputo che Alex è nuova qui in zona – ipotizzò Grace. Quella era la prima volta che le sentivo articolare una parolaccia!
– Per poco non mi ammazzava con gli occhi. – Fui fermamente convinta che quella Vicki desiderasse linciarmi.
– Probabilmente avrà saputo di te e Simonon.. – mi guardò Nancy, maliziosa al solito, porgendomi la lattina appena aperta. – La sciacquetta ha solo paura che qualcuna le rubi la scena, non darle retta. –
Mi bastarono due birre per diventare brilla dalla punta dei piedi fino a quella dei capelli. Per non parlare della vescica che stava implorandomi pietà e che di sicuro sarebbe scoppiata se avessi mandato giù un solo altro sorso. Non ero affatto abituata all’effetto dell’alcol. La mia indole placida e l’autocontrollo sempre impeccabile fortunatamente mi aiutarono a non darlo a vedere. 
Ho bisogno della toilette, subito.
Tirai un sospiro di sollievo una volta superata quella marmaglia puzzolente che sostava nel lungo corridoio dei bagni. Inutile dire che dovetti trattenere il respiro mentre mi sollevavo la gonna di jeans e mi prestavo ai miei bisogni, nauseata dal puzzo insopportabile di scorie organiche. Recatami ai lavandini deserti, nel riflesso dello specchio potei vedere entrare la ragazza dalla scollatura in primo piano che avevo avuto il (non) piacere di incontrare pochi minuti prima: Vicki. Era scortata da una ragazza bassina e dalle forme molto abbondanti. Il mio sesto senso mi fece pensare che quella fosse la tipica ragazza-tappetino che si lascia manipolare, e magari anche calpestare dall’amicona stronza e piena di sé, che le fa credere di essere la sua amichetta del cuore. Sì, l’amicona stronza e piena di sé in quel caso era proprio Vicki-ho-due-tette-fantastiche.
– Così.. tu sei Alex? – cominciò quest’ultima, squadrandomi dalla testa ai piedi. Quella non era una domanda.
– Mmh.. mi aspettavo di meglio.  Mi parlò non solo come se volesse fare dell’ironia, ma anche come se avesse sentito già parlare di me e che avesse aspettato il momento perfetto per venirmi a fronteggiare. Mi risparmiai una risposta, che palesemente lei già conosceva e la guardai ammutolita aspettando il seguito, se ci fosse stato. E c’era:
– Credo che questa sia la prima e unica volta che ti parlerò, perché non ho intenzione di tornare sull’argomento, chiaro? 
– Ma di cosa diavolo stai parlando? – domandai perplessa. Volevo capire se quella ragazza stesse solo cercando di fare la bulletta per gioco, con quel dito che mi sventolava a un palmo dalla faccia, o se mi avesse scambiata per qualcun'altra.
– Lo sai benissimo, tesoro. Hai avuto l’occasione di conoscerlo, ma non illuderti di essere speciale. Non te l’hanno detto le tue amiche? Quel misero bacio non vale niente, perché Simonon non è disponibile! – asserì, convinta e maligna. 
Questo lascialo dire a lui,
 pensai.
– Se non vale niente, allora perché sei venuta a farmi la predica? – assodai con logica coerenza.
La ragazza tentò di intimorirmi avanzando verso di me, ma io non potei indietreggiare perché avevo il bordo del lavandino attaccato alla schiena e che stringevo nelle mani. 
– Senti, ti sto solo dando un consiglio: fatti da parte – minacciò,  – e tieni lontano da Paul Simonon quelle mani da finta verginella altrimenti ti rispedirò a calci in culo in Tasmania o da dove sei venuta! –
Proprio in quell’istante, qualcuna troppo sballata da accorgersi di quelle lampanti intimidazioni fece irruzione nei bagni affrettandosi a vomitare in una delle tazze. Vicki mi sorrise da strega e si congedò, seguita dall’amica-tappetino che era stata muta per tutto il tempo e che probabilmente aveva solo il ruolo della coda.
“Probabilmente avrà saputo di te e Simonon..”. Mi domandavo quali problemi affliggessero quella scapricciata di Nancy! Era proprio necessario spifferare a quella ragazza del mio bacio con Paul? Era proprio indispensabile fare la vipera pettegola? O forse mi stavo sbagliando. Forse Nancy non aveva aperto bocca ed io avevo solo frainteso le sue parole quando mi aveva consigliato di non dar retta a “quella sciacquetta” di Vicki. E se fossero state Stephanie e Grace? O Paul? Paul, è stato lui, mi suggerì una vocina nella mia testa.
Scortata da qualcosa che rassomigliava all’agitazione e alla rabbia scaturita da quelle assurde minacce che non avevo obbiettato, mi ritrovai seduta al bancone del club che fronteggiava il palco, abbastanza lontano dal retro. Al momento non avevo nessuna intenzione di ritornare dalle ragazze e fare come se nulla fosse accaduto.
– Una birra, grazie. – Neppure io sapevo da quale sacca immaginaria avevo tirato fuori quelle parole. Alex Martini che gioca a fare l’adulta ordinando una birra seduta su uno sgabello di un Night Club gremito di punk maleodoranti, chi l’avrebbe mai detto! Forse un altro poco di stordimento mi avrebbe aiutato a dimenticare in fretta quell’umiliazione, che seppur non pubblica, era pur sempre una mortificazione personale subita in quei bagni maledetti! Sentivo solo il bisogno di bere qualcosa di forte, ma il personale sembrava essere duro d’orecchi.



Johnny’s pov:
 
– Rotten, perché non ti diverti un po' anche tu? – mi propose Cook, guardando la mano di Steve infilata nei collant dell’amica di Linda, Rory. O il suo nome era Rosy? ...bah, come se questo m'importasse! – Ho adocchiato la ragazza della moto, prima. Io ci farei un pensierino.. – continuò il biondino, attaccandosi alla bottiglia come le api sul miele, o meglio: come Steve ad un fumetto porno.
– Nah.. Ci vuole qualcuna che.. non lo so, una che gli dia una bella svegliata! – intervenne l'altro. – Secondo me quella è troppo suora per Johnny.
Non mi pare che qualcuno avesse chiesto il suo parere.
– Sempre meglio delle bagasce che vai rimorchiando tu, Jones – soffiai insieme al fumo. Improvvisai poi un sorriso ironico, indirizzato alla ragazza che gli stava attaccata al braccio, forse troppo stupida o fatta per cogliere la mia offesa indiretta. – E comunque non ho bisogno di agenti matrimoniali. Sto bene così.
Al diavolo Steve, al diavolo Cook, e al diavolo anche Vicious insieme a quella squinternata della Spungen! Con quei due piccioncini tra i piedi da dove avrei pescato il coraggio sufficiente per avvicinarmi alla ragazza della moto? Steve la faceva facile, perché era naturale per lui presentarsi con un sorriso da cretino stampato sulla faccia e dire: "Ciao bellezza, sono Steve Jones, ti va di sganciarmela?". Non era nella mia indole assumere un atteggiamento simile, ecco perché la fobia di fare la figura dell'imbranato mi perseguitava da circa una vita.
Ero così annoiato che per un momento fui anche tentato di girare i tacchi e seguire Glen alla sala di biliardo. E questo mi fece pensare quanto fossi disperato. Mi sarebbe bastato oltrepassare il palco, spostare quella maledetta tenda e andare a parlarle. Invece no, continuavo a starmene col culo inchiodato al divano di quel camerino affollato di persone.
– E’ vero Rotten, divertiti! La vita è fantastica! Perché sei sempre incazzato? – s’intromise Rosy, o qualsiasi fosse il suo nome era irrilevante per me.
– E dimmi, cosa ci sarebbe di così eccezionale nella vita? – chiesi con la sicurezza di chi conosce già la risposta. 
– … Umh.. beh.. – 

– Oltre a farsi scopare da chiunque, ovviamente! – mi affrettai a precisare, sarcastico. L’amica di Linda aveva l’espressione di chi sta cercando qualcosa di interessante da dire, e uno sghignazzare di risate scoppiò. Dovetti trattenere una minaccia di vomito alla vista di quella sbaciucchiarsi con Steve intanto che si voltava ad ignorarmi. Che schifezza!  
– Fanculo, vado ad ubriacarmi – sibilai alzandomi. Spensi la sigaretta in un bicchiere, e fortunatamente nessuno mi seguì.

Ero davvero stufo di non poter nemmeno parlare con il mio migliore amico, tra uomini e in santa pace, senza la sgradevole compagnia dell’americana ossigenata.
– Una birra, Rob – ordinai quando arrivai alla cassa del bancone. Nell’attesa del carburante per il mio stomaco, il mio sguardo un momento prima vagante, catturò l’immagine della ragazza della moto: era completamente sola, finalmente. Sedeva su di uno sgabello posto a un paio di metri lontano da me, il gomito poggiato al ripiano e l’aria avvilita. Chissà perché aveva deciso di allontanarsi dalla sue amiche.
– Perché lui sì e io no? – protestò d'un tratto, brontolona come una bambina, rivolgendosi all'uomo pronto a servirmi. No, non era affatto avvilita, era indispettita da qualcosa di cui io non ero a conoscenza.
– Dovresti mostrarmi un documento, prima – disse Rob, parlando proprio come si fa ad una bambina.
– Sono abituata a bere! – sputò acida lei, mentendo visibilmente. – Cosa c’è, solo perché non ho un chilo di trucco sulla faccia dovrei essere minorenne? – L’acidume che stava sprizzando da tutti i pori dipinse l’atmosfera. Probabilmente aveva ragione, ma anche se avesse avuto davvero la maggiore età, con il suo visino pulito avrebbe sempre dimostrato qualche anno di meno.
– Ho cambiato idea: facciamo due, Rob. Stasera devo offrire da bere – riordinai, serio. Il barman decise di non replicare ai capricci di quella principessina, annuì perspicace ed estrasse un’altra birra dal frigo nascosto sotto il bancone, poi mi disse:
– La band non paga mai, buona serata. –
Ringraziai e riposi le monete, aprii una delle due lattine e ne feci un sorso. Quando percepii uno sguardo familiare puntato addosso mi voltai a ricambiarlo mostrando un sorrisino derisorio e, qualcosa in quegli occhi color cioccolato che incrociai, mi fece pensare che quella ragazza doveva proprio avere un’insana voglia di perdermi a sberle. Ciò bastò ad allargare il mio sorriso e ad alimentare la maledetta voglia che avevo di conoscerla. La vidi ignorarmi, saltare giù dallo sgabello e dirigersi verso l’uscita. Per caso mi stava snobbando? Mi sentii provocato. Così, mosso forse dall’illusione che con due birre tra le mani sarei sembrato meno scemo, la seguii, controllando intanto che in giro non fosse in agguato quella gatta morta di Victoria Fitch.
Il freddo pungente della notte m'investii, infiltrandosi ovunque e pizzicandomi la faccia. Mi fermai sotto l'arcata dell'uscita, affiancando la ragazza che teneva le braccia incrociate al petto. Quando le porsi la lattina sigillata senza prestarmi a guardarla, potei sfiorare le sue dita gelate come il marmo.
– Che ti succede? – le domandai, cercando di cambiare atteggiamento. Il vento leggero le accarezzava qualche ciocca di capelli fuoriusciti dalla treccia. Mi guardò per un attimo stranita, poi scosse le spalle, pensierosa. Forse non aveva molta voglia di parlare. 
– Volevo starmene un po’ da sola. C’è troppo casino lì dentro – si giustificò, prima di fare un sorso alla lattina che aveva appena aperto. Aveva un forte accento del sud, e il suono argentino della sua voce mi deliziò l’udito. 
Volevo farle una montagna di domande, ma ne inghiottii parecchie promettendomi di reprimere la mia solita invadenza e di non fare qualche madornale figuraccia alla Jones.
Proprio mentre stavo per chiederle quale fosse il suo nome, da dove venisse, se gli fosse piaciuto il concerto o qualcosa di stupido per rompere il ghiaccio, le parole si seccarono nella gola alla vista di Steve, che spuntando dall'uscita del club fu seguito da una marmaglia di gente che, in quel momento, avrei desiderato chiudere in un sacco e gettare a calci in culo giù dal London Bridge. Tempismo perfetto!
– Alex! Ecco dov'eri finita, ti ho cercata ovunque! – disse la cugina di Stephanie Rocke, scrutandomi poi malamente.
– Tranquilla Gracie, Rotten non morde – la tranquillizzò l’altra, molto simpatica.
Ignorai quella battutina, e come probabile risposta sputai oltre il margine del marciapiede. Fottuti stronzi.

– “Alex”? Una ragazza con un nome da maschio, che spasso! – parlò Steve, che con la bava alla bocca mi diede una spallata innocente.
Alex sorrise da ingenua, poi si rivolse all’amica: – Torniamo a casa, Steph? –
– No, andiamo tutti a casa di Cook. Suo padre ha un giradischi pazzesco! –
Me ne stavo con le mani infilate nelle tasche della giacca a imprecare mentalmente su quanto quella combriccola di idioti fosse saltata fuori nel momento meno opportuno, e posai sul cofano di una macchina parcheggiata accanto a me la lattina di birra che avevo già svuotato da un pezzo.
– Avanti ragazzi, aiutatemi con questo morto! – incitò l’amica di Linda, che avvolta nel suo trance grigio tentava di sorreggere la ragazza ubriaca.
– Ci penso io, Ronny – la soccorse Cook. Ecco come si chiamava la battona!
La casa di Cook distava dieci minuti da lì. Ogni fine settimana i suoi genitori partivano per la montagna a casa di parenti. Con la scusa di odiare la neve, Cook si scampava la noiosa vacanza in famiglia per organizzare qualche raduno tra amici nel suo salotto. L’ultima volta, mentre Sid faceva il coglione con la sua fionda fece rompere il vaso cinese che la padrona di casa teneva esposto sul tavolo. Cook, nonostante la sbronza che lo rendeva impedito, dovette passare il resto della serata ad incollare il gingillo pezzo per pezzo. A proposito: – Dov'è Vicious? –
– Da qualche parte con Nancy – mi rispose Cook, mentre aiutava Linda che non riusciva nemmeno a reggersi in piedi. Tra le gambe di Nancy, magari.
Prendemmo la metro, spettrale e deserta come ogni volta a quell'ora. Solo un innocuo fattone occupava un posto a sedere. 
Accasciato con la spalla alla parete della metro, guardavo Alex annuire e sorridere ai discorsi di Steve mentre stropicciava tra le dita sicuramente fredde il nastro blu della sua lunga treccia. Non avevo mai visto una ragazza del genere in vita mia, capace di rivelarsi così intrigante anche solo respirando. Lei doveva essere una di quelle persone che sanno ascoltare, che passano il tempo a rimuginare su se stessi e a cercare ogni difetto, invece di guardarsi intorno per rendersi conto di quanto faccia schifo il mondo. Una di quelle un po’ impenetrabili, una di quelle da rincontrare ancora perché leggerle al primo sguardo è un’impresa ardua.





Note finali

Giuro che non m'impegno nemmeno per tirare fuori questi capitoli così lunghi, anzi, cerco sempre di accorciarli quanto possibile al fine di non annoiarvi..
Intanto il destino ci si mette di dovere per tenere Johnny lontano da Alex. Questo fa disperare anche me, credetemi. Ah.. questi amici guastafeste che si vedono sempre nei momenti del "non bisogno"! Che cosa succederà mai in seguito, tenendo presente che i nostri protagonisti si dirigono a casa dello scatenato batterista Paul Cook? Lì di certo Alex non potrà sfuggire allo sguardo tagliente del famigerato Rotten. E speriamo che la timidezza di quest'ultimo non abbia la meglio! 
Detto ciò, mi dileguo a bere il mio tè della mezzanotte circa - perché io devo sempre distinguermi dalle persone normali, ovviamente - e a scervellarmi sul perché Bella Swan si lasciava così piacevolmente massacrare dall'ente sconosciuto che le viveva in corpo. Che ragazza stramba!

A presto, miei cari punkini! (Che detto così ... fa un po' schifetto)

Vostra, Ninfea in mare
   
 
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